NOTE
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* Cfr Civ. Catt. 1971 I 7-17.

21 Alcuni inconvenienti si rifanno piuttosto ai rapporti interni tra dirigenti, quadri amministrativi, produttivi e tecnici dell’Ente: tali sono molti di quelli che sono stati pretestati nelle reazioni di cui all’inizio di questo saggio. Altri, invece, toccano più direttamente il pubblico. Tra quelli che, più o meno documentati, ricorrono nella stampa, ricordiamo: 1) l’eccessiva politicizzazione: prima monopolistica da parte della DC, poi a tre ed a quattro mediante la lottizzazione delle cariche, a tutti i livelli, tra i partiti al governo; quindi: non un ente che è a servizio dello Stato, ma una RAI-TV a servizio del governo; 2) il clientelismo: alimentato da pressioni, raccomandazioni, lauti emolumenti: o perché i beneficiari operino nella linea del protettore, o perché non lo disturbino; 3) la conseguente calcolata ’’prudenza” dei programmi, a tutela non tanto dell’interesse pubblico, quanto dei gruppi di potere e di “correnti”; 4) perciò un’informazione incompleta, se non tendenziosa, con scarse possibilità di rettifica, dato che, pur molteplici essendo i canali, questi non sono concorrenti, ma complementari di un’unica fonte. Riguardo al livello culturale dei contenuti, la maggior parte delle critiche accomuna la mediocrità della RAI-TV a quella degli altri enti televisivi, finendo così con l’imputarla più allo strumento in sé che alla normativa ed alla prassi italiana; invece, gruppi di sinistra (PCI, PSIUP e frange di cattolici) la criticano quale esponente tipico della “cultura padronale”, alla quale occorre opporre l’alternativa di una “cultura operaia”; altri, finalmente, si limitano a rilevare l’incongruenza di una Repubblica, che si fonda sul lavoro e garantisce il pieno sviluppo della persona umana (Artt. 1 e 3 Cost.), e poi, praticamente, gestisce su scala nazionale una sua industria di quiz ed una sua pubblicità rozzamente imbonitrice.

22 Tra gli altri: Per una riforma democratica della RAI-TV, che esprime il pensiero del PSI (in Comunicazioni di massa, 1965, 7, 109 ss.); quelli: del gruppo di lavoro Eikonomia della RAI; del gruppo romano di lavoro del CESDI (Centro studi di Documentazione e Informazione); dei lavoratori e dei sindacati della RAI aderenti alla CISL-FULS; dei lavoratori della FIM-CISL di Milano; dell’Associazione programmisti radio-televisivi; del gruppo di lavoro ARCI (Associazione Ricreativa Culturale Italiana) - ARTA (Associazione Radio-Tele Abbonati)...: tutte trattate in Questitalia, cit.; e soprattutto il progetto Prini di Istituzione e ordinamento dell’Ente Nazionale Italiano RAI, che, essendo stato redatto da un membro del Comitato direttivo, ha tutta l’aria di rappresentare l’opinione della RAI stessa; pare che coincida con la Proposta di Cultura e politica, pubblicata nella cit. rivista omonima, p. 144 e 178 [Mentre andiamo in macchina, apprendiamo che autore della Proposta pubblicata anonima in Cultura e politica, di cui alla nota (22), è Jader Jacobelli, il quale nell’ott. 1970 l’ha pubblicata, in opuscolo a parte, ritoccata e col suo nome]. In ogni caso, molto importante è lo Studio dei tre esperti ’68 svolto da Gino Martinoli, Salvatore Bruno e Giuseppe De Rita, su incarico della stessa RAI, per verificare la rispondenza funzionale delle attuali strutture ai compiti dell’azienda (cfr. Rass. dir. cin. 1969, n. 6, 193).

23 Nota A. FRAGOLA (In tema di riordinamento delle radiodiffusioni, in Riv. dir. cin., 1969, n. 2, 50): “Difetto principale della tecnica legislativa nel nostro paese è la sua frammentarietà; determinata non soltanto dalla mancanza di appropriato retroterra preparatorio e di ricerca, ma soprattutto dalla consuetudine di ricorrere ad occasionali interventi ortopedici là dove sarebbe necessario un lavoro di revisione unitaria e completa, ai fini di una effettiva comprensione ed assimilabilità del prodotto normativo, nonché della sua osservanza”. Notato che “Quantunque integrata dalla giurisprudenza, non sarebbe utile dare un migliore assetto alla disciplina dell’uso delle antenne, senza contare le norme svariatissime, e di non sempre facile interpretazione ed applicazione, sul c.d. canone di abbonamento, le altre riguardanti la vigilanza tecnica degli impianti, i rapporti tra le radiodiffusioni e le altre forme di spettacolo”, prosegue: “Una riforma che non tenga conto dei problemi relativi al diritto di replica, alle responsabilità penali dei direttori del tele- e del radiogiornale, nonché dei titolari dei programmi, rubriche, ecc. alla tutela delle opere e dei diritti degli autori in televisione, alla protezione delle idee, alla disciplina delle limitazioni per il solo rispetto del buon costume e al fine della tutela della sensibilità minorile, delle coproduzioni e degli scambi di programmi, tanto per fare solo alcuni esempi, non può essere che incompleta e, come tale, del tutto insoddisfacente”. E conclude: “Occorre, dunque, a mio parere, ampliare l’orizzonte del riordino sì che questo possa comprendere tutta la vasta gamma di questioni poste dalla nascita e dallo sviluppo dei nuovi mezzi di comunicazione”.

24 Cfr E. BARAGLI, Arrivano le video-cassette (in Civ. Catt. 1970 II 59 ss.) e Nuove tecniche di registrazione riproduzione e ritrasmissione delle informazioni audiovisive (in Informazione Radio-Tv, 1970, n. 6, 21-37). Del resto, già oggi nell’Europa Centrale (Francia, Belgio vallone, Lussemburgo, Svizzera romanda, Monaco Principato, Andorra), nel settore radiofonico si riscontra una vivace concorrenza tra emittenti statali ed emittenti libere o semilibere (Radio Lussemburgo, Europa-I, Radio Montecarlo, Radio delle Valli, Radio Andorra...: per tacere delle “radio-pirata”), sicché chi risiede nella Francia centro-orientale, con un transistor di media potenza, può seguire ben nove programmi, senza contare le trasmissioni in lingua francese delle radio nazionali di altri paesi. Per la televisione: gli utenti del Belgio e del Lussemburgo, oltre ai propri, possono captare i programmi di quella francese, tedesca ed olandese. Situazione simile anche in Italia, dove gli abitanti periferici del Piemonte, Lombardia, Veneto, Marche, Puglie, Sicilia e Sardegna possono già seguire i programmi, rispettivamente, delle TV francese, svizzera, jugoslava, maltese e spagnuola.

25 La proposta affiora anche nel Documento base per una politica del tempo libero, della DC (Roma 1968, 19): “Circa i problemi specifici del tempo libero la DC, su piano legislativo-istituzionale si propone: mediante riordinamento, aggiornamento e coordinamento delle leggi vigenti, elaborare un Testo Unico che costituisca la Legge-quadro per le materie di cui all’Art. 117 della Costituzione interessanti il tempo libero; anche in relazione alle Regioni ed agli Enti locali, definendo di ognuno compiti spazi e limiti, fissando criteri di coordinamento ed assicurando i mezzi finanziari occorrenti, sia a livello nazionale sia a quello locale. A questo scopo sembra necessaria una riorganizzazione del ministero del Turismo e dello Spettacolo, come organismo di promozione e coordinamento degli interventi per il tempo libero da parte di altri ministeri (Pubblica Istruzione, Sanità, Lavoro, Interni, Bilancio), nonché di indirizzo-controllo degli Enti operanti in questo settore.

26 Ne prende occasione Carlo Jemolo per avanzare l’allegra proposta di una RAI-TV gestita a turno da tutti i partiti, ciascuno per un mese! – Personalmente e in astratto – pur non ignorando le non edificanti “telecrazie” governative di ieri (de Gaulle), dell’altro ieri (Hitler) e di sempre (paesi comunisti), riteniamo che un governo democratico potrebbe e dovrebbe fare largo uso della radiotelevisione in funzione di dialogo diretto con la nazione da esso rappresentata, non foss’altro per togliersi dall’assurda posizione di perenne bersaglio, e non di oggetto-partner, della pubblica opinione. Sotto questo profilo, i recenti governi italiani sono da ritenere più rinunciatari che invadenti, stante lo scarso uso da essi fatto dell’Art. 18 della Convenzione ’52, la quale al 3º comma recita: “La RAI, se richiesta, dovrà mettere gratuitamente a disposizione del Governo, fino a due ore al giorno, escluse quelle dei programmi serali, le stazioni di radiodiffusione per i comunicati governativi. Essa, inoltre, su richiesta del Governo stesso, presterà la sua opera per manifestazioni di interesse generale, o collettivo. Tali speciali prestazioni però non potranno essere richieste più di tre volte alla settimana, salvo che ricorrano delle speciali esigenze”.

27 Si pensi alle difficilmente controllabili possibilità discriminatorie dell’Ente, non solo nello stabilire la produzione interna dei programmi e nel commissionare acquistare o rifiutare la produzione esterna, ma anche nell’assegnare alla trasmissione dei programmi un tempo piuttosto che un altro, in concorrenza o meno con altri programmi con maggiore indice di ascolto e di gradimento.

28 In Rass. dir. cin., 1968, n. 5, 125.

29 Così, a questo proposito, P. (Pietro Prini?) in Cultura e politica, cit., 142. “Un’altra esigenza che la riforma dovrà sodisfare è quella della rappresentatività, non esclusivamente politica, degli organi del nuovo ente. I primi a cui viene fatto di pensare sono gli utenti, gli abbonati. Ma chi può dire democraticamente di rappresentarli? Finora nessuno, perché le associazioni che si richiamano ad essi svolgono indubbiamente, ciascuna dal suo punto di vista, un’utile funzione di vigilanza e di stimolo, ma nessuna può parlare legittimamente in nome loro, poiché la loro rappresentatività giuridica è quasi del tutto inesistente. Nel nostro paese l’associazionismo non ha tradizioni. Nel particolare settore di cui ci occupiamo, poi, non vi sono neppure le premesse. E potremmo aggiungere “purtroppo”. In questa carenza, la rappresentatività degli utenti non può essere che indirettamente attribuita a quegli organi che per la loro natura elettorale (Parlamento), o per la loro natura strutturalmente rappresentativa (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Accademia dei Lincei, Federazione Nazionale della Stampa, Società Autori ed Editori, Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione), la possono più legittimamente esercitare tramite rappresentanti da essi a loro volta eletti”.

30 E si potrebbe pensare anche ad altri gruppi o strutture sociali, non contemplati nella Costituzione, quali gli ordini professionali, organizzazioni sportive, movimenti studenteschi, ecc.

31 Secondo la terminologia dell’A., la tipologia della comunicazione comporta tre livelli: quello della comunicazione interpersonale: presente in ogni tipo di società, ed unico nelle società arcaiche; quello della comunicazione tradizionale-letterata, proprio di élites di società evolute, con accumulo di scritti sapienziali, letterari, scientifici; e quello della comunicazione centralizzata-circolare propria dell’avvento dei mass media.

32 Ne ha fatto cenno l’on. Paolicchi nell’Incontro UCSI a Recoaro; cfr testo in Rass. dir. cin., 1970, n. 3, 59 s.

33 La nuova libertà è chiaramente una libertà "per”, invece cha una libertà "da”. La libertà come ricercata dai liberali era una libertà dall’invadenza e dalle esigenze del governo, o da qualsiasi altra esterna entità. La libertà che appare essere il fine della nuova emergente teoria è la libertà per quella specie di comunicazione che sodisfi ai bisogni della società. La libertà libertaria era una libertà negativa; la libertà socialmente responsabile è una libertà positiva. Secondo la teoria libertaria era sufficiente rimuovere i vincoli e le restrizioni sull’uomo e lasciar lavorare la sua ragione e le sue doti naturali. Ma l’uomo d’oggi, che possiede la libertà negativa, però nessun accesso alla stampa, per esprimere bene le sue idee possiede una libertà pressoché vuota. La stampa, che ha libertà da vincoli esterni, ma un accesso insufficiente alle notizie o ai canali, ha similmente una libertà vuota” (W. SCHRAMM, Responsibility in Mass Communication, New York 1963, 95).

34 Il concetto di ritardo culturale fu introdotto da F. OGBURN. in Social Change, New York 1922.

35 Decreto Inter mirifica, nn. 2 e 24.

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Articolo estratto dal volume I del 1971 pubblicato su Google Libri.

Il testo è stato corretto dai refusi di stampa e formattato in modo uniforme con gli altri documenti dell’archivio.

I riferimenti ai documenti del magistero pontificio sono stati resi interattivi e portano al sito del progetto “Chiesa e Comunicazione”, la biblioteca digitale online che prosegue l’attività iniziata da p. Baragli con le opere Cinema cattolico: documenti della Santa Sede sul cinema e Comunicazione Comunione e Chiesa.

ARTICOLO SU

La molteplicità e diversità di soluzioni giuridico-organizzative, che – come abbiamo visto* – i servizi radiotelevisivi hanno ricevuto nelle diverse nazioni, dimostra che essi, partendo da “costanti” tecniche, economiche e da potenzialità culturali-politiche proprie degli “strumenti” – investono troppi e svariati interessi, privati e pubblici, non sempre agevolmente armonizzabili mediante leggi; sicché, anche per l’Italia, se, come si afferma, la normativa vigente comporta inconvenienti intollerabili21, vano sarebbe ipotizzarne una nuova, ideale, demiurgica, la quale li sopprima tutti senza causarne altri; che conviene, invece, pensare ad una riforma possibilista, tale cioè che, nel quadro della norma costituzionale, faccia salvi gli interessi più generali ed essenziali dei singoli e della comunità, riducendo al minimo gli inconvenienti che non fosse possibile eliminare. Probabilmente ci si arriverà tenendo presenti, anche alla luce delle esperienze estere, non l’una o l’altra, ma tutte le proposte che sono state avanzate, parlamentari o extra-parlamentari che siano22, per quel tanto di valido che ciascuna può contenere.

Prendiamo, per esempio, la proposta Barzini-’69 (PLI): senza pretendere ad un vero e proprio Testo Unico in argomento, essa si propone di disciplinare e coordinare il più possibile la legislazione in materia. Il tentativo, stante lo sviluppo tecnologico che sta rivoluzionando verso esiti imprevedibili tutta la problematica dei mass media, si rivela prematuro; gli resta tuttavia il merito di denunciare la veramente labirintica ed episodica normativa oggi vigente in materia23.

Ovviamente, quasi tutte le proposte tengono presente la prossima scadenza del 15 dic. ’72. È indicativo però che nessuna, come alternativa della concessione in esclusiva, proponga una liberalizzazione totale tipo USA, tanto inevitabili e macroscopici si prevedono gli inconvenienti di un oligopolio radiotelevisivo in Italia che venisse a fiancheggiare quello che, almeno di fatto, già pesa sulla stampa. I più azzardosi – e sono ancora i liberali con la Barzini-’69 – non si spingono oltre il modello inglese, proponendo di estendere la concessione a enti privati concorrenzionali con quello pubblico. Quasi sola la DC – con la De Maria-’66 – resta sostanzialmente fedele allo status quo; gli altri – da La Malfa-’59 a Calabrò-’66, dal Progetto ARCI-ARTA (che auspica l’istituzione dell’ENIR: Ente Nazionale Italiano per i servizi Radiotelevisivi) al Progetto Prini (col suo “Ente Nazionale Italiano RAI”) – sono piuttosto per una maggiore evidenziazione del carattere pubblicistico dell’Ente concessionario: l’ARCI-ARTA perciò interdicendogli addirittura la pubblicità.

È strano tuttavia che nessuna proposta prenda in considerazione un più o meno prossimo tramonto, in diritto o almeno in fatto, della vigente disciplina di concessione monopolistica. Vere restando, infatti, le ragioni etiche, politiche e di diritto internazionale che anche in Italia hanno giustificato un trattamento giuridico della radiotelevisione differenziato rispetto agli altri mass media, resta anche vero che la sentenza della Corte costituzionale ha, sì, sancito la legittimità, ma non la necessità, del monopolio, e che l’ha sancita partendo da una contingente concreta situazione tecnico-economica; quindi che la Corte potrà e dovrà tornare sul giudicato quando i dati tecnico-economici risultassero radicalmente mutati e quando una disciplina monopolistica si rivelasse materialmente inagibile. Ipotesi, questa, tutt’altro che avveniristica, dati i satelliti, il laser, i computers, le video-cassette, le memorie centralizzate ed altri recenti ritrovati tecnologici della comunicazione sociale24.

Fermi, dunque, nell’ipotesi che, almeno per vari anni, perduri un regime concessionario più o meno simile all’attuale, quasi tutte le proposte si interessano a tre questioni-condizioni per un uso corretto del monopolio, vale a dire: della dipendenza formale dell’Ente dall’esecutivo, dei controlli a tutela della libertà democratica del servizio, della partecipazione delle categorie interessate.

Circa la prima: pacifica restando per tutti la competenza contabile della Corte dei Conti, varie proposte eccepiscono contro una dipendenza dell’Ente dal ministero delle Poste che non si limiti all’aspetto tecnico, proponendo, per gli altri aspetti, chi il ministero del Turismo e dello Spettacolo (Lajolo-’65), chi quello delle Partecipazioni statali (Calabrò-’62 e ’66); nessuno, invece, pensando ad una qualche competenza, pur proponibile, del ministero dell’Istruzione o, meglio, date le molteplici e non sempre distinte prestazioni dell’Ente – dall’informazione all’istruzione, alla pubblicità e allo svago – della Presidenza del Consiglio dei ministri. Di particolare rilievo, posta la tesi delle “Regioni aperte” avanzata dalle estreme sinistre, è la proposta Lajolo-’65, che tiene presente una diretta dipendenza dell’Ente, ovviamente decentralizzato, da organismi regionali25, un po’ sul modello dei länder tedeschi. La questione del controllo è trattata quasi esclusivamente per impedire una (affermata o paventata) “telecrazia” governativa. A questo scopo da più parti si propone di rendere più efficiente la Commissione parlamentare di vigilanza; tuttavia, pare, con scarsa fiducia sui risultati prevedibili26. Maggior fiducia invece va ad un Comitato per le direttive di massima che tragga autorità dal Parlamento (La Malfa-’59, Lajolo-’65, Barzini-’69), magari ristrutturato sul modello inglese dei Garanti, benché quasi tutti poi rilevino che le condizioni civili-politiche dell’Italia sono ben diverse da quelle dell’Inghilterra, e malinconicamente concludano che poco valgono istituzioni ed organismi anche perfetti quando gli uomini che li compongono difettino delle qualità morali e civili occorrenti; e, aggiungiamo, quando i controllandi ce la mettano tutta per agire secondo i propri intenti27.

Particolarmente complessa si presenta infine la questione della partecipazione: non tanto degli operatori aziendali alla gestione dell’Ente – problema che ha pure un suo rilievo (vedi proposte del PCI e del PSIUP) –, quanto degli utenti, ad influire su contenuti e qualità dei programmi. Si rileva, infatti, che nel mondo odierno la radiotelevisione verifica in modo eminente la caratteristica di “dialogo globale” comune a tutti gli “strumenti”, detti perciò “della comunicazione sociale”; di dialogo, cioè, che interessa tutti indistintamente i membri della società, informandoli, formandoli e incrementando quella generale atmosfera opinionale che condiziona atteggiamenti e comportamenti ad ogni livello di attività privata e pubblica; ed a buon diritto si deduce che a tutti, dunque, i membri della società dev’essere data la possibilità d’intervenirvi, non soltanto come recettori, bensì anche come promotori, appunto in fase di produzione-programmazione.

Ma, in pratica, a chi, per legge, deve essere riconosciuta questa possibilità! Sull’esempio dell’Olanda: solo agli abbonati? Lo opina, stando almeno al suo nome, l’associazione comunista ARTA; nonché il noto studioso A. Fragola, il quale propone di rendere gli abbonati azionisti dell’Ente tramite appunto il pagamento del canone28, affidando poi al sorteggio la loro rappresentatività. Oppure riconoscerla anche agli utenti non abbonati? Sembra la proposta dell’associazione cattolica AIART. Ma perché non anche, per la ragione sopra esposta, a tutti i cittadini? Pure questa proposta è stata avanzata, anche se con la conseguenza che, in uno Stato democratico i cittadini essendo rappresentati dal Parlamento, compete a questo tutelarne i legittimi interessi pure rispetto alla radiotelevisione29.

Conseguenza molto discutibile, perché partiti politici e Parlamento non sono i soli gruppi sociali alla manifestazione della volontà dei quali la stessa Costituzione riconosce valore rilevante. Oltre al Governo, alle Regioni, alle Province, ecc. ci sono, intanto, proprio le associazioni di lavoratori e utenti (Art. 43); inoltre ci sono le confessioni religiose (Art. 8), le associazioni in genere (Art. 18), i sindacati (Art. 39), le scuole, istituzioni di alta cultura, università ed accademie (Art. 33), le minoranze linguistiche (Art. 6)...30. Niente, perciò, a priori vieta a gruppi qualificati di cittadini di essere rappresentati là dove la radiotelevisione “si fa”, per garantirsi che i programmi informino, circa specifici contenuti, i rispettivi e sui rispettivi gruppi di opinione, in proporzione alla consistenza quantitativa e qualitativa degli stessi nel paese; ed anche perché l’Ente concessionario – il quale, oggi come oggi, in mezzi e quantità di produzione è il massimo organismo “culturale” del paese – rispetti e promuova quei valori generali culturali civili ed etici cui essi credono.

* * *

Che cosa concludere da questo sorvolo sulle proposte di riforma della RAI-TV, se non che, ad esigenze da tutti sentite, corrispondono soluzioni spesso ancora immature; e, quindi, che occorre approfondirne e completarne tempestivamente lo studio in tutte le sedi interessate – politica, aziendale, di pubblica opinione –, anche in vista della scadenza ’72? Due anni non sono troppi: perciò non c’è tempo da perdere.

Per un’efficiente politica della radiotelevisione

A base di questo studio sulle questioni pratico-particolari che sono oggetto diretto dell’auspicata riforma, giova fissare alcuni criteri generali cui dovrebbe sodisfare, e non solo in Italia, una politica efficiente della radiotelevisione. Essi sono, ci pare, quelli indicati dal noto sociologo G. Braga nella conclusione del suo studio sulla Comunicazione sociale, che perciò qui si parafrasa.

Premette l’A. che, in argomento, la sociologia ha i suoi limiti. Può, sì, chiarire la situazione socio-culturale di partenza delle “comunicazioni”, dimostrare i rapporti esistenti tra certi valori e certi tipi di politica delle stesse, e magari chiarire quali nuove soluzioni tecniche si richiedano al presentarsi di nuove problematiche; ma non rientra nelle sue possibilità fissare i valori che, nell’uso degli strumenti, devono spingere ad una scelta dei fini piuttosto che ad un’altra. Questi, invero, devono scaturire da un ragionamento più ampio, che, oltre alle indicazioni della sociologia, tenga conto delle altre scienze dell’uomo, trascendendole in una visione più generale, di natura filosofica. His positis, l’A. sostiene che in qualsiasi politica efficiente delle comunicazioni le scelte devono sodisfare le tre condizioni di: contestualità, duplicità funzionale, apertura allo sviluppo.

Politica contestuale vuol dire politica non lacunosamente settoriale. Perciò quella della televisione dev’essere inserita in una politica della comunicazione tout court, la quale, a sua volta, dev’essere armonicamente inquadrata in una “politica” senz’aggiunte. Infatti, a prescindere da altre considerazioni contingenti, ogni livello31 di comunicazione reagisce sugli altri livelli, in un processo continuo interferenziale tra azioni e comunicazioni. Per scendere ad un caso pratico: sociologi, uomini di cultura e moralisti deprecano la degradazione della cultura a volgare consumo, con conseguente impoverimento della persona umana, connessa con la presa in proprio degli “strumenti” da parte di un’industria esclusivamente sensibile al lucro. Orbene, non sarebbe contestuale ed efficace una politica che – com’è avvenuto nel cinema – cercasse di ovviare a quella degradazione soltanto regolando l’accesso dei recettori a quelle comunicazioni di Mass e Midcult, e non curandosi, tra l’altro, di rafforzarne le capacità di recezione critica. Il che non può avvenire se manchi un’adeguata politica della scuola e dell’editoria, cioè una trasformazione dell’intero livello della cultura organizzata. Viceversa, i mass media, ed in maniera eminente la radio-televisione, potrebbero, facendosi essi stessi “scuola”, fornire un ausilio determinante allo sviluppo di una cultura organizzata veramente moderna, ed estesa a strati sempre più vasti della popolazione.

Ottimamente. Ma con rammarico si nota che questa prima condizione è ignorata in tutte le proposte32.

La duplicità funzionale implica una distinzione netta ed un’integrazione tra esigenze strutturali (tecnologico-economiche) degli strumenti (i “canali”) ed esigenze culturali della società che con essi comunica (i “messaggi”). In una società democratica, soprattutto per la radiotelevisione, la distinzione è sodisfatta quando l’eventuale monopolio dei “canali” non sia a danno, anzi garantisca una pluralità di fonti di messaggi proporzionata alla situazione dinamico pluralistica della società; l’integrazione è sodisfatta quando quelli che hanno accesso ai canali vengano indotti a rinunciare ai messaggi atomizzati, emulsionati, neutralizzati (Kitsch), mentre i creatori dei messaggi vengano sollecitati a nuovi modi di formazione degli stessi, secondo il variare delle caratteristiche tecnologico-espressive dei media e dell’evolversi ed alternarsi dei gruppi sociali.

 

Sotto questo profilo, il pluralismo culturale rispettato e favorito nella radiotelevisione olandese può considerarsi un’esperienza esemplare. Vero è che là il pluralismo è un dato di fatto, e che prassi e convenzioni democratiche sono alla base di ogni corrente culturale; mentre da noi... Ciò, però, se spiega perché nelle proposte italiane non si tiene conto di quell’esperienza modello, induce ad augurarsi che prassi e convinzioni democratiche si radichino e si rafforzino quanto prima anche da noi.

Apertura allo sviluppo si ha quando il sistema culturale generale e quello particolare delle comunicazioni si strutturano in modo da permettere a tutte le forze creative di esprimersi. È pacifico, infatti, che lo sviluppo culturale avviene secondo vari processi, ognuno dei quali ha i suoi propri pregi, ma nessuno è senza difetti. Tra i più importanti: la dialettica tra correnti di pensiero: fondamentale per lo sviluppo del pensiero filosofico; il lavoro in gruppo di esperti che si estendono per cooptazione: fondamentale nelle scienze e nelle tecniche; il sorgere di minoranze innovatrici, dissenzienti e contestatrici: assai importante specialmente nell’etica e nelle arti... Ora, non sarebbe aperta allo sviluppo culturale quella politica della comunicazione (radiotelevisiva) che ignorasse la trasformazione avvenuta a livello di mass media del concetto di libertà di espressione in quello di possibilità concreta di espressione adeguata. Perciò, dalla libertà “negativa”, di non essere ostacolati nell’esprimere, emettere e diffondere le proprie idee, quondam rivendicata dai liberali rispetto all’invadenza del potere politico o di altri poteri esterni, si dovrebbe passare ad una libertà “positiva”, di emettere e di trovare adeguata diffusione33.

“Se così non fosse – prosegue il Braga – il sistema delle comunicazioni riacquisterebbe molti caratteri arcaici, poiché sarebbero coloro che hanno il potere politico, economico e sociale a controllare le comunicazioni, come avveniva al livello delle comunicazioni capillari, quando queste erano le sole esistenti; solo che il nuovo tribalismo vedrebbe le possibilità di controllo dei propri capi moltiplicate a dismisura dai moderni mezzi tecnologici”.

E lo stesso autore conclude:

“In realtà nessuno degli attuali sistemi di comunicazione rispetta tutti e tre i criteri della contestualità, della duplicità funzionale e dell’apertura allo sviluppo. Ancora una volta – bisogna amaramente riconoscerlo – il progresso tecnologico ha preso la mano agli uomini, ed il progresso etico e sociale non ha saputo seguirlo né, tanto meno, precederlo. Ancora una volta si è creato quel ’ritardo culturale’34 fra etica e tecnica dovuto alla persistente e perniciosa illusione che i fatti tecnici siano qualche cosa di sterilizzato da un punto di vista morale, e che sia possibile considerare i mezzi disgiuntamente dai fini. Ciò conduce ad una cattiva utilizzazione dei mezzi stessi, che sono spesso ricchi di possibilità immense, com’è il caso delle tecnologie comunicative: non ci si accorge che certi fini, che parevano un tempo irraggiungibili, ora non lo sono più, e che diviene colpa non raggiungerli. Spesso, poi, quanti puntano al raggiungimento di fini egocentrici o settoriali sono più solleciti a servirsi delle nuove tecniche, che non coloro che mirano ai valori più elevati ed universali. Auguriamoci dunque che il prossimo futuro sia più ricco di amore e di fantasia creativa”.

* * *

Pensieri e parole d’oro. È auspicabile che le tengano presenti quanti, specialmente cattolici, s’interessano della riforma della RAI-TV, e che trovino eco nelle proposte e nelle discussioni che, ci auguriamo, in tempo utile le seguiranno in Parlamento. Più che tutti gli altri strumenti della comunicazione sociale, la radio-televisione, “se bene usata, costituisce un prezioso ausilio per il genere umano”, mentre “se usata contrariamente al piano provvidenziale... , si volge a suo danno e rovina”. Motivo, questo, perché “tutti gli uomini di buona volontà, e, prima di ogni altri, quanti hanno in mano questi strumenti” – legislatori compresi – “si adoperino perché essi vengano usati unicamente a bene dell’umanità, il cui avvenire dipende ogni giorno più dal loro retto uso”35.

* Cfr Civ. Catt. 1971 I 7-17.

21 Alcuni inconvenienti si rifanno piuttosto ai rapporti interni tra dirigenti, quadri amministrativi, produttivi e tecnici dell’Ente: tali sono molti di quelli che sono stati pretestati nelle reazioni di cui all’inizio di questo saggio. Altri, invece, toccano più direttamente il pubblico. Tra quelli che, più o meno documentati, ricorrono nella stampa, ricordiamo: 1) l’eccessiva politicizzazione: prima monopolistica da parte della DC, poi a tre ed a quattro mediante la lottizzazione delle cariche, a tutti i livelli, tra i partiti al governo; quindi: non un ente che è a servizio dello Stato, ma una RAI-TV a servizio del governo; 2) il clientelismo: alimentato da pressioni, raccomandazioni, lauti emolumenti: o perché i beneficiari operino nella linea del protettore, o perché non lo disturbino; 3) la conseguente calcolata ’’prudenza” dei programmi, a tutela non tanto dell’interesse pubblico, quanto dei gruppi di potere e di “correnti”; 4) perciò un’informazione incompleta, se non tendenziosa, con scarse possibilità di rettifica, dato che, pur molteplici essendo i canali, questi non sono concorrenti, ma complementari di un’unica fonte. Riguardo al livello culturale dei contenuti, la maggior parte delle critiche accomuna la mediocrità della RAI-TV a quella degli altri enti televisivi, finendo così con l’imputarla più allo strumento in sé che alla normativa ed alla prassi italiana; invece, gruppi di sinistra (PCI, PSIUP e frange di cattolici) la criticano quale esponente tipico della “cultura padronale”, alla quale occorre opporre l’alternativa di una “cultura operaia”; altri, finalmente, si limitano a rilevare l’incongruenza di una Repubblica, che si fonda sul lavoro e garantisce il pieno sviluppo della persona umana (Artt. 1 e 3 Cost.), e poi, praticamente, gestisce su scala nazionale una sua industria di quiz ed una sua pubblicità rozzamente imbonitrice.

22 Tra gli altri: Per una riforma democratica della RAI-TV, che esprime il pensiero del PSI (in Comunicazioni di massa, 1965, 7, 109 ss.); quelli: del gruppo di lavoro Eikonomia della RAI; del gruppo romano di lavoro del CESDI (Centro studi di Documentazione e Informazione); dei lavoratori e dei sindacati della RAI aderenti alla CISL-FULS; dei lavoratori della FIM-CISL di Milano; dell’Associazione programmisti radio-televisivi; del gruppo di lavoro ARCI (Associazione Ricreativa Culturale Italiana) - ARTA (Associazione Radio-Tele Abbonati)...: tutte trattate in Questitalia, cit.; e soprattutto il progetto Prini di Istituzione e ordinamento dell’Ente Nazionale Italiano RAI, che, essendo stato redatto da un membro del Comitato direttivo, ha tutta l’aria di rappresentare l’opinione della RAI stessa; pare che coincida con la Proposta di Cultura e politica, pubblicata nella cit. rivista omonima, p. 144 e 178 [Mentre andiamo in macchina, apprendiamo che autore della Proposta pubblicata anonima in Cultura e politica, di cui alla nota (22), è Jader Jacobelli, il quale nell’ott. 1970 l’ha pubblicata, in opuscolo a parte, ritoccata e col suo nome]. In ogni caso, molto importante è lo Studio dei tre esperti ’68 svolto da Gino Martinoli, Salvatore Bruno e Giuseppe De Rita, su incarico della stessa RAI, per verificare la rispondenza funzionale delle attuali strutture ai compiti dell’azienda (cfr. Rass. dir. cin. 1969, n. 6, 193).

23 Nota A. FRAGOLA (In tema di riordinamento delle radiodiffusioni, in Riv. dir. cin., 1969, n. 2, 50): “Difetto principale della tecnica legislativa nel nostro paese è la sua frammentarietà; determinata non soltanto dalla mancanza di appropriato retroterra preparatorio e di ricerca, ma soprattutto dalla consuetudine di ricorrere ad occasionali interventi ortopedici là dove sarebbe necessario un lavoro di revisione unitaria e completa, ai fini di una effettiva comprensione ed assimilabilità del prodotto normativo, nonché della sua osservanza”. Notato che “Quantunque integrata dalla giurisprudenza, non sarebbe utile dare un migliore assetto alla disciplina dell’uso delle antenne, senza contare le norme svariatissime, e di non sempre facile interpretazione ed applicazione, sul c.d. canone di abbonamento, le altre riguardanti la vigilanza tecnica degli impianti, i rapporti tra le radiodiffusioni e le altre forme di spettacolo”, prosegue: “Una riforma che non tenga conto dei problemi relativi al diritto di replica, alle responsabilità penali dei direttori del tele- e del radiogiornale, nonché dei titolari dei programmi, rubriche, ecc. alla tutela delle opere e dei diritti degli autori in televisione, alla protezione delle idee, alla disciplina delle limitazioni per il solo rispetto del buon costume e al fine della tutela della sensibilità minorile, delle coproduzioni e degli scambi di programmi, tanto per fare solo alcuni esempi, non può essere che incompleta e, come tale, del tutto insoddisfacente”. E conclude: “Occorre, dunque, a mio parere, ampliare l’orizzonte del riordino sì che questo possa comprendere tutta la vasta gamma di questioni poste dalla nascita e dallo sviluppo dei nuovi mezzi di comunicazione”.

24 Cfr E. BARAGLI, Arrivano le video-cassette (in Civ. Catt. 1970 II 59 ss.) e Nuove tecniche di registrazione riproduzione e ritrasmissione delle informazioni audiovisive (in Informazione Radio-Tv, 1970, n. 6, 21-37). Del resto, già oggi nell’Europa Centrale (Francia, Belgio vallone, Lussemburgo, Svizzera romanda, Monaco Principato, Andorra), nel settore radiofonico si riscontra una vivace concorrenza tra emittenti statali ed emittenti libere o semilibere (Radio Lussemburgo, Europa-I, Radio Montecarlo, Radio delle Valli, Radio Andorra...: per tacere delle “radio-pirata”), sicché chi risiede nella Francia centro-orientale, con un transistor di media potenza, può seguire ben nove programmi, senza contare le trasmissioni in lingua francese delle radio nazionali di altri paesi. Per la televisione: gli utenti del Belgio e del Lussemburgo, oltre ai propri, possono captare i programmi di quella francese, tedesca ed olandese. Situazione simile anche in Italia, dove gli abitanti periferici del Piemonte, Lombardia, Veneto, Marche, Puglie, Sicilia e Sardegna possono già seguire i programmi, rispettivamente, delle TV francese, svizzera, jugoslava, maltese e spagnuola.

25 La proposta affiora anche nel Documento base per una politica del tempo libero, della DC (Roma 1968, 19): “Circa i problemi specifici del tempo libero la DC, su piano legislativo-istituzionale si propone: mediante riordinamento, aggiornamento e coordinamento delle leggi vigenti, elaborare un Testo Unico che costituisca la Legge-quadro per le materie di cui all’Art. 117 della Costituzione interessanti il tempo libero; anche in relazione alle Regioni ed agli Enti locali, definendo di ognuno compiti spazi e limiti, fissando criteri di coordinamento ed assicurando i mezzi finanziari occorrenti, sia a livello nazionale sia a quello locale. A questo scopo sembra necessaria una riorganizzazione del ministero del Turismo e dello Spettacolo, come organismo di promozione e coordinamento degli interventi per il tempo libero da parte di altri ministeri (Pubblica Istruzione, Sanità, Lavoro, Interni, Bilancio), nonché di indirizzo-controllo degli Enti operanti in questo settore.

26 Ne prende occasione Carlo Jemolo per avanzare l’allegra proposta di una RAI-TV gestita a turno da tutti i partiti, ciascuno per un mese! – Personalmente e in astratto – pur non ignorando le non edificanti “telecrazie” governative di ieri (de Gaulle), dell’altro ieri (Hitler) e di sempre (paesi comunisti), riteniamo che un governo democratico potrebbe e dovrebbe fare largo uso della radiotelevisione in funzione di dialogo diretto con la nazione da esso rappresentata, non foss’altro per togliersi dall’assurda posizione di perenne bersaglio, e non di oggetto-partner, della pubblica opinione. Sotto questo profilo, i recenti governi italiani sono da ritenere più rinunciatari che invadenti, stante lo scarso uso da essi fatto dell’Art. 18 della Convenzione ’52, la quale al 3º comma recita: “La RAI, se richiesta, dovrà mettere gratuitamente a disposizione del Governo, fino a due ore al giorno, escluse quelle dei programmi serali, le stazioni di radiodiffusione per i comunicati governativi. Essa, inoltre, su richiesta del Governo stesso, presterà la sua opera per manifestazioni di interesse generale, o collettivo. Tali speciali prestazioni però non potranno essere richieste più di tre volte alla settimana, salvo che ricorrano delle speciali esigenze”.

27 Si pensi alle difficilmente controllabili possibilità discriminatorie dell’Ente, non solo nello stabilire la produzione interna dei programmi e nel commissionare acquistare o rifiutare la produzione esterna, ma anche nell’assegnare alla trasmissione dei programmi un tempo piuttosto che un altro, in concorrenza o meno con altri programmi con maggiore indice di ascolto e di gradimento.

28 In Rass. dir. cin., 1968, n. 5, 125.

29 Così, a questo proposito, P. (Pietro Prini?) in Cultura e politica, cit., 142. “Un’altra esigenza che la riforma dovrà sodisfare è quella della rappresentatività, non esclusivamente politica, degli organi del nuovo ente. I primi a cui viene fatto di pensare sono gli utenti, gli abbonati. Ma chi può dire democraticamente di rappresentarli? Finora nessuno, perché le associazioni che si richiamano ad essi svolgono indubbiamente, ciascuna dal suo punto di vista, un’utile funzione di vigilanza e di stimolo, ma nessuna può parlare legittimamente in nome loro, poiché la loro rappresentatività giuridica è quasi del tutto inesistente. Nel nostro paese l’associazionismo non ha tradizioni. Nel particolare settore di cui ci occupiamo, poi, non vi sono neppure le premesse. E potremmo aggiungere “purtroppo”. In questa carenza, la rappresentatività degli utenti non può essere che indirettamente attribuita a quegli organi che per la loro natura elettorale (Parlamento), o per la loro natura strutturalmente rappresentativa (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Accademia dei Lincei, Federazione Nazionale della Stampa, Società Autori ed Editori, Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione), la possono più legittimamente esercitare tramite rappresentanti da essi a loro volta eletti”.

30 E si potrebbe pensare anche ad altri gruppi o strutture sociali, non contemplati nella Costituzione, quali gli ordini professionali, organizzazioni sportive, movimenti studenteschi, ecc.

31 Secondo la terminologia dell’A., la tipologia della comunicazione comporta tre livelli: quello della comunicazione interpersonale: presente in ogni tipo di società, ed unico nelle società arcaiche; quello della comunicazione tradizionale-letterata, proprio di élites di società evolute, con accumulo di scritti sapienziali, letterari, scientifici; e quello della comunicazione centralizzata-circolare propria dell’avvento dei mass media.

32 Ne ha fatto cenno l’on. Paolicchi nell’Incontro UCSI a Recoaro; cfr testo in Rass. dir. cin., 1970, n. 3, 59 s.

33 La nuova libertà è chiaramente una libertà "per”, invece cha una libertà "da”. La libertà come ricercata dai liberali era una libertà dall’invadenza e dalle esigenze del governo, o da qualsiasi altra esterna entità. La libertà che appare essere il fine della nuova emergente teoria è la libertà per quella specie di comunicazione che sodisfi ai bisogni della società. La libertà libertaria era una libertà negativa; la libertà socialmente responsabile è una libertà positiva. Secondo la teoria libertaria era sufficiente rimuovere i vincoli e le restrizioni sull’uomo e lasciar lavorare la sua ragione e le sue doti naturali. Ma l’uomo d’oggi, che possiede la libertà negativa, però nessun accesso alla stampa, per esprimere bene le sue idee possiede una libertà pressoché vuota. La stampa, che ha libertà da vincoli esterni, ma un accesso insufficiente alle notizie o ai canali, ha similmente una libertà vuota” (W. SCHRAMM, Responsibility in Mass Communication, New York 1963, 95).

34 Il concetto di ritardo culturale fu introdotto da F. OGBURN. in Social Change, New York 1922.

35 Decreto Inter mirifica, nn. 2 e 24.

In argomento

Massmedia

n. 3405, vol. II (1992), pp. 260-268
n. 3351, vol. I (1990), pp. 260- 269
n. 3310, vol. II (1988), pp. 351-363
n. 3218, vol. III (1984), pp. 144-151
n. 3200, vol. IV (1983), pp. 158-164
n. 3202, vol. IV (1983), pp. 362-368
n. 3195-3196, vol. III (1983), pp. 209-222
n. 3188, vol. II (1983), pp. 154-161
n. 3191, vol. II (1983), pp. 463-467
n. 3179, vol. IV (1982), pp. 464-467
n. 3141, vol. II (1981), pp. 222-237
n. 3088, vol. I (1979), pp. 351-359
n. 3075-3076, vol. III (1978), pp. 223-238
n. 3072, vol. II (1978), pp. 566-573
n. 3062, vol. I (1978), pp. 151-159
n. 3058, vol. IV (1977), pp. 349-362
n. 3055, vol. IV (1977), pp. 45-53
n. 3045, vol. II (1977), pp. 260-272
n. 3034, vol. IV (1976), pp. 336-351
n. 3036, vol. IV (1976), pp. 580-587
n. 3022, vol. II (1976), pp. 323-336
n. 3013, vol. I (1976), pp. 20-36
n. 2990, vol. I (1975), pp. 144-157
n. 2983, vol. IV (1974), pp. 36-48
n. 2973, vol. II (1974), pp. 250-256
n. 2967, vol. I (1974), pp. 258-263
n. 2961, vol. IV (1973), pp. 258-263
n. 2942, vol. I (1973), pp. 144-150
n. 2927, vol. II (1972), pp. 451-456
n. 2911, vol. IV (1971), pp. 39-48
n. 2913, vol. IV (1971), pp. 235-253
n. 2882, vol. III (1970), pp. 154-160
n. 2870, vol. I (1970), pp. 155-160
n. 2859-2860, vol. III (1969), pp. 219-230
n. 2739, vol. III (1964), pp. 246-254
n. 2729, vol. I (1964), pp. 422-435
n. 2702-2704, vol. I (1963), pp. 105-118, 313-325
n. 2636, vol. II (1960), pp. 124-39
n. 2612, vol. II (1959), pp. 113-124
n. 2548, vol. III (1956), pp. 400-408