Il 5 marzo 2001, dopo una breve ma dolorosa malattia, è morto nella clinica «Annunziatella» del prof. Dario Spallone, dove era stato ricoverato per la frattura di un femore, il p. Enrico Baragli, che i nostri lettori e amici ben ricordano, per essere stato per 50 anni scrittore della Civiltà Cattolica. Ne vogliamo tracciare qui un breve profilo spirituale, umano e culturale, in segno della fraterna amicizia, che per lunghi anni ci ha legato in comunità di vita, di ideali e di lavoro, e in segno di riconoscenza per la grande mole di lavoro che egli ha svolto per la nostra — e sua — rivista. In realtà, come vedremo, la sua attività di pubblicista non si è limitata alla Civiltà Cattolica; ma non c’è dubbio che l’impegno maggiore egli lo ha profuso per il nostro periodico.
Nato ad Ancona il 24 aprile 1908, quinto di sei figli, perse il padre all’età di tre anni. Questo fatto rese difficile la sua infanzia e la sua adolescenza, ma non incise sul suo carattere che fino agli ultimi anni della sua lunga vita fu gioviale e ricco di humour. Il 16 dicembre 1926 entrò nella Compagnia di Gesù a Frascati, nel noviziato della Provincia Romana. Dopo l’ordinaria trafila degli studi, propria della Compagnia di Gesù, fu ordinato sacerdote il 24 agosto 1937 a Lovanio, in Belgio, dove aveva frequentato per tre anni i corsi di teologia. Dobbiamo ricordare questa data, perché per tutta la vita egli ha fatto i suoi Esercizi spirituali annuali per prepararsi a celebrare l’anniversario della sua ordinazione sacerdotale. In realtà, il p. Baragli, prima che scrittore ed esperto di problemi degli «strumenti della comunicazione sociale» (come egli insisteva che si chiamassero), era sacerdote gesuita e testimone del Vangelo in spirito di amore filiale per la Chiesa: per tale motivo – finché le forze glielo hanno permesso – ha alternato il suo lavoro scientifico con corsi di Esercizi spirituali, esortazioni, confessioni e direzione spirituale presso molti istituti religiosi romani.
Il p. Baragli era di carattere austero e amava la precisione, cosicché talvolta poteva dare l’impressione di una certa durezza e di una certa difficoltà nel dialogo e nella discussione; ad esempio, quando si trattava di un suo articolo, piuttosto che accettare una correzione, suggerita da un revisore, ma che a lui sembrava svisare o togliere mordente all’articolo, spesso preferiva ritirarlo. Tuttavia questo apparente rigore era temperato da una grande bontà e cordialità e, di solito, si scioglieva in una battuta umoristica.
Dopo il Terz’Anno di probazione – l’ultimo anno dell’itinerario di formazione di un gesuita – e prima della professione solenne (15 agosto 1941), nel 1939 il p. Baragli fu destinato dai superiori al compito di promotore nazionale delle Congregazioni Mariane e di direttore della loro rivista Stella Matutina. Fu un tempo di intensa attività apostolica, in particolare con i giovani di tutta l’Italia che facevano parte delle Congregazioni Mariane, sparse per tutto il Paese, e in vivace competizione, seppure assai inferiori numericamente, con l’Azione Cattolica. Il 4 settembre 1940, Pio XII dichiarava questa «l’ordinamento principe dei cattolici militanti», ma aggiungeva che accanto all’Azione Cattolica potevano esserci «altre Associazioni pure dipendenti dall’Autorità ecclesiastica, di cui alcune, aventi fini e forme anche di apostolato, ben si possono dire collaboratrici nell’apostolato gerarchico».
L’accenno ad «altre Associazioni» riguardava in particolare le Congregazioni Mariane, che alcuni, seguendo le direttive di Pio XI, volevano far confluire, come «forze ausiliarie», nell’Azione Cattolica, riconoscendo soltanto a questa il «mandato», e quindi il diritto di essere e di chiamarsi «collaboratrice nell’apostolato gerarchico». Era un invito alla collaborazione tra le diverse Associazioni di apostolato, ma insieme era il riconoscimento del diritto delle Congregazioni Mariane di conservare la propria identità spirituale e apostolica, e quindi la propria specifica organizzazione, pur collaborando con l’Azione Cattolica, ma senza dover confluire in essa o avere al suo interno un «nucleo di Azione Cattolica». Ciò che il p. Baragli non mancò di sottolineare nell’opuscolo Parla il Papa, commentando un discorso di Pio XII, rivolto alle Congregazioni Mariane il 21 gennaio 1945. Particolari cure egli dedicò a Stella Matutina. Scrisse poi la biografia di due congregati — Fortunato Chiari e Lando Ferretti — presentandoli come modelli per gli iscritti alle Congregazioni Mariane; ma già nel 1938 aveva scritto un piccolo libro — Al Bivio (seconda edizione: Al crocevia della vita) — sulla vocazione religiosa, che ebbe un notevole successo, anche per la vivacità e il brio dello stile che allora caratterizzava la sua scrittura, come appare anche dal volumetto Parabole nuove (1963). Più tardi, pensando che lo stile adatto a una rivista come La Civiltà Cattolica dovesse essere più austero e solenne, modificò il suo modo di scrivere, che divenne più elaborato e complesso.
Nel 1949 il p. Baragli è destinato alla Civiltà Cattolica. Nei primi anni si occupa di argomenti vari di modesto rilievo; soltanto nel 1954 comincia a scrivere di cinema. Sarà il campo cinematografico quello di cui d’ora in poi si occuperà maggiormente, riuscendo a divenire non solo un grande esperto ma un vero e proprio pioniere nel campo ecclesiastico, poco interessato all’approfondimento teorico dei problemi della comunicazione sociale. Partecipa con impegno alle mostre cinematografiche di Venezia e di Cannes – dove giunge con una moto e sempre con la veste talare – riuscendo a vedere per ore e ore, di giorno e di notte, buona parte dei film proiettati, per darne poi un ampio resoconto sulla nostra rivista; legge tutto quello che si scrive in Italia sulle riviste di cinematografia e non si lascia sfuggire nessun libro, italiano o straniero, che parli di cinema. Tutto ciò può sembrare a qualcuno esagerato; ma la caratteristica del p. Baragli è stata questa: non lasciarsi sfuggire nulla che trattasse del suo argomento: il cinema. Conserverà tale abitudine sino alla fine della sua attività di scrittore, mentre i suoi interessi si allargheranno alla televisione e ai particolari problemi posti alla Chiesa dai sempre nuovi strumenti della comunicazione sociale. Si spiega così che egli, sino al 1992, abbia scritto sulla Civiltà Cattolica 234 articoli e ben 1.533 recensioni, in massima parte di volumi dedicati ai temi della comunicazione sociale.
Il suo interesse per questi problemi non era solamente culturale, ma anche — e soprattutto — morale e religioso. Perciò nei giudizi che egli dava della produzione cinematografica — giudizi sempre estremamente puntuali e sorretti da un’informazione ineccepibile e di prima mano —, il p. Baragli dava ampio risalto ai valori estetici, ma la preminenza era data a quelli morali e religiosi. Per tale motivo era molto critico verso registi e produttori che avallavano comportamenti immorali oppure badavano unicamente a produrre film di cassetta. Lo stile a quel tempo era ancora vivace e talvolta brioso; ma non di rado, aspramente polemico. Particolarmente duro il p. Baragli era nei riguardi dei critici marxisti, e non senza ragione, tanto esagerata — e, diciamo pure, sfacciata — era negli anni Cinquanta l’esaltazione di tutto ciò che era prodotto, in campo cinematografico, in Italia, nei Paesi comunisti e nell’URSS, ad opera di registi comunisti dei quali si diceva che godessero della più ampia e assoluta libertà. Ciò indignava in maniera speciale il p. Baragli e ne rendeva lo stile assai pungente.
In questo decennio egli acquista una notevole competenza in campo cinematografico: del 1952 è la sua Introduzione al cinema e del 1958 Cinema cattolico (che è una raccolta di documenti della Chiesa sul cinema). Nel 1961 si interessa di due esperienze americane cattoliche in campo cinematografico: il Codice Hays e la Legion of Decency, sulle quali pubblica un volume nel 1968.
Intanto sulla Civiltà Cattolica con mirabile costanza tiene dietro a tutto ciò che si produce in campo cinematografico e nel 1965 pubblica un Corso elementare di Filmologia (19713). Segue nel 1970 il volume Elementi di sociologia pastorale sugli strumenti della comunicazione sociale, e nel 1974 il grosso volume di 566 pagine Comunicazione pastorale, che si può considerare la summa del pensiero del p. Baragli. Di quest’opera egli si servirà nei corsi da lui tenuti all’Università Urbaniana dal 1973 al 1978; all’Università Gregoriana dal 1974 al 1983; all’istituto Regina Apostolorum dell’USMI dal 1978 al 1985.
In questo volume c’è un accenno a Marshall McLuhan e alle sue tesi «Il mezzo è il messaggio» (The medium is the message) e «Il mondo è destinato a divenire nell’età elettronica un unico villaggio globale». A questo autore nel 1980 il p. Baragli dedica un volume di 427 pagine Il caso McLuhan, a cui è premessa una bibliografia di 261 nomi, e nel 1981 un secondo volume, Dopo McLuhan. Intanto egli crea e dirige un’associazione giuridica culturale Studio romano della comunicazione sociale, che però ha uno scarso successo, anche se in 15 anni edita buona parte delle sue opere, oltre a un grosso volume che raccoglie 842 documenti della Chiesa sulle comunicazioni sociali, intitolato Comunicazione Comunione e Chiesa (1973).
Oltre a proseguire con assiduità nell’impegno di scrittore della Civiltà Cattolica, il p. Baragli è stato consultore dal 1960 al 1990 della Pontificia Commissione (oggi: Consiglio) per il cinema, la radio e la televisione (oggi: per le comunicazioni sociali) e dell’Ufficio nazionale dello spettacolo presso la CEI. Tuttavia il periodo più fecondo e più interessante della sua vita è quello del Concilio Vaticano II. Nel novembre 1959 è nominato membro della Commissione antipreparatoria Dei mezzi moderni di apostolato, e consultore di quella preparatoria del giugno 1960; nell’ottobre 1962 è nominato perito conciliare della Decima Commissione De fidelium apostolatu. Infine è conredattore del testo del decreto Inter mirifica, presentato e discusso nel primo periodo conciliare (novembre 1962) e approvato nel secondo (4 dicembre 1963) con 1.960 placet e 164 non placet.
Questo decreto costò molte fatiche al p. Baragli, e anche molte sofferenze, sia per le aspre critiche rivolte nell’aula conciliare e fuori di essa allo schema elaborato soprattutto da lui, sia per le potature apportate, che lo ridussero da 114 a 24 numeri. Tuttavia egli ebbe fra l’altro la soddisfazione di vedere accettata dal Concilio la dizione «strumenti della comunicazione sociale», invece di altre dizioni quali «sussidi audio-visivi» o «mass media».
Su tutta la vicenda il p. Baragli scrisse il volume Inter mirifica (Introduzione-Storia-Discussione-Commento-Documentazione), uscito nel 1969, e nel 1974 – sempre in risposta alle critiche rivolte al decreto conciliare, definito da alcuni «un infortunio del Vaticano II» – «Difendo l’Inter mirifica». Dopo il Concilio, il p. Baragli fu invitato a partecipare alla redazione dell’Istruzione pastorale sugli strumenti della comunicazione sociale Communio et progressio, voluta dal Concilio stesso. Infine, nel 1986, per conto della Congregazione per l’Educazione cattolica contribuì alla redazione degli Orientamenti per la formazione dei futuri sacerdoti circa gli strumenti della comunicazione sociale.
Negli anni Sessanta-Ottanta, il p. Baragli collaborò con molte riviste di area cattolica, scrivendo sui problemi di sua competenza e partecipò a numerosi convegni e giornate di studio in ogni parte d’Italia, con grande dedizione e spirito di sacrificio, allo scopo di educare all’uso degli strumenti della comunicazione sociale e di far prendere coscienza dei problemi nuovi che tali strumenti ponevano ai cattolici.
Nel 1992, il p. Baragli, a motivo delle sue non più buone condizioni di salute, pose termine, senza che gli fosse stato chiesto, alla sua collaborazione alla Civiltà Cattolica; non però del tutto, poiché, oltre a rivedere con attenzione tutte le bozze della rivista, (cosa che fece sino a un mese prima della morte), continuò a leggere i libri attinenti alla sua specializzazione e a farne la recensione sulla rivista, con l’accuratezza — e anche la puntigliosità — di sempre. Il non poter più scrivere lavori impegnativi fu per lui un grande sacrificio, ma egli lo sopportò signorilmente, come aveva fatto quando la rivista, per le mutate condizioni della Chiesa e del mondo, aveva preso indirizzi che egli non condivideva, ma che accettava in spirito di obbedienza e di amore dell’opera, al cui servizio era stato destinato.
Negli ultimi anni egli mostrò un interesse particolare per le opere di spiritualità, sia antiche, come gli scritti di san Gregorio Magno, sia recenti, come La spiritualità della Compagnia di Gesù del p. J. de Guibert. Ne ricavava un gran giovamento per la sua vita interiore. Di che qualità fosse questa, appare dall’ultimo suo volumetto Amata, a Lui tutta si donò (Roma, 1996), in cui sono pubblicate le lettere che suor Anna Maria Pecorari (1924-77), religiosa delle Ausiliatrici del Purgatorio, da lui spiritualmente diretta, gli aveva indirizzato. È una corrispondenza a senso unico perché mancano le lettere del p. Baragli; ma dalle risposte della religiosa si intravede la profondità spirituale del suo direttore. Questa andò affinandosi negli ultimi anni di vita, nei quali il p. Baragli intensificò la sua vita di preghiera «per la Chiesa e per la Compagnia»: spesso infatti lo si vedeva per i corridoi con il rosario in mano. Non mancò, poi, sino alla fine di celebrare l’Eucaristia alle 7,20, puntuale come in ogni sua cosa.
Dal 1993 al 1995 tenne un diario In mortem. Nell’ultima pagina si legge: «Per due anni mi sono proposto, ogni giorno, un pensiero o un ricordo per la morte. Entrando oggi nell’88º anno dico al Signore, per le mani di Maria: GRAZIE per tutti i doni e le opportunità che fino ad oggi mi hai elargito, e MISERERE per tutto lo sperpero che ne ho fatto. Per quel poco che mi resta di questo esilio, o dolce Gesù, confido in te, perché nell’ultima ora verso la Patria, tu mi sia non giudice, ma Salvatore. Amen».
in La Civiltà Cattolica, 152 (2001) 3619, pp. 53-59.