NOTE
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1 Su questa controversia, cfr E. BARAGLI, L’Inter mirifica, S.R.C.S., Roma 19(,9, z34ss.; Difendo l’Inter mirifica, Ed. Paoline, Catania 1974, 79 ss.

2 Poi si riseppe come andarono le cose. Su sollecitazione di mons. Martin O’Connor, presidente dell’allora Pontificia Commissione per il cinema e la radio-televisione, il card. Alfredo Ottaviani pregò Giovanni XXIII, di cui era molto amico, d’interessare il Concilio anche ai mass media. Il Papa benevolmente acconsentì, pensando che si trattasse di un organo incaricato di assistere i giornalisti, e il mondo dell’informazione in generale, durante il Concilio: analogo al Segretariato per i fratelli separati, incaricato di assistere gli Osservatori durante i lavori del Concilio. Di qui nel suo motu proprio del 1 giugno 1960 Superno Dei nutu, l’istituzione «di un Segretariato [e non di una Commissione] per trattare tutti i problemi [expediendis questionibus] attinenti ai moderni mezzi di divulgazione del pensiero [...]: diretto da un prelato [e non da un cardinale]».

3 Avvisaglie in questo senso non erano mancate fin dalla fase preparatoria del Concilio. Nel marzo-aprile del ’62, infatti, nove membri della Commissione centrale preparatoria avevano suggerito: «Questi Schemi sono stati prephttps://www.chiesaecomunicazione.com/doc/doc.php?id=638arati con massima diligenza e competenza, e contengono molte cose utilissime. Tuttavia, molti ecc.mi Padri pensano che così non possono proporsi al Concilio. Sarebbe però un vero peccato se tanto lavoro andasse perduto [...]. Forse converrebbe che il Segretariato raccogliesse in un’Istruzione[...] ciò che non conviene proporre in Concilio[...] e lo pubblicasse con l’approvazione del Sommo Pontefice. Così si avrebbe il vantaggio di avere una legge non definitiva, come dev’essere un decreto conciliare, ma da mutare, completare e perfezionare».
Altre avvisaglie si profilarono in Aula nel Primo Periodo. Disse, per esempio, il card. G. Godfrey: «Dubito se sia materia da Concilio ecumenico, e penso che sia meglio pubblicare questa materia in un documento separato. Non di tutto, infatti, deve trattare il Concilio». E il card. L. Suenens: «Si potrebbe dare al testo un’approvazione di massima da parte del Concilio; poi, in seguito, si potrebbe pubblicare come documento del magistero ordinario della Chiesa».
A conferma, mons. G. G. Higgins, nell’U.S. Bishop’s Press Panel del 25 nov. 1963, comunicava che «numerosi Padri conciliari espressero la loro opinione, in privato, che ritenevano l’argomento non tanto importante perché il Concilio promulgasse un decreto in merito».

4 Dodici di essi si devono a Paolo VI, e sono:
Messaggio GMCS 1967: I militanti e tutti coloro che svolgono la propria attività nel vasto campo dei mass media;
Messaggio GMCS 1968: I mass media: vie e mezzi per costruire una società nuova in unione fraterna;
Messaggio GMCS 1969Mass media e famiglia;
Messaggio GMCS 1970Mass media e gioventù;
Messaggio GMCS 1971: I mass media al servizio dell’unità degli uomini;
Messaggio GMCS 1972: I mass media a servizio della verità;
Messaggio GMCS 1973Mass media e affermazione/promozione dei valori spirituali;
Messaggio GMCS 1974Mass media ed evangelizzazione del mondo contemporaneo;
Messaggio GMCS 1975: I mass media a servizio della riconciliazione;
Messaggio GMCS 1976Mass media e diritti/doveri fondamentali dell’uomo;
Messaggio GMCS 1977: La pubblicità nei mass media: vantaggi, pericoli e responsabilità;
Messaggio GMCS 1978: Il recettore dei mass media: attese, diritti e doveri.
E quattro sono stati di Giovanni Paolo II, e sono:
Messaggio GMCS 1979:  I mass media per la tutela e lo sviluppo dell’infanzia nella famiglia e nella società;
Messaggio GMCS 1980:  Ruolo dei mass media e compiti della famiglia;
Messaggio GMCS 1981:  I mass media al servizio della responsabile libertà dell’uomo;
Messaggio GMCS 1982:  I mass media e i problemi degli anziani.

5 Cfr E. BARAGLI, L’istruzione pastorale «Communio et progressio», in Civ. Catt. 1971 IV 39-48, 235-253.

6 Allocuzione al IX Corso dell’Università Gregoriana per giudici ecclesiastici, del 1 dic. 1981, in AAS 74 (1982) 225. Cfr anche la costituzione apostolica Sacrae disciplinae leges, del 25 genn. 1983, e la stessa Praefatio del Codice.

7 Precisamente: una volta in Christus Dominus (n. 13), una in Optatam totius (n. 2), due volte nella Gravissimum educationis (nn. 0 e 4), una volta nell’Apostolicam actuositatem (n. 8), tre volte in Ad gentes (nn. 19, 31 e 36), e tre volte nella Gaudium et spes (nn. 6, 54 e 61).

8 Il n. 13 del Christus Dominus, sull’insegnamento della dottrina cristiana da parte dei vescovi, una parte del quale si trova quasi ad verbum riportata nel c. 761.

9 Si tratta della Lettera della Segreteria di Stato alla Settimana Sociale di Nancy (Francia), del 14 lug. 1955, che ebbe per tema generale Les techniques de diffusion dans la civilisation contemporaine.

10 Coniato dal sociologo Zbigniev Brzezinski. in L’America nell’epoca tecnotronica, 1958, n. 3), il termine sta per «invasione dell’ele|ttronica nella tec|nica» dei mass media.

11 Da notare come i tre Segretari Generali fossero tanto convinti di essere nel giusto, e tanto dispiaciuti del trattamento subìto dai loro elaborati, che pensarono di rifarsi ad abundantiam nell’Istruzione pastorale applicativa del Decreto. Di qui un’altra loro disillusione. Infatti, a differenza di almeno due dei diffusissimi Schemi per essa elaborati dall’UIPC, dall’OCIC e dall’UNDA, il testo della Communio et progressio approvato nel 1971, su un totale di 187 numeri ne riserva solo 23 (dal 135 al 157) ai singoli media.

12 Nell’accezione originale del n. 58 della Mater et Magistra di Giovanni XXIII (25 maggio 1961), che la dà come «il progressivo moltiplicarsi di rapporti di convivenza, con varie forme di vita e di attività associata, ed istituzionalizzazione giuridica, privata e pubblica». – Al fenomeno accenna la Gaudium et spes: senza nominarlo, nei nn. 54 e 63; nominandolo, nei nn. 11, 41 e 71; e soprattutto nel n. 6, dove rileva i rapporti di causa e di effetto tra mass media e socializzazione: «Nuovi e più potenti strumenti di comunicazione sociale favoriscono nel modo più largo e rapido la conoscenza degli avvenimenti e la diffusione delle idee e dei sentimenti, non senza suscitare reazioni a catena [...]. In tal modo si moltiplicano incessantemente i rapporti dell’uomo con i suoi simili, e a sua volta questa socializzazione crea nuovi rapporti».

13 Fanno eccezione l’Apostolicam actuositatem, n. 8, dove i termini assumono un’accezione generica, e la Gaudium et spes, con accezione non del tutto precisa al n. 54, e dubbia al n. 61. Esatto è, invece, il subsidia communicationis socialis  del Gravissimum educationis, n. 0, dove s’intendono anche, ma non soltanto, questi strumenti.

14 Da notare anche l’enciclica i Paolo VI Sacerdotalis coelibatus, del 24 giu. 1967, ai nn. 73 ss; e, prima ancora, il n. 154 dell’enciclica di Pio XII Miranda prorsus, dell’8 sett. 1957: «Se poi il sacerdote ne usa per sé, il suo esempio di prudenza, di temperanza e di senso di responsabilità riesca di edificazione a tutti i fedeli».

15 A prescindere dall’uso dei mass media, tra i documenti conciliari concorda la Gravissimum educationis, che nel Proemio precisa: «Da parte sua [...] la Chiesa, per adempiere il mandato ricevuto dal suo divin Fondatore, che è quello di annunciare il mistero della salvezza a tutti gli uomini [...], ha il dovere di occuparsi dell’intera vita dell’uomo [...], in quanto connessa con la vocazione celeste»; e al n. 8 riprende: «Questo sacro Concilio ribadisce il diritto della Chiesa a fondare liberamente e a dirigere scuole di qualsiasi ordine e grado». Concorda la dichiarazione Dignitatis humanae, n. 13: «Nella società umana e dinanzi a qualsiasi pubblica autorità, la Chiesa rivendica a sé la libertà come autorità spirituale, fondata da Cristo Signore, alla quale per mandato divino incombe l’obbligo di andare nel mondo universo a predicare il Vangelo ad ogni creatura».

16 Salvo sviste, di pubblici «comunicati ufficiali» si parla soltanto nel n. 176 della postconciliare Communio et progressio, ma più che altro a proposito dell’informazione nella Chiesa.

17 In AAS 67(1975) 181.

18 Per il Concilio, cfr Sacrosanctum Concilium, n. 20 – Di Pio XII è da ricordare soprattutto la cit. enciclica Miranda prorsus, che al n. 124 ricorda «gli ammalati, o altrimenti impediti, che attendono ansiosamente di unirsi in qualche modo alle preghiere della comunità cristiana e al Sacrificio di Cristo»; e che al n. 139 precisa: "È ovvio che la partecipazione per televisione alla santa Messa [...] non è la stessa cosa che l’assistenza fisica al Divin Sacrificio, richiesta per soddisfare il precetto festivo. Tuttavia, i copiosi frutti che possono provenire per l’incremento della fede e la santificazione delle anime nelle trasmissioni televisive delle cerimonie liturgiche per quanti non vi potrebbero partecipare in altra maniera, ci inducono decisamente ad incoraggiare queste trasmissioni». Ed è da ricordare anche Giovanni XXIII, che nel Natale del 1961, durante una sua Messa trasmessa per radio-televisione, precisava agli astanti: «Con voi sono anche presenti, grazie alla radio e alla televisione, molti altri partecipanti invisibili. Pensiamo in particolare agli anziani e ai malati, che non potendo uscire di casa, hanno almeno il conforto di assistere in qualche maniera, alla Messa del Papa».

19 Così Giovanni XXIII nella Pacem in terris, n. 12: «Ogni essere umano ha il diritto [...] alla libertà della ricerca del vero [...] all’obiettività dell’informazione»; e così il Concilio: «Appartiene alla società umana il diritto all’informazione su quanto, secondo le rispettive condizioni, convenga alle persone, singole e associate» (Inter mirifica, n. 5); «Occorre che siano rese accessibili all’uomo tutte quelle cose che sono necessarie [...] alla necessaria informazione»; «Si esige che l’uomo sia informato secondo verità degli avvenimenti di carattere pubblico» (Gaudium et spes, nn. 26 e 59).

20 F. J. URRUTIA, Il nuovo Codice del postconcilio, in Civ. Catt. 1983 I 448.

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Articolo estratto dal volume III del 1983 pubblicato su Google Libri.

Il testo è stato corretto dai refusi di stampa e formattato in modo uniforme con gli altri documenti dell’archivio.

I riferimenti ai documenti del magistero pontificio sono stati resi interattivi e portano al sito del progetto “Chiesa e Comunicazione”, la biblioteca digitale online che prosegue l’attività iniziata da p. Baragli con le opere Cinema cattolico: documenti della Santa Sede sul cinema e Comunicazione Comunione e Chiesa.

ARTICOLO SU

Durante e dopo il Vaticano II qualcuno criticò il decreto sugli strumenti della comunicazione sociale Inter mirifica perché – asserì – «non conteneva niente di nuovo» rispetto al Magistero precedente in argomento. Ma giustamente da più parti gli si replicò che, dato e non concesso che la critica fosse giustificata rispetto al suo contenuto, in ogni modo il Decreto qualcosa di molto nuovo l’aveva, in quanto con esso, sui mass media, non si aveva più soltanto un altro atto del Magistero ordinario della Chiesa, bensì un atto della sua suprema e più solenne istanza magisteriale, quale un concilio ecumenico1.

Dall’«Inter mirifica» al nuovo «Codice»

Questo dato di fatto assume un peso ben maggiore quando si rilevino alcune singolari – e diciamo pure: provvidenziali – circostanze che accompagnarono il fortunoso iter pre- e conciliare del Decreto. Infatti, tanto per cominciare, i mass media vennero ammessi tra le materie conciliari solo per un fortunato equivoco iniziale di Giovanni XXIII2. Inoltre, contro ogni aspettativa, lo Schema ne venne presentato e discusso in Aula sullo scadere proprio del Primo Periodo conciliare; e non solo allora ne fu approvata quasi all’unanimità la sostanza, ma – contro alcuni, anche autorevoli, Padri, che proponevano di rimandarlo al Magistero ordinario3 – si riconobbe che «era quanto mai opportuno che la Chiesa trattasse di un problema di tanta importanza [proprio] nell’esercizio del suo Magisterio conciliare».

Non basta. Sulla fine del Secondo Periodo conciliare, lo Schema, anche troppo drasticamente ridotto proprio per evitarne l’eliminazione dall’Aula, divenne bersaglio di violente critiche extraconciliari, alcuni giornalisti francesi demolendolo come «privo di contenuto teologico, di approfondimento filosofico e di fondamento sociologico», alcuni tedeschi qualificandolo «del tutto sconveniente», ed alcuni americani denunciandolo come «indegno» di un decreto conciliare. Le critiche, divulgate da un poco conciliare volantinaggio all’ingresso della Basilica prima della penultima votazione in Aula, avvenuta il 25 novembre del ’63, fecero breccia in molti Padri, tanto che ben 503 di essi respinsero lo Schema con altrettanti Non placet. Fu allora che un noto perito conciliare, il padre Bernard Haering, previde il peggio commentando: «Probabilmente lo Schema non verrà promulgato come decreto conciliare, ma in forma privata, come istruzione». Fu merito, invece, di una coraggiosa, perché rischiosa, decisione di Paolo VI se lo Schema dell’Inter mirifica venne proposto alla votazione nella Sessione solenne del 4 dicembre 1963, insieme con la Sacrosanctum Concilium sulla liturgia, e che venisse approvato con 1960 Placet. Ma i 164 Non placet che anche in quel giorno totalizzò – un bel record negativo tra tutti i 16 solenni documenti del Vaticano II – restarono a ricordare il rischio che i mass media hanno corso di vedersi esclusi dal solenne Magistero conciliare della Chiesa.

Da allora, in questo ventennio, l’Inter mirifica ha segnato tre rilevanti frutti nel magistero e nella pastorale ordinari della Chiesa. Il primo è stato nella celebrazione dell’annuale «Giornata mondiale» dei mass media disposta dal numero 18 del Decreto, la quale, oltre a «sensibilizzare i fedeli sui loro doveri in questo settore», ha dato occasione a due Papi di solennizzarla con 16 messaggi su altrettanti problemi socio-morali connessi con i mass media, sviluppandone così una complessa dottrina pastorale4. Il secondo, più cospicuo, è stato nell’istruzione pastorale Communio et progressio sugli strumenti della comunicazione sociale, promulgata – dopo un settennio di faticose elaborazioni – da Paolo VI il 23 maggio 19715, e giustamente considerata la Magna Charta, insieme con l’Inter mirifica, dell’odierno magistero della Chiesa sui mass media. Finalmente, il terzo frutto – che sotto l’aspetto pastorale-giuridico è ancor più rilevante – sta nel posto che i mass media occupano nel nuovo Codice di diritto canonico, ovviamente del tutto ignorati in quello Pio-Benedettino del 1917.

Dai singoli media alla telematica

Come Giovanni Paolo II ha più volte precisato, questo nuovo Codice è stato «pensato, annunciato e preparato in sintonia del Concilio Vaticano II, come strumento giuridico e pastorale per raccogliere nel futuro, in maniera più certa e sicura, i frutti del Concilio»6. Ora, se si esaminano i 16 Documenti conciliari, si avverte che ben sei di essi trattano di mass media 7, ma che, di fatto, uno solo di essi trova un esplicito riscontro nei canoni del Codice8. Verrebbe, dunque, da concludere che la proclamata sintonia tra Codice e Concilio, almeno in quanto ai media, si riduce a ben poca cosa. Ma non è così. Perché, in quest’argomento, la sintonia va misurata, più che altro, in relazione alla generale nuova visuale socio-pastorale che dei mass media ha offerto l’Inter mirifica, e che, recepita da tutto il Concilio, da questo è passata al nuovo Codice.

Com’è noto, i mass media si sono presentati in tempi successivi sulla scena della moderna comunicazione umana. Negli ultimi settant’anni del secolo scorso praticamente regnò solo il Giornale. Fu poi la volta del Cinema. Negli anni ’20, e poi negli anni ’50, vennero la Radio e la Televisione. E, naturalmente, il magistero della Chiesa si espresse e sviluppò secondo quelle cadenze, via via interessandosi, perciò, ai problemi morali e pastorali dei singoli mass media, e soltanto in un caso isolato all’insieme di essi9.

Ma negli anni del Concilio 1962-’65 i rapporti tra i quattro media cambiavano profondamente. Le loro condizioni tecnico-industriali e socio-culturali li portavano a confluire nella tecnotronica10, l’autonomia operativa dei singoli fondendosi, così, in un unico loro impatto globale sull’umanità intera. E, tuttavia, la nuova situazione – se mi è permesso riandare a ricordi personali – parve sfuggire a molti del Segretariato conciliare incaricati di stendere lo Schema sui mass media. Sfuggiva, in particolare, ai Segretari generali delle tre Organizzazioni Internazionali – l’UIPC per la stampa, l’OCIC per il cinema e l’UNDA per la radio-televisione – incaricati di redigeme le rispettive sezioni particolari: i quali, per una, diciamola pure «quasi deformazione professionale», tendevano a considerare semplicemente introduttoria, e perciò da ridurre al minimo, la parte riguardante l’insieme dei media, ritenendo principali, invece, e quindi da sviluppare al massimo, quelle riguardanti, rispettivamente, la stampa, il cinema e la radio-televisione. Il che, a cose fatte, provocò – come s’è visto – da parte della Commissione Centrale la proposta di rimandare tutta la materia, come poco conciliare, al Magistero ordinario. La Provvidenza dispose invece il Voto con cui l’Aula, il 27 novembre ’62., ordinò che si riducesse all’osso lo Schema «stralciandone i principi dottrinali essenziali e le direttive pastorali più generali». Questo portò a consacrare tutto il Decreto all’insieme dei mass media, riservandone un solo numero, il 14, ai media singoli. Felice soluzione alla quale si deve se, tra l’altro, dopo un ventennio, l’Inter mirifica si presenta ancora attuale in tutte le sue parti, anche nell’ormai esploso boom della tecnotronica verso la telematica11.

Siffatta raggiunta visione globale sui mass media è passata a tutto il Concilio, e da questo al nuovo Codice, per tramite dell’originale terminologia elaborata ed introdotta dall’Inter mirifica. Si ricorderà come, non individuata ancora la materia specifica del futuro documento conciliare, il primo organismo avviato, nel novembre 1959, per prepararlo – cioè la III Commissione interna dell’allora Sacra Congregazione del Concilio – venne detto Dei mezzi moderni di apostolato. Il susseguente Segretariato pre-conciliare, del giugno ’60, si disse, invece, Della stampa e dello spettacolo, ragione sociale che, purtroppo, con la bolla Appropinquante Concilio, dell’agosto ’62, restò attaccata anche alla X Commissione conciliare, che infatti si disse (De fidelium apostolatu): De scriptis prelo edendis et de spectaculis moderandis.

Ma ricordo bene come, sin dal principio, non ci si rassegnò a denominazioni così o parziali o generiche o ambigue; e si andò subito in cerca di altre più comprensive, specifiche e non equivoche. Allora, tra le terminologie più correnti, si scartarono quelle di audiovisivi, di tecniche (o mezzi) di diffusione (o d’informazione) collettiva, e anche di mass media e di mass communications ...: in quanto giudicate anch’esse più o meno parziali, ambigue o non univoche; e, ritenendo quanto le stesse offrivano di valido, si formulò e si adottò la nuova terminologia di Strumenti della comunicazione sociale; valida, si giudicò, in quanto essa soltanto denotava tutti e soli «la stampa, il cinema, la radio, la televisione ed altri [mezzi] dalle stesse caratteristiche»: queste consistendo: 1. nell’alta tecnicità propria di essi (quindi: strumenti); 2. dalla quale dipende la loro alta idoneità di comunicazione; 3. caratterizzata come sociale, in quanto causa principale e, insieme, effetto della socializzazione12.

Negli altri suoi sei Documenti sopra ricordati, il Vaticano II l’ha adottata quasi sempre in senso proprio13; e lo stesso, di conseguenza, anche più conveniva che facesse il nuovo Codice, dato il suo carattere propriamente giuridico. Il quale, infatti, soltanto in due canoni – il 666 e il 747 – s’è permesso un inesatto «mezzi di comunicazione (sociale)», mentre in altri sette – e sono i cc. 671, 779, 804, 811, 813, 1063 e 1369 – ha fedelmente seguito la dizione «Strumenti della comunicazione sociale».

Un Titolo e nove Canoni

Passiamoli in rassegna nell’ordine in cui essi si presentano nel Codice.

Primo, e di carattere ascetico, viene il c. 666, nel Libro II: Sul popolo di Dio; nella Parte III: Degli istituti di vita consacrata e delle società di vita apostolica; al Capo IV: Dei doveri e dei diritti degli istituti e dei loro membri. Esso recita:

«Nell’uso dei mezzi di comunicazione si osservi la necessaria discrezione, e si eviti quanto è nocivo alla propria vocazione e pericoloso alla castità di una persona consacrata». 

Questa norma trova nel Vaticano II solo un vago riscontro nell’Optatam totius, che però tratta della formazione sacerdotale:

«Siano avvertiti circa i pericoli ai quali particolarmente nella società di oggi è esposta la loro castità; aiutandosi con mezzi divini e umani adatti, imparino a integrare nella loro persona la rinuncia al matrimonio in maniera tale che la loro vita e la loro attività non solo non abbiano a patire danno dal celibato, ma essi piuttosto acquistino un più perfetto dominio sull’animo e sul corpo e il vantaggio di una più completa maturità»14.

* * *

Secondo viene il c. 747. È nel Libro III: Sul dovere d’insegnare della Chiesa, e riguarda il diritto della Chiesa a possedere mass media propri (e d’insegnarne l’uso morale). Recita:

«§ 1. Cristo Signore ha affidato alla Chiesa il deposito della fede perché essa, con l’assistenza dello Spirito Santo, scrupolosamente lo custodisse, più intimamente lo penetrasse e fedelmente l’annunciasse e l’esponesse. Essa ha dunque il dovere e il diritto nativo di predicare il Vangelo a tutte le genti, anche usando mezzi propri di comunicazione sociale, indipendentemente da qualsiasi potestà umana.
«§1. Sempre e dappertutto compete alla Chiesa l’insegnare le norme morali anche nell’ordine sociale, come pure di dare giudizi di qualsiasi questione umana, in quanto esigiti dai diritti fondamentali della persona e dalla salute delle anime».

Ne è ovvia la dipendenza dal n.3 dell’Inter mirifica, che così, infatti, espone i compiti della Chiesa:

«Fondata da Cristo Signore per portare la salvezza a tutti gli uomini, e posta perciò nell’urgente necessità di diffondere il Vangelo, la Chiesa cattolica ritiene suo dovere predicare l’annuncio della salvezza anche con questi strumenti, e guidare gli uomini a farne buon uso.
«Spetta, dunque, alla Chiesa il diritto nativo di usare e di possedere questi strumenti, in quanto essi siano necessari o utili alla formazione cristiana cd alla sua globale opera salvifica delle anime; ed è compito dei sacri pastori educare e guidare i fedeli in modo che essi, anche usando di questi strumenti, tendano alla salvezza e perfezione propria e di tutta la famiglia umana».

Da notare: 1. come il canone, con «indipendentemente da qualsiasi potestà umana», chiarisce il «diritto nativo» del Decreto; 2. come lo stesso canone tratta solo dell’uso dei «mezzi», a prescindere dal loro possesso da parte della Chiesa, specificato, invece, dal Decreto; 3. infine, come tutti e due i testi sono espliciti nell’affermare i diritti della Chiesa rispetto ai mass media, contro i quali diritti durante e dopo il Concilio, si opposero tante critiche, specialmente tedesche15.

* * *

Sempre al Libro III: Sul dovere d’insegnare della Chiesa, ma al Titolo I: Del ministero della parola divina, viene, terzo, il c. 761, che tratta dell’uso dei mass media in dichiarazioni pubbliche in occasione di eventi particolari. I due testi a confronto mostrano la sua dipendenza, quasi ad verbum, dal n. 13 del conciliare Christus Dominus:

Dispone il canone: «Per annunciare la dottrina cristiana si usino i vari mezzi oggi disponibili; prima di tutto la predicazione e l’istruzione catechistica [...], ed anche l’esposizione della dottrina nelle scuole, nelle università, nelle conferenze, nei convegni d’ogni genere come pure la diffusione pubblica di dichiarazioni da parte della legittima autorità in occasione di qualche evento, con la stampa e con altri strumenti della comunicazione sociale»16.

Disponeva il Decreto: «Per la diffusione della dottrina cristiana ricorrano [i vescovi] ai vari mezzi che oggi sono a disposizione; in primo luogo alla predicazione e all’istruzione catechistica [...]; poi all’esposizione della stessa dottrina nelle scuole, nelle università, nelle conferenze, nei convegni di ogni specie; e infine alla diffusione con pubbliche dichiarazioni, in occasione di qualche speciale avvenimento, per mezzo della stampa e dei vari strumenti della comunicazione sociale».

* * *

Negli stessi Libro III e Titolo II, ma al Capo II, che è sull’insegnamento catechistico, viene, quarto, il c. 779, che riguarda l’uso anche, sembra, dei mass media, appunto, nella catechesi. Esso dispone:

«La formazione catechistica si dia con tutti i mezzi, sussidi didattici e strumenti di comunicazione che sembrino più efficaci affinché i fedeli, tenendo conto della loro indole, capacità ed età, possano più pienamente imparare la dottrina cristiana e meglio tradurla nella pratica».

Dico «sembra», perché – in mancanza di più espliciti luoghi paralleli conciliari – non è del tutto sicuro che il generico «strumenti di comunicazione», taciuto il «sociale», si riferisca ai mass media, o non piuttosto agli strumenti come sussidi, di cui il c. 775:

«§ 1. [...] Compete al vescovo diocesano stabilire norme sull’insegnamento catechistico, e anche provvedere a che la catechesi disponga di atti strumenti».

Affine a questo c. 779 sono il c. 772, che, a proposito di catechesi alla radio e alla televisione recita: «Nel trattare della dottrina cristiana alla radio e alla televisione si osservino le norme della Conferenza dei vescovi»; e il c. 831, che trattando della cooperazione dei fedeli e dei religiosi alla stampa e alla radio-televisione, stabilisce:

«§ 1. I fedeli nulla pubblichino nei giornali, opuscoli e periodici che apertamente sogliono andar contro la religione cattolica o la morale, se non per giusta e ragionevole causa; i chierici, poi, e i membri di istituti religiosi, soltanto con licenza dell’ordinario.
«§ 2. Compete alla Conferenza episcopale fissare le norme sulle condizioni con le quali sia lecito ai chierici e ai membri degli istituti religiosi prender parte a programmi radiofonici o televisivi, attinenti alla dottrina cattolica o alla morale».

* * *

Sempre nel Libro III, ma al Titolo III: Sull’educazione cattolica, e al Capo I: Della scuola, viene, quinto, il c. 804, che tratta delle competenze della Chiesa nell’educazione cattolica. Il § 1 reca:

«È soggetta all’autorità della Chiesa l’istruzione ed educazione religiosa cattolica in qualsiasi scuola venga impartita, o venga procurata con i vari strumenti di comunicazione sociale. Compete alle Conferenze episcopali emanare norme generali in questo settore, e al vescovo diocesano ordinarlo e vigilarlo».

 

In questo canone, come nell’affine precedente 779, si direbbe che l’uso dei mass media appartenga, più che altro, a un’ipotesi astratta. Perché, almeno allo stato presente delle cose, non si vede come essi possano concorrere in una sistematica, e non generica o occasionale, formazione catechistica e istruzione-educazione religiosa.

* * *

Sempre nel Libro III, al Titolo IV: Degli strumenti della comunicazione sociale e specialmente dei libri, viene, sesto, il c. 822 sull’uso ecclesiale dei mass media. Eccone il testo:

«§ 1. I pastori della Chiesa, nello svolgere i loro compiti, usando del diritto proprio della Chiesa, si preoccupino d’impiegare gli strumenti della comunicazione sociale.
«§ 2. Gli stessi pastori curino d’insegnare ai fedeli che sono tenuti a cooperare perché l’uso degli strumenti di comunicazione sociale sia vivificato da spirito cristiano.
«§ 3. Tutti i fedeli, e specialmente quelli che hanno responsabilità nella gestione e nell’uso degli stessi strumenti, siano solleciti nel concorrere con l’aiuto della propria opera all’azione pastorale, in modo che la Chiesa possa efficacemente esercitare il proprio compito anche con gli stessi strumenti».

Da notare l’inesattezza del Titolo, in quanto, con quel suo «specialmente», sembra supporre che i libri rientrino di per sé nella categoria dei mass media, quando invece ciò può verificarsi appena nel caso dei tascabili (livres de poche, Taschenbuch, paperbacks ...). Da notare inoltre le diversità piuttosto mitiganti con le quali il canone si rifà ai corrispondenti nn. 3 e 1 3 dell’Inter mirifica:

«[...] è compito dei pastori educare e guidare i fedeli in modo che essi, usando di questi strumenti, tendano alla salvezza e perfezione propria e di tutta la famiglia umana. Peraltro, è compito prevalente dei laici animare umanamente e cristianamente questi strumenti» (n. 3).
«[...] i sacri pastori siano solleciti nell’assolvere in questo campo [dei mass media] il loro compito strettamente connesso con il loro dovere ordinario della predicazione. Dal canto loro, i laici responsabili di questi strumenti renderanno sollecita testimonianza a Cristo [...] anche collaborando direttamente, secondo le proprie possibilità, all’azione pastorale della Chiesa, con prestazioni tecniche, economiche, culturali e artistiche» (n. 13).

Da notare, infine, che il canone applica a quanti operano nei mass media il diritto e dovere di tutti i fedeli, e in particolare dei laici, di collaborare all’evangelizzazione e di soccorrere la Chiesa nelle sue opere di apostolato, richiamato dai cc. 211, 222 e 225.

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Immediatamente, sotto lo stesso Titolo, segue il c. 813, introduttorio alle competenze dei vescovi circa i libri e affini. Esso dispone:

«§ 1. Per conservare l’integrità della fede e dei costu.ni, compito e diritto dei pastori della Chiesa è vigilare, affinché non si rechi danno alla fede e alla morale dei fedeli con gli scritti e con gli strumenti di comunicazione sociale [...].
«§1. Questo compito e diritto [...] compete ai vescovi, sia singoli sia in concili particolari, o anche alle Conferenze episcopali rispetto ai fedeli commessi alle loro cure. Compete, invece, alla suprema autorità della Chiesa rispetto a tutto il popolo di Dio».

Il canone riprende quasi ad verbum, ma inserendovi quanto riguarda i mass media, il testo introduttorio del decreto postconciliare Ecclesiae pastorum, sulla vigilanza dei vescovi riguardo ai libri e affini, edito dalla S. Congregazione per la Dottrina della Fede il 19 marzo 197517.

* * *

Nel Libro IV: Sul compito di santificare della Chiesa, al Titolo VII: Del matrimonio, al Capo I: Della cura pastorale da premettere alla celebrazione del matrimonio, penultimo dei canoni che trattano dei mass media viene il 1063:

«I pastori delle anime hanno il dovere di curare che la propria comunità ecclesiastica dia ai fedeli l’assistenza necessaria perché lo stato matrimoniale si conservi nello spirito cristiano e progredisca nella perfezione. Quest’assistenza va prestata prima di tutto:
«§ 1. Con la predicazione, la catechesi atta ai giovani e agli adulti, e perfino usando gli strumenti della comunicazione sociale, con cui i fedeli vengano istruiti sul significato del matrimonio cristiano e sui doveri dei coniugi e genitori cristiani».

A parte quel che sulla dignità del matrimonio e della famiglia, e sua valorizzazione, diffusamente espone la Gaudium et Spes ai nn. 47 e seguenti, il canone non trova riscontro in altri testi conciliari. Sulle improbabili possibilità sistematiche dei mass media in argomento, si direbbe che valga quanto è già stato rilevato a proposito del c. 804. 

* * *

Nel Libro VI: Delle sanzioni della Chiesa, alla Parte II: Sulle pene per i singoli delitti, al Titolo I: Dei delitti contro la religione e l’unità della Chiesa, ultimo della serie viene il c. 1369, che tratta della pena da irrogare ai pubblici peccatori nei mass media:

«Chi in pubblico spettacolo, o discorso, o scritto edito in pubblico, o in altro modo usando strumenti della comunicazione sociale, proferisca bestemmia, o offenda la morale, oppure esprima ingiurie, o ecciti odio o disprezzo, contro la religione o la Chiesa, venga castigato con una giust.a pena».

Il canone, amplificazione del c. 2323 del vecchio Codice: «Chi bestemmia [...] venga punito a prudente giudizio dell’ordinario», non ha bisogno di commento.

Quattro questioni non toccate

Come si vede, sui mass media il Vaticano II ha colto ottimi esiti in questo nuovo Codice di diritto canonico. Tuttavia, forse ne poteva cogliere di migliori, o di nuovi, se si fosse attuata una più fattiva collaborazione tra i suoi estensori e gli addetti ai lavori della Pontificia Commissione per le comunicazioni sociali. Intanto si sarebbero potute evitare le imprecisioni terminologiche, particolarmente importune in un testo giuridico. Inoltre, si sarebbero potute omettere, nei cc. 779, 804 e 1063, riferimenti ai mass media, come s’è visto, praticamente superflui, e ignorati dal Magistero così conciliare come ordinario. Riferimenti che, invece, potevano più utilmente serbarsi per almeno quattro questioni non poco rilevanti; quali: gli Uffici nazionali e diocesani dei mass media, la Giornata mondiale degli stessi, la trasmissione della Messa festiva alla radio e alla televisione, e il diritto all’informazione nella Chiesa.

Circa la prima questione è da notare che degli Uffici nazionali o diocesani dei mass media trattavano il n. 21 dell’Inter mirifica e i nn. 4, 168, 170, 171 e 177 della Communio et progressio, a proposito della loro collaborazione, rispettivamente, con le Conferenze episcopali e con i vescovi diocesani, specialmente nel coordinare le attività massmediali dei cattolici e nel preparare l’annuale Giornata mondiale. Una menzione, almeno degli Uffici diocesani, non sarebbe stata fuori luogo in riferimento al c. 512 del nuovo Codice, che circa la partecipazione dei fedeli al Consiglio pastorale dispone:

”§ 2. I fedeli che vengono assegnati al Consiglio pastorale vengano scelti in modo da rappresentare tutta intera la parte del popolo di Dio che forma la diocesi; tenendo presente [..] anche la parte che essi, singoli e associati, hanno nell’apostolato».

A proposito della seconda, si rileva che il nuovo Codice, al c. 791, dispone che «nelle singole diocesi, per aiutare la cooperazione missionaria [...] si celebri la Giornata annuale delle missioni; ma ignora la Giornata annuale dei mass media – l’unica, si noti, istituita da un concilio ecumenico! –, così disposta nel n. 18 dell’Inter mirifica:

«Per rendere più efficace il multiforme apostolato della Chiesa circa gli strumenti della comunicazione sociale, ogni anno, in tutte le diocesi, a giudizio dei vescovi, si celebri una “Giornata”, nella quale si istruiscano i fedeli sui loro doveri in questo settore, s’invitino a pregare secondo questa intenzione, e a offrire il loro denaro».

Circa il precetto festivo della Messa, utilmente il c. 1248 del nuovo Codice consiglia:

«Se, in mancanza del ministro sacro, o per altra grave causa, sia impossibile partecipare alla celebrazione eucaristica, molto si raccomanda che i fedeli partecipino alla liturgia della Parola celebrata, secondo le norme del vescovo diocesano, nella chiesa parrocchiale, o in altro luogo sacro; oppure consacrino un certo tempo alla preghiera personale, o in famiglia, o, se possibile, in incontri di famiglie».

Ora, è vero che il Canone non esclude che siffatta «preghiera personale, o in famiglia, o in incontri di famiglie» sia consigliabile farla anche assistendo alla Messa radio o teletrasmessa, ma si sarebbe gradito anche, e soprattutto, un cenno esplicito e pressante in argomento, stanti i molteplici rimandi del Magistero, anche conciliare, in argomento18.

Per finire: il diritto all’informazione, che è tra i fondamentali nell’odierna società umana, da anni è argomento di solenni dichiarazioni e convenzioni internazionali, e anche di non meno solenni documenti ecclesiali, pure conciliari19. Non sarebbe, perciò, stato male se il nuovo Codice avesse, analogamente, trattato in particolare del diritto all’informazione anche nella Chiesa, stanti anche i termini poco ortodossi in cui ne trattarono le ricordate polemiche conciliari e postconciliari a proposito di una pretesa lacuna dell’Inter mirifica. Il n. 119 della Communio et progressio ne offriva così la traccia: «Va riconosciuta ai singoli fedeli la facoltà e il diritto di essere informati su tutto ciò che occorre per prender parte attiva nella vita della Chiesa». Se osservata, detta norma avrebbe avvantaggiato psicologicamente e spiritualmente ogni attività in tutti i livelli ecclesiali: dalle diocesi alle parrocchie, dagli istituti religiosi alle società di vita apostolica.

* * *

A proposito del Codice Pio-Benedettino del 1917 è stato opportunamente rilevato che «in passato, partendo dal concetto filosofico, secondo il quale le leggi [...] hanno carattere di perpetuità, ci s’illudeva troppo che esse dovessero rimanere immutabili per sempre»20. È troppo augurarsi che, in un futuro più o meno prossimo, queste quattro questioni vengano prese in considerazione in questo nuovo Codice del postconcilio?

1 Su questa controversia, cfr E. BARAGLI, L’Inter mirifica, S.R.C.S., Roma 19(,9, z34ss.; Difendo l’Inter mirifica, Ed. Paoline, Catania 1974, 79 ss.

2 Poi si riseppe come andarono le cose. Su sollecitazione di mons. Martin O’Connor, presidente dell’allora Pontificia Commissione per il cinema e la radio-televisione, il card. Alfredo Ottaviani pregò Giovanni XXIII, di cui era molto amico, d’interessare il Concilio anche ai mass media. Il Papa benevolmente acconsentì, pensando che si trattasse di un organo incaricato di assistere i giornalisti, e il mondo dell’informazione in generale, durante il Concilio: analogo al Segretariato per i fratelli separati, incaricato di assistere gli Osservatori durante i lavori del Concilio. Di qui nel suo motu proprio del 1 giugno 1960 Superno Dei nutu, l’istituzione «di un Segretariato [e non di una Commissione] per trattare tutti i problemi [expediendis questionibus] attinenti ai moderni mezzi di divulgazione del pensiero [...]: diretto da un prelato [e non da un cardinale]».

3 Avvisaglie in questo senso non erano mancate fin dalla fase preparatoria del Concilio. Nel marzo-aprile del ’62, infatti, nove membri della Commissione centrale preparatoria avevano suggerito: «Questi Schemi sono stati prephttps://www.chiesaecomunicazione.com/doc/doc.php?id=638arati con massima diligenza e competenza, e contengono molte cose utilissime. Tuttavia, molti ecc.mi Padri pensano che così non possono proporsi al Concilio. Sarebbe però un vero peccato se tanto lavoro andasse perduto [...]. Forse converrebbe che il Segretariato raccogliesse in un’Istruzione[...] ciò che non conviene proporre in Concilio[...] e lo pubblicasse con l’approvazione del Sommo Pontefice. Così si avrebbe il vantaggio di avere una legge non definitiva, come dev’essere un decreto conciliare, ma da mutare, completare e perfezionare».
Altre avvisaglie si profilarono in Aula nel Primo Periodo. Disse, per esempio, il card. G. Godfrey: «Dubito se sia materia da Concilio ecumenico, e penso che sia meglio pubblicare questa materia in un documento separato. Non di tutto, infatti, deve trattare il Concilio». E il card. L. Suenens: «Si potrebbe dare al testo un’approvazione di massima da parte del Concilio; poi, in seguito, si potrebbe pubblicare come documento del magistero ordinario della Chiesa».
A conferma, mons. G. G. Higgins, nell’U.S. Bishop’s Press Panel del 25 nov. 1963, comunicava che «numerosi Padri conciliari espressero la loro opinione, in privato, che ritenevano l’argomento non tanto importante perché il Concilio promulgasse un decreto in merito».

4 Dodici di essi si devono a Paolo VI, e sono:
Messaggio GMCS 1967: I militanti e tutti coloro che svolgono la propria attività nel vasto campo dei mass media;
Messaggio GMCS 1968: I mass media: vie e mezzi per costruire una società nuova in unione fraterna;
Messaggio GMCS 1969Mass media e famiglia;
Messaggio GMCS 1970Mass media e gioventù;
Messaggio GMCS 1971: I mass media al servizio dell’unità degli uomini;
Messaggio GMCS 1972: I mass media a servizio della verità;
Messaggio GMCS 1973Mass media e affermazione/promozione dei valori spirituali;
Messaggio GMCS 1974Mass media ed evangelizzazione del mondo contemporaneo;
Messaggio GMCS 1975: I mass media a servizio della riconciliazione;
Messaggio GMCS 1976Mass media e diritti/doveri fondamentali dell’uomo;
Messaggio GMCS 1977: La pubblicità nei mass media: vantaggi, pericoli e responsabilità;
Messaggio GMCS 1978: Il recettore dei mass media: attese, diritti e doveri.
E quattro sono stati di Giovanni Paolo II, e sono:
Messaggio GMCS 1979:  I mass media per la tutela e lo sviluppo dell’infanzia nella famiglia e nella società;
Messaggio GMCS 1980:  Ruolo dei mass media e compiti della famiglia;
Messaggio GMCS 1981:  I mass media al servizio della responsabile libertà dell’uomo;
Messaggio GMCS 1982:  I mass media e i problemi degli anziani.

5 Cfr E. BARAGLI, L’istruzione pastorale «Communio et progressio», in Civ. Catt. 1971 IV 39-48, 235-253.

6 Allocuzione al IX Corso dell’Università Gregoriana per giudici ecclesiastici, del 1 dic. 1981, in AAS 74 (1982) 225. Cfr anche la costituzione apostolica Sacrae disciplinae leges, del 25 genn. 1983, e la stessa Praefatio del Codice.

7 Precisamente: una volta in Christus Dominus (n. 13), una in Optatam totius (n. 2), due volte nella Gravissimum educationis (nn. 0 e 4), una volta nell’Apostolicam actuositatem (n. 8), tre volte in Ad gentes (nn. 19, 31 e 36), e tre volte nella Gaudium et spes (nn. 6, 54 e 61).

8 Il n. 13 del Christus Dominus, sull’insegnamento della dottrina cristiana da parte dei vescovi, una parte del quale si trova quasi ad verbum riportata nel c. 761.

9 Si tratta della Lettera della Segreteria di Stato alla Settimana Sociale di Nancy (Francia), del 14 lug. 1955, che ebbe per tema generale Les techniques de diffusion dans la civilisation contemporaine.

10 Coniato dal sociologo Zbigniev Brzezinski. in L’America nell’epoca tecnotronica, 1958, n. 3), il termine sta per «invasione dell’ele|ttronica nella tec|nica» dei mass media.

11 Da notare come i tre Segretari Generali fossero tanto convinti di essere nel giusto, e tanto dispiaciuti del trattamento subìto dai loro elaborati, che pensarono di rifarsi ad abundantiam nell’Istruzione pastorale applicativa del Decreto. Di qui un’altra loro disillusione. Infatti, a differenza di almeno due dei diffusissimi Schemi per essa elaborati dall’UIPC, dall’OCIC e dall’UNDA, il testo della Communio et progressio approvato nel 1971, su un totale di 187 numeri ne riserva solo 23 (dal 135 al 157) ai singoli media.

12 Nell’accezione originale del n. 58 della Mater et Magistra di Giovanni XXIII (25 maggio 1961), che la dà come «il progressivo moltiplicarsi di rapporti di convivenza, con varie forme di vita e di attività associata, ed istituzionalizzazione giuridica, privata e pubblica». – Al fenomeno accenna la Gaudium et spes: senza nominarlo, nei nn. 54 e 63; nominandolo, nei nn. 11, 41 e 71; e soprattutto nel n. 6, dove rileva i rapporti di causa e di effetto tra mass media e socializzazione: «Nuovi e più potenti strumenti di comunicazione sociale favoriscono nel modo più largo e rapido la conoscenza degli avvenimenti e la diffusione delle idee e dei sentimenti, non senza suscitare reazioni a catena [...]. In tal modo si moltiplicano incessantemente i rapporti dell’uomo con i suoi simili, e a sua volta questa socializzazione crea nuovi rapporti».

13 Fanno eccezione l’Apostolicam actuositatem, n. 8, dove i termini assumono un’accezione generica, e la Gaudium et spes, con accezione non del tutto precisa al n. 54, e dubbia al n. 61. Esatto è, invece, il subsidia communicationis socialis  del Gravissimum educationis, n. 0, dove s’intendono anche, ma non soltanto, questi strumenti.

14 Da notare anche l’enciclica i Paolo VI Sacerdotalis coelibatus, del 24 giu. 1967, ai nn. 73 ss; e, prima ancora, il n. 154 dell’enciclica di Pio XII Miranda prorsus, dell’8 sett. 1957: «Se poi il sacerdote ne usa per sé, il suo esempio di prudenza, di temperanza e di senso di responsabilità riesca di edificazione a tutti i fedeli».

15 A prescindere dall’uso dei mass media, tra i documenti conciliari concorda la Gravissimum educationis, che nel Proemio precisa: «Da parte sua [...] la Chiesa, per adempiere il mandato ricevuto dal suo divin Fondatore, che è quello di annunciare il mistero della salvezza a tutti gli uomini [...], ha il dovere di occuparsi dell’intera vita dell’uomo [...], in quanto connessa con la vocazione celeste»; e al n. 8 riprende: «Questo sacro Concilio ribadisce il diritto della Chiesa a fondare liberamente e a dirigere scuole di qualsiasi ordine e grado». Concorda la dichiarazione Dignitatis humanae, n. 13: «Nella società umana e dinanzi a qualsiasi pubblica autorità, la Chiesa rivendica a sé la libertà come autorità spirituale, fondata da Cristo Signore, alla quale per mandato divino incombe l’obbligo di andare nel mondo universo a predicare il Vangelo ad ogni creatura».

16 Salvo sviste, di pubblici «comunicati ufficiali» si parla soltanto nel n. 176 della postconciliare Communio et progressio, ma più che altro a proposito dell’informazione nella Chiesa.

17 In AAS 67(1975) 181.

18 Per il Concilio, cfr Sacrosanctum Concilium, n. 20 – Di Pio XII è da ricordare soprattutto la cit. enciclica Miranda prorsus, che al n. 124 ricorda «gli ammalati, o altrimenti impediti, che attendono ansiosamente di unirsi in qualche modo alle preghiere della comunità cristiana e al Sacrificio di Cristo»; e che al n. 139 precisa: "È ovvio che la partecipazione per televisione alla santa Messa [...] non è la stessa cosa che l’assistenza fisica al Divin Sacrificio, richiesta per soddisfare il precetto festivo. Tuttavia, i copiosi frutti che possono provenire per l’incremento della fede e la santificazione delle anime nelle trasmissioni televisive delle cerimonie liturgiche per quanti non vi potrebbero partecipare in altra maniera, ci inducono decisamente ad incoraggiare queste trasmissioni». Ed è da ricordare anche Giovanni XXIII, che nel Natale del 1961, durante una sua Messa trasmessa per radio-televisione, precisava agli astanti: «Con voi sono anche presenti, grazie alla radio e alla televisione, molti altri partecipanti invisibili. Pensiamo in particolare agli anziani e ai malati, che non potendo uscire di casa, hanno almeno il conforto di assistere in qualche maniera, alla Messa del Papa».

19 Così Giovanni XXIII nella Pacem in terris, n. 12: «Ogni essere umano ha il diritto [...] alla libertà della ricerca del vero [...] all’obiettività dell’informazione»; e così il Concilio: «Appartiene alla società umana il diritto all’informazione su quanto, secondo le rispettive condizioni, convenga alle persone, singole e associate» (Inter mirifica, n. 5); «Occorre che siano rese accessibili all’uomo tutte quelle cose che sono necessarie [...] alla necessaria informazione»; «Si esige che l’uomo sia informato secondo verità degli avvenimenti di carattere pubblico» (Gaudium et spes, nn. 26 e 59).

20 F. J. URRUTIA, Il nuovo Codice del postconcilio, in Civ. Catt. 1983 I 448.

In argomento

Massmedia

n. 3405, vol. II (1992), pp. 260-268
n. 3351, vol. I (1990), pp. 260- 269
n. 3310, vol. II (1988), pp. 351-363
n. 3218, vol. III (1984), pp. 144-151
n. 3200, vol. IV (1983), pp. 158-164
n. 3202, vol. IV (1983), pp. 362-368
n. 3188, vol. II (1983), pp. 154-161
n. 3191, vol. II (1983), pp. 463-467
n. 3179, vol. IV (1982), pp. 464-467
n. 3141, vol. II (1981), pp. 222-237
n. 3088, vol. I (1979), pp. 351-359
n. 3075-3076, vol. III (1978), pp. 223-238
n. 3072, vol. II (1978), pp. 566-573
n. 3062, vol. I (1978), pp. 151-159
n. 3058, vol. IV (1977), pp. 349-362
n. 3055, vol. IV (1977), pp. 45-53
n. 3045, vol. II (1977), pp. 260-272
n. 3034, vol. IV (1976), pp. 336-351
n. 3036, vol. IV (1976), pp. 580-587
n. 3022, vol. II (1976), pp. 323-336
n. 3013, vol. I (1976), pp. 20-36
n. 2990, vol. I (1975), pp. 144-157
n. 2983, vol. IV (1974), pp. 36-48
n. 2973, vol. II (1974), pp. 250-256
n. 2967, vol. I (1974), pp. 258-263
n. 2961, vol. IV (1973), pp. 258-263
n. 2942, vol. I (1973), pp. 144-150
n. 2927, vol. II (1972), pp. 451-456
n. 2911, vol. IV (1971), pp. 39-48
n. 2913, vol. IV (1971), pp. 235-253
n. 2882, vol. III (1970), pp. 154-160
n. 2870, vol. I (1970), pp. 155-160
n. 2859-2860, vol. III (1969), pp. 219-230
n. 2739, vol. III (1964), pp. 246-254
n. 2729, vol. I (1964), pp. 422-435
n. 2702-2704, vol. I (1963), pp. 105-118, 313-325
n. 2636, vol. II (1960), pp. 124-39
n. 2612, vol. II (1959), pp. 113-124
n. 2548, vol. III (1956), pp. 400-408