Articolo estratto dal volume I del 1989 pubblicato su Google Libri.
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I riferimenti ai documenti del magistero pontificio sono stati resi interattivi e portano al sito del progetto “Chiesa e Comunicazione”, la biblioteca digitale online che prosegue l’attività iniziata da p. Baragli con le opere Cinema cattolico: documenti della Santa Sede sul cinema e Comunicazione Comunione e Chiesa.
La colpa – dicono – è soprattutto della televisione, la quale, se a suo tempo, insieme con la radio, meritò non poco nell’insegnare l’italiano agli italiani, prima quasi tutti isolati nei loro dialetti, oggi sta, invece, alienando le sue cavie da qualsiasi espressione-comunicazione intellettuale-verbale; così svilendone, insieme col linguaggio, anche lo stesso pensare umano1. Di qui – soggiungono – l’onere che oggi ricade sulla scuola, di rettificare in anche raziocinanti-parlanti – M. McLuhan direbbe: in «cerebro-sinistri» – masse di allievi strutturati, durante tutta la loro infanzia e adolescenza, in balbettanti «cerebro-destri», con una visione tutta fantastico-emozionale delle realtà umane2. Rettifica – concludono – ormai da estendere anche agli adulti, specie da quando l’uso del telecomando ne va degradando a solipsistica fruizione psichedelica ogni programma che comporti qualche impegno mentale-logico.
In siffatta diffusa situazione di emergenza socioculturale, se sono senz’altro da encomiare i pochi docenti che, nella scuola o fuori, s’interessino e si adoperino per un uso meno culturalmente disfunzionale della televisione da parte dei nostri giovani, sono anche da lodare i non pochi autori che con le loro pubblicazioni procurano d’insegnare a parlare e a scrivere correttamente quanti – dalla televisione (e dagli altri mass media) – vengono spesso indotti a balbettare in un italiano da semianalfabeti di ritorno.
Accanto ad alcuni di essi che già abbiamo avuto modo di menzionare in queste nostre pagine3, merita di essere segnalato Giuseppe Pittàno, docente di didattica del latino presso l’Università di Bologna, il quale, alle decine di volumi e alle molte centinaia di articoli da lui pubblicati in trent’anni su quotidiani e riviste, italiane ed estere, di recente ha aggiunto due volumi, l’uno e l’altro degni, anche se per ragioni diverse, di lettura e di frequente consultazione.
Parlare italiano o italese?
Il primo dei due – come indica il suo stesso titolo Passa-parola4 – ricalca l’omonima rubrica di economia linguistica curata dallo stesso Autore nel quotidiano milanese Il Sole-24 Ore, offrendo e commentando un nutrito catalogo linguistico-giornalistico delle molte parole nuove e neonuove, in prevalenza attinenti all’economia5, alla politica6 e al costume7; oppure di quell’italese che sta all’italiano come il franglais sta al francese; di un italiano, cioè, invaso (o, per i puristi nostalgici, corrotto) da sempre più numerosi apporti del mondo anglosassone8 e francese9.
La sua lettura – come pure una sua consultazione casuale – può giovare, intanto, ad adeguarci, quanto necessario, ai linguaggi tecnicosettoriali (p. 63) del così variegato odierno mondo concettuale-professionale: economese e politichese, computerese e sindacalese, filosofese, sociologese, pedagogese...; ma giova anche a decantare il nostro italiano dalle eteroclite superfluità che lo vanno sempre più deformando: dal burocratese (p. 31) e gerghese (p. 74) al giornalese (p. 82) e al politichese (p. 174), dal pubblicese (p. 159) allo sportivese (p. 189)... C’è, infatti, da sorridere, ma anche da meditare, su quanto l’Autore riporta, per esempio, a proposito del burocratese:
«Per farci un’idea più chiara di questo linguaggio, leggiamo insieme lo spiritoso e grottesco articolo di Italo Calvino che racconta la storia di uno che va a denunciare un banale episodio di cronaca nera: “Stamattina presto – dice l’interrogato – andavo in cantina ad accendere la stufa e ho trovato tutti quei fiaschi di vino dietro la cassa del carbone. Ne ho preso uno per bermelo a cena. Non ne sapevo niente che la bottiglieria era stata scassinata”. Impassibile, il brigadiere batte veloce sui tasti la sua fedele trascrizione: “Il sottoscritto, essendosi recato nelle prime ore antimeridiane nei locali dello scantinato ad eseguire l’avviamento dell’impianto termico, dichiara di esser casualmente incorso nel rinvenimento di prodotti vinicoli, situati in posizione retrostante al recipiente adibito al contenimento del combustibile e di avere effettuato l’asportazione di uno dei detti articoli nell’intento di consumarlo durante il pasto pomeridiano, non essendo a conoscenza dell’avvenuta effrazione dell’esercizio soprastante”. Certo non c’è da meravigliarsi se il malcapitato bevitore, una volta davanti al giudice, resti a bocca aperta alla lettura del verbale e neghi di averlo mai firmato» (p. 31).
Docente, come si è detto, ma anche giornalista, l’Autore alterna all’utile, anche di vere e proprie lezioni linguistiche10, il «dulce»; di etimologie curiose11, e soprattutto di digressioni tra l’aneddotico e il cronachistico12. Ne risulta una folla di nozioni e notizie, di rimandi storici e realtà quotidiane, nella quale capita di rilevare qualche neo e ombra: o sul piano linguistico e lessicale13, o su quello informativo-opinionale14. Nèi e ombre, tuttavia, compensati anche dai frequenti giudizi anticonformisti dell’Autore rispetto a valori etico-sociali, infirmati o ignorati dal dilagante materialismo più consumistico.
Scrive, per esempio, a proposito di generazione della capsula: «Sono i giovani giapponesi che hanno per la prima volta una propria stanza in famiglia. Il loro massimo ideale è il tornaconto, e la competizione il modo di raggiungerlo. Non è poi così strano che un sondaggio internazionale, condotto in dieci paesi, ponga questi giovani al primo posto dell’infelicità» (p. 74).
Commenta a proposito di look: «Hanno il loro look, la Vespa di seconda mano e la nuova Fiat, i paninari e i postmoderni [...]: insomma tutto è look, tutto è realtà e finzione. L’importante è apparire, farsi notare, darsi un’immagine. Ovviamente l’immagine dura poco se non poggia su qualcosa di concreto e, per rifarci al vecchio proverbio, se sotto la veste non c’è il monaco. (p. 109).
Così denuncia il morbo da ferie che infesta in Italia: «Nei mesi di luglio e di agosto agli uffici delle USL di tutt’Italia sono arrivati centinaia di certificati di malattia da tutti i luoghi di villeggiatura e tutti in coincidenza con gli ultimi giorni di ferie. Nella foga di godere le ultime passeggiate e gli ultimi bagni, gli incidenti sul lavoro si sono moltiplicati: distorsioni, dissenterie, disturbi al fegato, febbri improvvise, eccetera hanno costretto i poveri dipendenti delle USL a chiedere di prolungare le proprie ferie per ragioni di salute. Dovranno purtroppo mettere in conto altre spese e passare le loro giornate su sdraio e lettini contentandosi di qualche buona lettura [...]. È un virus strano che colpisce anche d’inverno in coincidenza con le ferie natalizie e soprattutto attacca quelli che hanno cercato un po’ di neve nelle stazioni climatiche. C’è solo da augurarsi che si trovi presto il vaccino in grado di sconfiggerlo, o almeno di prevenirlo» (p. 118).
E definisce la Nuova destra elettronica «quella parte della società computerizzata che tende a togliere ogni valore al dibattito ideologico. Essa ragiona, infatti, solo attraverso i dati dei cervelli elettronici» (p. 131)15.
Tra puristi e liberisti
Tutt’altra è la struttura del secondo volume. Non di lettura ad libitum, ma di consultazione corrente e di studio metodico, «per scrivere e parlare bene La lingua italiana oggi»16. A questi due usi complementari rispondono, infatti, i modi in cui, in ordine alfabetico, vi vengono elencati, e poi diversamente corredati, migliaia di lemmi: sia fondamentali della lingua italiana, che richiedano chiarimenti fonetici e morfosintattici, sia di parole straniere ormai entrate nell’uso comune, e sia di neologismi non familiari alla tradizione lessicale. Della maggior parte di essi si danno quasi soltanto le indicazioni fonetiche e grammaticali (e le eventuali anomalie), con qualche concessione a contenuti enciclopedici17; mentre altre si sviluppano in pagine e pagine normative, riguardanti la fonologia, la grammatica, la sintassi, i problemi della linguistica moderna, le tecniche linguistiche, la poesia, le figure retoriche18. Così l’insieme risponde ai criteri cui tutto il lavoro s’ispira, «di risolvere, cioè, i dubbi, ma anche dare una visione approfondita dello strumento indispensabile per tutti coloro che, servendosi della lingua nell’uso quotidiano, nei rapporti privati e pubblici, desiderano acquisire quella competenza che garantisce sicurezza ed eleganza ai messaggi» (p. VI).
Anche a chi esplori minutamente questa Guida può capitare di rilevarvi qualche neo: o di proposte alquanto opinabili19, o di qualche imprecisione nelle glosse ai singoli lemmi 20, oppure di assenza di altri lemmi21, magari richiedenti precisazioni solo fonetiche22. Tuttavia gli è più agevole rilevarvi, tra gli altri, due pregi.
Il primo sta nel suo realistico equilibrio tra (apocalittici) puristi e (integrati) liberisti23 rispetto all’incontenibile variare, anche dell’italiano, in un mondo ormai tutto avviato – dall’industria e dal commercio, dalla politica e dal turismo, dalle comunicazioni massmediali e da quelle telematiche – verso il culturalmente pluralistico «villaggio globale» di McLuhan.
Rileva, tra l’altro: «La nostra lingua [...] è come una vecchia città; un labirinto di viuzze e di larghi, di case vecchie e nuove, di palazzi ampliati in epoche diverse e, intorno, la cintura di nuovi quartieri periferici, le strade rettilinee, regolari, i caseggiati tutti uguali. E come le città sono in continua trasformazione, così anche la lingua è in continua trasformazione, anzi in continua rivoluzione. Ogni giorno, infatti, i mezzi di comunicazione di massa [...] creano nuove parole e nuovi costrutti e nello stesso tempo scompaiono dall’uso vocaboli ed espressioni una volta tanto comuni, come pure riappaiono parole dimenticate» (p. 229).
E commenta ottimisticamente: «Oggi, grazie ai mass media, si va velocemente verso la creazione di un linguaggio internazionale che tra non molto permetterà a molti popoli di comprendersi. Quel giorno l’utopia della pace sarà meno lontana, e accanto ad una realtà linguistica più concreta avremo anche una realtà politica meno dura. Come il dizionario europeo conosce oggi le parole sport, film, record, garage, steppa, mob, tennis, pic-nic, leader, partner, week-end, ecc., così diventeranno di uso comune molti altri vocaboli della scienza, della tecnica e del modo di pensare dei popoli europei» (p. 268).
E conclude: «La polemica sulla lingua avvampa: c’è chi grida allo scandalo, chi piange sulla corruzione del lessico, della grammatica e della sintassi, chi teme di affogare nell’alluvione dei forestierismi e chi vi nuota tranquillamente; c’è chi spera ancora nell’unificazione linguistica nazionale e c’è chi sogna una lingua europea o addirittura mondiale; c’è chi vuole rinnovare l’italiano di sana pianta e chi vuole conservarlo a tutti i costi; c’è chi crede nella inevitabilità della sua trasformazione e chi giura sulla sua morte; c’è chi importa neologismi da ogni paese e chi vorrebbe alzare una barriera sulle Alpi [...]. C’è infine qualcuno, come noi, che ritiene che l’italiano, assai più di tante altre lingue, conserverà le sue forme fondamentali, continuerà a coniugare i suoi verbi, a distinguere il singolare dal plurale e a difendere quella carica espressiva derivata da secoli di invenzioni linguistiche. Chi oppone resistenza ad oltranza alle rivoluzioni linguistiche quotidiane rischia di condurre una guerra inutile, anche se patetica [...]. Quello che conta però è saper far fronte alle aggressioni quotidiane conciliando le opposte tendenze, distinguendo il bello dal brutto, scegliendo dal mare continuamente ribollente della lingua quelle parole e quei costrutti destinati a prendere il posto di quelli che passano ogni giorno a far parte del museo dell’archeologia linguistica. In questo stanno l’equilibrio e la dinamica di una lingua, la sua forza e la sua vitalità» (p. 193).
L’altro pregio particolare sta nel suo indirizzarci ad adeguare il nostro italiano, e alla varietà delle situazioni e alle diversità che – forse più di altre lingua – l’italiano comporta tra il parlato e lo scritto.
Ci avverte a proposito delle prime: «Per scrivere o parlare in modo corretto [...] occorre anche la competenza linguistica, cioè la capacità di produrre frasi grammaticalmente corrette e adatte alla situazione. Per acquisire questa competenza linguistica occorre, dunque, tener conto principalmente della persona a cui si parla, della persona che parla, della cosa di cui si parla e della situazione in cui ci si trova. Non si può parlare, infatti, allo stesso modo a tutti e in tutte le situazioni; useremo, dunque, un linguaggio diverso a seconda [sic!] che parliamo con un bambino o con un adulto, con familiari o con estranei, con superiori o con subalterni, con gente colta o poco colta ecc. Così parleremo in modo diverso a seconda [sic!] dell’ambiente in cui ci troviamo: in casa, presso amici, presso sconosciuti, al caffè, in classe, in ufficio, per la strada ecc.; come pure ci esprimeremo in modo diverso se parliamo nelle vesti di un uomo della strada, di un uomo politico, di insegnante, di avvocato, di propagandista di prodotti commerciali, di conferenziere ccc. [...). Chi non sa scegliere le giuste parole e il giusto stile non ha competenza linguistica» (p. 385).
E precisa a proposito delle seconde: «Potremmo dire che la lingua orale e la lingua scritta sono due lingue diverse, perché diversi sono i mezzi espressivi, diverse le situazioni in cui si usano. La prima serve quotidianamente e a tutti (anche agli analfabeti) ed è alla base della comunicazione tra gli uomini per conversare e parlare in pubblico; la seconda, usata più raramente, serve per scrivere documenti, giornali, lettere, libri ccc. Mentre la lingua scritta ha un suo codice fatto di regole abbastanza precise, la lingua parlata è molto più libera ed ha caratteristiche che si possono così riassumere: frasi generalmente brevi e semplici [...] molti sottintesi e forme abbreviate [...], balzi e cambiamenti improvvisi, mutamenti di intonazione [...], uso dei tempi verbali poco complessi, raro uso del passivo, scarsa subordinazione [...]. La lingua scritta è più controllata perché, quando scriviamo, abbiamo più tempo per scegliere le parole, per collocarle nella frase, per coordinare le idee, per rileggere lo scritto, rivederlo e correggerlo, per togliere ambiguità [...]. Per oltre 2.000 anni si è ritenuta la lingua parlata come dipendente da quella scritta. Solo questa era considerata “la lingua buona”, la lingua della gente colta. I linguisti contemporanei rivalutano invece la lingua parlata che è nata prima di quella scritta ed è di gran lunga più diffusa. La gente comune, anche quella di media cultura, limita l’uso della lingua scritta a pochissime eccezioni: fare una domanda, compilare un modulo, scrivere qualche lettera o cartolina. Poche ore all’anno rispetto alle migliaia di ore di parlato» (p. 386).
Indicazioni – pensiamo – preziose anche per quanti del clero ci ritroviamo a «proclamare la Parola», dall’altare, dal pulpito o dagli studi radio e televisivi, se non vogliamo che il nostro «pezzo», magari dottrinalmente e letterariamente squisito, sorvoli – come il paolino «bronzo che risuona e cembalo che tintinna» (1Cor 13,1) – uditòri psicologicamente assenti, se non anche annoiati.
1 Cfr W. SCHRAMM – J. LYLE – E. PARKER, La televisione nella vita dei nostri figli, Angeli, Milano 1971; M. WINN, La droga televisiva, Armando, Roma 1978; lD., Bambini senza infanzia, ivi, 1984; N. POSTMAN, La scomparsa dell’infanzia, ivi, 1984.
2 Cfr N. POSTMAN, Ecologia dei media. La scuola come contropotere, Armando, Roma 1979.
3 Cfr C. MARCHI, Impariamo l’italiano, Rizzoli, Milano 1984; A. TODISCO, Ma che lingua parliamo?, Longanesi, Milano 1984; AA.VV., Lingua letteraria e lingua dei media nell’italiano contemporaneo, Le Monnier, Firenze 1987, in Civ. Catt. 1986 I 513 e 1987 IV 514.
4 G. PITTANO, Passa-parola. Parole nuove e neonuove in economia polita e costume, Sole-24 Ore, Milano 1987, 212, L. 18.000.
5 Come account-executive (funzionario di agenzia pubblicitaria incaricato di mantenere i contatti con i clienti), business (affari), fiscal drag (drenaggio fiscalc), join venture (impresa in collaborazione per portare a termine una singola operazione), trend (tendenza), redditometro.
6 Quali opinion maker (persuasore occulto), ora-di-niente (ora di religione), public relations, teorema Sorge, Under 50 (politici sotto i 50 anni).
7 Quali audience (indice di ascolto), fashion victim (vittime della moda), look (immagine), soap opera (per melodramma televisivo), yuppies (giovani rampanti), rambismo.
8 Come black-out, bypass, computer, gadget (accessorio inutile), handicap, manager (dirigente), okay, show (spettacolo), sponsor (patrocinatore, soprattutto a scopo pubblicitario), target (obiettivo).
9 Quali informatica, menu (lista), omelette, réclame, silhouette, burotica.
10 Cfr, ad esempio, burotica (p. 29), chermobilia (p. 38), demenziale (p. 49), ebrei (p. 5), economese (p. 56), gerghese (p. 74), glasnost e perestrojka (p. 85), mystfest (p. 119), natalite (p. 123), politichese (p. 147), borghese (p. 154), pubblicese (p. 159), sportivese (p. 189).
11 Cfr, per esempio, omnibus (p. 43), silhouette (p. 66), boicottare (p. 68).
12 Così, ad esempio, bag lady (p. 20), battutismo (p. 22), benetton (p. 23), biografomane (p. 24), lrangate (p. 99), lapalissiano (p. 105).
13 A parte il refuso caelebes (per caelebs) di p. 43, si notano, per esempio, rispettivamente nelle pp. 21, 28, 49, 128, 155 e 178: un «sobbarcarsi», mutilo del suo «a che cosa»; un preconciliare «breviario”, non aggiornato nell’odierno (cfr cann. 1173-1175) «Liturgia delle ore»; un «a seconda della», in luogo del più corretto «secondo la»; un new wave riferito soltanto alla musica rock, ignorando la sua primaria accezione filmologica; e una non esatta accezione del «latino cristiano» petra scandali, che, tra l’altro, poteva essere rapportato alle due Lettere apostoliche: Rm 9,33 e 1Pt 2,8.
14 Ad esempio: nella p. 5, esatto è che l’invenzione della fotografia risalga al 1839, ma non che alla stessa data ne risalga il termine, allora precorso da dagherrotipia; mentre l’invenzione del cinematografo, più che al 1893, è da assegnare al 1895. A proposito dell’AIDS, nella p. 13, è esatto parlare di «repressione sessuale»? Inoltre: alle pp. 25, 124 e 134, non è un po’ spiccio affermare che «secondo cattolici ed ebrei l’uomo è sacro così com’è»; che, «in senso cristiano l’Epifania indica la prima manifestazione della divinità di Cristo»; e anche quanto si afferma a proposito di imprimatur, di vescovi e di scomuniche? Infine, alle pp. 137 e 198, è giornalisticamente corretto dare come «piratesche e pilatesche» le dichiarazioni e decisioni del ministro Galloni e del Consiglio di Stato a proposito dell’ora di religione, e dare il padre Bartolomeo Sorge come «allontanato dalla direzione della Civiltà Cattolica»?
15 E, a conferma, riporta la serrata requisitoria dell’Io robot di Isaac Asimov a prova della sua superiorità sull’uomo. «La materia di cui voi siete fatti è molle e flaccida, manca di resistenza e di forza, deve dipendere, per il rifornimento di energie, dall’efficiente ossidazione di materia organica. Voi passate periodicamente attraverso uno stato di coma (il sonno), e la minima variazione di temperatura, di pressione atmosferica, di umidità o di intensità delle radiazioni, altera la vostra efficienza. Io assorbo direttamente l’energia elettrica e la utilizzo con efficienza pari al cento per cento circa. Sono composto di metallo fortissimo e posso sopportare senza difficoltà le condizioni ambientali più diverse» (p. 172).
16 G. PITTANO, La lingua italiana oggi. Guida pratica per scrivere e parlare bene, Rusconi, Milano 1988, 419, L. 40.000.
17 Cfr, ad esempio i lemmi: alfabeto, bauxite, derrick, elettroshock, es, gillette, minoranze linguistiche, o.k., prestiti, soprannome, targhe (italiane) e sigle (straniere), tennis.
18 Cfr, per esempio, le 3 pagine dedicate, rispettivamente, ai lemmi: appunti, riassunto, sintesi, scheda, stereotipi; le 4 di: alfabeto, prestiti (dalle varie lingue), punteggiatura; le 5 di: dialetti, suffisso, varietà della lingua; le 6 di aggettivo; le 7 di: parola, poesia: le 9 di: abbreviazioni e sigle, periodo, pronome; le 10 di: lettera domanda e lettere ufficiali; le 11 di proposizione; le 13 di nome; e le addirittura 21 di verbo.
19 Cfr, per esempio, l’incompleto rapporto tra codificazione/decodificazione e denotazione/connotazione rispetto ai codici chiusi/aperti, a p. 71; l’ópino di p. 100; le divisioni sillabiche in-utile, in-abile e in-esatto, di p. 141; la differenza semantica tra «secondo il» e «a seconda del» proposta nella p. 318, e non praticata nelle pp. 197, 384, 385.
20 Per esempio: l’inglese chip (che vale «scheggia», o «piastrina», di silicio) alla p. 67; l’embargo di p. 109 (riferito soltanto alla marina, e non anche al giornalismo); l’incompleto know how, di p. 119; jeep e marine, delle pp. 116 e 179 (non riferiti agli USA); il menu di p. 181 (riferito solo alle vivande, e non anche al televideo); la dubbia origine di Oscar alla p. 111; gli inesatti Urbi et orbi e Via crucis delle pp. 379 e 410; il wampum di p. 414: ornamento, sì, ma anche antico mezzo di memorizzazione-comunicazione.
21 Quali, per esempio, quelli dell’elettronica e informatica; ampère (c’è volt e watt), ànodo e càtodo (c’è elèttrodo ed [?!] elettròdo), bit, debuggare, display, formattare, implementare, supportare. Tra gli eufemismi (p. 141) mancano sparire e scomparire (per «morire»), non deambulante (per zoppo e storpio). E manca l’invariabile biro.
22 Tra gli altri: acrònimo, àgora, alchìmia, àtono, auspicare, avviare, baùle, bellìco (diverso da bèllico), colùbro, coèva, compilare (e impilare), connotare, corrèo, crumìro, decifrare, degràdo, démone, disàmina, discrasìa, dissipare, ecchimòsi, efèbo, egèmone, encèfalo, endògeno (ed esògeno), equiparare, èremo, fisima, iconostàsi (ma ipòstasi e metàstasi), ipnòsi, làtteo (e non lattèo, come la RAI-TV), mézzo (diverso da mèzzo), omàso (e rumine, quando c’è abòmaso), osmòsi, paràmetro, pròstrata, pròtesi, (im)pùbere, ràncido, rècipe, rècluta, regìme, rèuma, salmodìa, scàpolo, scleròsi, simonìa, sinergìa, soqquàdro (ma è ricordato a p. 297), spàstico, stocàstico, tètano, tòpica, urètra e uretère, zèfiro, zìgomo.
23 Che, tra l’altro, gli fa proporre, se non sempre come buoni, almeno come passabili: benpensante e benportante (pp. 51 e 175), chiunque e dovunque usati come assoluti (pp. 67 e 103), i grammaticalmente errati sognamo, sognate... di p. 131; l’abolizione della i eufonica in «per (i)1 sbaglio, in (I)spagna (p. 1 37); e la ragionevole soluzione della questione dei dativali gli e loro, a proposito dei quali scrive: «È più corretto dire: “Se scrivi agli zii racconta loro tutto”, oppure “Se scrivi agli zii raccontagli tutto”? I grammatici rispondono che è più corretta la prima frase. Nell’uso pratico, però, e oggi anche nell’uso letterario, sta prevalendo gli. Noi siamo per quest’uso, sia per ragioni di praticità sia per ragioni storiche. Gli, infatti, deriva dal latino illis (= a quelli), loro invece deriva da illorum (= di quelli). Storicamente sarebbe quindi più giusto dire: “Se ve lo chiedono, ditegli la verità”. Sul piano pratico gli è molto più agile di quel loro spesso così difficile da collocarsi» (p. 272).