Articolo estratto dal volume IV del 1976 pubblicato su Google Libri.
Il testo è stato corretto dai refusi di stampa e formattato in modo uniforme con gli altri documenti dell’archivio.
I riferimenti ai documenti del magistero pontificio sono stati resi interattivi e portano al sito del progetto “Chiesa e Comunicazione”, la biblioteca digitale online che prosegue l’attività iniziata da p. Baragli con le opere Cinema cattolico: documenti della Santa Sede sul cinema e Comunicazione Comunione e Chiesa.
È proprio vero: tutto, nel mondo d’oggi, evolve a velocità esponenziale. Non fai a tempo a stupirti di un’invenzione «rivoluzionaria» che te la ritrovi realtà consueta, quotidiana. Guarda, per esempio, al mondo degli strumenti della comunicazione sociale: stampa, cinema, radio-televisione, dischi, cassette, satelliti...: appena ieri «Il futuro è già cominciato» sembrava un paradosso, ed oggi è una realtà. Anzi, l’accelerato accumulo di innovazioni tecnologiche l’ha ridotto ad un truismo.
Eppure pensiamo che valga la pena, a distanza appena di qualche anno1, di riprendere su queste pagine – forse per l’ultima volta, prima che diventi storia archiviata – il discorso su di essi. Intanto per aggiornare, se ce ne fosse bisogno, qualche disattento, sul loro stato di sviluppo odierno; inoltre, per mostrare la tumultuosa risonanza – prevista, e puntualmente verificatasi – che lo stesso sviluppo va riscotendo nell’ordinamento giuridico italiano; e soprattutto per rilevare le nuove possibilità e le urgenti responsabilità proposte dalla rivoluzione tecnologico-giuridica in atto a quanti in Italia ci diciamo e vogliamo agire da cattolici.
La tecnotronica è un fatto
Sulla fine degli anni sessanta, due novità tecnologiche misero a rumore il mondo dei mass media: i primi video-registratori ad uso domestico e le prime video-cassette. Allora furono in molti a sperare (o a temere) un loro imminente boom, che avrebbe dirottato in massa, non solo gli spettatori del cinema e della televisione, ma anche i lettori dei libri e dei periodici, verso le nuove e più individuali forme di spettacolo e d’informazione; sicché fu tutto un accaparrarsi di brevetti e un mobilitare di capitali da par di industriali e di editori, anche in holding finanziarie supra-nazionali.
In effetti il boom, almeno nelle misure sperate (o temute), sino ad oggi non si è verificato; ma non, certo, per carenza di ritrovati tecnici, bensì piuttosto per la loro sovrabbondanza e concorrenza. Infatti la diversità dei supporti – nastri o dischi? – e dei loro formati, ed anche le diversità tecniche di registrazione e di riproduzione degli stessi supporti comuni – magnetica, foto-ottica o laser? –, nonché di trascinamento meccanico, hanno mantenuto incompatibili le varie cassette/dischi (software) rispetto ai vari registratori-riproduttori (hardware) immessi nei mercati; e questa incompatibilità ne ha frenato l’acquisto, e quindi anche la produzione, che spesso non è andata oltre qualche prototipo. Di qui i prezzi piuttosto alti, e il circolo vizioso di un pubblico che non assorbe a sufficienza videocassette con programmi già registrati se già non dispone di un numero sufficientemente elevato di video-registratori-riproduttori, ma che resta tutt’altro che invogliato all’acquisto di questi finché il mercato non gli offre una sufficiente quantità di video-programmi qualitativamente allettanti.
Tuttavia – anche a prescindere da una standardizzazione, che noi riteniamo prossima, dei video-registratori e delle video-cassette, analoga a quella già da tempo realizzata per le musi-cassette –, questo (per il momento) mancato boom non autorizza affatto a misconoscere la generale evoluzione in atto, sia dei singoli strumenti di comunicazione, sia e soprattutto nel confluire delle loro prestazioni in un’unica integrata universale comunicazione-informazione tecnotronica2, agevolata dalla loro accelerata miniaturizzazione, automaticità ed economicità. Rimandando al molto di più che ne riferiscono e ne pronosticano gli addetti ai lavori3, menzioniamo alcuni dati più macroscopici.
Un fatto nuovo riguarda, intanto, il telefono, che, giusto dopo un secolo – al 1877 risale la prima linea telefonica commerciale –, durante il quale è servito per comunicazioni esclusivamente interpersonali, e quasi solo nel vecchio mondo industrializzato, oggi va rapidamente integrandosi nella comunicazione sodale-globale dei mass media. Oltre all’incremento mondiale degli apparecchi telefonici – i 2 milioni del 1900, e i 70 milioni del 1950, oggi sono diventati più di 300 milioni, e si avviano al miliardo per l’anno 2000 –, accelerano questo processo la loro progressiva indipendenza dalle linee telefoniche e, insieme, le sempre nuove prestazioni di queste. Nel primo caso, infatti, apparecchi mobili-individuali permettono (radio-) comunicazioni circolari a breve raggio, ed anche su grandi distanze per tramite di ponti-radio e vie-satellite; mentre nel secondo, rese già usuali la filodiffusione e la trasmissione di immagini in facsimile, si va verso la diffusione del video-telefono e della teledistribuzione in circuito chiuso di informazioni e di spettacoli, analoga a quella via-cavo.
Altro settore tecno-merceologico della comunicazione in piena evoluzione-integrazione è quello del cinema. Già condizionato, tanto nella produzione quanto nell’esercizio, dalle ingombranti apparecchiature tecniche ed organizzative e dalla conseguente onerosità degli investimenti economici, per un buon mezzo secolo il cinema è stato un medium autonomo, più di grande spettacolo che di comunicazione, e per giunta unidirezionale. Oggi, invece, da una parte la sempre più alta sensibilità e la progressiva riduzione delle pellicole, la maneggevolezza degli apparecchi classici di ripresa, di produzione e di proiezione, e la conseguente drastica riduzione dei costi; e dall’altra il progressivo integrarsi dei tradizionali processi foto-acustici in quelli elettronici, vanno piegando sempre più il cinema, sia a medium di espressione-comunicazione di piccoli gruppi, ed anche interpersonale, sia a veicolo di vero e proprio globale dialogo sociale. Si pensi, ad esempio, al Super-8. Poche migliaia di lire: e ci si gira, alla buona, un film in proprio; un modesto laboratorio artigianale: e, legalmente o no, in «cassette» o meno, si riducono a qualche centinaio di metri i tre/quattro chilometri dei film di produzione industriale; qualche migliaio di lire per noleggiarli o per acquistarli, un hardware «che fa tutto da sé» per proiettarli...: ed eccoci, – oltre al cinema-spettacolo familiare mangia-tempo-libero –, al cinema didattico (scolare e industriale, individuale o di gruppo) e di propaganda-pubblicità; ed anche al cinema espressione-discussione-contestazione; il tutto su schermi normali, ed anche su quelli televisivi.
Ma già siamo a quel confluire ed integrarsi di tutti i tradizionali e nuovi mezzi e veicoli di espressione-comunicazione in quella «radiotelevisione» che si sta mutando in unico ed universale strumento di «teledistribuzione»; caratterizzato, da una parte, dalla progressiva individualizzazione-personalizzazione dei messaggi (software), tanto nella loro formulazione e trasmissione quanto nella loro recezione, com’e effetto del progressivo decentramento dei supporti (hardware) e dell’avanzata pluridirezionalità delle loro comunicazioni; caratterizzato, d’altra parte, dalla quantità e qualità illimitata delle informazioni di cui il globale sistema tecnotronico renderà possibile l’accumulo, l’accesso e la distribuzione ubiquitaria.
Si tratta, in altre parole, della capacità della tecnica odierna e prossimo-futura di trasformare e d’immagazzinare ogni genere di dati-informazione – stampata, visiva, sonora – in informazione elettronica (dischi, nastri, cassette, memorie...); sia in presa diretta (fono- e radioregistratori, foto- e tele-camere portatili), sia in ripresa di programmi esterni (via-antenna e satellite, via-cavo e via-telefono); e delle possibilità di immediata (ri)utilizzazione della stessa, non più soltanto come monologo imposto da gruppi egemoni ideologico-economici a «masse» senza voce, ma con possibilità di risposta-dialogo da parte anche di piccoli gruppi e di singoli. E ciò. in tutte, si può dire, le manifestazioni della vita associata: politica, culturale, religiosa, professionale, familiare...; collegando tutti quelli che sino ad oggi ne erano i distinti «luoghi deputati»: parlamento, governo e tribunali, regione, municipio, quartiere, caseggiati e domicili, scuole, chiese, sedi di associazioni, ospedali, banche, servizi e super-mercati..., in un unico luogo d’incontro-dialogo, insieme, interpersonale e planetario.
Rifermce G. Bonani per gli USA (ma, presto, in fatto di comunicazione, tutto il mondo sarà paese!):
«Gli esperti prevedono per gli anni ’80 che la metà delle abitazioni siano collegate a reti televisive via-cavo, il cui giro d’affari globale si avvicinerà ai 3.000 miliardi di lire, per un capitale investito dell’ordine di 9.000 miliardi di lire. Queste cifre non sono tuttavia sufficienti a descrivere l’evoluzione in corso: ancor più delle dimensioni di questa industria, la natura stessa delle tecniche che essa usa e dei servizi che propone è in corso di rapida trasformazione. Dai sistemi di semplice antenna collettiva (TAC), che permettono la distribuzione di una decina di catene televisive, essa è passata a reti di una capacità di venti e più canali con studi e regie di produzione locale e programmi (TRL); si avvale di alcuni sistemi a via di ritorno (=TVR) e sperimenta già le future reti a gestione automatica del messaggio (= GAM), che apriranno l’era dei sistemi elettronici di comunicazione risultando dalla fusione di tecniche televisive, dell’informatica e delle comunicazioni. La televisione à; la carte, offerta già in alcuni alberghi, e che sarà introdotta su reti televisive via cavo nel corso dei prossimi mesi, preannuncia questo nuovo sistema di comunicazioni, e mostra che esso non è più del domani, né della fantascienza»4.
Le leggi son, ma...
È impensabile che questo sviluppo dei mass media, che va sempre più coinvolgendo diritti e valori attinenti al bene comune, ormai, di tutta l’umanità, venga lasciato totalmente alla libera iniziativa di singoli o di gruppi attenti soltanto ai propri interessi politico-economici e/o ideologici. Infatti, com’è avvenuto e come sta avvenendo nell’analogo settore dei trasporti – terrestri, marittimi, aerei, spaziali ed interplanetari –, dove leggi, codici e convenzioni, nazionali ed internazionali, vanno moltiplicandosi col moltiplicarsi e l’intrecciarsi delle vie di comunicazione e con l’aumentare del numero, della capienza e della velocità dei veicoli; così si moltiplicano norme e convenzioni sull’uso degli strumenti della comunicazione sociale via via che questi vanno consolidando la loro capillarità ed ubiquità planetaria. Con questa differenza, tuttavia: che, mentre proprio lo sviluppo tecnologico rende relativamente controllabile l’osservanza della normativa e la repressione degli abusi rispetto al trasporto di cose e di persone, proprio la sempre più sofisticata tecnologia che va caratterizzando i mass media tende a rendere praticamente inefficace ogni normativa che li riguarda4 bis, da una parte agevolandone la inosservanza e, dall’altra, ostacolandone la pronta repressione degli abusi.
Esemplificando, sorvoliamo sulle sin troppo note intercettazioni telefoniche, come pure sulle registrazioni, sonore e visive, di conversazioni e di azioni private mediante apparecchiature sensibilissime microscopiche – e, in ogni caso, facilmente occultabili –, di uso corrente nello spionaggio politico e da parte di investigatori privati, o di reporter a caccia di redditizi colpi giornalistici; e portiamo l’attenzione su tre settori che toccano più da vicino quello dei mass media e che, coinvolgendo ingenti profitti economici, personali ed imprenditoriali, anche multinazionali, spingono gli interessati a provocare imbrigliamenti legislativi, tutti o quasi, per altro, praticamente eludibili.
Il primo è quello delle registrazioni abusive, anche in molti esemplari, di dischi e di cassette «legali», e di programmi radiofonici e televisivi (film compresi: italiani ed esteri, recenti o da cineteca), e della loro riutilizzazione, individuale ed associata, ed anche commerciale-pubblica. Aventi diritto d’autore, case discografiche, produzione-distribuzione ed esercizio cinematografici, giustamente allarmati, hanno sollecitato l’applicazione delle varie normative vigenti e vanno proponendo nuove leggi e convenzioni inter-nazionali a difesa dei propri legittimi interessi morali e patrimoniali. Ma quale l’esito? I mercati sono inondati da copie abusive, prodotte anche su scala industriale e, del resto, spesso in nulla inferiori agli originali legali; né si vede quali controlli possano di fatto impedire a privati di raccogliere dischi, cassette e video-tape registrandoli in proprio, e poi di usarne, con dolo o senza, a piacere.
Pari discorso va fatto per il cinema, specie a proposito del Super-8. Già s’è detto delle modeste apparecchiature e capitali occorrenti per ridurre film standard in questo formato economico e maneggevole, nonché della buona resa spettacolare che proiettori e pellicole oggi gli permettono, quasi concorrenziale di quella dei costosi ed ingombranti film originali. Ciò spiega la loro crescente diffusione, sia nel «cinema in salotto», di moda – scippi ed insicurezza notturna aiutando – nelle famiglie borghesi e medio-borghesi, e sia, ormai, anche in locali pubblici.
Ovviamente, produzione e distribuzione si sono adeguate: solo in Italia, in due anni, almeno duecento film di non nuova programmazione sono stati ridotti in Super-8 e regolarmente commerciati, con un giro d’affari sui due miliardi. Ma non sono tutte rose. Da noi, infatti, come altrove opera la pirateria del Super-8, anche organizzata, pare, in mafie e in imprese multinazionali. Certo è che film standard – preferibilmente scandalosi o, comunque, di richiamo5 – vengono sottratti dalla programmazione corrente, ed anche dagli stabilimenti di produzione-stampa, per ricomparire in Super-8: sottobanco, ed anche in cataloghi e in negozi regolari, in vendita o a noleggio, nei più disparati mercati del mondo.
Nella pratica impossibilità di mettere le mani sulle imprese, artigianali o industriali che siano, come impedire questa pirateria? Perseguendo i singoli colpevoli d’incauto acquisto? Sequestrando presso i rivenditori-noleggiatori le copie abusive, dato e non concesso che sia sempre possibile distinguerle? Controllando i commercianti di pellicola vergine? Se lo chiedono, invano, le parti lese, mentre intanto il Super-8, legale o meno, accelera l’integrazione del cinema nella comunicazione capillare-globale dei mass media.
E siamo alla radio-televisione. È nota – mi limito all’Italia – la rigida legislazione con la quale per mezzo secolo lo Stato ne ha avocato a sé e ne ha difeso la gestione in monopolio, tanto per gli impianti quanto dei programmi; ma ne è anche noto lo smantellamento ormai pressoché ultimato6. Infatti Corte Costituzionale e Governo cercarono di bloccare le prime libere iniziative private; la Corte, con Decisione n. 59, del 13 luglio 1960, ritenendo non contraria all’art. 21 della Costituzione l’avocazione allo Stato della radio-televisione, e il Governo, con l’art. 195 del nuovo Codice Postale (29 marzo 1973) estendendo il monopolio statale anche alla televisione via-cavo. Ma per poco. Fatti nuovi, quali la costituzione delle Regioni a statuto ordinario (1970), la scadenza della convenzione ventennale tra lo Stato e la RAI-TV (1972), e soprattutto il proliferare di trasmittenti locali, diciamo «pirate» o «libere», moltiplicano i conflitti tra queste e il Ministero delle Poste, ed anche le impugnazioni del Codice e della Decisione della Corte; e questa, in due nuove pronunce (nn. 225 e 226, del 10 luglio 1974), pur riaffermando, di massima, la legittimità di una riserva monopolistica da parte dello Stato, è costretta a farvi vistose brecce, di cui la Legge di riforme della RAI-TV (n. 103, del 14 aprile 1975) deve tener conto.
Infatti vi risultano esclusi dal monopolio sia gli impianti ripetitori via-etere di programmi radiofonici e televisivi nazionali ed esteri, sia la televisione via-cavo a carattere locale (art. 2); inoltre vi risulta tutelata una tal quale indipendenza politica ed obiettività informativa dei programmi, demandandone al Parlamento i poteri d’indirizzo, di coordinamento e di alto controllo (art. 4), assegnando a comitati regionali compiti consultivi nel quadro di decentramento produttivo ed ideativo affidato alle Regioni (art. 5), ed affermando il principio della professionalità dei preposti ai servizi d’informazione (art. 13); ma soprattutto vi viene riconosciuto il diritto di gratuito accesso da parte dei vari gruppi politici, sociali, culturali, religiosi, etnici e linguistici del Paese (art. 6), come pure il diritto di rettifica da parte di qualsiasi cittadino che si ritenga leso nei propri interessi, materiali e morali, da trasmissioni contrarie a verità (art. 7).
Tuttavia l’erosione, di quel che resta del monopolio, continua. Saliti ad un migliaio i ripetitori delle televisioni estere, a 400/600 le radio-trasmittenti (di cui una ventina, rispettivamente, a Roma e a Milano), e saliti ad una cinquantina – «baracchini» compresi7 – le tele-trasmittenti, che la Legge di riforma della RAI-TV considerava illegali, cominciano i sequestri e le diffide da parte del Ministero delle Poste8. Ma le associazioni degli operatori indipendenti9 mobilitano a difesa; e vari pretori, persuasi, sollevano eccezione d’incostituzionalità della Legge, eccependo sulla reale limitatezza delle bande di frequenza, ed anche appellandosi al Trattato di Roma: che fa libero lo scambio delle informazioni e dei servizi, quindi anche della pubblicità, nell’ambito della C.E.E. Nuovo esame (3 giugno 1976) e nuova sentenza (n. 202) della Corte Costituzionale. In breve: via libera alla normale attività radio-televisiva, anche via-etere «in ambito locale», delle emittenti «private» (e non più «pirata»), alle quali la RAI-TV comunichi la mappa delle frequenze a disposizione, fermo restando il monopolio statale soltanto come servizio pubblico (9 bis).
Responsabilità ed impegno cattolico
Il caos babelico che così s’è venuto creando in Italia – unico, pare, nel mondo – dovrà pur cedere ad una ragionevole regolamentazione e mutarsi in dialogo civile. In ogni caso, la progressiva liberalizzazione tecnico-giuridica della comunicazione umana strumentale è da ritenere fenomeno irreversibile; né è il caso di lamentarsene. Contrariamente a come hanno agito in passato troppi cattolici «benpensanti», unicamente allarmati dei pericoli che ogni innovazione tecnica della comunicazione comporta, urge piuttosto prendere conoscenza e coscienza della odierna situazione come somma di provvidenziali possibilità positive politico-etico-culturali, e perciò anche di nostre indeclinabili responsabilità, individuali e sociali.
Agire, intanto, per migliorare, se possibile, la stessa Legge di riforma della RAI-TV. Non è, infatti, che ci soddisfi appieno. A parte il concetto fuorviante di un monopolio statale quale «servizio pubblico»10, sul quale tutta la Legge si fonda (art. 1), andrebbero, per esempio, rimessi in discussione esistenza componenti e compiti della Commissione Parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radio-televisivi (art. 4). Infatti, composta com’è di soli parlamentari delle diverse tendenze politiche, ed ignorando la presenza di altre voci – per esempio: quelle rappresentative di associazioni di recettori (AIART, ARCI...) –, mentre attribuisce al Parlamento compiti esecutivi e decisòri a esso, crediamo, costituzionalmente estranei (10 bis), né garantisce l’obiettività dell’informazione, né, tanto meno, rimedia alla deprecata lottizzazione politica e allo strapotere di gruppi egemoni, a ragione o a torto imputati ai Governi passati e alla vecchia gestione dell’Ente concessionario11.
Neanche i due artt. 6 e 7, sui diritti di accesso e di rettifica – pur dovendosi riconoscere che sono quelli che meglio qualificano la Legge –, appagano del tutto. Circa il primo si è giustamente rilevato che si tratta
«pur sempre di un accesso condizionato da una decisione di carattere politico, qual è certamente l’esame e la delibera della Sottocommissione permanente per l’accesso, costituita nell’ambito della Commissione Parlamentare, alla quale la Legge (art. 6, terzo comma) riserva i due importanti compiti di determinare se una richiesta possa o no essere ammessa e, nell’affermativa, di stabilire la lunghezza del tempo di trasmissione che ad essa può essere riservato.
«La stessa fissazione del tempo complessivo dei programmi nazionali da riservare all’accesso [non inferiore al 5 per cento del totale delle ore di programmazione televisiva, e al 3 per cento del totale delle ore di programmazione radiofonica, distintamente per la diffusione nazionale e per quella regionale] è in sostanza un ulteriore condizionamento che viene effettuato alla libertà di espressione. Si tratterà di vedere in pratica in che modo la Commissione eserciterà i suoi poteri, in relazione ai tre punti che la Legge fissa come termini di riferimento delle sue decisioni: a) all’esigenza di assicurare la pluralità delle opinioni e degli orientamenti politici e culturali; b) alla rilevanza dell’interesse sociale, culturale ed informativo delle proposte degli interessati; c) alle esigenze di varietà della programmazione12.
E circa il secondo è stato notato che
«manca un’esplicita affermazione che il diritto alla rettifica compete, sia nel caso che la notizia o dichiarazione che s’intende rettificare provenga da un terzo e come tale trasmessa, ovvero che sia diretta espressione degli organi televisivi [...]»; inoltre, che «il sistema di confinare le rettifiche in apposite trasmissioni non è sufficientemente tutelativo del diritto del soggetto, giacché si finirebbe con il concentrare in un calderone di rettifiche tutti gli eventuali errori. È vero che nei casi di particolare rilevanza la Legge esclude il ricorso alle apposite trasmissioni, ma, nulla prescrivendo di preciso, rimette a scelte discrezionali il modo di rettifica. Anche il termine temporale per la rettifica con l’espressione “senza ritardo” può dar luogo ad abusi [...]»13.
A queste e ad altre carenze14 potrebbero, crediamo, molto ovviare i regolamenti esecutivi della Legge: alla migliore redazione dei quali occorre, dunque, che concorriamo tutti, cittadini e cattolici, almeno «facendo opinione», e quanti lo possono – politici, giuristi, professionisti dei mass media, associazioni di utenti... –, con mozioni e proposte concrete.
Un documento della CEI
Ma, intanto, dobbiamo tutti, cittadini e cattolici, mobilitarci ed addestrarci per approfittare di tutte le possibilità di partecipazione attiva alla radio-televisione che la Legge, così qual è, ci offre, non dimenticando quelle connesse con la avvenuta liberalizzazione tecnico-giuridica degli altri mass media: come spiega programma ed esorta un recente Documento della CEI15.
a) radio e televisione
«Occorre una strategia coordinata nell’esercizio del diritto di accesso [... . Tale diritto, che prevede esplicitamente l’attribuzione di uno spazio di presenza alle confessioni religiose, potrà e dovrà essere esercitato sia in sede nazionale sia in sede regionale. Le forme di tali presenze potranno andare da richieste formulate direttamente dalle autorità religiose, a richieste avanzate da gruppi, enti, associazioni, ambienti di ispirazione cristiana [...]16.
«Il decentramento previsto dall’art. 5 della Legge, per quanto ristretto, è un processo di cui occorre non sottovalutare la portata. A parte la competenza nel già ricordato diritto di accesso in sede regionale, i Comitati Regionali [...] formulano sia indicazioni sui programmi radiotelevisivi destinati alla diffusione regionale, sia proposte da presentare al Consiglio di Amministrazione della RAI in merito a programmi regionali da immettere in rete nazionale. Si tratta perciò di prevedere una presenza ed un’attenzione a detti organismi, un’effettiva animazione della realtà di base ed un costante contatto con i cattolici che operano nell’azienda radiotelevisiva17.
«Circa il diritto di rettifica previsto dall’art. 7 della Legge, si tratta di istituire in sede nazionale e in sede regionale un organismo portavoce, con facoltà ad intervenire, segnalando nelle forme di legge all’emittente le notizie inesatte e tendenziose riguardanti la comunità ecclesiale18.
«Collegata al punto precedente dovrebbe essere l’istituzione di gruppi di ascolto e di controllo della programmazione radio-televisiva, idonei ad esprimere valutazioni critiche documentate delle tendenze (e tanto più delle inesattezze) espresse nei programmi. Anche questa struttura potrebbe articolarsi in un primo tempo a livello nazionale, e successivamente a livello regionale. Essa potrebbe far capo all’AIART, che in ogni caso occorre potenziare in ordine alle sue finalità statutarie [...].
«I convenuti hanno ampiamente dibattuto sull’opportunità di varare iniziative sulla TV-cavo, sulla TV-etere e sulle radio libere, prendendo atto della martellante presenza di iniziative di altro orientamento19. Ma a monte di queste scelte, che implicano margini di rischio da valutare con grande senso di responsabilità20, occorre predisporre un solido retroterra culturale professionale ed organizzativo, che consenta di sfruttare tutte le opportunità che potranno manifestarsi in questo settore in rapida evoluzione.
«Perciò occorre stabilire un efficiente collegamento tra i problemi della radio-televisione nel suo complesso e l’incremento della video-registrazione, TV a circuito chiuso, video-nastri, video-cassette, dischi, fonocassette [...]. Il ridotto costo di produzione, la notevole facilità d’impiego, le grandi possibilità. di distribuzione anche al di là dei canali commerciali consueti, e soprattutto la possibilità di trasformare gli strumenti di informazione in strumenti di dialogo sono i motivi più rilevanti dell’attenzione e dell’impiego che occorre dedicare ad essi21.
«In concreto, per lo sviluppo della loro produzione e per una larga loro diffusione, è necessario stabilire nuovi e continuativi rapporti con tutte le forze culturali ed industriali impegnate in questo settore, garantendo loro consulenza, appoggio per la diffusione, verifiche metodologiche per il miglioramento dei prodotti e la loro aderenza alle esigenze religiose-culturali dei recettori. Inoltre vanno incoraggiati gli scambi di esperienze, le cineteche, le nastroteche regionali, e tutta una rete di centri di distribuzione che favorisca uno sviluppo costante del settore [...].
«In conclusione, in riferimento al settore radio-televisivo si è rilevata la necessità di un programma-base di attività degli Uffici Nazionali, al fine di conciliare le iniziative locali con un piano di azione ben coordinato a livello nazionale».
Il Documento della CEI – oltre che sul teatro – si dilunga anche su gli altri due media: il cinema e la stampa. Ma si tratta più di rilievi sulle non brillanti situazioni di fatto, in contrasto con le molteplici possibilità esistenti, che di concrete proposte operative di partecipazione capillare, che è ciò che qui ci interessa. Vi leggiamo tra l’altro:
b) cinema
«La presenza dei cattolici [...] nel settore della produzione cinematografica è praticamente inesistente, né è possibile che possa aversi in forma diretta per le molte difficoltà di ordine economico [...]22.
«Nel campo della distribuzione si potrebbero avere maggiori risultati creando collegamenti più funzionali fra gli organismi operanti nel settore, quali per esempio l’esercizio cattolico e alcune istituzioni operanti nella area della pastorale. Se si trovassero inoltre finanziamenti, per altro non eccezionali, il discorso della presenza cattolica in questo settore assumerebbe risvolti molto interessanti.
«Nel campo dell’esercizio la presenza dei cattolici consiste praticamcnte nelle oltre 5.000 sale cinematografiche dipendenti a vario titolo dalla autorità ecclesiastica e sparse in tutta Italia ed in ogni regione [...], nei grandi e soprattutto nei piccoli centri. La potenzialità racchiusa in questo fatto è grandissima23, ma non è sfruttata che in minima parte. Queste sale fanno parte dell’ACEC [...], ma nella sua azione pastorale, che esige un radicale cambiamento di mentalità da parte dei sacerdoti responsabili, essa è praticamente sola [...].
«Anche nel campo della promozione culturale la presenza dei cattolici è numericamente molto rilevante, concretandosi in quattro associazioni di ispirazione cristiana, che organizzano circa 600 circoli [...]; però l’incidenza non è adeguata al numero».
c) stampa
«È chiara la stretta connessione che esiste tra il ruolo che la stampa è chiamata ad assolvere nell’ambito della comunicazione sociale e la necessità assoluta di una rifondazione culturale dell’informazione [...] da parte dei cattolici. È necessario ricuperare un più preciso atteggiamento di ascolto della cristianità, in modo da saperne interpretare con chiarezza le tensioni, le aspirazioni e le dinamiche di rinnovamento [...]. Il pluralismo delle situazioni economiche, culturali e sociali delle varie regioni italiane è un dato imprescindibile anche per la stampa cattolica: questo significa che, accanto alla stampa nazionale cattolica «di opinione», deve svilupparsi decisamente la rete «regionalizzata» della stampa cattolica.
«[...] perché, del quotidiano nazionale Avvenire, non farne ancora di più la voce di opinione cattolica italiana? L’attuale situazione del nostro Paese, con la prevalenza di organi di stampa scarsamente attenti, o palesemente contrari, ad un orientamento cristiano, rende tale necessità più che mai palese e la riveste di carattere di urgenza [...].
«Compito comune a tutta la stampa cattolica è quello di costruire giorno per giorno, nella lettura della vita sociale italiana, un’immagine credibile e positiva della Chiesa».
* * *
Il Documento non manca di richiamare l’attenzione su altri punti di gran momento. Tali, per esempio, la tempestiva preparazione tecnico-professionale dei promotori dei mass media, la maturazione culturale e sociale dei loro recettori24, il coordinamento delle iniziative cattoliche che, grazie a Dio, almeno per le radio libere, non mancano25.
Come non auspicare che si passi, dalle costatazioni di fatto e dalle raccomandazioni, ai programmi e alle attuazioni? Ma occorre agire subito. Ogni assenteismo ed ogni attendismo nostro non farebbe che potenziare la partecipazione e, purtroppo, il demagogismo degli altri.
1 Cfr E. BARAGLI, Arrivano le video-cassette, e Ancora sulle video-cassette, in Civ. Catt. 1970 II 59; 1971 II 563.
2 Il termine è stato coniato da ZBIGNIEV BRZEZINSKI, in L’America nell’era tecnotronica (in Futuribili, 1958, 3), ed indica lo stretto legarne di tutta la tecnologia con l’elettronica. E si rifà alla cibernazione, cioè alla trasformazione radicale della società mediante la cibernetica.
3 Tra i molti ricordiamo: AA.VV., Programmazione tecnologica e processi di comunicazione, Bologna 1972 (Civ. Catt. 1972 III 443); C. BATZ, La vidéo-cassette (relazione dattiloscritta al Conseil d’Europe), Strasburgo, 1972, (con Bibliografia annessa); Fr. BALLE, Institutions et publics des moyens d’information, Paris, Montchrestien, 1973 (Civ. Catt. 1976 III 197); M. PRICE – J. WICKLEIN, Tv cavo. L’altra televisione, Milano, Bompiani, 1973 (Civ. Catt. 1974 III 314); M. PRICE, L’esperienza della Tv cavo in America, in Le emittenti radiotelevisive e il loro pubblico, Torino, ERI, 1974, 221 ss.; J. C. BATZ-KREFER, La vidéocassette, Tours, 1974; R. FAENZA, Senza chiedere permesso. Come rivoluzionare l’informazione, Milano, Feltrinelli, 1973 (Civ. Catt. 1973 IV 511); Tra abbondanza e compromesso, ivi, 1975 (Civ. Catt. 1976 I 620); I. CIPRIANI, Problemi e prospettive della video-registrazione, in Le comunicazioni di massa (Problemi di Ulisse, 1975, n. 80, 161 ss.); G. BONANI, Telecomunicazioni: prospettive 1980, in SIPRA, 1975, n. 5, 126 ss.; I servizi della teledistribuzione, ivi, n. 6, 89 ss.; E. MASCILLI MIGLIORINI, La strategia del consenso, Milano, Rizzoli, 1974, 153 ss.; P. BALDELLI, Comunicazioni di massa, Milano, Feltrinelli, 1974 (Civ. Catt. 1976 I 619), e Informazione e controinformazione, Milano, Mazzotta, IV ed., 1974, 25 ss., 396 ss.
SISTEMI UTENZE | TAC | TRL | TVR | GAM |
Servizi municipali | Bollettini di informazione municipali e amministrativi | Sorvegllanza Centri di Informazione di quartiere |
Regolamentazione dei trasporti pubblici Consultazioni a distanza |
|
---|---|---|---|---|
Insegnamento | Emissioni educative Formazione permanente |
Multiplex educativo: esperienze Pedagogia di gruppo |
Teleinsegnamento Videoteche |
|
Salute | Informazioni mediche Appelli al pubblico |
Consultazioni interospedaliere Cliniche di telemedicina |
Telemedicina a domicilio Ausili per medici generici |
|
Commercio | Pubblictà locale Vendita |
Sorveglianza centralizzata della superfici di vendita | Corriere elettronico Servizi selettivi Centrali di informazioni e di calcolo |
|
Banche e servizi | Annunci Pubblicita spettacoli |
Collegamenti video fra succursali | ||
Gruppi e associazioni | Telex consumatori regionali Manifestazioni culturali Dibattiti |
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4 bis Di qui, per esempio, la ormai impossibilità tecnica dei sovietici d’impedire in URSS e negli altri Paesi comunisti dell’Est Europeo la diffusione e l’ascolto delle trasmissioni radiofoniche loro destinate specialmente dalla BBC da Londra, da La voce dell’America da Washington, da Radio Liberty e Radio Europa Libera da Monaco di Baviera. Di qui anche il loro tentativo d’interpretare estensivamente il principio «di non ingerenza», firmato nei recenti accordi di Helsinki, in strumenti giuridici internazionali per imporre una vera e propria censura a tutte le fonti d’informazione dei Paesi non comunisti. E questo quando Radio Mosca – secondo quanto riferiva la rivista Govorit i pokazyvaiet Moskva (una specie di Radiocorriere sovietico) nel n. 20 del 1974 – trasmetteva in settanta lingue straniere programmi altamente ideologizzati: «Essi indicano la via giusta verso il socialismo, cioè verso la felicità e la prosperità».
5 Tra i film che, in quel di Roma, recentemente risultano preda di questa pirateria ci sono: Ultimo tango a Parigi, di B. Bertolucci; Emmanuelle, di J. Jackin; Deep Throat (= Gola profonda), di G. Damiano e A. Koob; The Sting (= La stangata), di G. Roy Hill; Altrimenti ci arrabbiamo, di M. Fondato; Salvo D’Acquisto, di R. Guerrieri...
6 Cfr E. BARAGLI, Verso una riforma della RAI-TV, e La Radio-Televisione è cosa nostra; A. CARUSO, La nuova RAI-TV: strumento di parte o servizio pubblico?, rispettivamente in Civ. Catt. 1971 I 7 ss., 140 ss.; 1974 I 258; 1975 IV 493. – Per chi volesse seguire ed approfondire l’argomento – anche rispetto alla partecipazione, di cui subito –, stralciamo dalla bibliografia-fiume le voci seguenti, segnalandone in parentesi il giudizio datone dalla Rivista.
Su polemiche e proposte giuridico-politiche prima delle Leggi 1974/1975, di AA.VV. (o anonimi): Libertà di espressione e organizzazione radio-televisiva, Milano 1970 (1972 II 455); Giornalismo televisivo: una riforma per la RAI-TV, Padova 1970 (dell’UCSI); Quale riforma per la radio-televisione?, Roma 1970 (dell’ENARS); La tv negli anni settanta, Roma 1971 (dell’AIART: 1971 IV 413); RAI: il dibattito per la riforma, Roma 1972 (documentazione-stampa del Centro Sperimentale di Cinematografia); Regioni e riforma della RAI-TV, Milano 1973 (della Regione Lombarda: 1974 II 97); Televisione: libertà di antenna, Roma 1973 (1974 I 409); Informazione e democrazia, Bari 1973 (1974 IV 311); TV: Riforma della RAI e trasmissioni via cavo, Roma 1973 (Documentazione-stampa dell’AGIS); Criteri e funzioni della critica televisiva, Torino, ERI, 1973; Relazione dei critici televisivi, ivi, 1973; Le emittenti radio-televisive e il loro pubblico, ivi, 1974; Il problema della radiotelevisione in Italia, Roma 1974 (dell’Ordine dei giornalisti: 1975 II 205); Comunicazione televisiva e tutela dell’utente, in Tecniche giuridiche e sviluppo della persona, a cura di N. LIPARI, Bari, Laterza, 1974, 429 ss.; Aspetti organizzativi delle comunicazioni televisive: regioni e radiodiffusione, ivi, 459 ss. – Inoltre, di autori nominati: F. COLOMBO, Televisione: la realtà come spettacolo, Milano 1974 (1975 III 207); F. DI GIAMMATTEO, Televisione potere riforma, Firenze 1974 (1975 III 200); ROBERTI-PAZZAGLIA-VALENSISE, RAI-TV: una riforma contro la Costituzione, Roma 1975 (del Gruppo Parlamentare MSI-DN); F. ROSITI, Lavoratori e televisione, Milano 1970 (1971 II 410); G. FANTI, Radiotelevisione informazione e democrazia, Milano, Feltrinelli, 1973 (del PCI e della Regione Emilia-Romagna); A. SPILLER, Regioni e televisione, in Aggiornamenti sociali, giugno 1973, 435 ss. Prevalentemente critici e stroncatori: A. BELLOTTO, La televisione inutile, Torino 1962 (1963 II 479); A. BIANCO (pseudonimo), La videocrazia cristiana, Rimini, Guaraldi, 1974 (contro la DC, per una tv «democratica» in senso PCI); G. CESAREO, Anatomia del potere televisivo, Milano 1970 (1970 II 517); La televisione sprecata, Milano 1974 (1975 III 200); R. FAENZA, Fanfan la tivù, Milano 1974 (1975 I 620); R. FAENZA-F. SILIATO, Attenti al cavo!, Rimini, Guaraldi, 1974 (polemico con la DC, pro le sinistre); A. GISMONDI, La radiotelevisione in Italia, Roma 1958 (1959 II 82); C. MANNUCCI, Lo spettatore sensa libertà, Bari 1962 (1964 II 64); S. SAVIANE, Dietro il video, Milano 1972 (1973 III 339).
Specialmente su televisione e partecipazione (oltre all’amplissima Bibliografia che si trova in Informazione Radio TV, Roma, RAI, n. 38, Aprile 1975): AA.VV., TVcavo e partecipazione, Milano, Sapere, 1975 (dell’ARCI-UISP); J. GALTUNG, La comunicazione televisiva e la partecipazione del pubblico, in Le emittenti radiotelevisive e il loro pubblico, vol. I, Torino, ERI, 1974, 67 ss.
Sulle recenti Leggi: testi e commenti in Il diritto delle radiodiffusioni e delle trlecomunicazioni, Torino, ERI, 1975; E. CHELI, Le radio private. Problemi di legittimità e scelte politiche, in Problemi dell’informazione, 1976, n. 2, 16, ss.; B. FINOCCHIARO, RAI-TV: ieri e domani, Milano 1974 (1975 III 208); P. PRATESI, I nuovi «signori» della RAI, in Problemi dell’informazione, 1976, n. 1, 7 ss.; S. ZINGALE-L. GOTTI PORCINARI, La legge di riforma della RAI, Roma, AIART, 1976 (1976 III 207).
7 Nel gergo dei radio-amatori sono dette così le loro apparecchiature, più o meno rudimentali o complesse, di radio-rice-trasmissione; le quali, grazie agli apparecchi di televisione a scansione lenta (SSTV Slow Scan Television) da qualche anno in libero commercio, sono in grado di trasmettere anche immagini fisse per un raggio di circa 15 km. Ne ha parlato G. GUARDA, in Le cose si complicano, e Le farfalle in volo (Oss. Rom. della Domenica, 11 e 25 febbraio 1973).
8 In giugno/luglio 1975 i giornali riferivano di due sequestri, da parte dell’Escopost, in quel di Venezia (Radio onda 7 e Radio Venezia International), e di otto diffide ad altrettante emittenti, per violazione della Legge di monopolio (interferenze sulla banda di frequenza riservata alla RAI-TV).
9 Tali l’ANTI (= Associazione Nazionale Teleradiodiffusioni Italiane) e la FRED (= Federazione Radio Emittenti Democratiche).
9 bis. La Corte ha ritenuto di dover formulare anche alcune direttrici d’intervento vincolanti per il legislatore futuro. In particolare, la legge che verrà a regolare la materia dovrà, secondo la Corte, considerare alcuni profili fondamentali attinenti rispettivamente alla determinazione dei requisiti personali del titolare dell’autorizzazione e dei suoi collaboratori; alla indicazione delle caratteristiche tecniche degli impianti e della zona di servizio; alla precisazione del concetto di «emittente locale» (da agganciare, secondo la Corte, a «ragionevoli parametri d’ordine geografico, civico, soci-economico, che consentano di circoscrivere una limitata e omogenea zona di utenza»); alla fissazione di turni e di altri accorgimenti per garantire la compatibilità fra le varie utenze; alla delimitazione temporale della pubblicità; alla individuazione di limiti destinati a evitare il sorgere di processi di concentrazione.
10 Meglio lo diremmo servizio «di pubblica utilità», che, come alcune soluzioni estere (Inghilterra, Olanda, ..) dimostrano, può benissimo essere gestito in regime di non monopolio. Tra l’altro non si comprende a quale titolo la RAI-TV, anche dopo la recente riforma, continui ad estendere il suo monopolistico «servizio pubblico» oltre le prestazioni di oggettiva informazione e di formazione scolare e generale, che dovrebbero esserle proprie; per esempio, a programmi di evasione massificante (quiz, Rischiatutto, Canzonissima...), e soprattutto ad una massiccia e privilegiata pubblicità commerciale, la quale, mentre non sgrava, come dovrebbe, i recettori dal canone di abbonamento, toglie ossigeno alla stampa, così riducendo proprio quella pluralità delle fonti d’informazione che dovrebbe tutelare.
10 bis. Il rilievo è di S. VALITUTTI, che in Deformazione in Parlamento (Il Tempo, 11 giugno 1975) denunciava «l’inserimento nella struttura del Parlamento della Commissione di vigilanza e d’indirizzo che per le sue competenze è destinata ad operare come un nuovo e robusto germe di alterazione della natura dello stesso Parlamento, avviandolo a diventare una specie di nuovo princeps legibus solutus nell’unità formale dello Stato di diritto qual è previsto dalla Costituzione». Infatti la Legge attribuisce alla Commissione «poteri di decisione e di approvazione di atti che possono incidere sugli interessi e sui diritti di tutti i cittadini», mentre «il Consiglio di Amministrazione non è che un organo tecnico-amministrativo di esecuzione e di proposta rispetto alla Commissione Parlamentare; la quale viceversa si configura come l’effettivo organo di governo della nuova RAI-TV»; in tal maniera «all’istituto parlamentare vengono fatte assumere responsabilità amministrative che vanno assai oltre gli interna corporis...».
11 Che questa lottizzazione, camuffata da pluralismo ideologico, sia già in atto lo dimostra il modo con cui sono stati strutturati ed attribuiti i cinque servizi giornalistici: due per la televisione e tre per la radio. «Ritengo – nota A. ZANACCHI (art. cit. 455) – che il pluralismo nell’ambito del monopolio si possa realizare soltanto in una contestualità di emissione. In altre parole, le varie posizioni intorno ad un avvenimento, ad un problema, dovrebbero essere presentate insieme, non in due emissioni diverse (canali e orari differenti), contrassegnate da due segni nettamente opposti e tali da escludere fatalmente tutte le altre posizioni possibili. È proprio il valore di questa contestualità che rende il monopolio giustificabile pienamente come soluzione che intenda assicurare ai servizi radiotelevisivi un ruolo di supporto e di stimolo alla partecipazione democratica».
E vedremo che cosa avverrà per il dipartimento-radio scolastico ed educativo, e soprattutto per i Comitati Regionali (art. 5).
12 S. ZINGALE, op. cit., 84.
13 S. ZINGALE, op. cit., 90 ss.
14 A proposito delle quattro «Tribune» – Politica, Elettorale, Sindacale e Stampa –, di cui l’art. 4, lo stesso S. ZINGALE (op. cit. 50) scrive: «Notiamo la mancanza di una Tribuna Religiosa in un Paese di larga ispirazione cristiana, che certamente ha estremo interesse ai dibattiti religiosi, ed auspichiamo che possa essere di fatto introdotta, rientrando manifestamente nel sistema del pluralismo»; e lo stesso A. (p. 68), riferendosi all’art. 1, rileva: «a) manca in essa il riferimento alla completezza dell’informazione, principio al quale aveva anche fatto richiamo la Corte Costituzionale, e che è essenziale specie per i servizi del giornale radio e del telegiornale, come risulta da molteplici istanze dei radioascoltatori e telespettatori; b) è assente il richiamo a taluni principi dell’art. 21 della Costituzione, come quello della tutela del buon costume, anche se non può dubitarsi che esso operi pur nel silenzio della legge, in forza della norma costituzionale e delle leggi penali e di P.S.».
15 Stralciamo (ed annotiamo) liberamente dalle Linee ed orientamenti indicativi per la pastorale della Chiesa in Italia nel settore della comunicazione sociale, fissati a conclusione del I Corso di aggiornamento per i vescovi e i responsabili regionali delle comunicazioni sociali, organizzato dal competente Ufficio della CEI, e svoltosi dal 21 al 25 luglio 1975 a Montecampione (Brescia).
In argomento di radio-televisione, cfr anche A. ZANACCHI, La riforma dei servizi radio-televisivi: Prospettive per un impegno cristiano, e A. VASILE, I cattolici e la RAI, in Rivista del clero italiano, 1975, n. 6, 441 ss.; n. 10, 76, ss.
16 Recentemente la Commissione Parlamentare ha pubblicato il Regolamento per le richieste di accesso (cfr il testo in Il telespettatore, 1976, nn. 3-4). In pratica, la richiesta va indirizzata alla Sottocommissione permanente per l’accesso RAI-TV, Camera dei Deputati, Roma; e deve contenere:
a) L’indicazione del soggetto richiedente. I soggetti richiedenti possono essere Partiti, Gruppi rappresentati in Parlamento, Organizzazioni associative delle autonomie locali, Sindacati nazionali, Confessioni religiose, Enti e associazioni politiche del movimento cooperativo giuridicamente riconosciute, Gruppi etnici e linguistici, altri gruppi di rilevante interesse sociale;
b) La designazione della persona responsabile, agli effetti civili e penali, del programma di accesso da ammettere alla trasmissione, nonché l’accettazione da parte della medesima con sottoscrizione autenticata;
c) La specificazione sociale, o culturale, o politica e la consistenza organizzativa del richiedente, in relazione al contenuto del programma proposto;
d) L’indicazione, ai sensi del III comma dell’art. 6 della Legge 14 aprile 5, n. 103, di ogni elemento utile a comprovare la rilevanza dell’interesse sociale, culturale e informativo del programma di accesso proposto;
e) L’indicazione delle iniziative eventualmente assunte in ordine al contenuto della proposta in programma;
f) Il contenuto in sintesi del programma di accesso proposto e la sua durata presumibile con riferimento alle modalità di realizzazione;
g) La firma autenticata del soggetto richiedente o dei suoi rappresentanti.
17 È da rilevare che il piano di decentramento aziendale nelle sedi regionali, varato dal Consiglio di Amministrazione della RAI-TV il 3 luglio di quest’anno, mentre le rende autonome per le trasmissioni locali e per una parte della programmazione nazionale, consente anche un nuovo ed originale senso di partecipazione del pubblico alla programmazione, perché chiunque – forze sociali, politiche, economiche, culturali, ma anche singoli – potranno proporre trasmissioni. Queste iniziative saranno sollecitate ed esaminate da una nuova figura di funzionario della RAI-TV i promotori delle proposte, che saranno presenti sia nelle reti, sia nelle sedi, e che agiranno per la programmazione nazionale e per quella locale, con compiti ben specificati.
18 Ciò non sembra del tutto esatto. Come già abbiamo rilevato, il testo della Legge riconosce il diritto-dovere di rettifica a due precise condizioni: che si tratti di trasmissioni contrarie a verità, e che ledano interessi materiali o morali (di persona fisica o giuridica). Non, dunque, per notizie semplicemente «inesatte e tendenziose» riguardanti non bene individuabili «comunità ecclesiali».
Un caso clamoroso di rettifica stato quello dello scrittore russo Siniawskij, faziosamente censurato alla TV in tema di diritti civili, e di libertà di pensiero e di religione in URSS.
19 Oltre alle decine e decine di laiciste e comuniste, tra le altre iniziative pionieristiche e più aggressive segnaliamo, per Milano, Canale 96 e Radio Popolare (della sinistra estraparlamentare) e, per Roma, Radio Città Futura (del Pdup ed Avanguardia Operaia).
20 In concreto, per realizzare una stazione radio libera, dopo la decisione della Corte Costituzionale le pratiche burocratiche non sono state ancora definite, ma in linea di massima dovrebbero essere queste: comunicare al Ministero delle Poste e delle Telecomunicazioni, e alla Questura di zona, l’avvenuto acquisto delle apparecchiature. Coloro che, oltre la musica, intendono trasmettere anche notiziari, sono tenuti a registrare la «testata», cioè il nominativo della trasmittente, presso la Cancelleria del Tribunale, così come richiesto per ottenere l’autorizzazione per la pubblicazione di un giornale o di una rivista.
Sotto l’aspetto tecnico occorre: un trasmettitore a bassa frequenza, cioè per la modulazione di frequenza, un mixer, un paio di amplificatori, uno o più registratori da studio, un giradischi, un registratore portatile, alcuni trasformatori, uno stabilizzatore ed un’antenna, che quanto migliore e più in alto sarà posta, tanto maggiore sarà il campo d’azione dell’emittente. La spesa d’impianto, secondo la potenza dell’emittente, può andare dai cinque ai trenta milioni. Sono poi da calcolare le spese, forse maggiori, di gestione...
21 Leggiamo.. ed impariamo dal PCI: «La TV in assoluto il più efficace mezzo di propaganda [...]. Il PCI punta inoltre sui film in Super-8 e in 16 mm., avendo organizzato in questi anni una fitta rete di mezzi tecnici: circa 600 proiettori a 16 mm., e 400 in Super-8. Per motivi economici, né dischi né cinegiornali quali usati altre volte, ma soltanto cassette riservate agli italiani all’estero. La maggiore novità di questa campagna elettorale comunista l’impiego massiccio dei video-registratori [...].
La video-registrazione viene usata in questa campagna elettorale per dibattiti aperti sui problemi di quartiere, riunioni di caseggiato, convegni di categoria [...]. Attualmente il PCI dispone di sessanta o settanta video-registratori e in tutte le regioni, e sta rapidamente riconvertendo lo standard da mezzo pollice ai tre quarti di pollice, per poter così “passare” il proprio materiale in televisione e, in particolare sul prossimo Terzo Canale regionale» (Paese Sera, 24 maggio 1976).
22 Ovviamente, il Documento tiene presente la produzione commerciale di lungometraggi spettacolari, e non quella dei cortometraggi, e quella artigianale-individuale in 16 o in Super-8, che richiedono finanziamenti «non eccezionali» di cui al periodo seguente.
23 Si confrontino i dati: ben 5.000 sale-proiettori, contro i 600 + 400 della campagna elettorale del PCI, di cui alla Nota 21.
24 In argomento, cfr tra gli altri: AA.VV., Conoscere la TV, Roma, s.d. (1969) (Civ. Catt. 1969 IV 309), Educazione e radiotelevisione, Roma 1971 (ivi 1973 III 339); A. GERIN, I ragazzi e la TV, Roma 1956 (ivi 1967 III 421); Z. LORENZI, Educhiamo alla televisione, Quaderni AIART, nn. 1-3, Roma, 1972; M. 4-6, Roma 1976 (ivi 1974 III 333); E. TARRONI, Ragazzi radio e televisione, Bologna 1960 (ivi 1961 I 73).
25 Manca un censimento. Tra le altre ci risultano (a Milano) Radio SuperMilano e Radio Duomo, (a Torino) Radio Proposta, (a Udine) Radio Glesie Furlane, (a Regio Emilia) Radio Emilia Libera, (a Rimini) Radio Riviera, (ad Andria) Radio Christos... Pare che si progetti di coordinarle nell’Associazione ALIAS.