Articolo estratto dal volume II del 1983 pubblicato su Google Libri.
Il testo è stato corretto dai refusi di stampa e formattato in modo uniforme con gli altri documenti dell’archivio.
I riferimenti ai documenti del magistero pontificio sono stati resi interattivi e portano al sito del progetto “Chiesa e Comunicazione”, la biblioteca digitale online che prosegue l’attività iniziata da p. Baragli con le opere Cinema cattolico: documenti della Santa Sede sul cinema e Comunicazione Comunione e Chiesa.
Pare che l’economista e storiografo canadese Harold Adams Innis sia stato tra gli autori più familiari a varie generazioni di studenti americani. Tuttavia, tanto l’americana Encyclopaedia of Social Sciences (New York, 1949) quanto l’Encyclopaedia Britannica (London, 1961) lo ignorano. In Italia, poi, lo ignora la Treccani, e solo l’edizione italiana dell’Encyclopaedia Americana (New York, 1970), a firma di Comelius J. Jeanen dell’Università di Ottawa, tra biografia e bibliografia gli ha dedicato un terzo di colonna.
Dal commercio alla comunicazione
Veniamo così a sapere che l’Innis1 nasce a Otterville (Ontario, Canada) il 5 novembre 1894. Compie i suoi studi nella McMaster UNiversity nel 1918, e nella University of Chicago nel 1920. Nello stesso anno comincia a insegnare storia ed economia nell’Università di Toronto, e negli anni seguenti è uno dei più attivi rappresentanti della Chicago School, insieme con gli economisti e sociologi Thomstein Veblen, George Herbert Mead e Robert Ezra Park. S’interessa a problemi industriali e commerciali relativi allo sviluppo del Canada, come la produzione delle pellicce, la pesca del merluzzo e la gestione della Canadian Pacific Railway; e pubblica The Four Trade in Canada (1930), Settlement and the Mining Frontier (1936), The Cod Fisheries (1940). Negli ultimi dicci anni della sua vita si dedica allo studio sistematico di tutte le forme di comunicazione umana, elaborando di questa una complessa teoria; e, quasi tutte nella Toronto University Press2, pubblica in argomento le sue quattro opere di maggior rilievo: Political Economy and the Modern State (1946), Empire and Communication (1950), The Bias of Communication (1951) e Changing Concepts of Time (1952). Muore nello stesso anno, a Toronto, l’8 novembre.
Solo il più rilevante tra questi – The Bias of Communication –, dopo più di trent’anni viene oggi reso noto in Italia nella traduzione di Amleto Lorenzini3; con una Presentazione di Carlo Sartorie con un’Introduzione del «profeta dei media»; Marshall McLuhan.
Il volume raccoglie otto tra saggi e conferenze degli anni 1947-50. Dei quali, i primi cinque – La civetta di Minerva, Le tendenze della comunicazione, In difesa dello tempo, Il problema dello spazio e Industrialismo e valori culturali – trattano degli effetti prodotti dall’introduzione dei diversi materiali e mezzi di comunicazione – dall’argilla al papiro, dalla pergamena alla carta..., dalla scrittura alfabetica alla stampa e alla radio-televisione... – sulle strutture socioculturali e politiche delle diverse civiltà: da quelle sumera, babilonese ed egiziana, a quelle greco-romana, europea medievale e rinascimentale, a quelle moderne occidentali. Mentre due saggi, più attenti all’editoria e al moderno giornalismo, trattano dell’Industria editoriale inglese nel sec. XVIII e di Tecnologia e opinione pubblica negli Stati Uniti.
La lettura ne riesce piuttosto faticosa. Sia per le molte e lunghe ripetizioni, del resto inevitabili in volumi collettanei che, come questo, trattino di un’unica tesi o argomento; sia e soprattutto per lo stile tutto sbalzi e rimbalzi dell’Innis, il quale, come rilevano il McLuhan e il Sartori:
«presenta le sue intuizioni con una struttura a mosaico, costituita da frasi e aforismi che a prima vista non sembrano avere nessun rapporto e proporzione» (p. 13); «sdegna l’argomentazione che abbia un preciso ordine sequenziale, e fa invece balzare sulle pagine, quasi in modo psichedelico, eventi storici largamente separati nel tempo e nello spazio, i quali danno alla pagina stessa una parvenza di caleidoscopio, di mosaico di mille colori» (p. 9).
Sta, inoltre, il fatto che la tesi avanzata e sostenuta dall’Innis – vale a dire: che tale è il rapporto simbiotico dell’uomo con le sue tecnologie, che quando queste costituiscano le sue forme e veicoli di comunicazione, diventano la chiave per comprendere e spiegare tutti i mutamenti e gli esiti della storia umana –, se poteva molto interessare, perché nuova, nel lontano 1951, oggi, magari smussatene le punte deterministiche, passa per tanto pacifica che sembra superfluo insistervi.
Per il resto, non si può non ammirare, ancor oggi, la maestria e la sicurezza con cui l’Innis maneggia e confronta sei millenni di eventi storici, come pure la sua erudizione, alimentata da una sorprendente quantità di letture e di documentazione4. Che se qualche sua valutazione sul cristianesimo, e sul fatto religioso in genere, sembra meritare alcune riserve, queste vanno imputate, più che altro, agli autori da lui consultati e citati.
Precursore e maestro di McLuhan?
Qui si potrebbe chiudere la presentazione di questo volume dell’Innis se molti autori non ne avessero qualificato e valutato l’Autore quale precursore e maestro del «profeta dei media»; Marshall McLuhan5.
Scrisse, nel 1965, l’americano E. Boulding: «Col passare degli anni la statura dell’Innis diventa sempre più imponente, come quella del primo che ha scorto nelle comunicazioni la chiave per comprendere ogni fenomeno sociale [...]. Si può dire che i libri di McLuhan non sono altro che i razzi interplanetari partiti da questa base»6.
J. L. Hulteng qualificò l’Innis «precursore di McLuhan: meno vistoso, meno divertente, ma sotto certi aspetti più comprensibile» .
Continuò il linguista gesuita Walter Ong nel 1967 affermando: «L’opera del McLuhan è strettamente collegata a quella di Harold A. Innis [...], anche7 se pochi dei suoi ammiratori, e dei suoi critici, sembrano rendersi conto di questa relazione tra i due»8.
E soprattutto dedicò al confronto tra i due tutto un saggio il documentatissimo James W. Carey, professore di giornalismo all’Università dell’Illinois, che scrisse tra l’altro: «I due sono i soli, tra gli studiosi della società umana, che danno importanza alla storia dei mezzi di comunicazione nella civilizzazione in generale [...]. Tutti e due li vedono quali determinanti critiche della trama sociale [...]; tutti e due, più che descrivere la storia, presentano una teoria della storia o, meglio, dello sviluppo sociale dell’Occidente»9.
Ma più di tutto valgono le tre testimonianze dello stesso McLuhan.
Egli, fin dal 1954, scriveva: «H. A. Innis del The Bias of Communication [...] ebbe il gran merito di dissodare per primo questo campo di studio delle conseguenze sociali ed economiche nell’uso dei diversi mezzi di comunicazione. Egli merita tutta la riconoscenza da parte di quanti si applicano agli studi letterari per i suoi acuti rilievi sulle modificazioni di “tempo/spazio” causate dall’uso dei nuovi media»10.
E lo stesso – che nel suo best seller del 1962 La galassia Gutenberg cita l’Innis almeno otto volte11 – del suo Empire and Communication scriveva: «Egli fu il primo a spiegare come popoli, quali i greci e i romani, che conobbero l’alfabeto, si siano sentiti spinti verso la conquista e l’organizzazione a distanza [...]. Egli spiegò anche perché la stampa causa il nazionalismo e non il tribalismo [...]. In breve, egli fu il primo a cogliere il fatto che il processo del mutamento è implicito nelle forme della tecnologia dei mezzi di comunicazione. Il presente libro vuole essere niente più che una postilla esplicativa della sua opera». E ancora: «Questo libro, nella sua espressione sino a questo momento, potrebbe essere considerato come un’unica glossa di una frase di Innis [in The Bias of Communication]: “Gli effetti della scoperta della stampa furono evidenti nelle feroci guerre di religione nei secc. XVI e XVII. L’energia applicata all’industria della comunicazione del sec. XX accelerò il consolidarsi delle lingue nazionali, il nascere del nazionalismo, lo scoppio delle rivoluzioni e una nuova furia di distruzione selvaggia”»12.
Per finire, ancora McLuhan, nella citata Introduzione a questo volume Le tendenze della comunicazione (p. 15) scriveva: «Mi piace pensare al mio La galassia Gutenberg come a una postilla alle osservazioni di Innis in materia di conseguenze psichiche e sociali, dovute prima alla scrittura e poi alla stampa. Lusingato dell’attenzione che Innis aveva dedicata ad alcuni miei lavori, mi volsi per la prima volta alla sua opera, iniziando dal saggio La civetta di Minerva [del 1947]».
Dipendenze e divari
Sennonché, la lettura almeno di questo Le tendenze della comunicazione prova che le cose non stanno propriamente così. Si scopre, infatti, che – a parte lo stile psichedelico, di cui s’è detto, in cui McLuhan gareggia vittoriosamente con l’Innis – le dipendenze tra i due Canadesi sono piuttosto scarse, mentre molti e rilevanti sono i divari.
È vero, infatti, che tutti e due s’interessano alle tecnologie via via introdotte dall’uomo nella sua plurimillenaria vita associata. Ma, mentre l’Innis resta attento quasi esclusivamente a quelle che – come s’è detto – investono i mezzi e veicoli della comunicazione umana propriamente detta, Mc Luhan, se non in La galassia Gutenberg, senza dubbio nel successivo best seller del 1964 Understanding Media 13 e negli scritti posteriori, include tra i media indifferentemente ogni tecnologia: dalla ruota alla strada, dall’abito all’abitazione, dal danaro all’automobile, alle armi... Viceversa, mentre McLuhan, non per nulla proveniente dalla letteratura, s’interessa solo alle modificazioni psico-sociologiche indotte negli individui attraverso il sensorio, l’Innis, non per nulla proveniente dall’economia, s’interessa soltanto delle modificazioni strutturali indotte dagli stessi nella società; e mentre McLuhan, soprattutto col suo famoso «Il mezzo è il messaggio», di fatto finisce col negare ogni efficienza ai messaggi-contenuti dei media, l’Innis semplicemente non ne tiene conto; e soprattutto, mentre McLuhan segue un suo ostinato determinismo monocausale nel fissare il rapporto tra media e sensorio umano, il determinismo dell’Innis risulta molto meno accentuato.
Lo stesso McLuhan lo rileva quando in termini sfumati scrive: «Innis ha trovato un modo di utilizzare le situazioni storiche come un laboratorio in cui sperimentare le caratteristiche della tecnologia [di comunicazione] nella formazione delle culture» (p. 17); ed è nel giusto Anthony Quinton notando: «La tesi [di McLuhan] deriva dalle ultime opere di Harold A. Innis, con la differenza che il Maestro la propone come chiave interpretativa, mentre il Discepolo l’afferma nel modo più superficiale, come principio di causalità nella storia»14.
Un altro rilevante divario tra i due sta nelle sottotesi con le quali essi cercano di avvalorare le proprie tesi-teorie principali. Per l’Innis, infatti, i media differenziano il proprio influsso soprattutto in rapporto alle due categorie dello spazio e del tempo: gli uni, durevoli, tendendo piuttosto a dilatare il primo; gli altri, istantanei, tendendo invece a ridurre il secondo. Sottotesi che, se ritrova qualche assonanza in quelle di McLuhan dei media «estensioni dell’uomo» e dell’«esplosione/implosione», resta del tutto estranea a quella della tipologia dei media distinti in hot/caldi e cool/freddi, fondamentale nel primo McLuhan, e a quella degli emisferi cerebrali, altrettanto fondamentale nell’ultimo McLuhan.
Nello «Choc del futuro»
A conoscenza di tutti gli scritti dei due canadesi, il citato J. W. Carey poteva chiudere il suo severo confronto tra il discepolo e il maestro molto contra il primo e piuttosto pro il secondo. Di quest’ultimo, invece, conoscendosi in Italia soltanto questo scritto, conviene qui astenersi da ogni giudizio di valore tra i due, per limitarsi a rilevare le utilità pratiche derivabili da quanto di valido offrono le loro tesi.
In breve si può affermare che a tutti e due spetti il merito di aver attirato l’attenzione dei massmediologi – e, per essi, dei sociologi e dei politici, degli educatori e dei pastoralisti – anche e soprattutto sugli effetti propri dei media sul tessuto umano, a preferenza degli effetti prodotti dai loro contenuti-messaggi, in passato privilegiati dalla sociologia e dalla pastorale. E, in particolare: a McLuhan il merito di aver rilevato gli effetti, profondi e duraturi, prodotti nelle strutture psicologiche degli individui; e all’Innis quello di aver rilevato gli effetti, legati al tempo, indotti nelle strutture sociali degli stessi. Si tratta di due aspetti complementari che, se vanno tenuti presenti per capire il passato culturale dell’umanità, vanno più che mai tenuti presenti nell’organizzare il prossimo futuro, che è ormai in rapido trapasso dal boom della televisione a quello della telematica.
1 Sull’Innis, fondamentali sono J. W. CAREY, Harold Innis and Marshall McLuhan, Iowa City 1966, riportato in spagnolo da R. ROSENTHAL, McLuhan: Pro &; Contra, Monte Avila, Caracas 1969, 299; e D. CREIGTON, Harold Adams Innis: Portriat of a Scholar, Toronto 1957. Seguono: E. BARAGLI, L’economista di Toronto, in Il caso McLuhan, Civiltà Cattolica, Roma 1980, 145; A. LORENZINI, Le radici letterarie di McLuhan, in Oggi e domani (luglio 1982) XI; M. McLUHAN, Introduzione a The Bias of Communication, Canadian University Paperbaks, Toronto 1964 (nella versione italiana, 13-22); C. SARTORI, I dioscuri del «villaggio globale», Presentazione di H. A. Innis, Le tendenze della comunicazione, SugarCo, Milano 1982; A. M. VERIN, A Innis quel che è di Innis, e a McLuhan quel che è di McLuhan, in Oss. Rom., 27 novembre 1982; Le tendenze della comunicazione di Harold A. Innis, ivi, 28 gennaio 1983.
2 Fa eccezione The Press. A Neglecter Factor in the Economic History of the Twentieth Century, pubblicato a Londra nel 1949. Postuma, nel 1981, è uscita la raccolta The Idea File of Harold Adams Innis.
3 Italo-canadese. amico di M. McLuhan, di questo ha tradotto in italiano La città come aula, Armando, Roma 1980 (Civ. Catt. 1980 III 445) e Dall’occhio all’orecchio, ivi, 1982 (Civ. Catt. 1983 I 207).
4 Continua McLuhan: «Ciascuna frase è una monografia compressa. Innis sintetizza una piccola biblioteca in ogni pagina, e spesso, per giunta, incorpora una piccola biblioteca di riferimenti nella stessa pagina» (p. 15).
5 Cfr E. BARAGLI, Il caso McLuhan, cit.; e Dopo McLuhan, LDC, Torino 1981.
6 E. BOULDING, Medium and the Message, in Canadian Journal of Economic and Political Science, maggio 1965, in G. E. STEARN, Pour ou contre McLuhan, Seuil Paris 1969, 61.
7 J. L. HULTENG, The Messenger’s Motives, New Jersey 1976, 249.
8 W. J. ONG, La presenza della parola, Il Mulino, Bologna 1970, 13.
9 J. W. CAREY, op. cit., 301.
10 M. McLUHAN, Joyce, Mallarmé and Press, in Sewanee Review, inverno 1914, in G. E. STEARN, op. cit., 110.
11 Cioè a 51 e 82: attribuendogli il merito di «aver svelato appieno il mito di Cadmo»; a p. 96: a proposito della dimensione orale e magica dello spazio acustico, ridotta dalla parola scritta; a p. 163: sulla «scrittura e il papiro, che resero possibili le forme organizzative dei primi imperi»; a p. 220: sul potere di penetrazione del sistema dei prezzi; a p. 132: a proposito dell’americana Guerra d’indipendenza del 1776; e a p. 340: sull’operato della stampa nella nostra esistenza.
12 M. McLUHAN, La galassia Gutenberg, Armando, Roma 1976, 82 e 286.
13 M. McLUHAN, Gli strumenti del comunicatore, Il Saggiatore, Milano 1967.
14 A. QUINTON, Salvación con rebaja, in R. ROSENTHAL, op. cit., 107.