NOTE
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1 E. BARAGLI, Dalla storia: prospettare il futuro. Leggendo Pierre Chaunu, in Civ. Catt. 1978 I 151-159.

2 Nell’ordine in cui li presentiamo, e in cui ne citiamo le pagine: P. CHAUNU: I. Histoire quantitative, histoire sérielle, Paris, Colin, 1978, 8º, 304; II. La violence de Dieu, Paris, Laffont, 1978, 8º, 221; III. La mort à Paris, Paris, Fayard, 1978, 8º, 543; IV. La mémoire et le sacré, Paris, Calmann-Lévy, 1978, 8º, 280.

2 bis. Cfr G. ALESSANDRI, Metodologia storico di Fernand Braudel, in Civ. Catt. 1979 I 133-147.

3 Scrive: «Ogni mutazione delle culture e delle civiltà si è verificata per interazione con mutazioni di numero di uomini. Ci sono state umanità paleolitiche che si misuravano in decine di migliaia; un’umanità neolitica che si contava in qualche milione; un’umanità storica che, tra il 1000 e il 1500 a.C., toccava il centinaio di milioni; e finalmente un’umanità dell’epoca industriale che si conta in miliardi [...].
Tutti i grandi progressi sono stati apportati ed accompagnati da rilevanti moltiplicazioni di numero (per 10, per 20, per 100), con raddoppiamenti a ritmo secolare, o meno che secolare» (p. 257). «L’accelerazione nella storia: se il numero degli uomini aumenta in proporzione aritmetica, il volume delle comunicazioni aumenta in proporzione geometrica» (p. 263).

4 L’Autore rileva la validità del campione notando che Parigi contava il 2,5% della popolazione francese e, verso la metà del sec. XVII, il 7,5% dei francesi che sapevano scrivere la propria firma, e il 12-13% di quelli che erano capaci di leggere libri difficili; e che forse vi vivevano e vi morivano un terzo di quanti sapevano leggere di filosofia e di teologia, per lo più in latino. E che, in relazione all’insieme della cristianità europea, cattolica e protestante, sempre sulla fine del XVII Parigi contava dal 15 al 20% di quanti hanno lasciato un nome nel campo delle lettere, delle arti e soprattutto delle scienze. Inoltre, che oltre ad essere la capitale intellettuale dell’Europa del tempo, in quanto a ricchezze di archivi notarili sopravvissuti – testamenti, inventari post morlem, immagini, biblioteche – batte qualsiasi altra popolazione moderna (p. 168).

5 Come l’Autore più volte ricorda, la via gli era stata tracciata da altri grandi storici della morte in Francia; soprattutto, partendo dai testamenti, da M. VOVELLE (specialmente in Piété baroque et déchristianisation en Provence au XVIII siècle, Paris, Plon, 1973) e da P. ARIES (specialmente in Western Attitudes toward Death from Middle Age to the Present, Baltimora-London, 1974; Essais sur l’histoire de la mort en Occident du Moyen Age à nos jours, Paris, Seuil, 1975; L’homme devant la mort, ivi, 1977); e, partendo dalle Ars moriendi e dalle immagini a stampa, da R. CHARTIER (Les arts de mourir 1450-1600, in Annales E.S.C., 1976, n. 1, pp. 51 ss.), da D. ROCHE (La mémoire de la mort. Recherches sur la piace des arts de mourir dans la librairie et la lecture en France au XVII siècle; ivi, pp. 76 ss) e: da R. FAVRE (La mort dans la littérature française du XVIII siècle, tesi alla Sorbona, 1976).

6 In pratica egli propone un salario sociale alle madri per ogni maternità, per un massimo di quindici anni; e commenta: «Così sopprimeremmo tre scandali: quello delle giovani madri costrette ad un doppio lavoro; quello di una loro ridotta funzione educatrice della propria prole; e quello dell’impoverimento delle donne anziane che hanno avuto figli. Siamo nell’assurdo di una società nella quale tutti, si può dire, hanno diritto ad una pensione, escluse le donne che hanno nutrito nella loro carne e nel loro cuore la generazione che deve portare tutto il peso di una generazione che tramonta» (p. 74).

7 Ricorrente, ad esempio, è quella della visione delle ossa aride di Ezechiele 37,1-14. Lo Chaunu vi vede attestata per la prima volta nell’Antico Testamento l’affermazione propriamente cristiana della risurrezione dei corpi, che conferisce una specificità all’antropologia ebraica della morte (I, 238); qui e nel seguito indichiamo le diverse opere con le cifre romane che le contrassegnano nella nota 2); quando la maggior parte degli esegeti, con più ragione, vi vede piuttosto una promessa di rinascita del popolo israelita, deportato e disperso in Babilonia, al principio del sec. VI a.C.

8 A proposito del marx-leninismo, cfr I, 271, dove egli denuncia «l’accecamento di Marx per opera dello stupidissimo [sic!] Feuerbach»; e il volume IV, dove, tra l’altro, paventa per l’Italia e la Francia il verificarsi di un calamitoso «compromesso storico» (p. 20), e dove, seguendo Aron, nota: «Il marxismo, che si dà per scientifico, si ribella quando gli si nega questo pregio, anche se poi oggettivamente gli si riconosce quello che in realtà esso è; vale a dire una delle grandi forze quasi religiose storiche: la religione di molti di quelli che credono di poter fare a meno della religione; la sola cosa di cui, insieme all’ossigeno, l’uomo non può restare privo. Esso è fornitore di sogni che aiutano a vivere; quindi, in definitiva, è un vero e proprio fornitore di ragioni di vita» (IV, 85).

9 Rispetto alla politica anticoncezionale diffusa e promossa dai mass media cfr specialmente I, 256-257, 272, 277, 280, 288-289, 294-295; e IV, 185.

10 Come rileva l’Autore: in profondità; essa investe progressivamente l’equilibrio entro e tra le nazioni, la cellula familiare, la sessualità, l’amore, la trasmissione della vita, i tempi della conoscenza, l’ontologia, la religiosità e, soltanto per ultimo, l’economia. In estensione essa investe tutto il mondo industriale di matrice europea: il 22% degli uomini, sul 40% delle terre emerse, detentore dell’80-90% dei mezzi; e da questo polo di trascinamento si dilata, in un esplosivo processo di acculturazione, a tutto il resto del mondo. Infine, in consapevolezza: per la prima volta nella storia tutta l’umanità ha coscienza della propria crisi (I, 267).

11 Scrive: «Dal 1957 ad oggi si nota nel discorrere occidentale un calo di “Dio” che per ampiezza costanza ed estensione non ha precedenti nella storia. Ora si parla di ciò che si pensa, e per parlare ci sono le parole. Perciò questo “Dio” che abbiamo eliminato dalle nostre labbra, si vede che lo abbiamo eliminato prima dalla nostra mente. Se vi capitasse di leggere il contrario in uno scritto di qualche teologo di turno, dite pure che egli, ancora una volta, ha mentito» (II, 35).

12 Probabilmente il pensiero intero dell’Autore su questo argomento andrebbe cercato nella sua recente Lettre aux Eglises (Paris, Fayard. 1977), che non ci è pervenuta.

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Articolo estratto dal volume II del 1979 pubblicato su Google Libri.

Il testo è stato corretto dai refusi di stampa e formattato in modo uniforme con gli altri documenti dell’archivio.

I riferimenti ai documenti del magistero pontificio sono stati resi interattivi e portano al sito del progetto “Chiesa e Comunicazione”, la biblioteca digitale online che prosegue l’attività iniziata da p. Baragli con le opere Cinema cattolico: documenti della Santa Sede sul cinema e Comunicazione Comunione e Chiesa.

ARTICOLO SU

Di Pierre Chaunu, professore di storia moderna alla Sorbona di Parigi e docente alla facoltà libera di teologia di Aix-en-Provence, abbiamo presentato tempo fa Storia e scienza del futuro, del 19751, rilevandone l’autorità storico-scientifica e i giudizi controcorrente su certa «civiltà» odierna, in una visione umanistico-cristiana della storia e del futuro. Pari attenzione meritano, crediamo, quattro suoi volumi editi nel 19782.

«Histoire quantitative, histoire sérielle»

In questo volume l’Autore raccoglie ventidue tra articoli conferenze e note con i quali – nel solco tracciato da H.-I. Marrou e da F. Braudel (2 bis), ed in cortese polemica con J. Marczewski – negli anni 1960-1975 è andato proponendo ed applicando una sua pionieristica visione della storia, appunto, quantitativa e seriale.

Nella prima parte – piuttosto espositivo-teorica, e che dà il titolo al volume – partendo dalla dinamica congiunturale degli anni ’30, oltre a giustificare la terminologia da lui proposta di «storia seriale», ne descrive l’affermarsi, negli anni 50-’60, dal campo dell’economia a quello della geo-storia ed a quello della «pesatura globale» della storia umana.

Nella seconda parte – Une exploration de la durée – egli esemplifica la sua teoria analizzando e documentando la grande svolta verificatasi nel «mondo pieno» mediterraneo del sec. XIII, il posto del Brasile nell’economia del sec. XVI, i fattori durevoli nella civiltà europea del sec. XVII e, finalmente, la situazione del Brasile del sec. XVIII.

La terza parte – L’histoire économique est au coeur – tratta dell’economia pre- e proto-statistica dell’Europa occidentale, per mostrare come dal modello economico sono derivate le nuove esplorazioni verso tutto ciò che lo supera, in particolare illustrando l’opera di E. Labrousse, pioniere, insieme col Braudel, di questa rivoluzione metodologica.

Con la quarta parte – La voie démographique et ses dépassements – egli passa ai problemi demografici in quanto successione di generazioni nel confronto con la morte. In particolare tratta di malthusianesismo ed economia in Normandia, di demografia storica e sistema di civiltà; infine di storia seriale portata al terzo stadio, cioè dall’economico e dal sociale all’affettivo-mentale, con un’anticipazione sul prossimo saggio La mort à Paris.

Finalmente, nella quinta parte – L’histoire, science du futur –, riprendendo i temi già proposti in De l’histoire à la prospective, in Le refus de la vie e nel più recente La mémoire et le sacré, l’Autore indica nella conoscenza del passato la via per meglio affrontare l’avvenire, in particolare circa una politica demografica a breve termine, che rispetti i valori della persona umana, massimo tra essi quello della vita, condizione prima anche di una crescita globale dell’umanità.

Da questa raccolta antologica, necessariamente ripetitiva, è agevole enucleare la tutta personale visione che della storia offre l’Autore, del resto incessantemente ricorrente negli altri suoi scritti. Essa non è quella usuale in tanti testi scolastici, quasi soltanto attenta ai principi e alle loro imprese guerresche; e neanche è soltanto un ordinato racconto dei fatti riguardanti le civiltà umane e le loro istituzioni politiche ed economiche, giuridiche e religiose, come lusso di erudizione fine a se stessa, oppure come romantico ritorno al passato per lamentare e dimenticare il presente, e sfuggire ad un futuro incombente. Per il Nostro la storia dev’essere, più che mai in passato, magistra vitae per un futuro di crescita autentica.

«Deve, pertanto, interessarsi alla totalità del vissuto umano; e non, certo, per far rivivere oggi tutto il passato [...] , ma per darne una visione che ne permetta l’integrazione razionale in sistemi di spiegazioni scientifiche, al fine di meglio amministrare il nostro patrimonio» (p. 82); che se «l’immergersi nel passato è necessario, lo è perché le scienze umane hanno bisogno della storia, dato che parte degli errori che si commettono [...] dipendono dalla sconoscenza della storia» (p. 260).

Maestra della vita, dunque; ma scientificamente attendibile; vale a dire – propone e sostiene il Nostro – storia anche quantitativa e seriale, cosi estendendo alle culture e alle civiltà umane il principio fondamentale del sapere scientifico enunciato da Galilei e Cartesio, che «la natura si esprime in linguaggio geometrico», o meglio – come egli rettifica – «matematico». Non si tratta, dunque, soltanto di contabilizzare dati numerici chiusi nello spazio e nel tempo, quanto di elaborare e studiare serie statistiche prolungate oltre singole concrete situazioni di eventi spaziotemporali, che permettano confronti significativi tra costanti e variabili.

«La storia ci propone una conoscenza cifrata [lèggi: numerica] del passato. E non solo l’ordine di grandezza, la misurazione globale, che sempre dobbiamo proporci, ma le serie, diciamo così, graficabili, vale a dire: trasferibili su storiogrammi. Se non si dà scienza che non sia misurabile, compito della storia è codificare e decodificare. Il suo interesse va, certo, ai fatti singoli (politici, ed anche culturali ed economici); ma va soprattutto ai fatti ripetitivi, perciò integrabili in serie omogenee, suscettibili dei classici procedimenti matematici analitici, e soprattutto di essere raccordati alle serie correntemente usate nelle altre scienze dell’uomo» (p. 115).
Fermo restando, in ogni modo, che «la storia seriale non può affatto ignorare le lezioni della storia intellettuale [lèggi: delle idee], la conoscenza storica di un sistema di civiltà integra necessariamente tutto il sentito, il pensato, il vissuto del discorso metafisico sulla relazione ontologica, e dei tentativi di astrazione dell’analisi matematica quale strumento per pensare il mondo, compresi i gesti panici più sinceri ed umili avanti alla morte, che in ogni caso occorre integrare nella vita» (p. 228).

L’Autore cosi traccia lo sviluppo segnato da questa sua storia seriale soprattutto negli ’50-’60, e cosi ne inferisce le considerevoli possibilità didattiche per il futuro:

«La prima storia seriale si accompagnò all’economia politica, alla geografia, alla demografia. Poi si accompagnò di preferenza ai sistemi complessi di contabilità econometrica [...]. Venne poi l’informatica e la ricerca dei rapporti interdisciplinari con l’etno-antropologia, la psicologia del profondo, la semantica di tutte le linguistiche, le forme non filosofiche (vale a dire: non marxiste) della sociologia che si occupano della quantificazione ed analisi dei comportamenti» (p. 119). «Oggi le sue possibilità sono considerevoli anche rispetto al nostro destino. La conservazione del meglio di quanto abbiamo ereditato resta, oggi come ieri, la condizione del nostro progresso [...]. Questo servizio è il compito della storia» (p. 166).

Applicando siffatto criterio quantitativo-seriale alla densità delle popolazioni in rapporto ai territori, e saldo nell’assioma, mutuato dal Braudel, che «l’isolamento diminuisce l’uomo, mentre il gomito a gomito (egli lo chiama: «il mondo pieno») l’arricchisce» (p. 39)3, rapporta ad esso il fenomeno dello sviluppo umano nel suo complesso ed il progressivo abbreviarsi dei suoi ritmi, al limite dei 13 miliardi di anni trascorsi – egli calcola – dal Berescit bara Eloim con cui si apre la Genesi.

Ed eccolo rilevare e ripetere che, se a ben 2,5 miliardi di anni fa risale, con l’acido nucleico, l’apparire della vita sulla Terra, e se a 5 milioni di anni fa risalgono le poche decine di migliaia di preominidi del paleolitico, dal cervello di 800 cm3; con l’umanità del neolitico, che già si conta in qualche milione di individui, s’instaura e diffonde, 1,2 milioni di anni fa, la cultura che porterà all’homo sapiens dai 14 miliardi di neuroni nel cervello di 1.300 cm3: che maneggia l’utensile, che comunica col linguaggio, che ha coscienza della morte. Il quale homo sapiens – egli continua – segna il primo radicale balzo di cultura-civiltà quando, circa 10 mila anni fa, nella Mezzaluna Fertile tra l’Eufrate e il Mediterraneo si verifica la condizione ottimale di densità umana: dai 4 ai 5 abitanti per km2 su 150/200 mila km2, realizzando così un «cervello collettivo» di almeno un milione di uomini intercomunicanti. Al passaggio dalla caccia e dalla pastorizia all’agricoltura, con le prime scritture ideografiche (circa 7 mila anni fa) e poi col miracolo dell’alfabeto (circa 3 mila anni fa), seguono l’accumulo e la trasmissione, nello spazio e nel tempo, delle acquisizioni culturali: nasce la storia, si sviluppano e si susseguono le grandi civiltà. Seguiranno, poi, a distanza di qualche millennio, il balzo del «mondo pieno» medievale e, dopo qualche secolo, quello dell’epoca industriale, in un’umanità che ormai si conta in miliardi.

«La violence de Dieu»

Se nel volume precedente il Nostro grandeggia nel maneggiare la storia in cifre e nel prospettare da esse l’avvenire, in questo, nello stesso intento etico-sociologico, egli dà eccellente saggio della sua fede giudeo-cristiana (riformata), e del proprio insegnamento teologico universitario. Attenendosi al tema della collana di cui il volume fa parte – Violence et société –, egli inizia col rilevare la parte mostruosa che la violenza – quella fisica: contro la vita umana: dagli 8 ai 10 miliardi di omicidi nei 40/30 mila anni di presenza dell’uomo sulla Terra (p. 136)! – ha avuto ed ha oggi nel mondo: dalle vendette private alle guerre, dai Gulag di regime alle odierne legalizzate «stragi degli innocenti».

Maneggiando, come sempre, le cifre, nota, tra l’altro, che in 235 anni, quanti ne corrono dal 1740 al 1974, si calcola che, sui 13 miliardi di uomini nati, ne sarebbero morti circa 10 miliardi. Di questi: 85 milioni, cioè lo 0,8%, a causa di guerre e di rivoluzioni: l’equivalente di quanti nei secoli passati venivano uccisi per vendetta (p. 21). Ma in 60 anni, in un terzo dell’umanità, i Gulag comunisti sono costati dai 40 ai 45 milioni di vite umane, vale a dire il 60% dei morti a causa delle guerre di questi 235 anni in tutto il mondo, e qualcosa di più dei morti delle due guerre mondiali; mentre i sistemi «fascisti», in 55 anni, dal 1922 al 1977, ne hanno contati tra gli 8 e i 9 milioni (p. 26). E dal 1919, quando l’Unione Sovietica legalizzava l’aborto, in 57 anni ci sono stati 200 milioni di aborti legalizzati, 5 volte quanti, prima, se ne facevano di clandestini, e quasi il doppio delle vite umane falciate dalle guerre in tutto il mondo in 250 anni (p. 29).
E conclude: «Certo, non disponiamo di mezzi per misurare il volume totale della violenza nel mondo. Sappiamo però che essa è andata crescendo per molto tempo sino al nostro passato prossimo, per toccare il colmo del 10% di morti provocati dall’uomo [...]: colmo raggiunto di nuovo nei nostri giorni dal terrificante massacro dei non nati con la legalizzazione del delitto più efferato» (p. 136).

Da questa violenza dell’uomo l’Autore passa, per antifrasi, alla «violenza»-dolcezza di Dio quale si manifesta nella Bibbia: la violenza di una libertà amorosa più forte della nostra, che di sua iniziativa chiama progressivamente il non esistente all’essere, l’informe a strutturarsi, la materia a vivere, il vivente a sentire; quindi anche, a sua immagine e somiglianza, a pensare ed a volere. E soprattutto la «violenza»-dolcezza di Dio che entra nella nostra storia per la nostra salvezza nell’adozione a suoi figli: per liberarci dalla morte «nostra», ed avviarci – con l’ultima e definitiva sua «violenza»: la risurrezione dei nostri corpi – verso l’eternità partecipata del suo Regno.

 

Ecco, dunque, i suoi voli lirici di esegesi contemplativa (capp. 5-9) sulla cosmogenesi, la biogenesi e l’ominizzazione, da lui rintracciate nei primi capitoli della Genesi; e le sue elevazioni sulla storia della salvezza, iniziata con la vocazione di Abraham-Abram, padre dei credenti (cap. 10); proseguita con Mosè, liberatore e legislatore (capp. 11-12), profetizzata nella sua escatologia da Ezechiele (cap. 13), attuata nella «violenza»-dolcezza dell’Incarnazione (cap. 14) e sintetizzata nello «Spingili ad entrare» della parabola di Luca 14,23. Mirabili pagine, nelle quali non manca un volenteroso tentativo d’interpretazione concordanziale tra lettera del testo rivelato e i dati quantitativi spazio-temporali della scienza più aggiornata (pp. 83, 106, 111...).

Nei modelli cosmogenetici di E. Hubble e G. Lemaître e di G. Gamow e Omnès, col Berescit bara Eloim che apre la Genesi siamo – 13 miliardi di anni fa – al Punto 0 dello spazio e del tempo. Tutto il contenuto dell’Universo, tanti nucleoni quanti esso ne conta oggi – 1073 atomi nel raggio esplorato dai nostri telescopi –, è compresso in un punto dello spazio che sta per nascere, dopo un decimillesimo di secondo (10-4), dalla sua esplosione-espansione (big bang).
Col Fiat lux! del «primo giorno», sul caos-primitivo è l’irraggiamento luminoso e termico. A un centomillesimo di secondo (10-5) dal Punto 0 la temperatura è di 4.000 miliardi (4 x 1012) di gradi Kelvin. Dopo un decimillesimo di secondo (10-4) è di 1.000 miliardi. Dopo 100 secondi (cioè dopo poco più di un minuto e mezzo) è di 10 miliardi (1010), e la densità delle particelle elettroni, positroni, muoni, neutrini, pioni, nucleoni... – è dell’ordine di un milione di miliardi di grammi (1015) per cm3. E dopo un milione di anni – struttura atomica della materia nel «secondo giorno»? – la temperatura tocca ancora i 3.000 gradi.
In un universo che per 10,5 miliardi di anni è rimasto sfornito di vita, 2,5 miliardi di anni fa si ha il suo primo apparire, nell’organizzazione creatrice dell’acido nucleico nel ciclo dell’acqua e del sole; quindi il trapasso dalla vita vegetale del «terzo giorno» a quella animale del «quinto». Appena 5/4 milioni di anni fa i primi ominidi del «sesto giorno», che Dio plasma e pone nel giardino di Eden (Gen 2,8), cui però non parla (p. 117); e finalmente, negli ultimi due milionesimi del tempo dal Punto 0 – 40/30 mila anni fa – l’antropogenesi si compie in Adamo, il primo «Uomo», cui Dio parla: che inizia la storia, sino ad oggi, di 100 miliardi di uomini.

«La mort à Paris»

Siamo all’opera maggiore – circa 550 pagine grandi e fitte – e, forse, più originale dello Chaunu, frutto di un seminario da lui guidato alla Sorbona con 50 tra studenti e colleghi nel sessennio 1971-76. Riprendendo le idee maestre dei due volumi precedenti, l’Autore applica la sua storia seriale al tema della morte nella sua più autentica visione giudeo-cristiana, preannunciata dal «Certamente tu morrai» di Jahvè ad Adamo (Gen 2,17) e coronata dall’«Oggi sarai con me nel paradiso» di Gesù al ladrone pentito (Lc 23,43).

La prima parte – La Parole des origines – ne costituisce il vestibolo dottrinale-storico teologico. Premesso che il termine «morte» è tra i più ambigui dei nostri vocabolari, non tanto nell’accezione antropologica quanto nel pensiero e sensibilità religiosa dei vivi, egli prende le mosse dal processo di laicizzazione attestato e diffuso in quest’ultimo decennio dai mass media (cap. I), per rilevare l’evoluzione del pensiero sulla morte, e della prassi funebre, nel mondo cristiano mediterraneo; pensiero e prassi – egli spiega – che ineriscono, sì, alla concezione religiosa della morte da 40/30 mila anni attestata, con i riti della sepoltura, dall’uomo pienamente uomo, ma che costituisce un unicum originale rispetto a tutte quelle – egiziana, indiana, platonica... – che l’hanno preceduta (cap. II). Individuate le origini dell’escatologia giudeo-cristiana nei due noti passi dell’Antico Testamento: Ezechiele 37,1-14 sulla risurrezione, e 2 Maccabei 12,42-45 sulla preghiera per i defunti, ed in quelli paolini sulla risurrezione dei corpi sul modello di Cristo Primo Risorto (cap. III), l’Autore ne rileva la diversità sostanziale dal concetto di «liberazione dell’anima» platonico. Quindi passa in rassegna gli elementi dottrinali che, non senza dubbi ed antinomie, via via emergono nella tradizione cristiana riguardo all’«eviternità» tra i due Giudizi finali, e che conferiscono al penultimo momento della vita umana consapevole il suo definitivo valore religioso: la prova del fuoco negli Atti dei martiri, l’apocatàstasi di Origene, il passaggio di «purgatorio» da aggettivo a sostantivo nei Cappadoci, in sant’Agostino, in Gregorio Magno...; e il conseguente significato propiziatorio della presenza del clero presso i moribondi e della sepoltura in terra benedetta (cap. IV). Segue, infine, l’indagine sui rapporti tra i fedeli vivi e i defunti nel maturarsi della teologia sui novissimi, testimoniati nella iconografia delle cattedrali, nella liturgia, nella Divina Commedia e negli interventi conciliari – il II di Lione (1254) e quello di Firenze (1438-’39) – e poi, dopo la contestazione dei Riformatori, nelle elaborazioni apologetico-dottrinali del Bellarmino, di Suarez, del Caietano... (cap. V).

La seconda parte – L’approche – descrive il campo territoriale-culturale-religioso di Parigi in cui l’Autore svolge la sua indagine. Prima egli ne rileva la mortalità corrente (ed occasionale: da pesti, guerre e carestie) nei secc. XVI-XVIII, e la straordinaria ricchezza di fonti notarili superstiti che la riguardano (cap. VI). Quindi se rileva l’andamento demografico e le mutazioni in relazione all’evolversi dello Stato; le istituzioni culturali4 e le feste; la distribuzione delle parrocchie, dei conventi, degli ospedali e dei cimiteri (cap. VII). Infine spiega i criteri da lui seguiti nell’utilizzare il materiale prescelto: i testamenti. Ben 8.244, su un campione di 10 mila: dal 1550 all’anno XIII della Rivoluzione; di cui: 7.031 stipulati avanti al notaio, 13 avanti al sacerdote, e 1.200 olografi (cap. VIII).

La terza parte – A l’époque moderne et à Paris –, che occupa più della metà del volume, contiene l’indagine propriamente detta su come, in circa 350 anni, sono morti a Parigi – sotto l’aspetto religioso, al lume dell’escatologia post-tridentina, in reazione alla contestazione protestante – circa 4 milioni di parigini, tra i quali 2,5 milioni di adulti (cap. IX). Indagine che viene condotta, come s’è detto, prevalentemente sui testamenti, rilevando la qualità dei testatori e il loro livello culturale, e le loro relazioni religiose con Dio quali risultano dai preamboli, dalle richieste di perdono per i torti arrecati, dai doni per i poveri cd i legati di messe, dalle disposizioni per i funerali e per la sepoltura, dalle caratteristiche del vocabolario religioso...; ma condotta anche sulle numerose Preparazione alla morte (Ars moriendi), cattoliche e protestanti, e sulle relative immagini a stampa, che per tre secoli insegnarono ai fedeli come bene vivere per fare una buona morte. Su questa traccia vengono dedicati al sec. XVI i capp. X e XI, al sec. XVII i capp. XII-XIV, e al sec. XVIII il cap. XV.

Seguono una Conclusione sulla morte-suicidio, che dal sec. XIX pare che vada surrogando la millenaria morte-speranza giudeo-cristiana; vari Annessi tra i quali un mirabile modello di testamento cristiano del 1582 (p. 480) – e un Glossario.

Come si vede, l’argomento del volume non è gaio; né l’Autore indulge troppo a renderne meno laboriosa la lettura. Ma, a fatica ultimata, non si può non ammirare il rigore di metodo col quale egli – integrando le ricerche avviate in argomento da altri suoi colleghi5 – raccoglie, confronta, discute ed interpreta tanto ingente mole di dati; e soprattutto non possono non colpire le non consolanti conclusioni culturali ed etiche alle quali egli perviene, peraltro confermate dai sociologi: il recente rapido declino del cristiano e del religioso nel mondo mediterraneo, documentato prima dal linguaggio e poi dal comportamento sociale, sempre più profano ed agnostico, degli uomini nell’imminenza del loro passaggio definitivo. Verso gli anni ’70 – egli nota – di quello che fu detto «il Secolo dei lumi», tutto un linguaggio cristiano dilegua, quindi scompare ogni rituale religioso, senza che per il momento altri li sostituiscano. Negli ultimi due decenni del secolo la Rivoluzione ne proporrà altri diversi, per un culto di «sempre morti», nei cimiteri laici. Al terrore del Giudizio divino, temperato dalla speranza del Risorto, subentrerà il ribrezzo della morte come disfacimento corporeo, e il terrore di un sotterramento precoce. Ancora un secolo e, nell’odierna civiltà dei consumi, men che mai capace di integrare in se stessa il pensiero della morte – nel mondo industrializzato di oggi l’80% degli uomini, come nascono, così muoiono negli ospedali! – ci sarà l’occultamento sistematico della morte quotidiana con la segregazione dei moribondi, l’incinerazione al posto dell’inumazione, l’abolizione del lutto...: a documentare lo sfacelo filosofico e religioso su ciò che riguarda il senso primo ed ultimo di ogni vita umana, al momento della fine personale del tempo nel suo volgersi verso l’eternità (cfr pp. 6 e 432).

 

«La mémoire et le sacré»

Non per nulla l’Autore ripartisce quest’ultimo volume in libri, e non in parti. Esso, infatti, raccoglie tre saggi autonomi, il cui tenue filo conduttore, alluso nel titolo, sta nel richiamare la labile memoria degli uomini di oggi ai valori della millenaria civiltà giudeo-cristiana fondata su un discorso coerente sulla vita e sull’Essere, quale via per evitare il collasso della civiltà-cultura del mondo occidentale, e delle culture-civiltà che su di esso vanno modellandosi.

Nel primo libro – Diagnostic confirmé: la menace sur la vie – egli torna a denunciare e a documentare il tracollo quantitativo e qualitativo dell’Occidente provocato da una suicida politica demografica (capp. 1 e 2). Quindi propone di almeno rallentare tale corsa all’autodistruzione, intanto promovendo un’informazione veridica su di essa almeno pari a quella messa in opera per gonfiare lo spauracchio di un’incombente esplosione demografica del Terzo Mondo; finendola, poi, di incrementare gli arsenali di prodotti anticoncezionali ed antinatali a protezione di popolazioni egoisticamente opulente; infine incoraggiando una riprogrammazione della vita almeno tanto quanto si sono programmate le «stragi degli innocenti» accollando alla collettività il carico economico di opportune previdenze familiari6 (cap. 3).

Il secondo libro – La liberté – è, invece, un saggio critico, teorico e storico, nella scia di quelli di Raymond Aron, sul socialismo marx-leninista (cap. 4), quale mito-surrogato dell’autentica speranza che animò la «Cristianità del mondo pieno» dispersa dal Secolo dei lumi; Cristianità «laica» da ri-realizzare oggi in una società dove quel che è di Cesare e quel che è di Dio operino, distinti ma congiunti, nella tutela dell’uomo, libero in quanto persona (cap. 5). In una libertà, dunque, non ridotta al solo economico-sociale – dove l’hanno degradata le filosofie aberranti e l’industrialismo materialista di questi ultimi secoli –, ma radicale e totale: matricielle, come la qualifica l’Autore (cap. 6); modellata appunto dal pensiero giudeo-cristiano, da riattuare, oggi, in un mondo reso socialmente ed ecologicamente più abitabile e più abitato (cap. 7).

Il terzo – che dà il titolo al volume –, è, più che altro, un aggregato dei temi storici e scientifici, filosofici e religiosi, che si rincorrono e s’integrano nell’itinerario intellettuale e polemico dello Chaunu. Tornano, infatti, i problemi della vita, della morte, e del valore del tempo in funzione dell’eternità (cap. 8); e tornano: l’apologia dell’intelligenza dell’uomo – limitata, sì, ma oggettiva – quale costitutiva del suo Essere (cap. 9); la «violenza» di Dio nella cosmogenesi, confortata dalla filosofia e dalla scienza (cap. 10); e la «violenza» di Dio nel dialogo con l’uomo, nella pienezza dei tempi, realizzato con la presenza storica del Cristo e l’avvento del suo Regno, in attesa della sua finale parusia (capp. 11-13). Torna, infine, il tema delle Chiese quali conservatrici e trasmettitrici del «sacro» rivelato, di cui – lamenta l’Autore – sembra che anch’esse, oggi, abbiano perso la memoria (capp. 14 e 15).

A colloquio con un credente nostalgico

A costo di ripeterci, non possiamo non rilevare i pregi che fanno insigne lo Chaunu, e commendevole la lettura di questi suoi volumi. Primo fra tutti: il suo rispetto ed amore per l’uomo, visto, sì, nella visione soprannaturale religioso-cristiana, ma anche in quella di una continuità storica, che fonda in verificate vicende passate dell’avventura umana le proposte di una salvezza temporale ed eterna. Di qui, come s’è visto, il suo attingere costante ai Testi ispirati, e le sue esegesi, forse in parte opinabili7, ma sempre fervide di una fede, si direbbe, contemplativo-lirica; e il suo maneggiare da navigato docente di teologia i fatti storici e dottrinali della storia della salvezza, ivi compresi quelli della Chiesa, cordialmente avverso ad altre più o meno recenti ideologie-religioni, lusinghiere di altre salvezze8. Ma di qui anche la sua sana laicità, e il suo ricorso (anche troppo spinto e ripetitivo) ai dati e ai numeri, per documentare previsioni e giustificare allarmi non graditi all’opinione corrente, manovrata da politici interessati e dai mass media9.

Tutto, dunque, a posto e perfetto nel nostro Autore? Non diremmo. Stanca, intanto, il suo stile soverchiamente grandiloquente ed immaginifico; e stancano le interminabili ripetizioni, rincorrentesi non solo da volume a volume e da capitolo a capitolo, ma, a guisa di ritornello, magari in una stessa pagina. E spiace soprattutto scorgere la sua buona battaglia etico-religiosa degradarsi, qua e là, da una parte in un eccessivo ottimismo fideista rispetto ad un certo passato remoto cristiano e, dall’altra, in un eccessivo rigorismo nel denunciare la crisi religiosa odierna e certi aggiornamenti post-conciliari.

In effetti la sua ammirazione nostalgica resta volta al «mondo pieno mediterraneo» nei secc. XI-XIV; al mondo dei 35/40 abitanti per km2 e delle 200 mila parrocchie-campanili di 100/150 focolari ciascuna, quando dall’alto di ogni campanile se ne scorgevano all’orizzonte almeno altri sette o otto (IV, 105). Scrive:

«Il punto di partenza del sistema di civiltà che ha mutato, scorporato, affinato, acculturato e, in una parola, fabbricato – attraverso il mondo che oggi abbiamo perduto – quello sul quale siamo alla deriva e in cui ci sentiamo a disagio, occorre cercarlo nel mondo pieno mediterraneo, tra il sec. XI e il XIV, alle origini della Cristianità latino-occidentale» (I, 266): «comprendente i 3/4 della Francia, l’Inghilterra propriamente detta, i Paesi Bassi in genere, l’asse Reno-Alpi, la Germania occidentale e l’Italia del Nord: 1,2 milioni di km2, con dai 50 ai 100 milioni di abitanti su 15 generazioni, in tutto circa 1 miliardo di uomini, e 1 miliardo e 700/800 milioni se si contano quelli morti prima della adolescenza. In essi si struttura un sistema di civiltà che è insieme reinterpretazione di un’eredità, e vera e propria innovazione: la “Civiltà cristiana”. Sostanzialmente essa dura sino alla fine del sec. XVIII e ai primi due terzi del sec. XIX. La stessa società industriale non l’ha rinnegata, almeno fin verso il 1957-’62. Ma quella che oggi chiamiamo crisi di una civiltà è la vera fine di un sistema che, per nostra disgrazia o fortuna, sembra che non riesca a morire». (I, 57-58).

Non saranno certo i credenti e cristiani a negare, o ad ignorare, la realtà e le dimensioni, storicamente uniche, di questa crisi10. La riluttanza a seguire l’Autore inizia quando egli, denunciato l’evidente scadere odierno dei valori religiosi, calca la mano nell’attribuirne le responsabilità, dirette o indirette, alle Chiese, quella cattolica compresa. Egli ce l’ha infatti con i vescovi francesi, colpevoli di aver imposto «una traduzione consapevolmente eretica e volutamente ariana del Simbolo niceno-costantinopolitano» (IV, 263), di aver emulato Condorcet e Spinoza nel bandire il nome di Dio dai loro discorsi e dai loro scritti (II, 34), e di «non essersi fatta sfuggire l’occasione di coprirsi di gloria autorizzando il matrimonio religioso a coppie che si sono fatte sterilizzare» (IV, 36)... E ce l’ha con i teologi e i biblisti, accusati di aver anch’essi rimosso Dio11, di aver minimizzato la verità scritturistica della creazione (II, 76 e 212), e di aver preferito al discorso pastorale, condotto sul vivo della Sacra Pagina, il surrogato di commentari filosofici (IV, 266). Ma ce l’ha anche con «i responsabili delle Chiese, troppo arrendevoli e pigri in questi ultimi tempi» (II, 213); con la Chiesa cattolica, fattasi emula di quelle riformate nel laicizzare-socializzare il proprio messaggio; e col Vaticano II, impegnatosi in un maldestro razional-mondano aggiornamento.

Spigolando leggiamo, ad esempio, sulla crisi delle Chiese:

«La crisi più rilevante di oggi è quella delle Chiese che recavano il messaggio giudeo-cristiano sulla morte. In quindici anni esse hanno perduto la metà dei propri seguaci. Ma senza paragone più grave è che, spesso, le grandi Chiese ufficiali hanno smarrito i nove decimi del loro linguaggio tradizionale. Sul loro antico discorso circa la morte non resta quasi più nulla; o, almeno, nessuno più ha il coraggio di riproporlo. Cattolici, ebrei e protestanti, ancora tra i secoli XIX e XX, convenivano, più o meno, nell’escatologia a medio termine e individuale delle anime separate, messa a punto nei secc. XII-XIII. Essa richiedeva qualche ritocco secondario; ma un’iniziativa di aggiornamento tardiva e maldestra ha provocato il naufragio davanti ad equipaggi disorientati e a piloti addormentati» (IV, 35).

Altrove denuncia «il dimezzamento della pratica religiosa, il calo del 90% delle vocazioni», e torna su «lo svuotamento del linguaggio ecclesiastico da ogni contenuto specificamente teologico riguardante i fini ultimi, da parte di Chiese degradate ad officine di proposte sociali, già da altri realizzate» (I, 273); e commenta:

«Da circa vent’anni i moderni chierici delle antiche Chiese, invece di insistere sul discorso del rapporto all’essere, del senso della vita, del mondo e della morte, preferiscono buttarsi nel campo proprio della società civile per proporvi un discorso, inutile e maldestro, piattamente sociale [...]: onde il laicismo militante dei chierici che rinunciano alla loro missione e fanno di tutto perché questo vuoto non venga colmato» (IV, 166).
«Si può dire che in quest’ultimo secolo e mezzo le Chiese hanno assistito indifferenti di fronte alle mutazioni del mondo. Magari con espressioni arcaiche, del resto perfettamente comprese, si limitavano a ribadire l’immutabile messaggio sul senso della vita [...], e restavano identiche a se stesse. Ciò era la loro forza, e quello che attraeva verso di esse masse sempre maggiori di uomini desiderosi di udire parole diverse da quelle proferite dal mondo. Più il mondo mutava, e più la Chiesa si presentava salda e fascinosa nella sua immobilità [...]. Ma i responsabili della Chiesa hanno scelto di confrontarsi con la società civile, e di offrirle la propria collaborazione, per risolvere, sul finire del sec. XX, i problemi che la società civile aveva risolti da sola già nel sec. XIX» (IV, 271), [...] «neanche lontanamente sospettando che la storia della Chiesa potrebbe essere guidata più dalle necessità e dai ritmi della spiritualità, che non dagli assiomi cangianti delle scienze, dalle alee politiche, o dall’evolversi della questione sociale» (IV, 279)12.

Qua e là l’Autore sembra dire: «Pazienza le Chiese riformate! Ma anche la cattolica!»:

«Un neoliberalismo protestante-liberale, schematizzato nelle correnti dette della teologia della morte di Dio, elaborato nel 1955 negli ambienti USA di tradizione puritana, congregazionalista e calvinista, ed appoggiato da elementi della diaspora della Chiesa protestante tedesca avversa al nazismo, per i canali dell’ecumenismo incide fortemente in settori sempre più ampi della Chiesa cattolica. A distanza di due o tre anni si verifica un sincronismo perfetto tra i gruppi trainanti della Chiesa romana e quelli più profondamente in crisi delle Chiese riformate» (I, 118).
«Nel 1955 le Chiese protestanti cedono di colpo. Cinque anni dopo, quella cattolica si getta nell’aggiustamento conciliare. Risultato: dal 1962 al 1977 tutti gli indici religiosi crollano [...]. Se analizzate l’insieme della stampa “religiosa” e i discorsi ufficiali della autorità delle Chiese [...] contandovi gli elementi fondamentali del messaggio religioso – Trascendenza, Incarnazione, Vita eterna, speranza dopo la morte... – il calo è del 99%. Checché se ne pensi, non si tratta di cambiamenti formali, ma di perdita sostanziale» (IV, 270).

Dove, quando e di chi la colpa di tanto collasso? In almeno una dozzina di passi il Nostro torna a denunciarla nel Vaticano II:

«Negli anni ’60 i Paesi protestanti del Nord sono stati corrosi più profondamente dalla grande crisi culturale testimoniata da quella del linguaggio sulla morte. Ma negli anni ’70 il cattolicesimo [...] ha sfondato nella svolta troppo veloce e mal calcolata del Vaticano II, ed ha raggiunto il panico e l’incoerenza della Chiese uscite dalla Riforma» (III, 144).
«Iniziata come un aggiornamento, continuata nelle aperture del Vaticano II, la svolta tardiva ed immatura della Chiesa cattolica, senza riflessione cosciente degenera in sbandamento. La più antica e prestigiosa di tutte le strutture di civiltà, in larghi settori responsabili si sbriciola, si svuota e, quel che è più grave, si rinnova. In dieci anni segna più cambiamenti che in un secolo, e tutto verso un’apostasia generale, un allineamento, un abbandono, uno svuotamento» (I, 220).

Esula dall’ambito di questa semplice rassegna-ragguaglio impugnare con contro-argomenti siffatte denunce iperboliche. Non possiamo, però, non prenderne le distanze con due rilievi generali. Il primo è che, ad uno storico e teologo consumato come lo Chaunu non doveva sfuggire la distinzione tra l’essenziale-immutabile voluto da Cristo per la sua Chiesa, e il molto di accessorio-mutabile connesso con l’evolversi del mondo, nel quale essa pur vive ed opera. Distinzione che legittima e impone i necessari cambiamenti senza che ne scapiti ciò che è immutabile, soprattutto oggi, quando – come egli stesso rileva – tutto nel mondo sta cambiando in dimensioni e ritmi mai verificatisi in passato. L’altro è che, almeno riguardo alla Chiesa cattolica, egli sembra troppo generalizzare casi e fatti incresciosi di laici inquieti, di chierici contestatori e di teologi spericolati; rispetto ai preponderanti valori religioso-cristiani creduti e vissuti dal popolo di Dio e costantemente insegnati dal Magistero.

Siamo sicuri che una maggiore conoscenza dei molti «santi» che anche oggi vivono ed operano, magari senza chiasso, nella Chiesa, e che una maggiore conoscenza del Magistero – conciliare e post-conciliare di Paolo VI, ivi compreso il mirabile Testamento con cui l’ha chiuso –, non solo ridurrebbe di molto le critiche del nostro Autore, ma lo conforterebbe nel suo auspicio – che non possiamo non condividere –: di un rifiorire di una autentica testimonianza cristiana da parte delle Chiese.

1 E. BARAGLI, Dalla storia: prospettare il futuro. Leggendo Pierre Chaunu, in Civ. Catt. 1978 I 151-159.

2 Nell’ordine in cui li presentiamo, e in cui ne citiamo le pagine: P. CHAUNU: I. Histoire quantitative, histoire sérielle, Paris, Colin, 1978, 8º, 304; II. La violence de Dieu, Paris, Laffont, 1978, 8º, 221; III. La mort à Paris, Paris, Fayard, 1978, 8º, 543; IV. La mémoire et le sacré, Paris, Calmann-Lévy, 1978, 8º, 280.

2 bis. Cfr G. ALESSANDRI, Metodologia storico di Fernand Braudel, in Civ. Catt. 1979 I 133-147.

3 Scrive: «Ogni mutazione delle culture e delle civiltà si è verificata per interazione con mutazioni di numero di uomini. Ci sono state umanità paleolitiche che si misuravano in decine di migliaia; un’umanità neolitica che si contava in qualche milione; un’umanità storica che, tra il 1000 e il 1500 a.C., toccava il centinaio di milioni; e finalmente un’umanità dell’epoca industriale che si conta in miliardi [...].
Tutti i grandi progressi sono stati apportati ed accompagnati da rilevanti moltiplicazioni di numero (per 10, per 20, per 100), con raddoppiamenti a ritmo secolare, o meno che secolare» (p. 257). «L’accelerazione nella storia: se il numero degli uomini aumenta in proporzione aritmetica, il volume delle comunicazioni aumenta in proporzione geometrica» (p. 263).

4 L’Autore rileva la validità del campione notando che Parigi contava il 2,5% della popolazione francese e, verso la metà del sec. XVII, il 7,5% dei francesi che sapevano scrivere la propria firma, e il 12-13% di quelli che erano capaci di leggere libri difficili; e che forse vi vivevano e vi morivano un terzo di quanti sapevano leggere di filosofia e di teologia, per lo più in latino. E che, in relazione all’insieme della cristianità europea, cattolica e protestante, sempre sulla fine del XVII Parigi contava dal 15 al 20% di quanti hanno lasciato un nome nel campo delle lettere, delle arti e soprattutto delle scienze. Inoltre, che oltre ad essere la capitale intellettuale dell’Europa del tempo, in quanto a ricchezze di archivi notarili sopravvissuti – testamenti, inventari post morlem, immagini, biblioteche – batte qualsiasi altra popolazione moderna (p. 168).

5 Come l’Autore più volte ricorda, la via gli era stata tracciata da altri grandi storici della morte in Francia; soprattutto, partendo dai testamenti, da M. VOVELLE (specialmente in Piété baroque et déchristianisation en Provence au XVIII siècle, Paris, Plon, 1973) e da P. ARIES (specialmente in Western Attitudes toward Death from Middle Age to the Present, Baltimora-London, 1974; Essais sur l’histoire de la mort en Occident du Moyen Age à nos jours, Paris, Seuil, 1975; L’homme devant la mort, ivi, 1977); e, partendo dalle Ars moriendi e dalle immagini a stampa, da R. CHARTIER (Les arts de mourir 1450-1600, in Annales E.S.C., 1976, n. 1, pp. 51 ss.), da D. ROCHE (La mémoire de la mort. Recherches sur la piace des arts de mourir dans la librairie et la lecture en France au XVII siècle; ivi, pp. 76 ss) e: da R. FAVRE (La mort dans la littérature française du XVIII siècle, tesi alla Sorbona, 1976).

6 In pratica egli propone un salario sociale alle madri per ogni maternità, per un massimo di quindici anni; e commenta: «Così sopprimeremmo tre scandali: quello delle giovani madri costrette ad un doppio lavoro; quello di una loro ridotta funzione educatrice della propria prole; e quello dell’impoverimento delle donne anziane che hanno avuto figli. Siamo nell’assurdo di una società nella quale tutti, si può dire, hanno diritto ad una pensione, escluse le donne che hanno nutrito nella loro carne e nel loro cuore la generazione che deve portare tutto il peso di una generazione che tramonta» (p. 74).

7 Ricorrente, ad esempio, è quella della visione delle ossa aride di Ezechiele 37,1-14. Lo Chaunu vi vede attestata per la prima volta nell’Antico Testamento l’affermazione propriamente cristiana della risurrezione dei corpi, che conferisce una specificità all’antropologia ebraica della morte (I, 238); qui e nel seguito indichiamo le diverse opere con le cifre romane che le contrassegnano nella nota 2); quando la maggior parte degli esegeti, con più ragione, vi vede piuttosto una promessa di rinascita del popolo israelita, deportato e disperso in Babilonia, al principio del sec. VI a.C.

8 A proposito del marx-leninismo, cfr I, 271, dove egli denuncia «l’accecamento di Marx per opera dello stupidissimo [sic!] Feuerbach»; e il volume IV, dove, tra l’altro, paventa per l’Italia e la Francia il verificarsi di un calamitoso «compromesso storico» (p. 20), e dove, seguendo Aron, nota: «Il marxismo, che si dà per scientifico, si ribella quando gli si nega questo pregio, anche se poi oggettivamente gli si riconosce quello che in realtà esso è; vale a dire una delle grandi forze quasi religiose storiche: la religione di molti di quelli che credono di poter fare a meno della religione; la sola cosa di cui, insieme all’ossigeno, l’uomo non può restare privo. Esso è fornitore di sogni che aiutano a vivere; quindi, in definitiva, è un vero e proprio fornitore di ragioni di vita» (IV, 85).

9 Rispetto alla politica anticoncezionale diffusa e promossa dai mass media cfr specialmente I, 256-257, 272, 277, 280, 288-289, 294-295; e IV, 185.

10 Come rileva l’Autore: in profondità; essa investe progressivamente l’equilibrio entro e tra le nazioni, la cellula familiare, la sessualità, l’amore, la trasmissione della vita, i tempi della conoscenza, l’ontologia, la religiosità e, soltanto per ultimo, l’economia. In estensione essa investe tutto il mondo industriale di matrice europea: il 22% degli uomini, sul 40% delle terre emerse, detentore dell’80-90% dei mezzi; e da questo polo di trascinamento si dilata, in un esplosivo processo di acculturazione, a tutto il resto del mondo. Infine, in consapevolezza: per la prima volta nella storia tutta l’umanità ha coscienza della propria crisi (I, 267).

11 Scrive: «Dal 1957 ad oggi si nota nel discorrere occidentale un calo di “Dio” che per ampiezza costanza ed estensione non ha precedenti nella storia. Ora si parla di ciò che si pensa, e per parlare ci sono le parole. Perciò questo “Dio” che abbiamo eliminato dalle nostre labbra, si vede che lo abbiamo eliminato prima dalla nostra mente. Se vi capitasse di leggere il contrario in uno scritto di qualche teologo di turno, dite pure che egli, ancora una volta, ha mentito» (II, 35).

12 Probabilmente il pensiero intero dell’Autore su questo argomento andrebbe cercato nella sua recente Lettre aux Eglises (Paris, Fayard. 1977), che non ci è pervenuta.