Articolo estratto dal volume I del 1967 pubblicato su Google Libri.
Il testo è stato corretto dai refusi di stampa e formattato in modo uniforme con gli altri documenti dell’archivio.
I riferimenti ai documenti del magistero pontificio sono stati resi interattivi e portano al sito del progetto “Chiesa e Comunicazione”, la biblioteca digitale online che prosegue l’attività iniziata da p. Baragli con le opere Cinema cattolico: documenti della Santa Sede sul cinema e Comunicazione Comunione e Chiesa.
Presentiamo cinque raccolte di documenti del magistero ecclesiastico attinenti agli strumenti della comunicazione sociale, o ad argomenti connessi con gli stessi.
Ben vengano siffatte raccolte. Se compilate con esattezza e completezza di dati e rigore di metodo, aiutano egregiamente ad approfondire la dottrina morale e pastorale in argomento, ed a studiarne la evoluzione nel tempo, in vista dell’aggiornamento sistematico, imperiosamente richiesto dal decreto conciliare Inter mirifica e della Instructio postconciliare che è in elaborazione.
La prima raccolta, sulla stampa1, – comprendente ben 157 documenti, in massima parte dati nei testi originali e nella traduzione italiana, corredati da opportune introduzioni ed indici –, risponde sufficientemente a quelle condizioni. Diciamo «sufficientemente», perché consultandolo, pur rilevando la meritoria fatica portata a termine dal compilatore, non si tarda a notarvi imprecisioni o incompletezza di dati e di notizie, incongruenze di criteri e di metodo2; ma soprattutto una mancata previa definizione del concetto e dell’ambito della «stampa»
Da una parte, infatti, gli anche troppi documenti raccolti riguardano tutte le forme della stampa, dal libro classico, vecchio di secoli, alle più recenti: del giornale e del rotocalco; dall’altra, poi, arbitrariamente, se ne inizia la raccolta dal pontificato di Leone XIII (neanche da Pio IX), escludendo i secoli XVI-XIX. Ci pare che sarebbe stato più logico attenersi al criterio seguito dal decreto Inter mirifica, che, non negando il libro con i suoi problemi culturali e morali, ha fatto oggetto di particolare attenzione soltanto la stampa periodica («prelum»), ovviamente perché si distingue dall’altra e per il grado e per il modo specifico di influire socialmente. Tra l’altro, se il compilatore avesse battuto questa via, avrebbe sfoltito la raccolta di molta roba praticamente inutile ed avrebbe potuto compilare un indice sistematico meno disperso, e dottrinalmente più attendibile, in quanto limitato ad una materia omogenea.
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Più che perplessi lascia la seconda raccolta3. Intanto, anch’essa trascura di definire l’oggetto di cui tratta, includendo alla rinfusa, nel termine «teatro», oltre al dramma propriamente detto – tanto come testo letterario quanto come azione scenica – anche la musica, le danze, i combattimenti di belve, i conviti o comessationes, i dadi, le maschere, i ciarlatani, i duelli, i tornei e «giuste» medievali, e via discorrendo. Uno sguardo sommario all’Indice sistematico (p. XV ss.) – a parte alcune inesattezze – convince su quanto sia disperato il tentativo di sistematizzare un insegnamento ecclesiastico in materia tanto eterogenea.
Inoltre, il compilatore s’impegna a raccogliere l’insegnamento pontificio in materia lungo l’arco, nientedimeno, di sedici buoni secoli (341-1966), quando, notoriamente, il pensiero «della Chiesa» in argomento, almeno fino al 1700, più che nel magistero pontificio, va ricercato negli interventi, per lo più demolitori, di apologeti, dottori e polemisti: da Tertulliano su su fino a Bossuet e a Pascal. Infatti, l’Ordine cronologico dei documenti (p. IX ss.) dimostra che, eccezion fatta per pochi pezzi, da contare sulle dita di una mano, ed appartenenti agli ultimissimi pontificati, tutti gli altri: o non sono «pontifici» (concili e sinodi particolari...), o riguardano poco o nulla il teatro. Il che porta a concludere, forse contro lo scopo inteso dalla raccolta, che praticamente, un magistero ecclesiastico organico sul teatro non esiste (né – soggiungiamo – poteva esistere). Ciononostante, nelle varie introduzioni della raccolta si avverte una volontà di difesa – quando non anche di panegirico – dell’opera e del pensiero della Chiesa rispetto al teatro, che, oltre tutto, stride con i pochi pezzi probanti della stessa raccolta, nonché con le, a ragione, misurate e riservate lodi di Paolo VI4. Opiniamo che si renderebbe miglior servizio alla verità riconoscendo che, essendo il «teatro» ed i teatranti quello e quelli che erano, gli uomini di Chiesa, più o meno come rappresentanti del suo magistero, non potevano non parlarne e scriverne che come hanno fatto; cioè, in generale, denunciando condannando e proibendo, forse – almeno giudicando le cose con gli occhi di oggi – in ciò anche eccedendo; fortunatamente in contrasto con la prassi ecclesiastica, che segnò al suo attivo almeno due benemerenze: quella della germinazione del teatro sacro dalla liturgia, e quella del teatro gesuitico, che per due buoni secoli tentò un’armonia tra cultura scolastica, divertimento pubblico ed insegnamento morale.
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La terza raccolta, curata dal Casalotti5, allarga l’interesse al cinema alla radio ed alla televisione; ma restringe i documenti ai 27 di maggior interesse (19+8), e li riporta solo in italiano6. Nei suoi limiti, anche per la maneggevolezza del volumetto e la correttezza del testo, come sussidio pratico pastorale può rendere qualche servigio. Peccato che neanch’esso segua la scia chiarificatrice del decreto conciliare, escludendo, non si sa perché, la stampa, ed adoperando indifferentemente i termini «mezzi audiovisivi» (fin dal titolo), «comunicazione audiovisiva», «civiltà delle immagini», «spettacolo», «tecniche di diffusione», «comunicazioni di massa», ecc., evitate tutte, et pour cause!, dal decreto stesso7. E peccato pure che risultino poco attendibili le varie introduzioni8, e di scarsa utilità orientativa la bibliografia, ove lavori di prima mano ed autori seri e sicuri si alternano, senza distinzione alcuna, con rifacitori, saggisti poco seri, o addirittura avversi alla Chiesa. Notiamo anche che la numerazione del Decreto Inter mirifica è stata portata arbitrariamente da 24 a 39.
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Il volume dei due padri Gritti ed Ayfre9 entra un po’ di straforo tra queste raccolte perché, delle sue poco meno di 400 pagine, solo poco più di un centinaio sono riservate ai documenti della Santa Sede e dei vescovi; tutto il resto tratta di cinema e di televisione, ed anzi, in appendice, anche di manifesti, fumetti, fotografia e fotoromanzo. Né si può dire che la parte maggiore sia stata pensata e scritta per introdurre, illustrare e commentare quella minore; ché le due parti stanno tra loro come l’olio e l’acqua; si amalgamano, scotendole, ma non si fondono; anzi, qualche volta, stentano anche a stare insieme10.
Ambedue le parti trattano parallelamente, prima, di quelli che noi chiameremmo i promotori del cinema e della televisione (produttori, tecnici, autori, potere pubblico, ecc.); poi del loro «prodotto» (i film e le trasmissioni in atto); infine degli spettatori: il tutto con ampia documentazione, invidiabile impegno dottrinale ed esemplare spirito pastorale, del quale i due ottimi autori avevano già dato prove preziose11. Purtroppo l’interesse si restringe a situazioni della Francia, e numerose inesattezze consigliano il lettore a documentarsi altrove qualora volesse utilizzare senza rischi quanto qui gli viene comunicato12.
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Con la raccolta sul tempo libero13, curata dal Du Laurens, ci si può dichiarare sodisfatti. Lo scopo è comune alla precedente: mostrare come, col suo magistero, la Chiesa non solo non ignora le realtà del mondo, né le ricorda solo per condannarle, ma ne vive in mezzo, quasi per assumerle in proprio e redimerle. Ma qui la parte introduttiva ai documenti, anche se molito ampia (134 pagine su 346), fa tutt’uno con essi, non solo rimandando spesso ai loro numeri marginali, bensì svolgendo dottrina e dati, anche profani, in funzione strettamente pastorale.
Distinguendo tra loisir, come «tempo libero», e loisirs come «mezzi e modi per occuparlo», nella prima parte ne studia l’aspetto economico-sociale, abbondando in dati ed in riferimenti bibliografici per la massima parte riguardano soltanto la Francia. Segue una seconda parte, filosofica, forse la migliore; infine, una terza, religioso-scritturistica, più debole. Si sviluppa quindi l’antologia di documenti pontifici ed episcopali, prima circa l’uso del tempo libero in genere, poi distintamente sugli strumenti della comunicazione sociale (cinema, radio, televisione, stampa), il ballo, la musica, lo sport, il turismo.
Qualche leggera svista14 non diminuisce i pregi del volume, né il merito dell’autore, diligente e competente. Esemplare, nella sua brevità, la nota bibliografica (p. 317): una delle poche che finora c’è stato dato di trovare, non semplice elenco di titoli, ma ragionata guida alla scelta. Ovviamente la raccolta risente di essere uscita prima della conclusione del Vaticano II. Ad meliora, dunque, per una seconda edizione!
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Concludendo, ripetiamo: Ben vengano siffatte raccolte, purché, per rispetto alla cultura e all’apostolato, siano compilate con esattezza e completezza di dati, rigore di metodo.
1 Documenti pontifici sulla stampa, Città del Vaticano, Radio Vaticana, 1964, in-16º, pp. 573.
2 Varie imprecisioni si rilevano nella Prefazione e nelle traduzioni. Tra le lacune rileviamo la Immortale Dei di Leone XIII, i 9 tra brevi e lettere pontificie alla Civiltà Cattolica, i sei docc. di Giovanni XXIII del 6 nov. 1958 e ’59, 7 marzo, 4 e 6 maggio e 16 luglio 1960 (cfr Ecclesia; 8 giugno 1963). Tra le incongruenze di metodo: capoversi originali e capoversi delle traduzioni che non si corrispondono; testi originali e versioni che qua e là si affiancano nella stessa pagina, altre volte in pagine distinte, mentre più spesso si seguono a distanza. Dei documenti latini nn. 9, 123 e 157 (l’Inter mirifica!) manca la traduzione italiana; viceversa, di altri documenti c’è solo la traduzione italiana: non l’originale latino (per esempio: della Pascendi), o francese, o inglese... Per il doc. n. 58, indirizzato, sì, a giornalisti, ma che non tratta della stampa; e, per il n. 120, indirizzato all’Istituto Biblico, ci si chiede a quale titolo abbiano trovato posto in questa raccolta. Finalmente ci si chiede perché di alcuni documenti, che ne avevano bisogno, manchi qualsiasi presentazione (per esempio i nn. 28, 124), mentre ad altri si premettono introduzioni amplissime del tutto superflue (per esempio nn. 133, 149).
3 Documenti pontifici sul teatro (341-1966), Città del Vaticano, Radio Vaticana, 1966, in-16º, pp. 172.
4 Per esempio, a p. V, dopo aver dato il teatro come e unica forma di espressione a contatto col pubblico (?!), si asserisce che «fin dall’inizio la Chiesa ha cercato di usare il teatro per il suo messaggio»(!?). Anche in questa raccolta non difettano citazioni ed indicazioni bibliografiche approssimative, incertezze di versione, introduzioni superflue (per esempio, al n. 17), o mancanti (nn. 18, 42, 47...); testi italiani ai quali non si sa se corrisponda un originale latino (n. 22), lunghi documenti che col teatro hanno poco o nulla da spartire (il 43, il 46, il 51...), attribuzioni errate (a p. 26 si dà Ignazio di Loyola come autore della Ratio Studiorum...), ecc.
5 La Chiesa e i mezzi audiovisivi, Roma, Studium, 1966, in-16º, pp. 270. L. 1.800.
6 Un’ulteriore restrizione di campo avviene nell’Appendice, ove, su 9 documenti: quattro (e diciamo «meno male») riguardano solo l’Italia, mentre due (il Codice Unda e le Conclusioni della Settimana Sociale di Siena) possono attribuirsi «alla Chiesa» fino ad un certo punto.
7 A p. 43 addirittura si asserisce che l’enciclica Miranda prorsus insiste sul concetto di «diffusione»; quando, in realtà, insiste su quello di «comunicazione».
8 Per esempio: a p. 27 si asserisce che sotto Leone XIII il cinema «aveva superato le fasi dell’infanzia»; che dall’inizio del magistero(!?) di Pio XI «aveva raggiunto una maturità espressiva ed una diffusione amplissima» e che la Vigilanti cura rappresenta «un punto focale di partenza per i documenti successivi di Pio XI» quando, in realtà dopo quell’enciclica, il pontefice tornò sull’argomento solo tre volte ed appena di passaggio.
9 Jules GRIITI, Eglise, cinéma et télévision, Paris, Fleurus, 1966, in-16º, pp. 388.
Il volume, però, è per la massima parte opera del compianto p. Amédée Ayfre, di cui il Gritti si professa meritamente fedele e devoto imitatore e collaboratore.
10 È, per esempio, il caso dei rapporti tra arte e morale. L’autore, che, dietro l’Ayfre, appoggia un’etica delle forme, significata da un’«estetica» fantasiosamente dicotomizzata in «est-etica» (pp. 88, 149, 322), arrivato al paragrafo dell’Inter Mirifica che tratta l’argomento, postilla: «Il decreto intende richiamare la gerarchia dei valori, il primato della morale (oggettiva) su l’estetica pura(!?), lasciando aperta la questione di una morale interna alla qualità artistica, morale non priva di aspetti oggettivi» (p. 322).
Ed è il caso della Legion of Decency, a proposito della quale scrive: «Vigorosa crociata per la moralizzazione dei film, che portò all’adozione di un codice di censura interna dei produttori: il Codice Hays. Questa efficace crociata aveva suscitato vive polemiche. Sollecitato dall’episcopato americano, Pio XI, che non ignorava certi aspetti esagerati della crociata, decideva di approvarne il principio, portando la controversia a livello più alto» (p. 287). Ora, a parte il particolare che il Codice Hays non risale al 1936, cioè a dopo la crociata della Legion, come afferma l’autore (p. 187), e che perciò la Legion non portò alla sua «adozione» ma soltanto a rinnovare l’impegno già preso dai produttori americani fin dal 1930; le controversie ci furono, sì, ma non da parte cattolica, tanto meno da parte della gerarchia. Nessun documento permette di affermare che l’episcopato americano sollecitasse un intervento di Pio XI, il quale, del resto, già in qualche modo era intervenuto, tramite il suo delegato apostolico a Washington mons. Amleto G. Cicognani, un’incitazione del quale fu proprio la scintilla iniziale della Legione. In quanto poi al pensiero del Papa in argomento, basta leggere l’enciclica Vigilanti cura (nei passi non citati dall’autore): è quello del più incondizionato appoggio all’operato dell’episcopato e dei cattolici (nonché protestanti ed ebrei) americani – summo cum animi gaudio certiores facti sumus (n. 1), vehementi cum animo gaudio profiteri libet (n. 11) –, sino ad invitare gli episcopati di tutto il mondo ad imitare il loro operato (n. 44), e ad approfittare dei risultati e delle esperienze ottenute negli Stati Uniti (n. 54). Ovviamente, questo a molti, oggi, potrà anche non piacere: ma non è ragione sufficiente per far dire ad un’enciclica quel che non dice.
Anche a proposito della «forza normativa» delle qualifiche cinematografiche non è del tutto esatto quel che si afferma (p. 194): più autorevoli del Concilio di Malines, del 1937, sono, a questo proposito, numerosi e molto più recenti documenti della Santa Sede.
11 Cfr A. AYFRE, Cinéma et foi chrétienne, Parigi 1961 (Civ. Catt. 1962, I, 379; III, 381); Conversion aux images, Parigi 1964 (Civ. Catt. 1964, IV, 62); con altri: Cinéma télévision et pastorale, Parigi 1964 (Civ. Catt. 1964, III, 506).
12 Per esempio: l’americana Theda Bara è data per danese (p. 50); il famoso esempio di Pudovkin-Kulescov-Mosjukin viene riportato, al solito, inesattamente (p. 56); La porta del cielo, di De Sica, viene dato come film «documentario» (p. 90); Senso, di Visconti, come neorealista (p. 101); Miracolo a Milano, di Zavattini-De Sica, viene definito «le meilleur, le plus merveilleux des films italiens» (p, 146); la terminologia dell’Inter mirifica viene data come «discretamente ispirata al mass media dei sociologi anglosassoni» (p. 319), quando, neanche a farlo apposta, essa rifiuta cosi il termine media come il termine mass; e, per finire in bellezza (perché si potrebbe continuare...), si parla dei Promessi Sposi come di un’opera in versi, e si attribuisce all’Olmi dei Fidanzati il merito di una sua «transcription remarquable» (p. 224).
13 Alban DU LAURENS, Le loisir et les loisirs. Paris, Fleurus, 1963, in-16º, pp. 346.
14 Per esempio: a p. 26, il rapporto tra Francia ed il resto del mondo non risponde a verità; a p. 120 si attribuisce agli Uffici Nazionali una competenza che non è loro; a p. 163 un sans doute andrebbe confermato con qualche ragione; a p. 205 qualche inesattezza circa l’O.C.I.C. e l’UNDA.