Articolo estratto dal volume IV del 1971 pubblicato su Google Libri.
Il testo è stato corretto dai refusi di stampa e formattato in modo uniforme con gli altri documenti dell’archivio.
I riferimenti ai documenti del magistero pontificio sono stati resi interattivi e portano al sito del progetto “Chiesa e Comunicazione”, la biblioteca digitale online che prosegue l’attività iniziata da p. Baragli con le opere Cinema cattolico: documenti della Santa Sede sul cinema e Comunicazione Comunione e Chiesa.
Nella notte tra il 5 e il 6 marzo 1968, un aereo dell’Air-France sulla linea Bogotà-Parigi si schiantava ed incendiava sulle rocce di Guadalupe, nelle Antille Francesi. Sessantotto persone, fra personale di bordo e passeggeri, vi trovarono la morte. Tra essi l’agostiniano assunzionista padre Émile Gabel.
Nato in Alsazia, non lontano da Strasburgo, il 1º settembre 1908, aveva sessant’anni. A venticinque era stato ordinato sacerdote. Dopo nove anni d’insegnamento teologico ai giovani della sua congregazione religiosa, nel 1943 era passato al giornalismo. Direttore delle Edizioni Bonne Presse sino al 1949, redattore-capo della Croix e presidente della Associazione Editori Giornali Cattolici, faceva parte anche del gruppo internazionale di Studi Sociali di Malines, e della Commissione permanente delle Semaines Sociales di Francia; inoltre diresse l’ufficio cattolico internazionale dei problemi europei. Nel 1957, dimissionario dalla Croix, era stato eletto segretario generale dell’UIPC (= Union Internationale de la Presse Catholique)1. In tale carica, in un decennio, aveva preparato. tre Congressi dell’Unione: di Santander nel 1960, di New York nel 1965 e di Berlino nel 1968. Capace ricercatore di mezzi e viaggiatore instancabile, aveva promosso un’intensa campagna in favore della stampa nel Terzo Mondo, e soprattutto nell’.America Latina, dove trovò la morte, diciamo pure “sul campo”, come gli conveniva.
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Bisogna essere grati a mons. Jesus Iribarren, successore del p. Gabel nella Segreteria dell’UCIP; alla signorina Josie Gyps e al p. Pierre Fertin, per molti anni fedeli collaboratori dello Scomparso; ed agli “Amici del Padre Gabel”2, per aver rispettivamente patrocinato curato e finanziato la pubblicazione di questa antologia dei suoi scritti3. Forse il titolo – Il rischio dei media – promette più che la raccolta non mantenga: tuttavia ha il pregio d’indicare il senso costante dell’iter socio-pastorale del Gabel, interrotto dalla morte. I documenti qui raccolti – una venticinquina – nelle loro tre sezioni corrispondono ai tre momenti per i quali si sono via via allargati i suoi interessi: dal giornalismo, ai problemi dell’informazione e dell’opinione pubblica, e – col Vaticano II – a quelli più generali della sociale”; il tutto con un criterio grosso modo cronologico, lungo l’arco di un ventennio.
Gli argomenti trattati sono molti e svariati: natura ed esigenze della stampa d’informazione, e di quella cattolica in particolare; missione e responsabilità del giornalista in un mondo in evoluzione, e nel Popolo di Dio; il fenomeno dell’informazione e sua funzione nello sviluppo sociale e civile, specialmente del Terzo mondo; natura e problematica dell’informazione religiosa: nella Chiesa, nella pastorale, nel Concilio; l’opinione pubblica: fatto sociologico e problema ecclesiale, anche in relazione alla disciplina del segreto; pastorale degli strumenti della comunicazione sociale, significato e limiti del decreto Inter mirifica, teologia della comunicazione sociale, ecc.
L’autore vi si palesa più polemista che pensatore cartesiano; inoltre, molti di questi scritti hanno carattere d’interventi occasionali4 e, per giunta, si muovono su terreni culturali e socio-teologici poco esplorati. Perciò, nessuna meraviglia se, in genere, non brillano per sistematicità. Quel che più conta in essi è il ritorno continuo di alcune idee-forza, delle quali il Gabel fu pioniere convinto e, in certi ambienti, non sempre compreso. Tali, per esempio, l’assoluta necessità di un’informazione obiettiva quale condizione di socializzazione autenticamente umana, secondo la progressione: "savoir – comprendre – participer” (pp. 231, 281), e l’assoluta necessità, dunque, di una libera stampa d’informazione; insostituibilità di una stampa veri nominis cattolica, in funzione di umanizzazione e cristianizzazione delle opinioni pubbliche, nonché di dialogo nella Chiesa, e della Chiesa col mondo (p. 181); ma di una stampa cattolica che sia, prima di tutto e sempre, “stampa” (pp. 76, 120), e non predica dal pulpito (p. 33); stampa non astratta e di principi, ma legata alla quotidianeità del reale (p. 40), alla longueur d’onde dei lettori (pp. I87, 316), nonché alle ineliminabili servitù tecnico-economiche (pp. 69, 202); autonomia professionale del giornalista rispetto alla gerarchia, nel libero giuoco di legittime opinioni e, se necessario, anche di critica; riduzione della disciplina del segreto; urgente apertura mentale dei clercs al mondo rivoluzionato dai mass media, alla società progressivamente pluralistica, all’opinione come specchio non trascurabile della realtà sociologica, nonché come gruppo di pressione (pp. 248, 309); ecc.: verità tutte che, ancora una dozzina di anni fa, passavano per stravaganze, se non anche per semi-eresie; e che, anche in quest’aura di aperture postconciliari, tardano a farsi strada. Ragion per cui il volume che, pur datate come sono, raccoglie propone e sostiene queste idee, è ancora attuale, né invecchierà tanto presto.
Non è, tuttavia, il caso di prendere per oro di zecchino tutto quello che contiene. Del resto, si farebbe torto alla libertà di opinione ed alla franchezza di critica e di espressione tanto apprezzate e patrocinate dal padre Gabel, se, per un malinteso senso di riverenza verso di lui, non se ne rilevassero i limiti, per la maggior parte attinenti, credo, ad una spiegabilissima “deformazione professionale” di un giornalista-nato, per un ventennio vissuto nel mondo della stampa, e che prevalentemente per i giornalisti ha scritto parlato e combattuto. Egli, infatti, tarda ad uscire dagli interessi specifici di quel suo mondo. Quando poi comincia a spaziare in argomenti che toccano, sì, il giornalismo, ma che non si esauriscono in esso, ed anche quando, in occasione del Vaticano II, si apre a quella realtà globale socio-culturale-pastorale che sono i mass media, egli tende ancora a rapportare tutto – informazione, opinione, organizzazione ecclesiastica, magistero, Inter mirifica... – alla problematica ed alla visuale caratteristica del giornalismo “classico”.
La stessa “deformazione professionale” lo induce a troppo idealizzare in bellezza il mondo della stampa ed i suoi addetti ai lavori. Sì, qua e là mostra di conoscere bene – e come, onestamente, l’avrebbe non potuto? – le insufficienze culturali ed etico-professionali nelle quali, a tutti i livelli, operano molti di “quelli della stampa”, gettando su tutta la professione una suspicione di superficialità non del tutto gratuita; ma ciò non gli impedisce di supporre generalizzato in essi un senso di responsabilità adeguato ai compiti sociali della loro professione (cfr, per esempio, pp. 346 e 350) e, nel caso dei giornalisti cattolici, di supporre diffusissimo in essi un “carisma profetico”, che li renderebbe ipso facto interpreti autentici del Popolo di Dio e necessari tramiti di dialogo ecclesiale tra la gerarchia – soggetto, ahimè, dell’autorità – ed il popolo – soggetto di una regale opinione5. La sua stessa continua difesa del dir_itto all’informazione vera completa e tempestiva – che, poi, nel giornalista è piuttosto un dovere –, nonché la sua allergia verso ogni tutela del segreto, verisimilmente si alimentano alle difficoltà professionali dei giornalisti – troppo spesso reali e non necessarie, perciò da eliminare o, almeno, da ridurre –, più che alla loro funzione e missione di servizio del pubblico; missione e funzione che si scontra anche in ben altre, ma meno denunziate, servitù. Personalmente, poi, credo che l’asistematicità del pensiero del padre Gabel, di cui sopra, trovi nell’immaginoso stile giornalistico più di un’occasione di esemplificazioni brillanti date per argomenti stringenti6.
Ovviamente, quando dagli argomenti socio-professionali, diciamo così, neutri egli passa alla problematica dottrinale e pastorale cattolica, non dimentica di essere sacerdote e teologo. E sono, allora, sincere professioni di amore alla Chiesa, sensi di fedeltà al magistero ed alla gerarchia, esortazioni alla virtù della prudenza ed alla disciplina anche ai giornalisti: che, tuttavia, si alternano ad affermazioni che lasciano perplessi: o per la loro opinabile apoditticità di “opinione pubblica”7, o per la loro imprecisione terminologico-concettuale. Di qui l’impressione di qualche confusione tra opinione pubblica come dato sociologico, criterio di agibilità soggettivo e non necessariamente di verità oggettiva, ed opinione nella Chiesa, radicata nel sensus fidei, e rispetto sa dell’ubbidienza sostanziale e di un minimo di disciplina; di qui l’impressione che si confonda il “pubblico” col “Popolo di Dio”, e che si tenda a distinguere questo dalla gerarchia, e perciò a concepire l’opinione pubblica nella Chiesa quale concorrente del magistero, e ad identificare l’opinione con la critica8; di qui l’impressione, infine, di un uso di comodo dei testi magisteriali, così degli ultimi tre papi come del Concilio, sfruttandone quelli, magari scarsi, che giovano alle sue tesi, ed ignorandone altri, magari abbondanti, che le tempererebbero.
Sono impressioni che dimostrano la complessità dei problemi trattati dal l’autore, a proposito di una Chiesa nella quale, oggi forse come non mai, abbondano le salutari tensioni; di una Chiesa che è un quid unicum, a sé stante, ma che oggi più che mai deve vivere nella storia; chiamata a salvare valori umani e divini, non per la via di facili monismi di moda, ma per quella di ardue armonie. Al lettore, perciò, il compito di seguire con amica comprensione questi saggi, distinguendone tempi e destinatari, ed affiancando, per completarli, i brani che sembrino contraddirsi o ignorarsi.
In particolare la terza sezione di questa raccolta induce a considerare i rapporti del padre Gabel col decreto conciliare Inter mirifica. Intanto da ricordare che, quale membro del Segretariato Preparatorio De scriptis prelo edendis et de spectaculis moderandis9, egli partecipò all’elaborazione dello Schema di costituzione poi discusso in Aula10. Tuttavia il suo apporto non fu rilevante com’era lecito attendersi. Ricordo che nelle discussioni restò quasi sempre silenzioso. Sembrava intimorito, inceppato: non so se dall’ambiente della Curia Romana, o dal latino che ancora si usava11. Quando, non diversamente da altri specialisti di altri settori, intervenne per patrocinare, a spese della Parte generale (su tutti i mass media), rilievo e sviluppo maggiore alla parte riguardante la Stampa, venne incaricato egli stesso di stenderne l’abbozzo; ma i due testi che successivamente presentò non poterono essere utilizzati, perché risultarono saggi giornalistici, ricchi di esperienze intuizioni e calore, ma asistematici e prolissi12.
Dalla sua esperienza romana preconciliare il p. Gabel dovette riportare un’impressione, tutto sommato, positiva; in particolare rispetto ai membri del Segretariato, circa la competenza dei quali, poi, specialmente in alcuni ambienti giornalistici americani e tedeschi, si mossero pesanti riserve13. Scrisse egli e disse14:
“Un détail caractéristique qui démontre combien ces techniques de diffusion sont neuves, c’est la moyenne d’âge des membres et consulteurs du Secrétariat: elle est la plus basse parmi toutes les commissions préparatoires” [...] “Si, au delà de ces aspects extérieurs, numériques et géographiques, nous considérons les qualités des différents membres et consulteurs, nous nous rendons compte qu’il s’agit de tous les éléments spécialisés dans au moins un de quatre secteurs que le Secrétariat comprend dans ses compétences et qu’il approfondit dans ses études: presse, radio, cinéma, télévision” [...] “Ce qui m’a particulièrement frappé au cours de ces réunions ce fut le réalisme et la liberté. Le réalisme: tous ces évêques, ces prêtre étaient des spécialistes en la matière, soit que dans leur pays on leur eût confié une Commission épiscopale chargée de ces problèmes, soit qu’ils fussent plus directement intéressés à la réalisation d’émissions ou à la direction de journaux. Ils connaissaient donc les problèmes dans leur complexité, et ils les affrontèrent avec courage” [...] “A plusieurs reprises, notre Président rappela que le Saint-Père tenait à ce que l’atmosphère de franche liberté regnât dans le Secrétariat. Ce fut évident le jour même ou le Saint Père nous rendit visite. Deux membres prirent en particulier la parole devant lui, l’un était un évêque et l’autre un limple prêtre, pour défendre des conceptions de pastorale qui divergeaient assez sérieusement sur certains points. Personne ne fut surpris”.
Poi il suo ottimismo volse a malumore. Se non erro, egli fu il primo a rilevare che “ai Padri erano bastate due congregazioni e mezzo per spedire lo Schema sugli strumenti della comunicazione sociale, contro gli otto giorni consacrati all’uso del latino e della lingua volgare nella liturgia”, e ad individuare "la vérltable explication” di quell’incongruenza in un "défaut de compétence dans la hiérarchie”: prima apertis verbis e poi, in altra sede più esposta, così ironizzando:
“C’est assurément que les Pères du Concile étaient d’accord sur l’importance et la nature des Moyens de communications sociales et les conditions de leur bon usage. Ils avaient tous, à ce sujet, des idées fortes, claires et simples, une sorte d’intuition [...]. Le journaliste ne se plaindra pas de ce rapide et solennel assentiment donné à tout se qui constitue son travail et son souci professionnel, à tout ce qui représente sa part d’apostolat dans l’Eglise”15.
E il malumore, nel secondo periodo conciliare, volse in cruccio. Forse soprattutto perché, nella drastica riduzione dello schema di costituzione in schema di decreto, i diciotto numeri dedicati alla Stampa vennero ridotti ad un solo paragrafetto; ma non è da escludere che, giornalista tra gionalisti, abbia anch’egli risentito del vento di fronda che, sulla fine di quel periodo, cominciò a soffiare, in certi ambienti giornalistici, contro il Decreto.
Certo è che, anche nei testi riportati in questo volume, abbondano gli apprezzamenti positivi del p. Gabel su l’Inter mirifica. Egli loda, infatti, la terminologia instrumenta communicationis socialis introdotta dal Decreto, l’adopera egli stesso e fa voti che sia accolta anche in ambienti laici (p. 358); rileva la coraggiosa affermazione del diritto all’informazione contenuta nel n. 5 (p. 371); contrariamente ai catastrofici pericoli che vi videro alcuni giornalisti USA, giudica ottima la definizione di stampa cattolica contenuta nel n. 14 (pp. 73-74, 88 e 97), ed ottimo il ruolo di tutela delle libertà assegnato all’autorità pubblica nel n. 12 (pp. 349, 372, 384). Inoltre, plaude alle direttive del Decreto circa l’uso del male morale nelle opere di ingegno (p. 71), al rilievo dato all’educazione dei recettori (p. 70), al realismo pratico con cui il Decreto si occupa della raccolta di mezzi tecnico economici per l’uso efficace dei media (p. 134) e, con una lealtà che gli fa onore, addebita anche alle carenze dei giornalisti quelle che si possono rimproverare al Decreto (p. 151)16. Ma è altrettanto certo che negli scritti qui raccolti, e più in alcuni qui ignorati, abbondano le incomprensioni e le critiche, le quali, nello strascico di opinioni seguìto al Decreto, hanno fatto classificare il p. Gabel più tra i suoi demolitori che tra i suoi sostenitori17.
Suoi sono, per esempio, gli slogan di “un decreto in ritardo rispetto agli altri documenti del Vaticano II”, di un “documento che, mentre pedissequamente ricalca il precedente magistero pontificio, arretrerebbe rispetto all’insegnamento di Pio XII”; di “un testo che non tiene conto dello sviluppo raggiunto dalle scienze pubblicistiche”, di un “documento generico, disattento ai problemi specifici dei singoli strumenti, e soprattutto della Stampa”, ecc.: slogan che – come altrove ho cercato di dimostrare18 – da una parte sembrano ignorare l’ovvia interdipendenza e complementarietà dei testi conciliari (come, del resto, di tutti i documenti del magistero), e dall’altra suppongono pacifico che il Concilio dovesse e potesse trattare di alcuni argomenti particolari proprio in questo decreto, e non, magari, in altri; e che convenisse ad un Concilio legiferare su questioni e teorie sociologiche circa le quali, non solo negli anni dello Schema e del Decreto (1960-1963), ma anche oggi, arduo sarebbe trovare consenzienti due o tre tra i pochi competenti in materia; e, per giunta, che un Concilio potesse legiferare a proposito di una “pubblicistica” intesa, come la intendono i giornalisti, quale “giornalismo”.
Ritengo che questi rilievi calzino soprattutto a proposito dell’informazione e della cosiddetta opinione pubblica nella Chiesa: i due poli – come s’è visto – degli interessi prevalenti e più costanti del padre Gabel. Come mai, per esempio, egli, che giustamente ha individuato nel n. 5 del Decreto il principio generale del diritto all’informazione anche nella Chiesa (p. 103), non ha poi fatto altrettanto col n. 8, circa il ruolo delle pubbliche opinioni anche nella Chiesa? Salvo sviste, in tutti gli scritti di questa raccolta, non un accenno a questo numero del Decreto, e se una sola volta lo ricorda altrove, lo fa per affermarvi ironicamente che il Decreto vi "salue au passage les opinions publiques”; quando, invece, non un’esegesi approfondita, ma una semplice lettura del testo, gli avrebbe fatto rilevare queste cinque fondamentali affermazioni sociologiche; 1) Che le opinioni pubbliche esercitano un influsso; 2) che questo influsso è enorme; 3) che ciò è un fenomeno proprio dei nostri giorni; 4) di cui risente tanto la vita pubblica quanto la vita privata; 5) e che nessun uomo vi sfugge, quale che sia la categoria sociale alla quale appartenga. E vi avrebbe rilevato queste quattro altrettanto impegnative norme operative: 1) doveri di giustizia e di carità esigono che tutti i membri della società entrino attivamente nel gioco delle pubblice opinioni; 2) allo scopo di formarle giuste e rette, 3) e di farle prevalere sulle altre; 4) e vi entrino anche usando la stampa, il cinema, la radio e la televisione.
Si doveva e si poteva, nel Decreto o nel Concilio, dire molto di più a proposito dell’informazione e dell’opinione pubblica nella Chiesa? Personalmente ritengo di no. Non nel Decreto, dato che l’argomento in parte esorbita va da quello che era il suo specifico, l’unico che il Segretariato aveva avuto incarico di trattare: ’’gli strumenti della comunicazione sociale”; e dato che, allo stesso tempo, solo in parte rientrava in esso: informazione ed opinioni, entro o fuori della Chiesa, non esaurendo la più vasta problematica socio-culturale e pastorale degli "strumenti”. E nemmeno poteva dirne di più il Concilio, dato che lo sviluppo dottrinale della materia non aveva raggiunto nella Chiesa (e neanche fuori!) il livello minimo occorrente ad un atto magisteriale duraturo e solenne. Ciò che è avvenuto nel tempo trascorso dopo la promulgazione del Decreto mi conferma in questa opinione.
Infatti, le obiezioni ad esso mosse hanno fatto sì che la Commissione Pontificia per le comunicazioni sociali si assumesse il compito, prima non previsto, di trattare le due questioni nell’Istruzione pastorale Communio et progressio; e le difficoltà di venirne a capo, pur usufruendo di tutti gli altri documenti conciliari posteriori, non sono state poche. Il testo, che è stato redatto prevalentemente dai professionisti, soprattutto attenti alla sensibilità socio-professionale dei giornalisti, non poteva, com’è avvenuto – e ne sia ringraziato il Signore! – non soddisfarli. Ma quando, a distanza di qualche giorno, un altro documento romano, maggiormente attento agli aspetti teologico-pastorali delle stesse questioni, è venuto ad affiancarlo, giornalisti cattolici riuniti in Congresso internazionale vi hanno denunciato inaccettabili contraddizioni, ed hanno proposto di manifestare il loro dissenso ringraziando, sì, il Papa, per la Communio et progressio, ma ignorando la Lettera a loro indirizzata dal suo Cardinale Segretario di Stato19. Come non dedurne che, in questi sette anni, si è fatto sì, qualche progresso nelle complesse e spesso interdipendenti questioni dell’informazione e dell’opinione pubblica nella Chiesa, ma che siamo ancora lontani da una loro completa maturazione?
Questa si avrà, credo, quando tra professioni pubblicistiche e gerarchia si passerà dalla residua diffidenza ad una cordiale collaborazione; quando i fatti sociologici s’integreranno perfettamente a quelli teologici, e viceversa; quando da una parte e dall’altra non si vedranno contraddizioni e concorrenze là dove non esistono, o dove possano agevolmente superarsi nella mutua conoscenza e comprensione, a servizio di un unico Popolo di Dio.
È la via, in fondo, faticosamente e meritoriamente battuta dal padre Gabel, di cui questi suoi scritti, nonostante i loro limiti, sono esemplare testimonianza.
1 Così allora si chiamava quella che nel Congresso di New York-1965 venne detta UCIP = Union Catholique Internationale de la Presse.
2 L’Associazione, fondata nel primo anniversario della morte del padre Gabel, si propone di mantenere vivo il movimento di pensiero e di azione da lui iniziato. Ha sede in Ginevra: 1, Rue du Vieux-Billard.
3 ÉMILE GABEL, L’enjeu des média, Paris, Marne, 1971, 16º, Fr. 56.
4 Fanno eccezione specialmente le due lezioni Les techniques de diffusion et l’apostolat moderne (p. 169) e l’opinion publique dans l’Eglise 325), svolte dal Gabel rispettivamente nelle Settimane Sociali di Nancy-1955 e di Nizza-1966; l’articolo pubblicato in Etude, luglio 1963: Le droit à l’information dans la Cité et dans l’Eglise (p. 275); le tre conferenze: La presse catholique, pour quoi faire? (p. 15), Le problème de l’information religieuse (p. 194), L’Église et l’opinion publique (p. 235) rispettivamente del 1º ottobre 1957, del 30 aprile 1960 e del 23 giugno 1962. E soprattutto fa eccezione il saggio La communication sociale: approche théologique, che la morte gli ha interrotto ai primi tre capitoli: 1 – Le message biblique; 2 – La recapitulation de l’histoire; 3 – La croissance communautaire...
5 A questo proposito è da ricordare lo scacco subito dal padre Gabel nell’ottobre 1967. In tale data si tenne a Roma il III Congresso mondiale dell’Apostolato dei laici. L’UCIP venne incaricata del carrefour-Presse. Animatore ne fu il segretario padre Gabel. Ma della mozione finale da lui preparata, i capi delegazione passarono, non senza difficoltà, i due primi punti, ma rigettarono decisamente il terzo sulla “missione profetica del giornalista”. Si comprende il disappunto del padre Gabel. Tuttavia, nonostante la difesa da lui assuntane in Journalistes Catholiques (1967, n. 36), francamente il testo sembra inaccettabile; non, ovviamente, per le cose giuste che afferma, ma per le cose altrettanto giuste che ignora e per le imprecisazioni che contiene. Del resto, nella sua difesa, lo stesso padre Gabel onestamente riconosce che "ce passage pouvait recevoir une autre rédaction ". Eccone il testo originale: "Par la nature même et la fonction sociale de la presse, le journaliste est d’abord responsable devant sa conscience des informations et des commentaires qu’il donne. Il fera usage de ce droit et de cette liberté dans la docilité à la Parole de Dieu, manifestée et interprétée par l’Eglise du Christ, dans un esprit d’universelles fraternité et solidarité. Aussi bien convient-il de souligner, d’admettre et de faciliter la fonction prophétique du journaliste catholique, avec les risques et lei audace, qu’elle comporte, dans l’Eglise et la Cité, afin que vienne dans le monde le règne du Christ, qui est un règne de vérité, d’amour, de justice, de paix et de liberté” (p. 146).
6 Tale lo specioso slogan: "Ce n’est pas le thermomètre qui donne la fièbre”, addotto per provare che "Ce n’est pas le joumaliste qui crée des problèmes: il les constate, il les devine” (p. 346), quando per lungo e per largo lo stesso padre Gabel, con la maggior parte dei sociologi e degli storici, deve riconoscere che la stampa, altroché se può dare, e far crescere, la febbre (opinionale), e magari rivoluzionaria! Lo stesso va detto per i due aneddoti di 166 e 208, nei quali non occorre eccessiva acribia critica per distinguere una paradossale semplificazione di questioni complesse.
7 Per esempio, a 338, dopo aver giustamente affermato che "toute critique publique dans l’Eglise n’est pas nécessairement phénomène d’opinion publique”, egli afferma: "Mais c’est le case, per exemple, si un village s’insurge contre les accaparements des terres par une communauté religieuse; quand des théologiens protestent contre les méthodes de l’ex-Saint Office; quand les journalistes se plaignent des méthodes d’information en usage dans l’Eglise; quand des catholiques, d’un pays dénoncent les complaisance d’une hiérarchie pour un gouvernement et sa collusion avec un parti; quand des organisations internationales catholiques se demandent si un laïcat est vraiment majeur dans l’Eglise quand leur président devrait d’abord être proposé et approuvé, donc équivalemment nommé, plusieurs mois avant d’être élu en assemblée plénière”. Quest’ultimo esempio riguardava la nomina del presidente dell’UCIP, che – al pari di quella dell’OCIC e dell’UNDA, è oggetto di viva discussione con la Santa Sede, cui – secondo l’Inter mirifica n. 22 – compete approvare i relativi statuti.
8 Purtroppo anche il padre Gabel, come tutta la pubblicistica e la pastorale cattolica, ignora il problema di un’opinione in appoggio al magistero e all’autorità; problema, a mio credere, essenziale ed urgente, dato che oggi, in un mondo globalmente pluralistico ed opinionale – ed anche i cattolici vivono e respirano in esso –,magistero ed autorità, pena la propria inefficacia, non possono fare a meno dell’appoggio previo e concomitante dell’opinione.
9 In quanto segretario generale dell’UIPC, egli venne nominato membro il 6 agosto 1960. Sua fu la proposta d’includere anche laici tra i membri del Segretariato (cfr E. BARAGLI, L’Inter mirifica, Roma 1969, 101). Non fece parte, invece, della X Commissione Conciliare, alla quale vennero devolute le competenze del soppresso Segretariato.
10 In particolare, data la sua competenza nel settore, egli fu segretario della sottocommissione-Stampa, che nel secondo incontro del Segretariato (24-27 gennaio 1961) impostò quello schema; e poi fu relatore, sempre del settore Stampa, nell’ultimo incontro (12-21 ottobre 1961), che lo mise a punto.
11 Un segno della sua limitata familiarità col latino l’ha lasciato nelle traduzioni francesi da lui curate – una in équipe col Madek, ed una da solo –, nelle quali non mancano inesattezze e fraintendimenti. La prima traduzione venne pubblicata in Joumalisres catholiques, 1964, n. 15; la seconda si trova nella collana Documenti conciliaires, vol. I, Paris, Éd. du Centurion, 1966, 391 ss. Per alcuni esempi di fraintendimenti, cfr E. BARAGLI, L’Inter mirifica, cit., 299, 331, 380, 396, 430, 459, 477.
12 Lo stesso si ripeté nell’elaborazione dell’Istruzione pastorale Communio et progressio. Anche l’ampia parte speciale che alla stampa era stata riservata negli schemi precedenti – ed a maggior ragione il capitoletto (nn. 136-141) del testo definitivo – non era che un compendio dell’amplissimo, ma non sistematico, contributo approntato dal Gabel.
13 Cfr E. BARAGLI, L’Inter mirifica. cit. 192 ss.
14 In Journalistes catholiques, 1962, 3, 3, e in una radiotrasmissione di France d’Outre-mer, 28 maggio 1962.
15 In Témoignage chrétien, 21 dic. 1962, e poi in Journalistes catholiques, febbr. 1963, 1: testi riportati in E. BARAGLI, L’Inter mirifica, cit., 131-134.
16 Cfr anche, per la terminologia, E. BARAGLI, L’Inter mirifica, cit., 269 e 272 (e, meno preciso, a p. 316); per il diritto all’informazione, ivi, 336 e 338; per i compiti dei pubblici poteri, ivi, 204; per le carenze dei giornalisti, ivi, 217-218.
17 Dipendono, per esempio, dalle sue critiche K. Rahner e Vorgrimler, R. Laurentin, G.M. Garrone, e soprattutto i due applauditissimi relatori nel Congresso UCIP di Berlino-1968: il card. Fr. Koenig e il protestante-battista S.I. Stuber (cfr E. BARAGLI, L’Inter mirifica, cit., 188-190). Tra gli scritti ignorati in questa raccolta è da segnalare soprattutto l’introduzione all’Inter mirifica curata dal p. Gabel per la collana Documents conciliaires, Paris, td. du Centurion, 1966, sopra citata dove tra l’altro non difettano inesattezze di dati.
18 Cfr Analisi delle critiche, in E. BARAGLI, L’Inter mirifica, cit., specialmente a p. 208 ss.
19 Cfr E. BARAGLI, Giornalisti cattolici a congresso, in Civ. Catt. 1971 III 257.