Articolo estratto dal volume II del 1977 pubblicato su Google Libri.
Il testo è stato corretto dai refusi di stampa e formattato in modo uniforme con gli altri documenti dell’archivio.
I riferimenti ai documenti del magistero pontificio sono stati resi interattivi e portano al sito del progetto “Chiesa e Comunicazione”, la biblioteca digitale online che prosegue l’attività iniziata da p. Baragli con le opere Cinema cattolico: documenti della Santa Sede sul cinema e Comunicazione Comunione e Chiesa.
Che l’informazione – intesa come ricerca delle notizie di attualità, e veritiera intera e pronta comunicazione delle stesse al pubblico – sia, oggi, indispensabile al progresso di tutta la società umana è, o dovrebbe essere, pacifico. E che essa rientri nei diritti fondamentali dell’uomo, oltre che da solenni atti del Magistero Romano, è proclamato dalle Costituzioni di tutti (quasi) gli Stati, e da Dichiarazioni e Convenzioni internazionali. Ma tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. Anche quando l’informazione non viene sistematicamente inventata o falsificata: quanti commenti partigiani, quanti silenzi e reticenze!
Come impedire questi silenzi e reticenze alle fonti stesse delle notizie? Quali i compiti dei pubblici poteri, delle proprietà, delle amministrazioni e direzioni dei mass media, per assicurare all’informatore coscienzioso il libero esercizio dei propri diritti e doveri verso il pubblico? Sono ammissibili i monopoli, o gli oligopoli, di diritto o di fatto, dell’informazione: e come, invece, garantire, in una società pluralistica, il pluralismo delle fonti d’informazione? E, nel contesto odierno italiano, quale correttivo può apportare, per iniziativa di informatori e partecipazione di pubblico, la cosiddetta controinformazione? In ogni caso: come richiamare ed addestrare il pubblico al dovere di informarsi, e di informarsi bene?
Molti autori hanno trattato questi ed analoghi argomenti e, via via che ne venivamo a conoscenza, non abbiamo mancato di segnalarli su queste pagine. Vorremmo ora ampliarne la panoramica, limitatamente agli anni settanta e all’editoria italiana, e un po’ anche a quelle di lingua francese e spagnola.
Nella pubblicità
Propriamente parlando la pubblicità non fa parte dell’informazione nel senso sopra precisato. Tuttavia non è fuori luogo trattarne; intanto perché essa condiziona tutti i maggiori veicoli dell’informazione: stampa, radio e televisione; inoltre perché, anche come attività a se stante, per volume di messaggi e per potenza di espedienti suasòri, è da ritenere la onnipresente e più efficace (de)formazione del pensiero, dei valori e del comportamento delle masse: «L’aria che oggi respiriamo – è stato detto – è composta di ossigeno, di azoto, di gas di scarico e di pubblicità»1.
Gli autori che ne trattano2 si schierano, per lo più, su due fronti opposti. Di qua, più numerosi – generalmente sociologi, psicologi o letterati –, quelli che ne denunciano le malefatte: massificazione, infantilismo culturale, Kitsch, consumismo...; di là, difensori di ufficio, per lo più i pubblicitari. Tra i primi, ad esempio, si è schierato testé L. Pignotti con Il supernulla3, appunto da letterato ed esteta satireggiando
«l’ideologia della pubblicità, i lineamenti generali, la tesi di fondo, i contatti con la più grande ideologia [...] del neo capitalismo, in fase monopolistica [...], i meccanismi, il linguaggio, i risvolti di carattere psicologico, sociologico, estetico»; ed anche su «i modelli di comportamento, dei valori e dei temi [...] di quel supermondo in cui la pubblicità pretenderebbe che noi vedessimo noi stessi, nel presente e nel prossimo futuro» (p. 131).
Non mancano, negli ultimi capitoli, proposte ed esempi, nostrani e d’oltr’Alpe, di controinformazione, per «ribellarsi al sistema, di cui la pubblicità è lo strumento più subdolo e potente», e «per giocare il sistema che ci sta giocando»: passando da consumatori dell’informazione a partecipanti, cominciando col ribellarsi alla sua alienazione linguistica, veicolo e fattore dell’alienazione consumistica. Modelli e proposte, per altro, che si attengono tanto al furor destruens quanto al vacuum construens della contestazione studentesca del maggio ’68.
Tra i secondi, invece, s’è schierato recentemente, con I persuasori disarmati, il tecnico pubblicitario Ceserani4. Il titolo polemizza con quello, fin troppo fortunato, de I persuasori occulti del Packard5. Il Ceserani vuole dimostrare che
«la tesi tutta marcusiana, e in generale francofortese, che i consumatori costituiscono essenzialmente una piatta terra di conquista, una unidimensionale situazione vuota da riempire, sostanzialmente incapace di reazione propria, imprevedibile e persino autonoma, non regge [...]»; che «la società industriale, le comunicazioni di massa che dovrebbero indurre al consumo, e la società dei consumatori [...], non sono ordinate verticalmente, in rapporto di vertice e di base, ma interagiscono, si influenzano, si condizionano vicendevolmente»; e che, in ogni modo, «per quanto possa suonare scandaloso ai profeti delle comunicazioni di massa, il mondo dei consumatori non è passivo, ha una sua “logica” ancora difficile da decifrare, ma indubbia, e dà corso a fenomeni che sfuggono alle categorie definitorie ed esplicative consuete» (p. XI).
Così, vedendo le cose dall’interno del suo mondo, l’Autore, da una parte suppone un’onnipotenza della pubblicità che, forse, molti del suo mondo si auspicherebbero, ma che nessun serio sociologo sostiene; dall’altra sembra premuto, se non frustrato, da due esigenze professionali contraddittorie: quella di restare fedele ad una sua creatività e «idea estetica» personale, e quella di soddisfare il committente non disilludendolo, se possibile, nelle sue attese irrazionali. Perciò, non una parola su una necessaria, o possibile, controinformazione del pubblico. Tuttavia, proprio il vedere, come lui fa, le cose dal didentro, con oggettività professionale, conferisce credibilità alla sua analisi psico-sociologica della pubblicità, e quindi anche alla materia di non gioiosa meditazione da lui offerta sul consumatore-cavia italiano6.
Da rilevare, in particolare, la funzione predominante della pubblicità, impegnata nella vendita, non tanto di prodotti e di servizi, che di fatto vanno via via perdendo la loro funzione propria, quando di modelli di riferimento, e poi anche di modelli di comportamento, del pubblico: modelli sempre più frammentari, ormai scomparsi quelli primari, caratteristici della civiltà-cultura antecedente i mass media; e da notare anche, nel giro vizioso della società consumistico-capitalista, e nel conglomerato uomo-massa, lo sfruttamento consumistico che la pubblicità fa dei giovani, e l’umiliante condizione degli italiani, «che non leggono», parallela alla morte per soffocamento di ogni curiosità, prodotta nell’uomo di oggi dalla pletorica sovrabbondanza delle informazioni...: argomenti sui quali tornano non pochi degli autori seguenti.
Alla comunicazione persuasoria appartiene anche la propaganda, ideologica o personale: tanto quella che si palesa per quello che è, tanto l’altra, manipolatrice più o meno camuffata dell’informazione, alla quale si riferiva la «regia del consenso» del Packard, e di cui tratta il recente La strategia del consenso del Mascilli Migliorini7. Con procedimento dialettico di tesi-antitesi-sintesi, parte seguendo e parte discutendo Jaspers e McLuhan, Marcuse, Riesman e Ciacotin, l’Autore vi affronta il problema della sollecitazione del consenso da parte della pubblica opinione mediante i mass media, primo tra essi la radio-televisione: sia per l’impatto proprio delle stesse fonti di emissione e per le loro ambiguità semantiche, sia per la condizione propria dell’universo ricevente. Piuttosto ottimista – dubitiamo se a ragione – sulla situazione USA, egli sembra piuttosto «apocalittico» su quella italiana. Anch’egli tace sulla controinformazione, limitandosi a rilevare le rivoluzionarie possibilità tecnologiche – per il bene e per il male – del Futuro stratega delle «città cablate»;8.
Si propugna il diritto...
Anche gli autori che recentemente hanno pubblicato studi e saggi sul diritto all’informazione non sono pochi9. Ad essi, in questi ultimi anni, se ne sono aggiunti due, molto autorevoli, spagnoli: J. Xifra Heras e J.M. Desantes.
Il primo, con La información,10 ci ha dato un vero e proprio trattato sistematico sull’argomento, sia pure inquadrando l’informazione nel più ampio fenomeno socio-culturale della comunicazione, esponendone gli elementi dinamici essenziali, lo sviluppo storico e giuridico sino ai moderni mass media, e le funzioni, oltre quella propriamente «informativa». In particolare egli si adopera a dare risposte scientificamente esaurienti – tenendo presenti tutti, si può dire, gli autori più... autorevoli in materia – alle quattro questioni: quale l’effettiva importanza dell’informazione nella odierna società di massa? Quali i meccanismi sociali che spiegano e regolano i processi informativi? Quale l’efficacia sociale dell’informazione propriamente detta, specie in relazione alla pubblica opinione? Infine: da dove l’informazione deriva la sua portata economica e politica? – Se si tiene presente l’anno e il Paese (la Spagna del 1972) e le cariche che l’Autore vi copriva, nessuna meraviglia per le reticenze che, in parte, svuotano il promettente sottotitolo del volume – Análisis de una libertad frustrada -, e per il suo assoluto silenzio circa una doverosa, o possibile, controinformazione.
Più fedele al titolo che non lo Xifra, in La información como derecho, J. M. Desantes11 tratta dell’informazione esclusivamente sotto il profilo giuridico: naturale e soprattutto positivo, specialmente (anche giurisprudenziale) spagnolo, ed internazionale. Sennonché, anch’egli estende l’accezione di «informazione» alla comunicazione in genere, comprendendovi non solo l’odierna informazione giornalistica (di attualità, d’interesse generale), bensì anche quella libraria (culturale), vecchia di secoli. Ciò spiega, tra l’altro, il largo spazio concesso dal Desantes ai problemi del diritto d’autore, ed il buon gioco che egli sembra avere nel raccordare le acquisizioni delle moderne Dichiarazioni e Convenzioni dell’ONU 1949-1966, e del Trattato di Roma 1950, alle dottrine dei giusnaturalisti spagnoli dei secoli XVI e XVII, e in particolare (cfr p. 317 ss.) al Jus communicationis di Francisco de Vitoria.
Non trattato sistematico, ma raccolta di articoli e di conferenze, il volume si presenta sovrabbondante – si noti lo straripare delle 648 note bibliografiche! – e ripetitivo, per quanto formalmente raccolto in quattro distinte parti, relative ad altrettante situazioni dell’informazione rispetto al diritto; vale a dire: concetto del diritto all’informazione, studio interdisciplinare dell’informazione, normativa dell’attuazione dell’informazione, dimensione universale di detto diritto. Pregio non ultimo di questo volume12 è il capitolo consacrato ad un derecho universal de rectificación y de réplica: coefficiente minimo di quella controinformazione che, ovviamente, anche il Desantes ignora.
Dalla Germania, in versione italiana, ci viene un’apologia-difesa della libertà d’informazione veramente inattesa, perché condotta nientemeno che da Marx e da Engels13. Si tratta di un’antologia degli scritti a favore della libertà di stampa, contro la censura statale, relativi all’attività giornalistica giovanile di Marx (1842-’43), più qualche altro degli ultimi anni di Engels (1860-’70). Antologia che, in argomento, è doppiamente interessante. Intanto perché – a parte i cavilli e le polemiche capziose del Marx liberal avvocato di provincia –, molti suoi argomenti anti-censura appaiono ancora oggi validissimi, sicché c’è da chiedersi se e come ne sia permessa la lettura nei Paesi marx-socialisti, dove la libertà d’informazione è argomento tabù14; inoltre perché questa raccolta riecheggia la contestazione anti-monopolio Springer15 della sinistra tedesca degli anni 1965-’68 mentre la stessa Neue Rheinische Zeitung, fon- data e diretta da Marx, e da lui invano difesa, si può considerare un esempio anticipatore di controinformazione alternativo-politica.
...ma così vanno le cose
Tra teorica tutela giuridica del diritto di libera espressione ed informazione, e condizioni, rilevate o proposte, del suo effettivo esercizio in Italia, si colloca l’eccellente volume curato da P. Barile ed E. Cheli: La stampa quotidiana tra crisi e riforma16. Raccoglie diciassette relazioni del gruppo di lavoro che, dal 1968, presso la Facoltà giuridica di Firenze, ha condotto tre indagini in argomento, rispettivamente rispetto alla radio-televisione (1970), al cinema-teatro-attività musicali (1973) e, la presente, sulla stampa (1975).
La Raccolta – la più oggettiva e scientifica che conosciamo17 – sottopone ad esame, in particolare, i seguenti punti: a) analisi storico-comparativa della legislazione (Assemblea Costituente; recenti interventi legislativi e governativi: con in Appendice i relativi testi); b) accesso alle fonti primarie delle informazioni (agenzie di stampa: estere e italiane; uffici stampa degli organi pubblici); c) finanziamento (prezzo amministrato della stampa quotidiana, previdenze all’editoria, prezzo della carta, pubblicità); d) distribuzione e vendita; e) tutela della componente professionale (Ordine dei giornalisti; loro trattamento economico-normativo); f) assetto interno dell’impresa giornalistica e rapporto tra le sue diverse componenti (tendenze degli imprenditori; comitati di redazione; organizzazione giuridica).
Un vero mare magnum! Ma per i non addetti ai lavori può anche bastare la lettura delle Linee di una ricerca e proposte di una riforma, del Cheli (pp. 7 ss.), delle Conclusioni, del Barile (pp. 541 ss.), e, per quanti s’interessassero all’argomento, della relazione di G. Spinoso sui tentativi (tutti falliti) di controinformazione parallela attuati in Italia nel 1974-’7518. Ce n’è abbastanza per farlo ondeggiare, il lettore, tra un pessimismo (di ragione) e un ottimismo (di volontà) circa le possibilità di far salvo, nella odierna legislazione italiana, il diritto del cittadino all’informazione e, in de iure condendo, circa l’efficacia del patetico appello agli uomini politici, ai giornalisti (e ai «padroni») con cui la Raccolta si chiude (p. 550).
Recentemente altri due non meno ponderosi volumi-raccolte hanno accresciuto la già folta editoria in argomento19. Giornali nella tempesta, di Bosio-Granata-Ronchetti, e La stampa italiana del neocapitalismo, cui hanno posto mano ben undici autori. Il primo20, come precisa il sottotitolo, è una «indagine sulla libertà di stampa e sulla crisi dell’editoria in Italia», condotta tra gli addetti ai lavori.
Dopo duecento pagine, più che altro descrittive della fisonomia, struttura e vita del giornale, la «tempesta», di cui il titolo, viene descritta specialmente sulla fine del Libro Primo: Verso un mondo nuovo, che tratta dell’arrembaggio, da parte dei petrolieri e del potere politico, alle varie testate (Il Giorno, Il Messaggero, Secolo XX, Gazzetta del Popolo, La Stampa, Corriere della Sera, Il Mattino, Il Giornale Nuovo...), e delle vicende della stampa rossa (L’Unità, Paese Sera...) ed ultra rossa (Manifesto, Lolla Continua). Seguita nel Libro Secondo: Due anni che contano, che si occupa di assemblea di azienda, di prezzo politico, di conflitti-silenzi col Governo, ecc. Si quieta alquanto nel Libro Terzo: Dalla regione alla fabbrica, consacrato ad alcune istruttive esperienze di provincia (ammodernamento tecnologico del Messaggero Veneto, gestione cooperativa della Gazzetta di Mantova...). Infine si fa dottrinale-etica nel Libro Quarto: I giornali di fronte alla legge.
I cumuli di dati, di opinioni e di testimonianze, non elaborati in relazioni o capitoli, ma ordinati in successioni di brevi paragrafi, ne rendono la lettura giornalisticamente gradevole, ma generano disordine e molte ripetizioni. In ogni caso rimettono tutte le conclusioni al lettore, sempre ritenuto soggetto primario del diritto all’informazione, e rimettono alla coscienza dei giornalisti il compito di destreggiarsi tra oggettività delle notizie ed inevitabile interpretazione delle stesse secondo angolazioni personali e di gruppi sociali. Leggiamo:
«Su alcuni punti, in partenza c’è identità di pareri. Il giornale anzitutto deve dire la verità, essere libero e servire il progresso civile. Queste enunciazioni bastano a sollevare problemi di ogni genere, politici, sociali, morali e anche di coscienza personale; nell’applicazione pratica incontrano difficoltà enormi. Se passiamo ai principi specifici le opinioni si dividono. [...] Forse vent’anni fa la risposta sarebbe stata [...] press’a poco questa. Un giornale è anzitutto di informazione, ma naturalmente non può mancare di idee. Deve essere il più possibile aperto a tutte le opinioni, accogliendo anche quelle non gradite, che rappresentano però la voce di larghi strati sociali nel dibattito dei problemi collettivi. Non può presentarsi come organo di una fazione, anche molto forte, ma non deve neppure rinunciare alle grandi campagne civili. Deve cercare il lettore, andare incontro all’opinione pubblica, incanalarla, secondaria, guidarla e à poco a poco anche trasformarla nella sostanza, conservando tuttavia una posizione di prestigioso distacco e di superiorità non altezzosa. Prestigio e autorevolezza diverranno determinanti quando il giornale dovrà battersi per una causa in cui siano in giuoco alti valori civili e nazionali. Allora la sua parola sarà categorica. E se il giornale avrà scelto la strada giusta, non perderà il favore dei lettori. La tesi, valida fino agli anni ’60, è molto cambiata con il nuovo giornalismo. Ora si propende per un giornale più partecipe agli avvenimenti di ogni giorno e alle piccole battaglie; si vuole meno prestigio e più fazione; le scelte sono inevitabili e quotidiane, ci si avvicina molto all’atteggiamento dei giornali di partito o fiancheggiatori di partiti. Si riconosce a priori che l’obiettività non solo è impossibile, non è nemmeno una virtù: l’imparzialità è giudicata ipocrisia o mancanza di coraggio. Del vecchio giornalismo si salva soltanto una teoria: è necessario cercare il lettore. Ma in che modo e con quale successo? Finora nessuno è ancora riuscito a indicare il cammino a sé e agli altri» (pp. 161 ss.).
«Il giornalista è un uomo politico, anche se non militante, e di parte. È fatale che pur sforzandosi ed impegnandosi alla massima obiettività sia portato a vedere, interpretare, impostare la notizia sotto l’angolazione delle sue idee personali o del suo gruppo sociale. L’imparzialità assoluta è un mito o una perfezione non umana e c’è anche da domandarsi se nella sfera umana si possa parlare di perfezione, senza ridurre l’uomo ad un automa privo di sentimenti, passioni e personalità. Ci sono molti gradini di imperfezione e su questi si collocano, chi più in alto, chi più in basso, i giornalisti» (p. 497).
La stampa italiana del neocapitalismo21 s’intitola il quinto ed ultimo volume – ma è il primo a vedere la luce – di una Storia della stampa italiana curata, per gli editori Laterza, da Valerio Castronovo22 e Nicola Tranfaglia. Con «neocapitalismo» è indicato il quindicennio che va dall’esordio del centro-sinistra alle elezioni del 15 giugno 197523; di fatto, però, alcuni capitoli fanno risalire l’indagine all’ottocento ed oltre. Purtroppo, diversamente dagli Autori precedenti, spesso il taglio ne è ideologicamente tendenzioso. Tutto vi sembra ubbidire allo stereotipo «destra-sinistra»24. Inoltre, alcuni AA., sollecitati da certi argomenti (stampa femminile, stampa per ragazzi, periodo fascista), scadono in toni da rotocalco, dimentichi del rigore d’informazione e di documentazione che è il pregio principe di questo primo volume; e che gioverebbe se restasse pregio anche degli altri quattro, nei quali il distacco storico dovrebbe maggiormente facilitare l’oggettività.
Ai fini di questa Rassegna sono da segnalare le settanta pagine di questo volume (99-166) dedicate alla controinformazione25. Tra l’altro vi leggiamo un rilievo, salvo errore, ignorato da altri autori, sull’assuefazione, e perciò l’acquiescenza allo scandalo, che certa controinformazione genera nel pubblico:
«un problema di cui gli operatori più lucidi hanno da tempo preso coscienza. La controinformazione denuncia di continuo le prevaricazioni del potere, le trame repressive, le deviazioni dalla legalità costituzionale, gli attentati al mondo del lavoro. La sua stessa iteratività, la sua presenza ormai continua rischiano di abituare il pubblico a ciò che viene denunciato come se si trattasse di un male endemico e inguaribile. Lo si è verificato nel caso della scalata, da parte di gruppi industriali, alla testata di quotidiani come il Corriere della Sera. Le grida d’allarme della controinformazione hanno generato, all’inizio, vigilanza ed indignazione: poi hanno generato assuefazione, così che, quando la testata del Corriere è effettivamente passata in altre mani, l’opinione pubblica si era ormai abituata all’idea [...]. Probabilmente è finita l’epoca «liberistica» della controinformazione, in cui essa poteva essere gestita da chiunque [...]. Inizia l’epoca in cui si dovrà studiare una strategia della controinformazione, un dosaggio degli effetti e delle notizie, una disciplina degli attacchi» (pp. 165 ss.).
Come precisa il sottotitolo, una «indagine sulla crisi della stampa» italiana ci offre anche il volumetto del Macchi: Informazione e libertà;26, frutto, per la parte storica (gli ultimi cento anni), di ricerche manualistiche e, per la parte odierna, di un questionario inviato dall’Autore a più di trecento giornalisti, dei quali egli mette a confronto le opinioni, senza prendere posizione. Il livello, appunto, è giornalistico: interessante, ma non sempre rigoroso27. Tuttavia, anche a questo livello, l’Autore fornisce un buono spaccato della situazione della stampa italiana: non confortante, e politicamente «scandalosa».
Che sotto questo aspetto la situazione non brilli neanche altrove lo provano due Autori francesi: che però hanno il raro merito di richiamare alle loro proprie responsabilità prima di tutto i giornalisti (e i lettori). Il primo è l’antropologo sociale G. Auclair, che in Le «mana» quotidien28, vagliando la stampa francese del quinquennio 1962-’67, denuncia l’abuso sbardellato che, a scapito di un’informazione autentica, i cronisti fanno dei faits divers: vale a dire (nella terminologia italiana) dei fatti di cronaca sensazionali, per lo più a contenuto macabro. L’altro autore è C. Boris, per sei anni reporter del parigino L’Aurore e sindacalista-stampa, con Les tigres de papier29.
La parte più caustica è quella in apertura di volume, che inizia con due «lettere aperte». Nella prima, indirizzata ai colleghi giornalisti, senza peli sulla lingua l’Autore denuncia il condizionamento esercitato sull’informazione dai vari fattori, specialmente economici (pubblicità, proprietà...); nella seconda, rivolta ai «mercanti di carta» l’Autore se la prende contro l’arrembaggio compiuto dai padroni dei giornali che ha del tutto svuotato lo scopo di «liberazione» inteso dai provvedimenti post-bellici del 1944. Sempre nella Prima Parte l’Autore indica sei vie pratiche per attuare un’efficace controinformazione: attribuire l’informazione primaria ad un’istituzione, fattualizzarla in un evento, dire pane al pane e vino al vino, farla passare «come notizia» organizzare bene le conferenze stampa, curare i contatti personali. Segue un capitolo-panorama sulla stampa francese30.
Sono di particolare interesse nella Seconda Parte: un altro panorama della stampa francese dopo la contestazione del maggio-’68 (pp. 111 ss.), i rilievi sulle possibilità e i rischi di un’agenzia d’informazione libera (pp. 189 ss.), e tutto il Capitolo III (pp. 261 ss.) su come organizzare e gestire una stampa propria, smitizzandone le difficoltà, ed anche su come utilizzare, in funzione di controinformazione, il video-dilettantismo (pp. 291 ss.).
Chiudendo la sua requisitoria con un provocatorio I giornalisti alla forca?, il Boris, pur protestando di credere ancora al suo mestiere, non teme di dichiarare
che «le strutture della stampa [francese] sono il peggio che si possa immaginare, e che nel sistema economico esistente egli non ha ricette miracolose da proporre»; che «sei anni di lotte sindacali gli hanno soltanto confuso le idee»; e che, in ogni caso, «il primo passo da fare sarebbe quello di indire scioperi, non per i nostri salari ed orari di lavoro, ma per esigere che l’informazione sia trattata meglio, e che nelle imprese di stampa sia rispettata almeno la libertà formale» (pp. 307 n.).
Controinformazione o corrida
Stando alla copiosa editoria in argomento, si direbbe che della controinformazione, teoria e prassi, in Italia detengano l’iniziativa e il monopolio i contestatori di sinistra ed ultra. In questo schieramento si presenta, per esempio, la «raccolta di materiali per una strategia socialista»: Contro l’industria culturale31 del CESDI (Centro di Documentazione e di Studi sull’Informazione), nato sulla spinta e le sollecitazioni del ’68 e interessato soprattutto ai movimenti operai e studentesco.
La Prima Parte, conoscitiva, espone in quattro capitoli le caratteristiche strutturali (offerta e consumo) di altrettanti principali settori dell’industria culturale in Italia: la radiotelevisione, il cinema, la stampa quotidiana e l’editoria libraria. La Seconda Parte, propositiva, presenta in versione italiana il saggio di Hans Magnus Enzensberger Constituents of a Theory of the Media, che «rappresenta il primo tentativo, sulla scia di Walter Benjamin, di fare un discorso di sinistra sui mezzi di comunicazione di massa e sulle implicazioni politiche di un corretto uso, da parte delle forze anticapitalistiche, delle potenzialità e delle contraddizioni ad esse inerenti». Infine la Terza Parte riporta il questionario sulle Linee di tendenza dell’industria culturale e proposte per una strategia alternativa, inviato dal CESDI e dalla rivista Questitalia a un centinaio tra intellettuali, sociologi ed operatori culturali, seguito da una dozzina di risposte scelte tra le più significative32.
Il tono bellicoso di questi «materiali» assurge a clamore allucinato, da corrida, nel volume – quattro edizioni in due anni! – Informazione e controinformazione del farraginoso aggressivo torrentizio estraparlamentare Pio Baldelli33.
La parti Prima e Terza – che potrebbero costituire un tutto a sé – trattano dello sviluppo delle nuove tecnologie audiovisuali (meccanismi e supporti), del loro impatto con la istituzione scolastica, e del sovraccarico di informazioni che ne risulta, specialmente in quella «scuola parallela», che è la televisione; trattano quindi una metodologia per il loro uso in funzione di controinformazione, contro i tabù della produzione di élites e dell’estetismo, in favore di contenuti politici: sia nel rodaggio alla «lettura» critica della produzione corrente, sia nell’uso politico diretto delle nuove tecnologie della comunicazione di massa: video-tape e video-centri. La Parte Seconda e l’ultimo capitolo della Terza, invece, offrono casi-esempi di informazione «ufficiale» e di controinformazione oggettiva (?!): più rilevanti tra essi quelli dei processi Pinelli-Valpreda, della morte di Feltrinelli, dell’«eresia di massa» dell’Isolotto34, dei fatti di Cecosìovacchia-1968, della strage dell’Olimpiade di Monaco-1972.
Fanatico della lotta di classe, stile Potere Operaio e Lotta continua, e idolatra della «massa» – egli rifiuta sdegnosamente il «popolo»: «in cui convergono classi, ceti e funzioni sociali diversi» (p. 379) –, l’Autore carica a testa bassa borghesi e potentati d’ogni colore, URSS compresa, con una foga senza respiro e, bisogna riconoscerlo, con intelligenza versatile e un’informazione sterminata. Ovviamente non se ne possono condividere i propositi, gli obiettivi e la smoderatezza dei mezzi; ma sotto questo aspetto: fas est et ab hoste doceri! Che è quanto dire: giornalisti o meno, quanti ci lamentiamo retoricamente dello stato dell’informazione in Italia senza, forse, muovere un dito nella controinformazione, dal Baldelli abbiamo molto da imparare!35.
1 L’immagine non è nuova. Quindici anni fa, R. GUERIN con essa commciava il suo estroso La publicité c’est le viol (Paris, Olivier Perrin, 1961, 253): La publicité est un élément. Nous vivons dans la publicité. Elle nous pénètre par les yeux, les oreilles, les narines, les pores de la peau. Elle [...] a pris possession de la presse, du cinéma, de la radio, du livre, de la rue, des paysages, du sous-sol, des nuages. Elle est la première à nous saluer à notre réveil et elle tombe de notre poche quand nous tirons notre mouchoir. C’est un spectacle ubiquiste et permanent (p. 33). Il titolo - che ricalca quello notissimo di S. CIACOTIN, Le viol des foules – è piuttosto antifrastico; infatti l’A., dopo quarant’anni di lavoro nella pubblicità, non ne tenta una requisitoria, bensì una difesa, distinguendo tra pubblicità buona ed utile e pubblicità rozza e controproducente. Ancora oggi il volumetto si legge con molto interesse, anche per l’humour con cui l’A. presenta il mondo della pubblicità negli anni in cui, sotto la spinta degli USA, anche in Europa la pubblicità stava passando, da estroso- artigianale, a scientifico-industriale. .
2 Tra gli altri ricordiamo, indicando dove la Rivista li ha segnalati, i seguenti: F. ALBERONI – A. MI0TTO . S. SIRIGATTI, Consumo comunicazione e persuasione, Milano, Etas, 1974; U. CASTAGNOTTO, Semantica della pubblicità, Roma, Silva, 1970 (1971 II 307); R. A. CASTANO, La publicidad: un freno al desarrollo, Bogotà, Tercer Mundo, 1971 (1972 III 200); J.-M. DOMENACH, La propagande politique, Paris, Ed. Universitaires, 1974 (1976 I 618); E. GILL LESLIE, Psicologia della pubblicità, Firenze, Giunti, 1973; M. JACQMAIN, Il linguaggio della pubblicità, Firenze, Sansoni, 1973 (1976 III 199): M. MEDICI, Pubblicità lingua viva, Milano, Pan, 1973 (1974 III 343); A. MURA, La pubblicità: discorso pedagogico, Roma, Bulzoni, 1975 (1976 III 199); D. VICTOROFF, Psicosociologia della pubblicità, Roma, Paoline, 1972 (1973 I 306); F. VISCIDI, Pubblicità tra libertà e violenza, nn. 10-11 della rivista CM, Venezia 1973.
3 L. PlGNOTTI, Il supernulla. Ideologia e linguaggio della pubblicità, Rimini, Guaraldi, 1974, 8º, 189. L. 3.000. Dello stesso A. Pubblicità; (Firenze, CLUF, 1974, 8º, 126. L. 2.400): documentazione visiva con cui dimostra che «la società odierna sta usando la città nel senso in cui lo scrittore usa la carta [...]: come supporto [...] di pubblicità permanente, occasionale o in movimento, insegne di negozi, manifesti murali».
4 P. CESERANI, I persuasori disarmati, Bari, Laterza, 1975, 16º, 135. L. 2.000. L’A. lavora a Milano come copywriter in pubblicità. Molte campagne pubblicitarie che hanno fatto più rumore sono opera sua.
5 V. PACKARD, I persuasori occulti (The hidden persuaders), Torino, Einaudi, 1958, 8º, 271. L. 2.000. Dello stesso A. è La società nuda (The naked society), Ivi, 1967 (Civ. Catt. 1968 II 301). Su di lui così ironizzava l’integrato D. MacDonald: «Un intraprendente giornalista ha fabbricato due best-seller riassumendo le più sensazionali scoperte dei sociologi ortodossi, abbellendone i risultati con un solenne moralismo e servendoli con titoli allettanti [...]. Perché leggere opere di sociologia quando il signor Packard ve ne dà il succo senza alcuna fatica?».
6 Analoghe considerazioni suggerisce l’oggettivo, ed ancor valido, manualetto di R. MODESTI, Che cos’è la pubblicità: suoi problemi e scopi nella moderna civiltà dei consumi, Milano, Etas/Kompass, 1966, 16º, 171. L. 800.
7 E. MASCILLI MIGLIORINI, La strategia del consenso, Milano, Rizzoli, 1974, 8º, L. 5.000 – L’A., laureato in giurisprudenza, giornalista, dal 1950 dirigente in varie sedi della RAI, è professore incaricato di sociologia della comunicazione all’Università di Urbino. Tra le opere sue più recenti è la ristampa del volume Le comunicazioni sociali, Urbino, Montefeltro, 1972, 8° gr.. 229. L. 4.500.
Sorvoliamo sul volume di G. BONURA, Tecniche dell’inganno, Rimini, Guaraldi, 1974, 8º, 355. L. 5.000. Il titolo è fuorviante. In realtà si tratta di una raccolta di critiche per la maggior parte di opere e di autori letterari, riesumate da riviste e da quotidiani, delle quali soltanto una mezza dozzina, sotto il titolo La dea visione (pp. 175 ss.), riguardano i mass media come veicoli d’inganno. L’A., di obbedienza lukacsiana, vi ragiona e reagisce secondo schemi marxisti, avverso la ideologia capital-fascista. Ce l’ha con le democrazie occidentali, «dove la libertà è solo formale», ignorando le altre «democrazie», dove la libertà non è neanche formale.
8 A parte la cantonata storica del libro «diabolico» nel XIV-XV (p. 153) e la ignorata differenza tra codici aperti, con ambiguità-connotazione più o meno ampia, e codici chiusi, di pura denotazione, ci pare che alcuni punti andrebbero discussi; per esempio le accezioni di molti termini correnti, quali: atteggiamento-comportamento (p. 20), informazione-comunicazione (p. 27), feed back (p. 55 e 59), pubblicistica (p. 123), comunicazione sociale in accezione di valore (pp. 32, 37, 40, 56, 60) piuttosto che in accezione fattuale-neutra (p. 65), ecc. Tra i molto più numerosi punti che, invece, ci trovano concordi ricordiamo: il rifiuto dei termini comunicazioni di massa e mass media (p. 29), la scarsa attendibilità riconosciuta alle indagini demoscopiche (p. 72), il ridimensionamento della ipotesi di McLuhan (p. 83), e soprattutto il suo diffidare di una sociologia tecnocratica dei mass media, che non ne tenga presente anche l’aspetto filosofico-morale (p. 37). Ottima, infine, la Bibliografia finale, curata da G. Pavolini.
9 Sempre segnalando dove la Rivista li ha presentati, ricordiamo, tra gli altri, i titoli seguenti: AA.VV., Censure et liberté d’expression, Paris, Desclée, 1970 (Civ. Catt. 1973 III 432); AA.VV., Formation et information, Sherbrooke, Paulines, 1973 (1974 I 410); AA.VV., L’informazione e lo sviluppo dei popoli, Vicenza, Rezzara, 1974 (1974 IV 268); N. F. AREAL, El derecho a la información, Barcelona, Juventud, 1971; C. CHIOLA, L’informazione nella Costituzione, Padova, Cedam, 1973; L. D’ERAMO, Cruciverba politico, Firenze, Guaraldi, 1974; C. FIORE, I reati di opinione, Padova, Cedam, 1972 (1975 II 207); C. GARELLI, Lessico prefabbricato, Ravenna, Longo, 1974 (1976 III 200); G. PADELLARO, L’informazione tra il potere e la libertà, Milano 1972; B. VOYENNE, Le droit à l’information, Paris, Aubier, 1970 (1970 IV 302; 1974 I 409).
10 J. XIFRA HERAS, La información. Analisis de una libertad frustrada, Barcelona, Hispano-Europea, 1972, 8º, 345. – L’A., docente di diritto e di scienze politico-economiche, noto come presidente e membro di diverse istituzioni spagnole ed internazionali, ed autore di una dozzina di volumi di diritto politico e di sociologia dell’informazione, in Spagna è ritenuto tra i più prestigiosi operatori culturali in argomento.
11 M. DESANTES, La información como derecho, Madrid, Ed. Nacional, 1974. 8º gr., 382. Dello stesso A.: El autocontrol de la actividad informativa, Madrid, Edicusa, 1973.
12 Notiamo, tra l’altro, l’interdipendenza, giustamente rilevata dall’A., tra il diritto-dovere all’informazione e l’odierno incremento della socializzazione (p. 29), l’affermata (relativa) modernità di detto dovere-diritto (p. 57), ecc. Discutibili, invece, ci sembrano, il concetto di opinione pubblica (pp. 47 e 61), la relazione tra informazione e rivelazione (p. 184). Notiamo, infine, che l’A. ricorda solo di passaggio l’Inter mirifica, senza approfondirne né la terminologia né la dottrina sulla informazione, e che ignora del tutto la Communio et progressio.
13 K. MARX – F. ENGELS, Libertà di stampa e censura, Bologna, Guaraldi, 1970, 16°, 236. L. 2.800.
14 Marx conclude una sua requisitoria contro la censura con l’esclamazione tacitiana (Storie, I, I): Rara temporum felicitas, ubi quod velis sentire et quae sentias dicere licet! Vale a dire: Beato, ma quanto raro, il tempo quando ti è lecito pensare come vuoi ed esprimere quel che pensi! Dello stesso Marx leggiamo tra l’altro: «La vera censura, fondata sulla natura stessa della libertà di stampa, è la critica: essa è il tribunale che la libertà di stampa istituisce dal proprio seno. La censura è la critica come monopolio di governo»; e commenta il marxologo I. Fetscher, curatore della raccolta: «Ma una critica esercitata nelle forme di un monopolio perde il suo carattere razionale» (p. 25). E replica Engels prendendosela contro «la mostruosa idea che qualcuno si possa porre fuori del diritto comune per aver espresso un’opinione. «Questo è il puro stato di polizia...» (p. 174). Che tale sia la condizione dei Paesi marx-socialisti sono costretti a riconoscerlo tanto il Fetscher quanto il curatore di questa edizione italiana, M. Cacigli (cfr pp. 8 ss., 21 ss.). A conferma, denunciando i tentativi di intimidazione ideologica in tutte le parti del mondo, la rivista londinese Index (1-1-1973) informava su di un Breviario delle notizie vietate ai giornalisti, scrittori o informatori dell’URSS. Le principali categorie vietate erano: 1) calamità naturali, valanghe e terremoti, se avvenuti nel territorio dell’URSS; 2) disastri aerei o ferroviari, eccettuati quelli verificatisi all’estero; 3) stipendi ed emolumenti dei gerarchi del partito e dei capi del governo; 4) confronti fra il costo della vita e il reddito delle famiglie sovietiche; 5) riferimenti al migliorato tenore di vita fuori dell’area comunista; 6) accenni a scarsità di viveri nell’URSS; 7) nomi di funzionari del KGB (la polizia politica del regime); 8) fotografie aeree di qualsiasi città sovietica e pubblicazione delle sue coordinate geografiche; 9) qualunque cenno alla censura di Stato nell’URSS, o alle interferenze contro le radio straniere; 10) non nominare mai il nome degli ex-primi ministri Rykov, Molotov, Malenkov, Bulgaum e Kruscev...
15 Cfr G. BACKHAUS (a cura di), Springer, la manipolazione delle masse, Torino, Einaudi, 1973, 16º, 185. L. 1.400.
16 P. BARILE ed E. CHELI (a cura di), La stampa quotidiana tra crisi e riforma, Bologna, li Mulino, 1976, 8º, 635. L. 10.000.
17 Scrive il Barile: «Il gruppo di ricerca [...] ha espressamente escluso una linea portante che, come tale, si identificasse in una linea partitica. Il nostro gruppo è composto di persone per la massima parte politicamente (ed anche partiticamente) impegnate, ma il lavoro è frutto di una concezione della vita che comune a tutti noi, anche nella differenza delle fedi partitiche. La ricerca ha per scopo il raggiungimento di conclusioni sufficientemente oggettive per poter essere definite (con ogni modestia) scientifiche. Il nostro indirizzo di ricerca può quindi identificarsi in una linea politica portante solo a patto che tale linea, a sua volta, si identifichi con una linea ben precisa di politica costituzionale» (p. 541 ss.) – Magari tutti gli AA. che qui andiamo recensendo potessero dire altrettanto!
18 In Le esperienze dei nuovi giornali locali in Italia (pp. 497) l’A. fa la cronaca delle testate Bresciaoggi, Nuovo Quotidiano (di Bologna), Il Nuovo (di Firenze) e Il Foglio (di Bologna-Modena), lanciate per rompere il monopolio di fatto del Giornale di Brescia, del Resto del Carlino e della Nazione. Esperienze che – durate l’espace d’un matin – valgono a rilevare, da una parte, la necessità avvertita di una pluralità di fonti d’informazione e, dall’altra, le difficoltà, non tanto di avvio quanto di gestione, di simili imprese, anche quando, esclusi «i padroni», si ricorra a forme di autogestione corporativa.
19 Sempre rimandando ai luoghi ove la Rivista li ha presentati, ricordiamo, tra ali altri: AA. VV., I condizionamenti del giornalista, Milano, Donati, 1973 (1974 IV 405); J. BARSALOU, Questions au journalisme, Paris, Stock, 1973 (1974 IV 517); G. BECHELLONI, Informazione e potere, Roma, Officina Edizioni, 1974 (1976 III 194); V. CAPECCHI – M. LIVOLSI, La stampa quotidiana in Italia, Milano, Bompiani, 1972; M. DARDANO, Il linguaggio dei giornali italiani, Bari, Laterza, 1973 (1974 II 404); J. FERRIER, La stampa quotidiana nel mondo, Milano, Pan, 1973 (1974 I 410); R. FIENGO, Libertà di stampa: anno zero, Firenze, Nuova Italia, 1974 (1974 IV 205); G. FUSAROLI, Giornali in Italia, Torino, Guanda, 1974 (1975 II 616); A. GRIECO, La libertà di stampa nell’ordinamento giuridico italiano, Roma, Bulzoni, 974 (1976 III 205); R. INGLESE, Democrazia e libertà di stampa, Bologna, Cappelli, 1973; P. A. MACCHI, Informazione e libertà, Firenze 1974; P. MURIALDI, Come si legge un giornale, Bari, Laterza, 1975 (1976 I 619); – La stampa italiana del dopoguerra, Bari, Laterza, 1973 (1975 III 319); J.L. SERVAN-SCHREIBER, Il potere d’informare, Milano, Mondadori, 1973 (1973 IV 600); G. B. VICARI, La scrittura di giornale, Ravenna 1973 (1973 III 343).
20 F. BOARO – G. GRANATA – S. RONCHETTI, Giornali nella tempesta, Torino, EDA, l971, 8º gr., 535. L. 8.000. – Ottima l’introduzione di A. C. Jemolo: Una battaglia per la verità. Sull’avvilente condizione della stampa e lettori in Italia cfr pp. 29, 72, 75 ss., 81, 131 ss., 145, 148; e sulla stampa comunista: pp. 313 ss.
21 AA.VV., La stampa italiana del neocapitalismo, Bari, Laterza, 1976, 8º, 611. L. 7.000. – Gli argomenti e i nove AA. che li trattano sono: P. MURUALDI e N. TRANFAGLIA, I quotidiani dal 1960 al 1975; M. ISNENGHI, Forme e ideologia della informazione quotidiana; U. Eco e P. VIOLI, La controinformazione; N. AIELLO, Il settimanale di attualità; L. LILLI, La stampa femminile; G. GENOVESI, La stampa periodica per ragazzi; T. DE MAURO, Giornalismo e storia linguistica dell’Italia unita. Ogni argomento è seguito da diligente Bibliografia (ed elenco delle testate). In Appendice le note informative (origine delle testate, direttori, tirature...): La proprietà dei giornali dal 1861 al 1975, di M. GRANDINETTI.
22 V. DI CASTRONOVO segnalammo già La stampa italiana dall’unità al fascismo (Bari, Laterza, 1970: Civ. Catt. 1971 IV 93).
23 Più o meno allo stesso periodo s’interessa il volumetto di M. ISNENGHI, Giornali e giornalisti (Roma, Savelli, 1975, 16º, 219. L. 2.500), che raccoglie dieci rassegne sulla stampa quotidiana di diverse regioni italiane, già comparse sulla rivista Belfagor negli anni 1950-1967. Le presenta in una lunga Introduzione (pp. 6-65), e in qualche modo le aggiorna al 1975, l’Isnenghi, docente di storia di giornalismo all’Università di Padova. L’humus ideologico-anticlericale è quello, appunto, della rivista Belfagor, e quello già da noi rilevato in un altro volumetto dello stesso Isnenghi: Stampa di parrocchia nel Veneto (Padova, Marsilio, 1973: Civ. Catt. 1976 II 303).
24 In esso viene forzatamente inquadrata anche la stampa cattolica e, in genere, la Chiesa, intorno alla quale gli AA., in verità, si mostrano modesti orecchianti (dfr pp. 12 e 279).
25 Gli AA. distinguono, sulla differenza dei mezzi utilizzati, l’informazione alternativa e la controinformazione. La prima sarebbe quella che non crea nuovi canali della comunicazione di massa, «ma utilizza quelli già a disposizione, alterandone però i contenuti, modificando i messaggi e il loro portato ideologico; la controinformazione invece si caratterizza per l’impiego di mezzi specifici differenti e normalmente trascurati dalla comunicazione ufficiale» (p. 99). – Questa distinzione si può anche accettare; tuttavia non si vede perché nella controinformazione debbano rientrare tutti e soli «i casi di uso dell’informazione per fini contestativi o rivoluzionari» (p. 103), e che essa si possa considerare riuscita solo a condizione di «essere una “giusta” comunicazione di classe»; (p. 104), e non anche quando sia smentita e rettifica del falso o dell’erroneo tout court, sia «di classe» o meno.
26 P. A. MACCHI, Informazione e libertà, Firenze, Sansoni, 1974, 8º, 254. L. 3.000. Giornalista da quasi trent’anni, l’A. individua «dal didentro» le radici della crisi nei problemi economici e politici. Poco o nullo spazio concede al condizionamento esercitato dal pubblico, alla tutela della libertà di espressione-comunicazione dell’editore, anche nell’ipotesi di giornali di opinione, privilegiando i giornalisti quali garanti (?!) dell’obiettività dell’informazione.
27 A parte la confusione tra «cattolici» e «gerarchia ecclesiastica» (p. 46), l’eccessivo peso della carta da giornale (p. 135), la data di ratifica della Convenzione Europea (p. 202), ecc., un esempio di à peu près giornalistico è a p. 8. Scrive l’A.: «Quando Gutenberg inventa la stampa con i caratteri mobili, papa Paolo IV inventa l’Indice». Ora l’invenzione di Gutenberg risale al 1439, e l’Indice di Paolo IV è del 1559; vale a dire 120 anni dopo.
28 G. Auclair, Le «mana» quotidien. Structures et fonctions de la chronique des faits divers, Paris, Anthropos, 1970, 8º, 270. – L’A., già giornalista, romanziere e professore di lettere in USA, e oggi insegnante di sociologia, adopera il termine magico-polinesiano mana nell’accezione di M. Mauss e Lévi-Strauss (pp. 177 e 236). Il terreno dei faits divers era stato arato, in Francia, da altri AA.; cfr, per esempio, J. PAULHAN, Entretien sur les faits divers, Paris, Gallimard, 1945; ROMI, Histoire des faits divers, Paris, Port-Royal, 1962.
29 C. BORIS, Les tigres de papier, Paris, Seuil, 1975, 8º, 311.
30 Da notare la buona luce in cui vengono mostrati i cattolici La Croix (p. 142) e Vie Chrétienne (p. 172).
31 AA. VV., Contro l’industria culturale, Bologna, Guaraldi, 1971, 16º, 291. L. 3.000.
32 G. Beccheloni, direttore del CESDI, chiudeva il volume con questa Proposta: «Pervenire ad una pubblicazione periodica, aperta alla collaborazione di tutti gli interessati e curate da un gruppo di lavoro in via di costruzione. La pubblicazione avrà come oggetto principale di interesse l’industria culturale e sarà, presumibilmente, strutturata in tre parti: una prima parte un vero e proprio notiziario – tipo Agenzia di stampa – che riporti le notizie di interesse economico e politico (concentrazioni, compravendita di pacchetti azionari, provvedimenti legislativi, nuove iniziative, ecc.); una seconda parte che dia conto – anche diffusamente – delle analisi sociologiche ed economiche riguardanti il settore; una terza infine che informi sull’attività degli organismi rappresentativi, sindacali o di base, degli operatori culturali e sulle lotte in corso» (p. 291).
Non sappiamo se questa Proposta abbia avuto un seguito. Certo è però che dal gennaio 1976 l’editrice Il Mulino, di Bologna, a cura dell’ASI (=Associazione Studi sull’Informazione), pubblica il trimestrale Problemi dell’Informazione, che «si propone di favorire una ricerca sistematica sui problemi della stampa, della radio-televisione e dei mezzi di comunicazione di massa in generale, sia dal punto di vista scientifico, sia dal punto di vista politico».
33 P. BALDELLl, Informazione e controinformazione, Milano, Mazzotta, 1974, 8º, 431. L. 1.900. – Il taglio culturale e socio-politico dell’A., sempre più aggressivo, era già noto in Comunicazione audiovisiva ed educazione, Firenze 1966 (Civ. Catt. 1967 III 60); Politica culturale e comunicazioni di massa, Pisa 1968; Comunicazione di massa, Milano 1974 (1976 I 619); Educazione e cinema, Torino 1974 (1975 IV 155).
34 Da notare che l’A. si professa non credente.
35 Mentre andiamo in macchina, riceviamo e leggiamo il volume AA.VV., Guida ai problemi dell’informazione, Venezia, Marsilio, 1976, 8º, 135. L. 3.000. Curato da G. Tosi e C. Vietti, esso raccoglie diciotto relazioni di altrettanti giornalisti, o studiosi ed operatori dell’informazione, in un seminario sui problemi della stessa, svoltosi a Bologna nel febbraio-marzo 1976. Vi si incontrano vari nomi già citati in queste pagine, quali il Borio, il Dardano, il Fusaroli e il Murialdi. I problemi della controinformazione non vi sono ignorati, né in dottrina né in esperienze italiane, fallite o ancora in atto. Ma il volume, sia pure nella sua presentazione modesta, si raccomanda non solo a quanti intendano operare in attività giornalistiche, ma anche a quanti – e siamo tutti! – abbisognano di essere sensibilizzati quali destinatari delle stesse. All’intelligente lettore il distinguere le diverse estrazioni – oltre che professionali – anche ideologiche dei diversi relatori.