NOTE
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1 A. TOFFLER, Lo choc del futuro, Torino, Einaudi, 1972, 8º, .5.50. L. 5.500.

2 M. McLUHAN, Gli strumenti del comunicare, Milano, Il Saggiatore, 1967, 8º, L. 2.200 (Civ. Catt. 1967 III 495).

3 Citando R. Buckminster Fuller, l’Autore rileva (p. 82) che ancora nel 1914 l’americano tipico percorreva in media ogni anno 2 mila Km per semplici andirivieni a piedi, e 600 Km per viaggi a cavallo o con mezzi meccanici, totalizzando così nel corso della sua esistenza qualcosa come 140 mila Km; mentre oggi l’americano tipico provvisto di automobile percorre in media 16 mila Km l’anno. «Nel 1967, ad esempio, 108 milioni di americani fecero 360 milioni di viaggi comprendenti una notte trascorsa ad oltre 160 Km da casa. Questi soli viaggi equivalgono a 499 miliardi di Km percorsi. Anche ignorando l’esistenza delle flotte aeree di iumbo-iet, gli autocarri, le automobili, i treni, le ferrovie sotterranee e così via, i nostri investimenti sociali nella mobilità sono stupefacenti. Strade pavimentate e altre rotabili sono state aggiunte al paesaggio americano con il ritmo incredibile di 300 Km al giorno, in ogni singolo giorno di almeno gli ultimi vent’anni. Ciò equivale a 110 mila Km di nuove strade l’anno, quanto basta per girare tre volte intorno al globo terrestre».

4 A scanso di equivoci, occorre precisare che questo termine, nelle diverse discipline e ideologie, viene usato in accezioni diverse. Ad esempio, per economisti e giuristi vale spesso nazionalizzazione o statizzazione dei beni di produzione; in sociologia marxista sta per il processo di collettivizzazione che porta a morte l’economia capitalista a vantaggio del sistema socialista; mentre per psicologi e sociologi moderni sta per acculturazione: vale a dire, per il processo mediante il quale il bambino e l’adolescente – oppure l’adulto proveniente da altra cultura – s’integra al gruppo sociale facendone proprie le norme, i valori ed i comportamenti. Noi, invece, l’adoperiamo nella seguente accezione datane dalla Mater et Magistra (n. 58) e poi ripresa in vari documenti dal Vaticano II: «Il progressivo moltiplicarsi dei rapporti di convivenza, con varie forme di vita e di attività associata ed istituzionalizzazione giuridica, privata e pubblica»; o, più in breve, «l’accelerazione dell’interazione sociale».
Dati poi gli equivoci e le critiche che ancora perdurano sulla dizione «strumenti della comunicazione sociale, con cui il Vaticano II qualifica quelli che correntemente vengono detti mass media, non è fuori luogo ricordare che, nella mente del Concilio, l’aggettivo sociale della dizione rimanda esattamente alla socializzazione così intesa. Cioè: senza impegnarsi sul (discutibile e discusso) ruolo odierno dei mass media nella socializzazione in accezione di acculturazione, il Concilio ha detto, per antonomasia, «della comunicazione sociale» gli strumenti come la stampa, il cinema e la radiotelevisione: 1) in quanto ha ritenuto che questi strumenti, di loro natura, fanno comunicare, non tanto singoli individui, o gruppi primari (quale era la comunicazione interpersonale dei mezzi tradizionali), ma tendenzialmente tutta l’umanità, facendo vivere esperienze collettive – il «dialogo del mondo» – a individui e gruppi anche molto distanti tra loro nello spazio; 2) perché ha ritenuto questi strumenti quali fattori primari della odierna socializzazione, ed insieme: 3) li ha ritenuti «la» comunicazione propria di complessi umani già fortemente socializzati.

5 Scrive l’Autore (p. 30): «Siamo attualmente soggetti alla più estesa e rapida urbanizzazione cui il mondo abbia mai assistito. Nel 1850, soltanto 4 città del mondo avevano una popolazione di un milione o più di abitanti. Nel 1900 questo numero era salito a 19. Ma, entro il 1960, esistevano 141 metropoli, e oggi la popolazione urbana nel mondo sta aumentando vertiginosamente al ritmo del 6,5 per cento l’anno [...].
Questo solo, nudo, dato statistico significa il raddoppiamento della popolazione urbana della terra entro 11 anni».

6 Ancora l’Autore, citando lo scienziato atomico indiano Homi Bhabha, che presiedette la prima conferenza internazionale sugli impieghi pacifici dell’energia atomica: «Allo scopo di chiarire la tendenza all’accelerazione nel consumo d’energia, serviamoci della lettera “Q” per rappresentare l’energia ricavata bruciando 33 mila milioni di tonnellate di carbone. Nei 18 secoli e mezzo dopo Cristo, l’energia totale consumata è stata in media inferiore a mezzo Q per secolo. Ma nel 1850 il consumo era salito a un Q per secolo. Oggi il consumo è di circa dieci Q per secolo»; questo significa che, in termini approssimativi, la metà di tutta l’energia consumata dall’uomo nei trascorsi duemila anni è stata consumata negli ultimi cento.

7 Scrive, tra l’altro, in proposito l’Autore (p. 202-203): «Si immaginino le conseguenze di importanti scoperte biologiche relative a quella che potrebbe essere denominata tecnologia della nascita». Il dottor Hafer [...], un biologo onorato in tutto il mondo, ha affermato pubblicamente, sulla base dei propri stupefacenti studi relativi alla riproduzione, che, tra appena dieci o quindici anni, le donne saranno in grado di acquistare un minuscolo embrione surgelato, di portarlo dal proprio medico, di farselo impiantare nell’utero, e di tenerlo in sé nove mesi, mettendolo quindi al mondo come se fosse stato concepito nel loro stesso corpo. L’embrione, in effetti, verrebbe venduto con la garanzia dell’assenza di ogni difetto genetico del bambino. L’acquirente potrebbe inoltre essere informata in anticipo sul colore degli occhi e dei capelli del bambino, sul suo sesso, sulla sua statura probabile una volta raggiunta la maturità, e sul probabile quoziente d’intelligenza»; e commenta: «Molto tempo prima che simili progressi vengano compiuti nello spazio esterno l’impatto della nuova tecnologia delle nascite si farà sentire sulla terra, distruggendo i nostri concetti tradizionali della sessualità, della maternità, dell’amore, della procreazione e dell’educazione dei figli. Le discussioni sul futuro della famiglia imperniate soltanto sulla pillola trascurano la pozione biologica delle streghe che sta bollendo attualmente nei laboratori. Le scelte morali ed emotive che ci aspettano nei prossimi decenni sono tali da far vacillare la mente».
Ed a proposito dei prossimi «Cyb-org» (fusioni uomo-macchine) a p. 211:
«Oggi ci sforziamo di realizzare valvole cardiache o arterie artificiali che imitino gli organi da sostituire. Miriamo all’equivalenza funzionale. Quando avremo vinto le difficoltà fondamentali, però, non ci limiteremo a inserire negli individui aorte di plastica soltanto perché la vera aorta sarà sul punto di cedere. Inseriremo organi artificiali appositamente progettati che saranno migliori di quelli umani, dopodiché inseriremo organi tali da consentire all’individuo capacità prima assenti. Come l’ingegneria genetica promette di creare “super-persone”, la tecnologia degli organi lascia intravedere la possibilità di super-atleti dotati di polmoni o di cuori con capacità senza precedenti; di scultori dotati di un congegno “neurale” che intensificherà la sensibilità del tatto; di amanti con apparecchi neurali che intensificheranno le capacità sessuali. In breve, non ci limiteremo ai trapianti per salvare una vita, ma ce ne avvantaggeremo per potenziare l’esistenza, per rendere possibile il conseguimento di stati d’animo, condizioni, o estasi, le quali ci sono attualmente precluse».
«In queste circostanze, che ne è delle nostre antiche definizioni di “natura umana”? Che cosa si proverà essendo in parte protoplasma e in parte transistori? Quali possibilità, esattamente, si dischiuderanno? Quali limiti si porranno al lavoro, alla ricreazione, al sesso, alle reazioni intellettuali ed estetiche? Che cosa accadrà alla mente quando cambierà il corpo? Problemi come questi non possono essere rinviati ancora a lungo, in quanto progredite fusioni di uomo e macchina – denominate "Cyb-org”: – sono più vicine di quanto sospetti la maggior parte degli uomini».

8 Mentre andiamo in macchina, scorriamo la recente versione italiana di P. CHAUNU, De l’histoire à la prospective, Paris, Laffont, 1975, 8º, 397 (Storia e scienza del futuro, Torino, SEI, 1977, 8º, 353. L. 4.000). Il volume, sotto molti aspetti eccellente, e in alcuni punti vicino alla problematica del Toffler, merita senza dubbio un commento, e non di poche righe; sicché non è detto che non ci ritorneremo su. Per il momento notiamo che l’Autore, da eminente storico qual è, apporta numerosi ed efficaci esempi di accelerazioni storiche, da lui qualificata «il moltiplicatore», riconoscendo che «vi sono buone ragioni per attribuire al fenomeno una grande importanza» (p. 72), dopo aver rilevato che «la maggioranza dei fenomeni che osserviamo fuori della natura nel dominio della storia, ossia dell’uomo, si presentano, nel campo di osservazione di una vita, come una crescita, quasi sempre come una crescita accelerata. Anzi, ci si è potuti domandare se in ciò appunto non risieda la caratteristica del nostro tempo».

9 Con ragione il traduttore del Toffler corregge: «Per l’esattezza, Francesco Agello, pilota dell’aviazione italiana, nel 1934, raggiunse la velocità di 709 Km all’ora su un idrovolante Macchi-Castoldi 72».

10 Antecedentemente al 1500, in base alle valutazioni più ottimistiche, l’Europa produceva libri al ritmo di 1.000 titoli l’anno. Ciò significa [...] che sarebbe occorso un intero secolo per formare una biblioteca di 100.000 titoli. Nel 1950, quattro secoli e mezzo dopo, il ritmo si era accelerato così nettamente che l’Europa produceva 120.000 titoli all’anno. Quanto in passato aveva richiesto un secolo, richiedeva adesso dieci mesi appena. Nel 1960, un solo decennio dopo, il ritmo aveva compiuto un nuovo balzo significativo, per cui l’opera di un secolo poteva essere completata in sette mesi e mezzo. E alla metà degli anni ’60, su scala mondiale, Europa compresa, la produzione libraria si avvicinava alla cifra prodigiosa di 1.000 titoli al giorno». (p. 38).

11 «Prima di Gutenberg erano noti soltanto 11 elementi chimici. L’antimonio, il 12.mo, fu scoperto press’a poco mentre egli stava lavorando alla sua invenzione. Ben 200 anni erano trascorsi dalla scoperta dell’11.mo elemento: l’arsenico. Se le scoperte fossero continuate con lo stesso ritmo, avremmo oggi aggiunto soltanto due o tre elementi alla Tavola Periodica. Invece, nei 450 anni susseguitisi dai tempi di Gutenberg sono stati scoperti altri 70 elementi circa. E a partire dal 1900 abbiamo isolato i rimanenti elementi, non al ritmo di uno ogni due secoli, ma di uno ogni tre anni». (p. 39).

12 «Se datiamo, grosso modo, l’intervallo impressionista tra il 1875 e il 1910, osserviamo un periodo di predominio protrattosi approssimativamente per 35 anni. A partire da allora nessuna scuola e nessuno stile hanno dominato la scena per un periodo sia pure così breve. L’uno dopo l’altro, gli stili si soppiantano a vicenda. La scuola più duratura del XX secolo, “espressionismo astratto”, dominò il campo per 20 anni al massimo, dal 1940 al 1960, per poi essere seguita da un accavallarsi frenetico di altre scuole: l’arte pop durata forse 5 anni, l’arte op, che riuscì ad afferrare l’attenzione del pubblico per due o tre anni; quindi vi fu l’emergere [...] dell’arte cinetica, la cui stessa ragione d’essere è la transitorietà». (p. 178).

13 Ed a proposito di aggiornamento specialistico nota: «I componenti più abili ed intelligenti della società ammettono di incontrare difficoltà nel tenersi aggiornati con il diluvio di nuove conoscenze, sia pure in campi estremamente ristretti [...]. Il dottor Emilio Segre, Premio Nobel per la fisica, dichiara: “Soltanto per quanto concerne i mesoni-K, lèggere tutto ciò che se ne scrive è un’impossibilità”». (p. 161).

14 Documenta l’Autore: «Nel 1966, circa 7.000 nuovi prodotti sono affluiti ai supermercati americani. Ben il 55% di tutti i prodotti venduti in essi non esistevano 10 anni fa. E dei prodotti allora disponibili, il 42% è scomparso del tutto. Ogni anno il processo si ripete in una forma più estrema. Così, il 1968 ha veduto 9.500 nuovi prodotti nel solo settore dei beni di consumo confezionati, uno solo dei quali su cinque ha raggiunto i traguardi di vendita previsti. Un attrito silenzioso, ma rapido, uccide i vecchi prodotti, e i nuovi dilagano come una marea. Prodotti che si sono venduti bene per 25 anni [...] adesso, il più delle volte, non possono contare su più di 5 anni. Nei volatili settori farmaceutico ed elettronico, il periodo si abbrevia, il più delle volte, fino a 6 mesi». (p. 77).

15 L’Autore chiude la sua documentazione in proposito notando: «Un tempo l’uomo imparava la lingua della sua società e se ne serviva, con scarsi mutamenti, per tutta la vita. Il suo “rapporto” con ogni parola e ogni gesto appresi era duraturo. Al giorno d’oggi, in misura stupefacente, non lo è più». (p. 177); ed a proposito di labilità dei successi letterari scrive: «Negli Stati Uniti un paperback appare simultaneamente in più di 100 mila edicole, ma soltanto per essere spazzato via da un’altra marea di pubblicazioni distribuite appena 30 giorni dopo. Il libro si avvicina in questo modo alla transitorietà della rivista mensile [...]. La permanenza dei best-seller nell’elenco del New York Tìmes si riduce rapidamente [...]. Se esaminiamo i quattro anni dal 1953 al 1956 e li paragoniamo a un periodo analogo un decennio dopo, possiamo costatare che il best-seller medio nel periodo precedente continuò a figurare nell’elenco per ben 18,8 settimane. Un decennio dopo, la permanenza si era ridotta a 15,7 settimane. In un periodo di 10 anni la durata di vita del best-seller medio era diminuita di quasi un sesto». (p. 167).

16 Documenta il Toffler: «In un solo anno (1967-1968), 600.000 americani [...] hanno cambiato residenza. più della popolazione totale della Cambogia, del Ghana, del Guatemala, dell’Honduras, dell’Iraq, di Israele, della Mongolia, del Nicaragua e della Tunisia messi insieme. Come se l’intera popolazione di tutti questi Paesi si fosse improvvisamente trasferita altrove [...]. Ogni anno un americano su cinque ha cambiato indirizzo, conducendo con sé i figli, una parte delle suppellettili di famiglia, e cominciando una nuova vita in un’altra località». (p. 84).

17 Ancora l’Autore: «Le T/O [Tabelle Organizzative] una volta valevano per anni: oggi in tre mesi diventano pergamene da Mar Morto». (p. 113). «Quanto più rapidamente muta l’ambiente, tanto più breve è la durata della vita delle forme organizzative. Nella struttura organizzativa [...] stiamo passando da forme assai durature a forme temporanee, dalla permanenza alla transitorietà. Stiamo passando dalla burocrazia alla Ad-hocrazia». (p. 141). «L’uomo super-industriale, invece di occupare una nicchia permanente, ben delimitata, e di svolgere stupidi compiti di routine eseguendo ordini impartiti dall’alto, constata ogni giorno di più di doversi assumere la responsabilità di prendere decisioni, e di doverlo fare nell’ambito della struttura di un’organizzazione caleidoscopicamente mutevole, basata su relazioni umane altamente transitorie». (p. 146).

18 Spiega il neurologo russo N. Sokolov (p. 333): «Determinate cellule neurali nel cervello accumulano informazioni sull’intensità, la durata, la qualità e la sequenza degli stimoli in arrivo. Quando affluiscono nuovi stimoli, essi vengono confrontati con i “modelli neurali” della corteccia cerebrale. Se gli stimoli sono nuovi, non corrispondono ad alcun modello neurale esistente, e allora ha luogo la RO. Se, invece, il processo di confronto rivela la loro somiglianza con modelli precedentemente accumulati, la corteccia irradia segnali al sistema di attivazione reticolare [...]. In questo modo il livello di novità nel nostro ambiente ha conseguenze fisiche dirette».

19 «Quando gli individui sono costretti a procedere a ripetuti adattamenti alle novità, ed in particolare sono costretti ad adattarsi a determinate situazioni che implicano conflitti e incertezze, una glandola grande come un pisello» – l’ipofisi – «pompa nel sangue un certo numero di sostanze. Una di esse, l’ACTH, va nelle capsule surrenali, e fa sì che, a loro volta, esse producano certe sostanze anti-infiammatorie per combattere le infezioni nelle ferite, se ve ne sono. E incominciano a trasformare i grassi e le proteine in energie disperdibili, attingendo così al serbatoio di riserva dell’organismo. Questa reazione di adattamento consente un afflusso di energia più potente e sostenuto di quello della RO». (p. 336).

20 Opportunamente l’Autore ricorda (p. 218) che nel 1865 un direttore di un quotidiano rassicurava i suoi lettori sull’impossibilità di trasmettere la voce lungo dei fili, e che dieci anni dopo funzionava il telefono Bell; che il famoso astronomo americano S. Newcomb aveva negato la possibilità di volo dell’uomo a lunghe distanze, e che pochi mesi dopo i fratelli Wright iniziavano l’era dei voli; che qualche anno dopo, un altro esperto giudicava segno di debolezza mentale pensare al moto di una carrozza senza cavalli, e che, sei anni dopo, la milionesima Ford usciva dalla catena di montaggio; infine che il grande Rutherford, scopritore dell’atomo, nel 1933 dichiarava impossibile liberare l’energia contenuta nell’atomo, e che dopo solo nove anni la reazione a catena era una realtà.

21 Contro i circa 4 miliardi di oggi, calcoli più o meno probabili dànno tra i 5 e i 20 milioni di abitanti della Terra nei cinque millenni a.C.; tra i 200/300 milioni quelli nei primi tre secoli d.C.; e sui 500 milioni quelli sulla fine del Medio Evo (cfr B.M. GROSSAT, Connaître l’évolution de la population mondiale, in Projet, maggio 1974, n. 85, 559).

22 Ad esempio: relativismo ideologico ed eccessiva fiducia nell’autoguida gli fanno scrivere: «Gli educatori dell’era super-industriale non devono tentare di imporre allo studente una rigida serie di valori: devono invece organizzare sistematicamente attività, ufficiali e non ufficiali, che aiutino lo studente a definire esplicare e mettere alla prova i propri valori, quali che essi siano». (p. 414); l’indebito passaggio dal mutare dei dati sociologici a quello dei valori gli fa ritenere ormai «non pertinenti [sic!] gli scopi tradizionali delle nostre massime istituzioni: lo Stato, la Chiesa [...],. (p. 467), e le competenze educative dei genitori (p. 244); gli fa proporre il matrimonio sperimentale (pp. 251, 383) ed una religione-surrogato alla Comte (pp. 390 ss.).

23 Gaudium et spes, nn. 40 e 1. – Specialmente in tutta l’Esposizione introduttiva di questa Costituzione conciliare si anticipa quanto il Toffler è andato rilevando e documentando. Vi si legge, tra l’altro, che la Chiesa sente che «il genere umano vive oggi un’epoca nuova nella sua storia, caratterizzata da profondi e rapidi mutamenti» (n. 4); vi si parla di «attuale turbamento degli animi e di trasformazioni delle condizioni di vita» (n. 1), addirittura di «accelerazione della storia, tale da poter essere seguita con difficoltà dagli uomini» e di passaggio «da una concezione piuttosto statica della realtà ad una concezione più dinamica ed evolutiva, col sorgere di un formidabile complesso di nuovi problemi» (ivi); che «il tipo di società industriale [...] trasforma radicalmente concezioni e condizioni secolari di vita sociale» e che con la mobilità «gli uomini cambiano il loro modo di vivere» (n. 6); che «genitori ed educatori si trovano in crescente difficoltà nell’adempimento dei loro doveri: ci si accorge che istituzioni, leggi, modi di pensare e di sentire ereditati dal passato non sempre si adattano alla situazione attuale, onde un profondo disagio nel comportamento e nelle stesse sue norme» (n. 7). Vi si parla anche di «conflitto tra generazioni contigue e nei nuovi tipi di rapporti tra uomo e donna» (n. 8),«ed anche che l’uomo si rende conto che dipende da lui orientare bene le forze da lui stesso suscitate, e che possono schiacciarlo o servirgli». (n. 9).

24 Ivi, 11 e 4.

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Articolo estratto dal volume IV del 1977 pubblicato su Google Libri.

Il testo è stato corretto dai refusi di stampa e formattato in modo uniforme con gli altri documenti dell’archivio.

I riferimenti ai documenti del magistero pontificio sono stati resi interattivi e portano al sito del progetto “Chiesa e Comunicazione”, la biblioteca digitale online che prosegue l’attività iniziata da p. Baragli con le opere Cinema cattolico: documenti della Santa Sede sul cinema e Comunicazione Comunione e Chiesa.

ARTICOLO SU

Docente o consulente in non si sa quante università, fondazioni e comitati; già redattore o collaboratore nelle riviste Fortune, Life, Horizon e Annals of the Academy of Political and Social Science, Alvin Toffler è noto in USA per aver curato il volume Schoolhouse in the City (N.Y., 1968), come autore di The Culture Consumers, e soprattutto dell’opera sua maggiore: Future Shock. La quale, invece, benché sia stata prontamente tradotta in italiano1 ed abbia esaurito due edizioni in due anni, da noi non ha riscosso la risonanza che meritava; forse perché soffocata dal clamore allora sollevato dall’opera maggiore – sotto alcuni aspetti, similare – di Marshall McLuhan2, o a causa della discutibile profilassi e terapia che il Toffler faceva seguire alla sua, invece, validissima diagnosi sul mondo d’oggi, e su quello futuro – ci si perdoni il bisticcio – ormai «presente».

Perciò mette conto, pensiamo, riprenderne la lettura, rilevarne la tesi di fondo, ed alcuni dei moltissimi dati di fatto con cui l’Autore cerca di convalidarla; quindi integrarli liberamente, questi dati di fatto, ad altri ormai pacifici tra sociologi ed antropologi, per approdare ad alcune considerazioni, estranee alla visuale del Toffler, ma di grande momento per quanti operano in attività educative, di consiglio e pastorali, in un mondo e in un tempo storicamente «unico» come il nostro.

Un’umanità in movimento

S’è detto «diagnosi» e «profilassi-terapia». Infatti tutto il volume procede nella visuale di un quadro clinico, in cui il paziente è il mondo di oggi in fase critica di trapasso verso una – ultima e conclusiva? – epoca umana. Sociologi ed economisti l’hanno detta chi «di post-civilizzazione» (K. Boulding) o «post-industriale» (D. Bell), e chi «elettrica» e del «Villaggio Cosmico» (M. McLuhan) o «tecnotronica» (Z. Brzezinski); mentre il nostro Autore preferisce dirla «super-industriale», diagnosticando al paziente, appunto, «choc del futuro».

Choc sta per scossa, collasso, trauma psichico. Per il Toffler – che l’usa per la prima volta in Horizon nel 1965 – il termine sta per: «L’angoscia, sia fisica sia psicologica, che deriva da un sovraccarico dei sistemi fisici di adattamento dell’organismo umano e dei suoi processi decisionali –, o, più in breve: «È la reazione umana all’eccesso di stimoli» (p. 324); perché – come egli spiega, impostando così la sua tesi –:

«Quando la diversità converge con la transitorietà e la novità, noi lanciamo a razzo la società verso una crisi storica di adattamento; creiamo un ambiente così effimero, così poco familiare e così complicato, da minacciare milioni di individui di un tracollo della capacità di adattamento. Questo tracollo è lo choc del futuro» (p. 320).

Individuare la causa di questo choc nei profondi mutamenti tecnico-economici e socio-culturali addensatisi più o meno in questo secolo non era difficile né originale. Soccorrevano i luoghi comuni collezionati da storici, filosofi, sociologi e letterati: dai «classici» Spengler, Huizinga, Huxley, Ortega y Gasset, Toynbee, Horkheimer, Adorno e Marcuse, giù giù sino a Fromm e White, Riesman e Galbraith, Bell, Borges, MacDonald, Mumford, Ellul, McLuhan. Si allineino essi con gli oraziani laudatores oppure con gli irrisóri temporis acti, siano essi denunciatori oppure patrocinatori del mondo d’oggi, anticipino apocalittiche oppure palingenesiche visioni del futuro: questo è certo, che tutti convengono nel ritenere il nostro mondo-ambiente radicalmente diverso ed inedito rispetto a tutti i «mondi» di tutte le epoche passate.

Nel cumulo di questi luoghi comuni rientrano, ovviamente, l’industrializzazione e l’urbanesimo, col conseguente tramonto delle civiltà contadina ed artigianale; rientrano la rivoluzione economica, col dilatarsi della borghesia e dei servizi terziari, l’estendersi del consumismo e del tempo libero; c’è anche la crisi di istituti una volta «eterni», quali la famiglia e la scuola; l’irrompere sulla scena dei giovani e dei giovanissimi, non più spettatori passivi ma attori; l’emancipazione della donna e il liberismo sessuale; e c’è la rivoluzione coloniale e razziale, e il peso nuovo, nella storia di oggi e di domani, del Terzo Mondo; e in campo religioso e cattolico ci sono la secolarizzazione, l’emergere del laicato, la crisi dell’associazionismo istituzionale, l’estendersi del dialogo ecumenico ed estraecumenico, la rivoluzione liturgica. Enumerarli tutti porterebbe lontano. Merita, invece, rilevarne due strettamente connessi con lo sviluppo tecnologico, e più attinenti – ci sembra – alla tesi del Toffler: la tutta moderna globale mobilità geografica dell’umanità, e la sua socializzazione attuata dai mass media.

Sono lontani i tempi quando la quasi totalità degli uomini passavano la vita radicati nel clan o nel villaggio che li aveva visti nascere, e quando i rarissimi che si muovevano viaggiavano a piedi o, al più, a cavallo. Oggi l’umanità è tutta in movimento perpetuo. Si spostano le masse – di contadini, verso le città; di lavoratori, dai Paesi poveri verso quelli industrializzati; del turismo, appunto «di massa» –, dopo che le due guerre mondiali di questo secolo hanno registrato gli spostamenti umani più massicci della storia, senza paragone maggiori di quelli delle grandi invasioni barbariche; e si muovono tutti, si può dire, gli uomini come in un frenetico moto browniano, a velocità anche supersoniche, in un habitat umano dilatato a dimensioni planetarie, e già cosmiche3.

Soprattutto sono revolute le epoche quando gli uomini, nella quasi totalità analfabeti, passavano l’esistenza nell’angustia di cerchie culturali impervie ad ogni apporto dissomigliante esterno: e ciò anche dopo che, da cinque secoli, la comunicazione scritta circolava divulgata dalla stampa di Gutenberg. Questa, infatti, a mezzo il secolo scorso, passava dal libro, contenitore di sapere, al giornale, veicolo d’informazione corrente, ed iniziava, così, insieme con l’alfabetizzazione, il processo di osmosi tra i gruppi e gli strati culturali umani. Ad accelerarlo venne il cinema; e sono venute soprattutto la radio e la televisione, superando, via-antenne e satelliti, ogni barriera culturale e ideologica, geografica e giuridica. Ed oggi siamo al confluire di tutti gli strumenti di comunicazione sociale in una globale comunicazione tecnotronica, causa primaria ed, insieme, espressione più vistosa di una umanità quasi completamente integrata – il «Villaggio Cosmico» di McLuhan! – in una universale «socializzazione»4. Per effetto congiunto di questa generale mobilità spaziale e di questo continuo flusso di informazioni e di esperienze tra gruppi e tra strati sociali e culturali, altri mutamenti concorrono a rendere «nuovo» – e, per molti, allarmante – il mondo d’oggi. Tale, ad esempio – contro l’ancora recente immobilismo, orizzontale e verticale, dei gruppi umani – l’odierna mobilità sociale: nelle differenze di classe, nell’accesso indiscriminato di tutti alla cultura e alle professioni, nell’attribuzione di ruoli e di status – economici, politici, di prestigio –, con funzioni, magari informali ma efficacissime, di guide e di modelli delle masse. Tale, anche, specie per l’intrusione tecnologica ed economica dei mass media, l’odierna pubblicizzazione di tutti gli avvenimenti, vale a dire: da una parte la rapida riduzione dell’ambito della vita privata (privacy) e – data la pratica incustodibilità di ogni segreto – la messa in pubblico di tutto, non appena rivesta l’aspetto di «notizia»; e, dall’altra, la progressiva riduzione di comportamenti, personali o di gruppi, che abbiano conseguenze soltanto individuali o private, ogni comportamento così pubblicizzato coinvolgendo effetti (e responsabilità) almeno di esemplarità sociale.

Innovazione tutta moderna è pure il già accennato venir meno delle istituzioni tradizionali – famiglia, scuola e chiesa – che fino a qualche decennio fa monopolizzavano l’educazione e la formazione culturale e religiosa dei minori. La stampa di Gutenberg cominciò a battere in breccia il monopolio della chiesa; il giornale, e la stampa d’informazione in genere, hanno continuato con gli altri. Oggi i mass media, «autorità» onnipresenti ed indiscusse, non solo sono «il focolare, la cattedra e il pulpito» dei minori, ma – svuotata ormai la tradizionale distinzione e successione tra età dell’apprendimento ed età adulta – costituiscono l’ormai necessaria scuola permanente universale, che monopolizza la globale acculturazione di tutti.

Infine, altro notevole e caratteristico mutamento del tempo nostro è il tramonto delle tradizionali culture-società omogenee e «delle certezze», con l’avvento di una cultura-società pluralistica ed opinionale. In verità, nelle decorse culture contadine «chiuse», quel poco che si conosceva del mondo lo si conosceva, o per indiscutibile esperienza personale diretta, o per tramite dell’insegnamento dommatico del proprio gruppo, che, o non conosceva voci eterogenee, o le sopprimeva quali minacce contro la propria stabilità; invece, nelle odierne società intercomunicanti il novantanove per cento del moltissimo che si conosce del mondo si conosce per tramite di informazioni mediate, per lo più dai mass media, e proveniente da fonti eterogenee. Di qui una radicale opinabilità, e l’affievolirsi dei valori, veri o presunti, che cementavano i gruppi; quindi di qui anche il necessario convivere dei singoli e dei gruppi con altri che si rifanno a valori e a modelli diversi, e che secondo questi diversi valori e modelli regolano le proprie scelte e i propri comportamenti.

Movimento accelerato

Per non pochi autori – scienziati o letterati – che hanno rilevato queste mutazioni del tempo d’oggi, molte di esse, già da sole, se non proprio di choc, sono motivo di legittime apprensioni per l’immediato futuro umano; e non a torto. Si pensi, per restare ai mass media, alle tutt’altro che ipotetiche manipolazioni delle masse da parte di pochi; e si pensi, in tema di sviluppo tecnologico, all’esasperata urbanizzazione5, alla polluzione ecologica, allo sperpero delle risorse energetiche e al loro esaurirsi6; e soprattutto alla manipolazione biologica dell’uomo7 e all’accumulo di potenziale distruttivo, chimico e atomico. Tuttavia, non sono tanto queste mutazioni in se stesse che fanno diagnosticare al Toffler lo «choc del futuro», quanto l’accelerazione esponenziale, sconosciuta al passato, con la quale esse avvengono e si accavallano. In realtà, siamo passati dalle epoche ad evoluzioni tecnico-sociali millenarie o secolari, all’epoca delle rivoluzioni a ritmo, si può dire, quotidiano. Non per nulla oggi i teenager chiamano «matusa» le persone di trent’anni, e nessuno di noi è certo di trovare domattina il mondo quale l’ha conosciuto ieri; mentre è certo che se un uomo, morto nel sesto o quinto millennio a.C., fosse tornato in vita tre o quattro millenni dopo, avrebbe trovato il mondo pressappoco quale l’aveva lasciato, e che lo stesso sarebbe successo ad uomini che avessero lasciato il mondo, rispettivamente, nel 1000 (o nel 1600) d.C., e vi fossero tornati cinque secoli (o un secolo) dopo8.

Giova ricordare, in proposito, perché emblematica di tutte le altre, l’accelerazione della velocità di traslazione spaziale umana. Scrive il Toffler (p. 33):

«Nel 6000 a.C. il mezzo di trasporto di cui l’uomo poteva disporre per percorrere lunghe distanze era la carovana di cammelli, che in media avanzava di 12 Km all’ora. Soltanto al 1600 a.C., quando venne inventato il cocchio, la velocità massima fu portata grosso modo a 32 Km all’ora. [...] Risultò così difficile superare tale limite di velocità, che quasi 3500 anni dopo, quando la prima diligenza postale incominciò a funzionare in Inghilterra, nel 1784, essa aveva una velocità media di soli 16 Km all’ora. La prima locomotiva a vapore, entrata in uso nel 1825, riusciva a raggiungere la velocità massima di soli 20 Km orari, e le grandi navi a vela di quell’epoca navigavano faticosamente a una velocità inferiore a quest’ultima di oltre la metà. Soltanto intorno al 1880, probabilmente, l’uomo, mediante una locomotiva a vapore perfezionata, riuscì a raggiungere la velocità di 160 Km all’ora. Occorsero alla razza umana milioni di anni per arrivare a tale primato.
«Occorsero però appena 58 anni per quadruplicare il limite, per cui, nel 1938, l’uomo, su un mezzo aereo, superava la velocità di 640 Km orari9. Ci volle un breve intervallo di tempo, di soli 20 anni, per raddoppiare nuovamente il limite. E negli anni ’60, gli aerei a reazione si avvicinavano a velocità di 6.400 Km all’ora, e gli uomini in capsule spaziali giravano intorno alla Terra alla velocità di 29.000 Km orari. Tramutata in grafico, la linea che rappresentasse i progressi nella trascorsa generazione balzerebbe verticalmente fuori pagina».

Non è difficile al Toffler moltiplicare gli esempi di simili accelerazioni nei campi più diversi: da quello dell’editoria libraria10, alla scoperta degli elementi della Tavola Periodica di Mendeleev11, all’avvicendarsi delle correnti artistiche e delle mode12. Ma, salvo sviste, gliene sfugge uno rilevantissimo: quello dell’accelerazione dei mezzi e strumenti della comunicazione e dell’informazione umana. Era, infatti, da rilevare che, se occorsero ben quattro millenni per passare dalla comunicazione scritta-ideografica a quella scritta-alfabetica, e se occorsero più o meno tre millenni per passare da quella manoscritta a quella stampata; sono bastati quattro secoli per arrivare a leggere l’informazione quotidiana sui giornali, appena un secolo per poterla ascoltare, quasi istantaneamente, per radio, e soli venticinque anni per poter partecipare, quasi di presenza, agli eventi vedendoli alla televisione. Di qui quell’accumulo tutto moderno dell’informazione che lo stesso Toffler – per quanto un po’ all’americana – non manca di rilevare (p. 170):

«Negli Stati Uniti, il tempo medio dedicato dagli adulti alla lettura dei quotidiani è di 52 minuti al giorno. La stessa persona [...] impiega inoltre tempo leggendo riviste, libri, cartelli, manifesti, ricette, istruzioni, etichette sui barattoli, pubblicità sulle scatole di cartone contenenti generi alimentari, e così via. Circondato dai caratteri a stampa, l’uomo d’oggi “ingerisce” da 10.000 a 20.000 parole stampate al giorno. Lo stesso individuo, inoltre, impiega probabilmente un’ora e un quarto al giorno ascoltando la radio [...]. Se ascolta notizie, pubblicità, commenti o altri programmi del genere, udirà, in questo intervallo di tempo, circa 11.000 parole passate al vaglio. Egli impiega inoltre parecchie ore guardando la televisione, quindi altre 10.000 parole circa, oltre a tutta una sequela di immagini accuratamente disposte e intensamente intenzionali [...]. Attualmente l’adulto americano medio è aggredito da un minimo di 560 messaggi pubblicitari ogni giorno [...]. Tutto ciò costituisce la pressione dei messaggi costruiti contro i suoi sensi. E la pressione sta aumentando».13.

Quali, secondo il Toffler, nel nostro mondo operativo e psicologico, gli effetti di questa generale accelerata mutazione tecnologica? Principalmente due, peraltro connessi: il continuo scontrarsi dell’uomo d’oggi in «novità», ed il suo trapasso – vedremo se, e perché, traumatico – da una visione del mondo, delle sue cose e dei suoi eventi, da durevole a transitoria.

Transitorio – per seguirlo in alcune sue esemplificazioni – l’uso dei prodotti: per l’espandersi dell’uso in noleggio, a scàpito di quello in proprietà; per la loro rapida obsolescenza, prevista, e spesso programmata, dalla stessa produzione; per il diffondersi di prodotti espressamente confezionati ed offerti con: «Usa una sola volta, e butta via!»; ed anche per la precaria vendibilità di molti di essi, diversi solo nell’aspetto ma equivalenti, perciò succubi di mode, tanto esplosive quanto effimere14. Transitorio anche tutto il mondo, diciamo, della cultura: sia perché l’intero sistema della conoscenza appare soggetto a violenti sconvolgimenti, stante anche l’instabilità, ormai congenita ai linguaggi d’oggi, degli stessi simboli comunicativi: siano essi parole, gesti o procedimenti logici; sia per il già accennato scavalcarsi di scoperte e di progressi, che rendono presto incolmabili le lacune di quanto, pochi anni prima, si è appreso, ed anche di quanto la propria esperienza personale, magari specialistica, è andata accumulando; come pure per le imprevedibili e labili mode che anche in questo settore aggiudicano i successi15.

Transitori e labili soprattutto i rapporti umani. Nelle famiglie: già salde intorno ai patriarcali «focolari domestici», ed oggi nomadi tra domicili diventati poco più che «zone di parcheggio»16; negli agglomerati urbani, dove – come già notava Max Weber – si è vicini senza essere «prossimi»: vale a dire non più legati da vincoli interpersonali stabili per tutta la vita, come si era nei piccoli centri; nei rapporti professionali, e di lavoro in genere: tanto rispetto alla permanenza in determinati ruoli e mansioni, quanto rispetto alla durata delle forme stesse organizzative, siano esse di ricerca, di produzione o politiche. Ultra-specializzate le competenze tecniche nella società super-industrializzata, e ridotti i poteri decisionali dei «gerarchi», scade il concetto stesso di strutture permanenti-eterne, e quello di burocrazia come stabile struttura gerarchica rigida di dirigenti ed esecutori, che angustiava Kafka, Orwell e Whyte. Subentrano, alle strutture permanenti, gruppi di lavoro «progetto», o task-force, temporanei per definizione; ed alla burocrazia subentra l’Ad-hocrazia: vale a dire strutture organizzate secondo scopi occasionali, ed a competenze, per così dire, cinetiche17.

Insomma, se millenni fa occorreva la speculazione dei filosofi per congetturare che in questo nostro mondo niente perdura e «tutto scorre», l’uomo di oggi «lo sente» nella sua esperienza di ogni giorno.

Reazione di orientamento, reazione decisionale

E siamo alla diagnosi: «Choc del futuro». Il Toffler, in sintesi, ragiona così. L’uomo, col suo mondo ambiente, è un biosistema. Il mutamento nella qualità e quantità degli stimoli, non solo è necessario alla sua vita, ma è; la sua vita; e, alla stessa stregua, è; la sua vita l’adattamento. Tuttavia, come per la sua vita fisica – si pensi alle variazioni del nutrimento, della temperatura, della composizione e pressione atmosferica, della gravitazione, dell’accelerazione del moto – esistono limiti all’adattamento, così ne esistono per la sua vita psichica. Finisce col nuocergli l’abbassamento, sotto una certa soglia, dell’intensità e della frequenza di nuovi stimoli; caso limite: l’angoscia da isolamento in individui a lungo segregati da ogni contatto umano. Ma, anche a prescindere dall’intensità, finisce col nuocergli pure l’accelerazione, sopra una certa soglia, di stimolazioni insolite. Intanto perché l’accelerazione esaspera le reazioni di orientamento [=RO] – caso estremo: la reazione di spavento –, scotendo le modalità di routine nelle quali ordinariamente percepiamo il mondo ambiente18; e soprattutto perché l’accelerazione di situazioni-stimoli sempre nuovi, moltiplicando i casi di conflitti e di incertezze di scelta, moltiplica anche gli stress più o meno intensi, che rendono più o meno sofferte, e quindi temibili, le nostre reazioni decisionali [= RD].

Senza ricorrere a specialistiche spiegazioni endocrinologiche19, ce lo prova l’esperienza di ogni giorno. Come tutti gli animali, siamo anche noi organismi abitudinari. La ripetizione di scelte uguali in condizioni similari genera in noi, appunto, degli abiti; e questi ci ineriscono addosso come una seconda natura: ci ritroviamo come «programmati». Cambiarli, soprattutto con l’avanzare degli anni, oltre che difficile, diventa sempre più fastidioso. Secondo la legge dell’inerzia, tendiamo a permanere nello stato di moto o di quiete – e più in questa che in quello! – in cui ci si adagia; insomma nel «quieto vivere», che promette equilibrio psichico, buona salute, lunga vita. L’esistenza, è vero, s’incarica poi di fornirci la nostra quota parte di incertezze e di preoccupazioni, di turbamenti e di conflitti. Ma affrontarli era meno difficoltoso, e prevederne faceva meno paura, quando era consentito credere che si trattava di eccezioni, e non della norma; di momenti passeggeri, presto ricordi, e non di uno stato di crisi permanente e perpetuo. Ed oggi, come s’è visto, non è più così. Di qui la reazione umana all’eccesso di stimoli, e il temuto tracollo della capacità di adattamento; appunto: lo choc del futuro.

Ad acuirlo, concorrono tre dati di fatto. Intanto, niente ci autorizza a supporre che il prossimo futuro non possa accelerare ancor più la transitorietà delle cose e delle situazioni, e quindi che non debba richiedere ancora maggiore duttilità di adattamento. Padronissimi, i lettori, di diffidare del Toffler quando, estrapolando sulle situazioni USA, si lancia in ipotesi avveniristiche; ma sta il fatto che non è agevole dire, oggi, dove finisca la futurologia e dove cominci la fantascienza, e che ormai è poco probabile che scienziati e intellettuali si arrischino – come ancora in un recente passato – a dichiarare assurda qualche invenzione20. Altra verità è che, le passate grandi crisi di civiltà – comprese quelle del passaggio dall’evo antico all’evo medio, e da questo all’evo moderno –, crisi-cardine limitate negli spazi, prolisse nei tempi, in un mondo pressoché inabitato21 e praticamente analfabeta, venivano avvertite solo da individui e gruppi isolati; mentre nel denso agglomerato umano che è il mondo d’oggi, a comunicazione-informazione istantanea ed ubiquitaria, il radicale passaggio di cultura e di civiltà di cui siamo spettatori ed oggetto, viene vissuto, con esiti di autorisonanza, a livello di masse. Infine è da rilevare che spesso, tanto in fase di sperimentazione quanto in fase di previsione, suscita meno problemi ed ansie di adattamento importare in toto, senza fasi e tempi intermedi, una cultura integrata e ben strutturata, o immettersi in toto in essa, che non accettare successive intrusioni di elementi, incoerenti con le strutture superstiti; e che tale è appunto la situazione delle generazioni di oggi.

«Nei prossimi trenta o quarant’anni dobbiamo prevedere, non già una singola ondata di mutamento, ma tutta una serie di [...] sommovimenti e scotimenti. Le varie parti della nuova società, anziché essere accuratamente adattate l’una all’altra, abbonderanno incongruamente di collegamenti mancanti e di evidenti contraddizioni. Non esiste per noi la possibilità di adottare un “intero modulo”». (p. 368).

Per conto suo, circa il futuro, il Toffler, da buon americano, si mostra al cento per cento integrato e ottimista. Confidando nel miracolismo dell’elettronica e dell’automazione, rifiuta gli incubi apocalittici anti-burocrazia di Orwell e di Kafka (p. 130), anti-tecnologia di Fromm e di Marcuse (p. 317), anti-standardizzazione di Ellul e di Toynbee (p. 264), ecc. Inoltre, crede possibile correggere la stessa spinta acceleratrice mediante un controllo sociale dello sviluppo economico (pp. 425 ss.). Tuttavia, pur affermando: «Non v’è alcunché d’inevitabile [...]: dipende da noi foggiare il mutamento. Possiamo scegliere un futuro anziché un altro», fedele alla sua tesi deve pure concludere: «Ma non possiamo mantenere il passato. Nelle nostre forme della famiglia, come nella nostra economia, nella scienza, nella tecnologia e nelle relazioni sociali, saremo costretti a far fronte al nuovo» (p. 259). Di qui una sua profilassi e terapia anti-choc.

La profilassi consiste nel rendere gli individui infinitamente più adattabili al mutamento di quanto siano mai stati in passato (p. 42); mezzo principe: una educazione-scuola (pp. 398 ss.) che li interessi, non tanto a commemorare il passato, quanto a prevedere il futuro; li educhi a destreggiarsi nel surplus informativo dei mass media, a formulare giudizi critici ed a scegliere secondo gli stessi; soprattutto: insegni loro, non tanto a catalogare nozioni, presto insufficienti, quanto – secondo la formula dello psicologo Herbert Gerjouy – a sempre «imparare ad imparare» (p. 411):

«La nuova educazione deve insegnare all’individuo il modo di classificare e riclassificare l’informazione, il modo di valutarne la veridicità, il modo di cambiare le categorie quando sia necessario, il modo di passare dal concreto all’astratto e inversamente, il modo di esaminare i problemi da un punto di vista nuovo [...], il modo di insegnare a se stesso. L’analfabeta di domani non sarà l’uomo che non sa leggere; sarà l’uomo che non ha imparato a imparare».

La terapia prevede tutta una serie di rimedi (pp. 368 ss.): dalla tattica personale di ridurre gli stimoli superflui, magari riservandosi zone di pausa esterne ed interne, sulla quale ci si può dire senz’altro d’accordo, a quelli di strategie sociali (pp. 379 ss.) – clan degli isolati, consiglieri computerizzati per dubbiosi, «comuni» matrimoniali, enclaves (ossia: isole del passato) –, sull’efficacia delle quali, e soprattutto su alcuni valori etico-religiosi che il Toffler – sociologo e non filosofo, agnostico e non moralista – sembra ignorare22, si potrebbe discutere a lungo. Ma preferiamo chiudere con alcune considerazioni che il volume dovrebbe, crediamo, suscitare in lettori cattolici, soprattutto se operatori pastorali.

Segni dei tempi

Come non mai nel passato, oggi «la Chiesa si trova nel mondo, ed insieme con esso vive ed agisce», facendone proprie «le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce»23: sarebbe strano, perciò, che non avvertisse lo choc del futuro cui il mondo è esposto, come pure se non provvedesse a superarne il contraccolpo nella sua stessa azione pastorale.

«La diagnosi precede la terapia; non possiamo aiutare noi stessi finché non diventiamo sensibilmente consapevoli del problema»: così il Toffler chiude il volume (p. 492); e questa, ci sembra, sia l’indicazione di cui occorre innanzi tutto tengano conto gli operatori della pastorale; non foss’altro per «capire», quanto possibile – prima, se necessario, di attribuirli «al Maligno» – tanti fenomeni odierni; ad esempio: il disorientamento e le nostalgie degli anziani, l’irrequietezza e la contestazione dei giovani, la precarietà e la confusione dei linguaggi, la crisi dell’autorità e delle gerarchie, il crollare delle istituzioni; ed anche certe «crisi d’identità» in sacerdoti e religiosi non più protetti da ambienti omogenei e da status sociali riconosciuti; e – detto tra parentesi – ne tengano conto rispettando la complessità delle cause, e non cercando «un’unica e limpida equazione, che spieghi tutte le complicate novità che minacciano d’inghiottirli». (p. 359).

Una volta fatti consapevoli del problema, occorrerà non soccombere allo choc del futuro, evitando – prima per se stessi, e poi anche in quelli tra i quali si opera – le tre forme più ricorrenti di disadattamento individuale (pp. 356 ss.). Tale il diniego puro e semplice della crisi odierna da parte di chi affermi, contro ogni prova, che tutto sommato si tratta di variazioni superficiali; che i giovani sono stati sempre ribelli; che sulla faccia della terra più le cose cambiano e più restano e resteranno le stesse; che anche oggi – per dirla con lo sfiduciato Qoelet (1,9) –: «Non c’è niente di nuovo sotto il sole». Tale anche l’imbozzolimento professionale di quelli che, sventolando l’alibi dell’aggiornamento specialistico, chiusi a tutto il resto, si illudono di stare al passo con i tempi. Tale, infine, la terza forma di disadattamento, di quanti ripiegano ossessivamente sul passato e, nell’attesa di improbabili ritorni, sfogano l’umor nero deplorando la nequizia dei tempi. Il Toffler non lo rileva, né era in grado di farlo: ma è quanto di più anacronistico si possa immaginare rispetto alla visione, tutta provvidenziale e pastorale, del mondo presente e futuro che, specialmente in questo post-Concilio, la Chiesa cattolica ha fatto propria:

«Il popolo di Dio, mosso dalla fede [...], cerca di discernere negli avvenimenti, nelle esigenze e nelle aspirazioni, cui prende parte insieme con gli altri uomini del nostro tempo, quali siano i veri segni della presenza o del disegno di Dio» [...]. «È dovere della Chiesa di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo, sicché, in modo adatto a ciascuna generazione, possa rispondere [...] sul senso della vita presente e futura»24.

In questa visione liberante, l’operatore pastorale è poi chiamato ad adattare le proprie reazioni: di orientamento, e decisionali-operative. Ovviamente, salvando in ogni caso valori essenziali ed irreformabili del messaggio cristiano; ed insegnandoli e testimoniandoli a quanti oggi, soprattutto giovani, ne soffrono la mancanza e cercano esperienze surrogatorie nella droga, nel sesso, nella violenza o in altri «messaggi» di altri «salvatori». Ma tenendo ugualmente conto dei maggiori spazi di libertà reclamati da una umanità fatta adulta, e consapevole di poter amministrare da sé, in un mondo pluralistico, le proprie sorti; ed, infine, non dimenticando la diffusa «psicologia dell’opinabile e del transitorio» che condiziona giudizi e scelte dell’uomo d’oggi. Quindi la necessaria maggiore apertura al dialogo; quindi l’ampio spazio da riservare alla libertà creativa – sino a ieri paventata e repressa quale pericolo della continuità –, con rischi calcolati di scelte inedite; quindi anche la duttilità delle stesse espressioni e formule linguistiche, e delle stesse strutture organizzative ed istituzionali, non rifiutando a priori il passaggio da quelle «burocratiche», rigide e perpetue, a quelle «ad-hocratiche», informali ed occasionali. In fondo si tratta di superare lo choc del futuro con un programma di allenamento giovanile, contro la sclerosi della vecchiaia. Bisogna ringraziare Irvin Toffler che – nonostante limiti e lacune – ce l’ha richiamato.

1 A. TOFFLER, Lo choc del futuro, Torino, Einaudi, 1972, 8º, .5.50. L. 5.500.

2 M. McLUHAN, Gli strumenti del comunicare, Milano, Il Saggiatore, 1967, 8º, L. 2.200 (Civ. Catt. 1967 III 495).

3 Citando R. Buckminster Fuller, l’Autore rileva (p. 82) che ancora nel 1914 l’americano tipico percorreva in media ogni anno 2 mila Km per semplici andirivieni a piedi, e 600 Km per viaggi a cavallo o con mezzi meccanici, totalizzando così nel corso della sua esistenza qualcosa come 140 mila Km; mentre oggi l’americano tipico provvisto di automobile percorre in media 16 mila Km l’anno. «Nel 1967, ad esempio, 108 milioni di americani fecero 360 milioni di viaggi comprendenti una notte trascorsa ad oltre 160 Km da casa. Questi soli viaggi equivalgono a 499 miliardi di Km percorsi. Anche ignorando l’esistenza delle flotte aeree di iumbo-iet, gli autocarri, le automobili, i treni, le ferrovie sotterranee e così via, i nostri investimenti sociali nella mobilità sono stupefacenti. Strade pavimentate e altre rotabili sono state aggiunte al paesaggio americano con il ritmo incredibile di 300 Km al giorno, in ogni singolo giorno di almeno gli ultimi vent’anni. Ciò equivale a 110 mila Km di nuove strade l’anno, quanto basta per girare tre volte intorno al globo terrestre».

4 A scanso di equivoci, occorre precisare che questo termine, nelle diverse discipline e ideologie, viene usato in accezioni diverse. Ad esempio, per economisti e giuristi vale spesso nazionalizzazione o statizzazione dei beni di produzione; in sociologia marxista sta per il processo di collettivizzazione che porta a morte l’economia capitalista a vantaggio del sistema socialista; mentre per psicologi e sociologi moderni sta per acculturazione: vale a dire, per il processo mediante il quale il bambino e l’adolescente – oppure l’adulto proveniente da altra cultura – s’integra al gruppo sociale facendone proprie le norme, i valori ed i comportamenti. Noi, invece, l’adoperiamo nella seguente accezione datane dalla Mater et Magistra (n. 58) e poi ripresa in vari documenti dal Vaticano II: «Il progressivo moltiplicarsi dei rapporti di convivenza, con varie forme di vita e di attività associata ed istituzionalizzazione giuridica, privata e pubblica»; o, più in breve, «l’accelerazione dell’interazione sociale».
Dati poi gli equivoci e le critiche che ancora perdurano sulla dizione «strumenti della comunicazione sociale, con cui il Vaticano II qualifica quelli che correntemente vengono detti mass media, non è fuori luogo ricordare che, nella mente del Concilio, l’aggettivo sociale della dizione rimanda esattamente alla socializzazione così intesa. Cioè: senza impegnarsi sul (discutibile e discusso) ruolo odierno dei mass media nella socializzazione in accezione di acculturazione, il Concilio ha detto, per antonomasia, «della comunicazione sociale» gli strumenti come la stampa, il cinema e la radiotelevisione: 1) in quanto ha ritenuto che questi strumenti, di loro natura, fanno comunicare, non tanto singoli individui, o gruppi primari (quale era la comunicazione interpersonale dei mezzi tradizionali), ma tendenzialmente tutta l’umanità, facendo vivere esperienze collettive – il «dialogo del mondo» – a individui e gruppi anche molto distanti tra loro nello spazio; 2) perché ha ritenuto questi strumenti quali fattori primari della odierna socializzazione, ed insieme: 3) li ha ritenuti «la» comunicazione propria di complessi umani già fortemente socializzati.

5 Scrive l’Autore (p. 30): «Siamo attualmente soggetti alla più estesa e rapida urbanizzazione cui il mondo abbia mai assistito. Nel 1850, soltanto 4 città del mondo avevano una popolazione di un milione o più di abitanti. Nel 1900 questo numero era salito a 19. Ma, entro il 1960, esistevano 141 metropoli, e oggi la popolazione urbana nel mondo sta aumentando vertiginosamente al ritmo del 6,5 per cento l’anno [...].
Questo solo, nudo, dato statistico significa il raddoppiamento della popolazione urbana della terra entro 11 anni».

6 Ancora l’Autore, citando lo scienziato atomico indiano Homi Bhabha, che presiedette la prima conferenza internazionale sugli impieghi pacifici dell’energia atomica: «Allo scopo di chiarire la tendenza all’accelerazione nel consumo d’energia, serviamoci della lettera “Q” per rappresentare l’energia ricavata bruciando 33 mila milioni di tonnellate di carbone. Nei 18 secoli e mezzo dopo Cristo, l’energia totale consumata è stata in media inferiore a mezzo Q per secolo. Ma nel 1850 il consumo era salito a un Q per secolo. Oggi il consumo è di circa dieci Q per secolo»; questo significa che, in termini approssimativi, la metà di tutta l’energia consumata dall’uomo nei trascorsi duemila anni è stata consumata negli ultimi cento.

7 Scrive, tra l’altro, in proposito l’Autore (p. 202-203): «Si immaginino le conseguenze di importanti scoperte biologiche relative a quella che potrebbe essere denominata tecnologia della nascita». Il dottor Hafer [...], un biologo onorato in tutto il mondo, ha affermato pubblicamente, sulla base dei propri stupefacenti studi relativi alla riproduzione, che, tra appena dieci o quindici anni, le donne saranno in grado di acquistare un minuscolo embrione surgelato, di portarlo dal proprio medico, di farselo impiantare nell’utero, e di tenerlo in sé nove mesi, mettendolo quindi al mondo come se fosse stato concepito nel loro stesso corpo. L’embrione, in effetti, verrebbe venduto con la garanzia dell’assenza di ogni difetto genetico del bambino. L’acquirente potrebbe inoltre essere informata in anticipo sul colore degli occhi e dei capelli del bambino, sul suo sesso, sulla sua statura probabile una volta raggiunta la maturità, e sul probabile quoziente d’intelligenza»; e commenta: «Molto tempo prima che simili progressi vengano compiuti nello spazio esterno l’impatto della nuova tecnologia delle nascite si farà sentire sulla terra, distruggendo i nostri concetti tradizionali della sessualità, della maternità, dell’amore, della procreazione e dell’educazione dei figli. Le discussioni sul futuro della famiglia imperniate soltanto sulla pillola trascurano la pozione biologica delle streghe che sta bollendo attualmente nei laboratori. Le scelte morali ed emotive che ci aspettano nei prossimi decenni sono tali da far vacillare la mente».
Ed a proposito dei prossimi «Cyb-org» (fusioni uomo-macchine) a p. 211:
«Oggi ci sforziamo di realizzare valvole cardiache o arterie artificiali che imitino gli organi da sostituire. Miriamo all’equivalenza funzionale. Quando avremo vinto le difficoltà fondamentali, però, non ci limiteremo a inserire negli individui aorte di plastica soltanto perché la vera aorta sarà sul punto di cedere. Inseriremo organi artificiali appositamente progettati che saranno migliori di quelli umani, dopodiché inseriremo organi tali da consentire all’individuo capacità prima assenti. Come l’ingegneria genetica promette di creare “super-persone”, la tecnologia degli organi lascia intravedere la possibilità di super-atleti dotati di polmoni o di cuori con capacità senza precedenti; di scultori dotati di un congegno “neurale” che intensificherà la sensibilità del tatto; di amanti con apparecchi neurali che intensificheranno le capacità sessuali. In breve, non ci limiteremo ai trapianti per salvare una vita, ma ce ne avvantaggeremo per potenziare l’esistenza, per rendere possibile il conseguimento di stati d’animo, condizioni, o estasi, le quali ci sono attualmente precluse».
«In queste circostanze, che ne è delle nostre antiche definizioni di “natura umana”? Che cosa si proverà essendo in parte protoplasma e in parte transistori? Quali possibilità, esattamente, si dischiuderanno? Quali limiti si porranno al lavoro, alla ricreazione, al sesso, alle reazioni intellettuali ed estetiche? Che cosa accadrà alla mente quando cambierà il corpo? Problemi come questi non possono essere rinviati ancora a lungo, in quanto progredite fusioni di uomo e macchina – denominate "Cyb-org”: – sono più vicine di quanto sospetti la maggior parte degli uomini».

8 Mentre andiamo in macchina, scorriamo la recente versione italiana di P. CHAUNU, De l’histoire à la prospective, Paris, Laffont, 1975, 8º, 397 (Storia e scienza del futuro, Torino, SEI, 1977, 8º, 353. L. 4.000). Il volume, sotto molti aspetti eccellente, e in alcuni punti vicino alla problematica del Toffler, merita senza dubbio un commento, e non di poche righe; sicché non è detto che non ci ritorneremo su. Per il momento notiamo che l’Autore, da eminente storico qual è, apporta numerosi ed efficaci esempi di accelerazioni storiche, da lui qualificata «il moltiplicatore», riconoscendo che «vi sono buone ragioni per attribuire al fenomeno una grande importanza» (p. 72), dopo aver rilevato che «la maggioranza dei fenomeni che osserviamo fuori della natura nel dominio della storia, ossia dell’uomo, si presentano, nel campo di osservazione di una vita, come una crescita, quasi sempre come una crescita accelerata. Anzi, ci si è potuti domandare se in ciò appunto non risieda la caratteristica del nostro tempo».

9 Con ragione il traduttore del Toffler corregge: «Per l’esattezza, Francesco Agello, pilota dell’aviazione italiana, nel 1934, raggiunse la velocità di 709 Km all’ora su un idrovolante Macchi-Castoldi 72».

10 Antecedentemente al 1500, in base alle valutazioni più ottimistiche, l’Europa produceva libri al ritmo di 1.000 titoli l’anno. Ciò significa [...] che sarebbe occorso un intero secolo per formare una biblioteca di 100.000 titoli. Nel 1950, quattro secoli e mezzo dopo, il ritmo si era accelerato così nettamente che l’Europa produceva 120.000 titoli all’anno. Quanto in passato aveva richiesto un secolo, richiedeva adesso dieci mesi appena. Nel 1960, un solo decennio dopo, il ritmo aveva compiuto un nuovo balzo significativo, per cui l’opera di un secolo poteva essere completata in sette mesi e mezzo. E alla metà degli anni ’60, su scala mondiale, Europa compresa, la produzione libraria si avvicinava alla cifra prodigiosa di 1.000 titoli al giorno». (p. 38).

11 «Prima di Gutenberg erano noti soltanto 11 elementi chimici. L’antimonio, il 12.mo, fu scoperto press’a poco mentre egli stava lavorando alla sua invenzione. Ben 200 anni erano trascorsi dalla scoperta dell’11.mo elemento: l’arsenico. Se le scoperte fossero continuate con lo stesso ritmo, avremmo oggi aggiunto soltanto due o tre elementi alla Tavola Periodica. Invece, nei 450 anni susseguitisi dai tempi di Gutenberg sono stati scoperti altri 70 elementi circa. E a partire dal 1900 abbiamo isolato i rimanenti elementi, non al ritmo di uno ogni due secoli, ma di uno ogni tre anni». (p. 39).

12 «Se datiamo, grosso modo, l’intervallo impressionista tra il 1875 e il 1910, osserviamo un periodo di predominio protrattosi approssimativamente per 35 anni. A partire da allora nessuna scuola e nessuno stile hanno dominato la scena per un periodo sia pure così breve. L’uno dopo l’altro, gli stili si soppiantano a vicenda. La scuola più duratura del XX secolo, “espressionismo astratto”, dominò il campo per 20 anni al massimo, dal 1940 al 1960, per poi essere seguita da un accavallarsi frenetico di altre scuole: l’arte pop durata forse 5 anni, l’arte op, che riuscì ad afferrare l’attenzione del pubblico per due o tre anni; quindi vi fu l’emergere [...] dell’arte cinetica, la cui stessa ragione d’essere è la transitorietà». (p. 178).

13 Ed a proposito di aggiornamento specialistico nota: «I componenti più abili ed intelligenti della società ammettono di incontrare difficoltà nel tenersi aggiornati con il diluvio di nuove conoscenze, sia pure in campi estremamente ristretti [...]. Il dottor Emilio Segre, Premio Nobel per la fisica, dichiara: “Soltanto per quanto concerne i mesoni-K, lèggere tutto ciò che se ne scrive è un’impossibilità”». (p. 161).

14 Documenta l’Autore: «Nel 1966, circa 7.000 nuovi prodotti sono affluiti ai supermercati americani. Ben il 55% di tutti i prodotti venduti in essi non esistevano 10 anni fa. E dei prodotti allora disponibili, il 42% è scomparso del tutto. Ogni anno il processo si ripete in una forma più estrema. Così, il 1968 ha veduto 9.500 nuovi prodotti nel solo settore dei beni di consumo confezionati, uno solo dei quali su cinque ha raggiunto i traguardi di vendita previsti. Un attrito silenzioso, ma rapido, uccide i vecchi prodotti, e i nuovi dilagano come una marea. Prodotti che si sono venduti bene per 25 anni [...] adesso, il più delle volte, non possono contare su più di 5 anni. Nei volatili settori farmaceutico ed elettronico, il periodo si abbrevia, il più delle volte, fino a 6 mesi». (p. 77).

15 L’Autore chiude la sua documentazione in proposito notando: «Un tempo l’uomo imparava la lingua della sua società e se ne serviva, con scarsi mutamenti, per tutta la vita. Il suo “rapporto” con ogni parola e ogni gesto appresi era duraturo. Al giorno d’oggi, in misura stupefacente, non lo è più». (p. 177); ed a proposito di labilità dei successi letterari scrive: «Negli Stati Uniti un paperback appare simultaneamente in più di 100 mila edicole, ma soltanto per essere spazzato via da un’altra marea di pubblicazioni distribuite appena 30 giorni dopo. Il libro si avvicina in questo modo alla transitorietà della rivista mensile [...]. La permanenza dei best-seller nell’elenco del New York Tìmes si riduce rapidamente [...]. Se esaminiamo i quattro anni dal 1953 al 1956 e li paragoniamo a un periodo analogo un decennio dopo, possiamo costatare che il best-seller medio nel periodo precedente continuò a figurare nell’elenco per ben 18,8 settimane. Un decennio dopo, la permanenza si era ridotta a 15,7 settimane. In un periodo di 10 anni la durata di vita del best-seller medio era diminuita di quasi un sesto». (p. 167).

16 Documenta il Toffler: «In un solo anno (1967-1968), 600.000 americani [...] hanno cambiato residenza. più della popolazione totale della Cambogia, del Ghana, del Guatemala, dell’Honduras, dell’Iraq, di Israele, della Mongolia, del Nicaragua e della Tunisia messi insieme. Come se l’intera popolazione di tutti questi Paesi si fosse improvvisamente trasferita altrove [...]. Ogni anno un americano su cinque ha cambiato indirizzo, conducendo con sé i figli, una parte delle suppellettili di famiglia, e cominciando una nuova vita in un’altra località». (p. 84).

17 Ancora l’Autore: «Le T/O [Tabelle Organizzative] una volta valevano per anni: oggi in tre mesi diventano pergamene da Mar Morto». (p. 113). «Quanto più rapidamente muta l’ambiente, tanto più breve è la durata della vita delle forme organizzative. Nella struttura organizzativa [...] stiamo passando da forme assai durature a forme temporanee, dalla permanenza alla transitorietà. Stiamo passando dalla burocrazia alla Ad-hocrazia». (p. 141). «L’uomo super-industriale, invece di occupare una nicchia permanente, ben delimitata, e di svolgere stupidi compiti di routine eseguendo ordini impartiti dall’alto, constata ogni giorno di più di doversi assumere la responsabilità di prendere decisioni, e di doverlo fare nell’ambito della struttura di un’organizzazione caleidoscopicamente mutevole, basata su relazioni umane altamente transitorie». (p. 146).

18 Spiega il neurologo russo N. Sokolov (p. 333): «Determinate cellule neurali nel cervello accumulano informazioni sull’intensità, la durata, la qualità e la sequenza degli stimoli in arrivo. Quando affluiscono nuovi stimoli, essi vengono confrontati con i “modelli neurali” della corteccia cerebrale. Se gli stimoli sono nuovi, non corrispondono ad alcun modello neurale esistente, e allora ha luogo la RO. Se, invece, il processo di confronto rivela la loro somiglianza con modelli precedentemente accumulati, la corteccia irradia segnali al sistema di attivazione reticolare [...]. In questo modo il livello di novità nel nostro ambiente ha conseguenze fisiche dirette».

19 «Quando gli individui sono costretti a procedere a ripetuti adattamenti alle novità, ed in particolare sono costretti ad adattarsi a determinate situazioni che implicano conflitti e incertezze, una glandola grande come un pisello» – l’ipofisi – «pompa nel sangue un certo numero di sostanze. Una di esse, l’ACTH, va nelle capsule surrenali, e fa sì che, a loro volta, esse producano certe sostanze anti-infiammatorie per combattere le infezioni nelle ferite, se ve ne sono. E incominciano a trasformare i grassi e le proteine in energie disperdibili, attingendo così al serbatoio di riserva dell’organismo. Questa reazione di adattamento consente un afflusso di energia più potente e sostenuto di quello della RO». (p. 336).

20 Opportunamente l’Autore ricorda (p. 218) che nel 1865 un direttore di un quotidiano rassicurava i suoi lettori sull’impossibilità di trasmettere la voce lungo dei fili, e che dieci anni dopo funzionava il telefono Bell; che il famoso astronomo americano S. Newcomb aveva negato la possibilità di volo dell’uomo a lunghe distanze, e che pochi mesi dopo i fratelli Wright iniziavano l’era dei voli; che qualche anno dopo, un altro esperto giudicava segno di debolezza mentale pensare al moto di una carrozza senza cavalli, e che, sei anni dopo, la milionesima Ford usciva dalla catena di montaggio; infine che il grande Rutherford, scopritore dell’atomo, nel 1933 dichiarava impossibile liberare l’energia contenuta nell’atomo, e che dopo solo nove anni la reazione a catena era una realtà.

21 Contro i circa 4 miliardi di oggi, calcoli più o meno probabili dànno tra i 5 e i 20 milioni di abitanti della Terra nei cinque millenni a.C.; tra i 200/300 milioni quelli nei primi tre secoli d.C.; e sui 500 milioni quelli sulla fine del Medio Evo (cfr B.M. GROSSAT, Connaître l’évolution de la population mondiale, in Projet, maggio 1974, n. 85, 559).

22 Ad esempio: relativismo ideologico ed eccessiva fiducia nell’autoguida gli fanno scrivere: «Gli educatori dell’era super-industriale non devono tentare di imporre allo studente una rigida serie di valori: devono invece organizzare sistematicamente attività, ufficiali e non ufficiali, che aiutino lo studente a definire esplicare e mettere alla prova i propri valori, quali che essi siano». (p. 414); l’indebito passaggio dal mutare dei dati sociologici a quello dei valori gli fa ritenere ormai «non pertinenti [sic!] gli scopi tradizionali delle nostre massime istituzioni: lo Stato, la Chiesa [...],. (p. 467), e le competenze educative dei genitori (p. 244); gli fa proporre il matrimonio sperimentale (pp. 251, 383) ed una religione-surrogato alla Comte (pp. 390 ss.).

23 Gaudium et spes, nn. 40 e 1. – Specialmente in tutta l’Esposizione introduttiva di questa Costituzione conciliare si anticipa quanto il Toffler è andato rilevando e documentando. Vi si legge, tra l’altro, che la Chiesa sente che «il genere umano vive oggi un’epoca nuova nella sua storia, caratterizzata da profondi e rapidi mutamenti» (n. 4); vi si parla di «attuale turbamento degli animi e di trasformazioni delle condizioni di vita» (n. 1), addirittura di «accelerazione della storia, tale da poter essere seguita con difficoltà dagli uomini» e di passaggio «da una concezione piuttosto statica della realtà ad una concezione più dinamica ed evolutiva, col sorgere di un formidabile complesso di nuovi problemi» (ivi); che «il tipo di società industriale [...] trasforma radicalmente concezioni e condizioni secolari di vita sociale» e che con la mobilità «gli uomini cambiano il loro modo di vivere» (n. 6); che «genitori ed educatori si trovano in crescente difficoltà nell’adempimento dei loro doveri: ci si accorge che istituzioni, leggi, modi di pensare e di sentire ereditati dal passato non sempre si adattano alla situazione attuale, onde un profondo disagio nel comportamento e nelle stesse sue norme» (n. 7). Vi si parla anche di «conflitto tra generazioni contigue e nei nuovi tipi di rapporti tra uomo e donna» (n. 8),«ed anche che l’uomo si rende conto che dipende da lui orientare bene le forze da lui stesso suscitate, e che possono schiacciarlo o servirgli». (n. 9).

24 Ivi, 11 e 4.

In argomento

Massmedia

n. 3405, vol. II (1992), pp. 260-268
n. 3351, vol. I (1990), pp. 260- 269
n. 3310, vol. II (1988), pp. 351-363
n. 3218, vol. III (1984), pp. 144-151
n. 3200, vol. IV (1983), pp. 158-164
n. 3202, vol. IV (1983), pp. 362-368
n. 3195-3196, vol. III (1983), pp. 209-222
n. 3197, vol. III (1983), pp. 402-408
n. 3188, vol. II (1983), pp. 154-161
n. 3191, vol. II (1983), pp. 463-467
n. 3179, vol. IV (1982), pp. 464-467
n. 3141, vol. II (1981), pp. 222-237
n. 3088, vol. I (1979), pp. 351-359
n. 3075-3076, vol. III (1978), pp. 223-238
n. 3072, vol. II (1978), pp. 566-573
n. 3062, vol. I (1978), pp. 151-159
n. 3055, vol. IV (1977), pp. 45-53
n. 3053, vol. III (1977), pp. 385-398
n. 3045, vol. II (1977), pp. 260-272
n. 3034, vol. IV (1976), pp. 336-351
n. 3036, vol. IV (1976), pp. 580-587
n. 3022, vol. II (1976), pp. 323-336
n. 3013, vol. I (1976), pp. 20-36
n. 2990, vol. I (1975), pp. 144-157
n. 2983, vol. IV (1974), pp. 36-48
n. 2973, vol. II (1974), pp. 250-256
n. 2967, vol. I (1974), pp. 258-263
n. 2961, vol. IV (1973), pp. 258-263
n. 2950, vol. II (1973), pp. 347-358
n. 2942, vol. I (1973), pp. 144-150
n. 2927, vol. II (1972), pp. 451-456
n. 2911, vol. IV (1971), pp. 39-48
n. 2913, vol. IV (1971), pp. 235-253
n. 2907-2908, vol. III (1971), pp. 247-257
n. 2902, vol. II (1971), pp. 352-358
n. 2882, vol. III (1970), pp. 154-160
n. 2870, vol. I (1970), pp. 155-160
n. 2859-2860, vol. III (1969), pp. 219-230
n. 2856, vol. II (1969), pp. 576-580
n. 2847, vol. I (1969), pp. 250-253
n. 2739, vol. III (1964), pp. 246-254
n. 2729, vol. I (1964), pp. 422-435
n. 2702-2704, vol. I (1963), pp. 105-118, 313-325
n. 2636, vol. II (1960), pp. 124-39
n. 2612, vol. II (1959), pp. 113-124
n. 2548, vol. III (1956), pp. 400-408

In argomento

Tecnotronica-informatica

n. 3255, vol. I (1986), pp. 246-255
n. 3258, vol. I (1986), pp. 549-563
n. 3231, vol. I (1985), pp. 262-269
n. 3226, vol. IV (1984), pp. 366-374
n. 3206, vol. I (1984), pp. 131-139
n. 3034, vol. IV (1976), pp. 336-351