Articolo estratto dal volume IV del 1971 pubblicato su Google Libri.
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I riferimenti ai documenti del magistero pontificio sono stati resi interattivi e portano al sito del progetto “Chiesa e Comunicazione”, la biblioteca digitale online che prosegue l’attività iniziata da p. Baragli con le opere Cinema cattolico: documenti della Santa Sede sul cinema e Comunicazione Comunione e Chiesa.
I. INTRODUZIONE GENERALE
Datata 23 maggio 1971 – Quinta Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, è finalmente uscita la Istruzione pastorale sugli strumenti della comunicazione sociale Communio et progressio1. “Finalmente”: perché l’attesa, soprattutto nell’episcopato e tra i pubblicisti, durava da sette anni, e la prima sua idea era vecchia almeno di nove.
Lunga gestazione
Infatti la prima proposta di una istruzione sull’argomento risale alla primavera del 1962, avanzata da nove membri della Commissione Centrale preparatoria del Vaticano II; i quali, giudicando ottimo, ma prolisso, lo Schema di Costituzione sugli strumenti di comunicazione sociale preparato dal Segretariato Preparatorio “Della stampa e dello Spettacolo”, suggerirono di ridurlo all’essenziale e di raccogliere tutto il resto in un’“Istruzione sui mezzi di diffusione, da pubblicarsi con l’approvazione del Sommo Pontefice”2. Il segretariato in parola accolse in parte il suggerimento, riducendo molto parcamente lo Schema, e chiudendo il testo sfrondato con questa disposizione: “Affinché i vescovi di tutto il mondo possano mettere speditamente in pratica quanto qui viene stabilito, si rediga un Compendio pastorale di tutta la materia”3.
Questo Schema venne presentato e discusso in Aula conciliare sulla fine del Primo Periodo. Le vicende sono note. Il 26 novembre 1962 l’Assemblea, quasi all’unanimità, decise che si riducesse ai principi dottrinali fondamentali ed alle direttive pastorali più generali, e che si rimandasse ad un’Istruzione pastorale tutto quello che riguardasse piuttosto la prassi e l’esecuzione. Di conseguenza lo Schema – questa volta sì! – venne drasticamente ridotto (anche troppo), e la Risoluzione dei Padri riguardante la Istruzione pastorale trovò posto ad verbum nel n. 23 dello Schema di Decreto che, di fatto, con le note traversie, venne discusso ed approvato nel Secondo Periodo conciliare; e passò inalterato in questo testo definitivo dell’Inter mirifica (n. 23):
“Per l’applicazione di tutti questi principi dottrinali e norme pratiche del Sacro Concilio circa gli strumenti della comunicazione sociale, su espresso mandato del Concilio si pubblichi una Istruzione pastorale a cura dell’Ufficio della Santa Sede, di cui all’art. 19, con la collaborazione di periti appartenenti a diverse nazioni”.
L’“Ufficio della Santa Sede di cui all’art. 19” era l’allora Pontificia Commissione per la cinematografia, la radio e la televisione, le cui origini risalivano a Pio XII (1948). Quattro mesi dopo l’approvazione dell’Inter mirifica, Paolo VI, col motu proprio In fructibus multis (2 aprile 1964) ne estendeva le competenze a tutti gli strumenti della comunicazione sociale, e ad essa confermava l’incarico di redigere l’Istruzione da sottoporre alla sua approvazione.
Essa si affrettò (settembre 1964) a costituire un Comitato di redazione composto di sei vescovi, rappresentanti dei diversi continenti, e dei presidenti delle tre Associazioni Internazionali cattoliche della stampa, del cinema e della radio-televisione4. Nel gennaio-giugno 1965 inviava un primo abbozzo di Progetto d’Istruzione con relativo Questionario a tutti i vescovi e a tutte le commissioni episcopali addetti alle “comunicazioni sociali”; alle tre Associazioni Internazionali ed ai trentotto consultori della stessa Commissione; quindi, nell’attesa delle risposte, procedeva alla raccolta ed allo spoglio di tutte le “Fonti” di cui l’Istruzione doveva tener conto. Sulle indicazioni fornite dall’ingente materiale raccolto5, nel 1966 fissava dieci questioni-base del Documento, ne metteva a punto lo schema particolareggiato e passava alla redazione del testo, affidata per la Parte Generale ad un consultore romano, e per le Parti Speciali sulla Stampa il Cinema e la Radio-Televisione alle rispettive Associazioni Internazionali UCIP, OCIC e UNDA.
Nel 1967 si giunse ad un Primo Testo completo. Ma la differenza di stili e le numerose ripetizioni ne denunciavano troppo la diversità degli autori6. Il pubblicista e sociologo francese Joseph Folliet venne incaricato di rielaborare e ridurre il tutto. L’anno seguente, questo Secondo Testo, nell’originale francese e nella traduzione inglese, venne esaminato e discusso dai membri e consultori della Commissione. Sembrava di essere giunti in porto, ma non fu così. Nel 1969, su parere negativo di alcuni membri e consultori, la Commissione ne decise una riduzione e rielaborazione radicale.
Esautorato il Comitato di redazione del ’64, della nuova redazione venne incaricato un Comitato ristretto di quattro periti, coadiuvato da tre collaboratori, tutti di nazioni diverse7. Così un Terzo Testo, nelle redazioni francese ed inglese, venne trasmesso in esame a tutti i membri e consultori della Commissione. Le osservazioni da questi inviate, discusse in un convegno plenario dei consultori nel novembre ’69, nel 1970 servirono per mettere al punto un Quarto Testo, che, discusso ed emendato dalla Commissione in seduta plenaria (giugno 1970), nella versione latina venne mandato in esame a tutte le Conferenze episcopali. Su parere favorevole di queste, il 24 dicembre la Pontificia Commissione lo presentava a Paolo VI, il quale, il 21 gennaio 1971, l’approvava e ne ordinava la pubblicazione.
Tra armonia e compromesso
Una gestazione tanto laboriosa non deve meravigliare. Intanto, l’argomento generale dell’Istruzione – i mass media ed i fenomeni connessi – parte da realtà tecnologico-sociali in rapidissima evoluzione, sicché non è agevole redigere un documento dottrinale e normativo che non invecchi in pochi mesi superato dai fatti. Inoltre, l’argomento dispone di scarse certezze fattuali e dottrinali in rapporto alla vastissima ed ardua problematica psico-sociologica e teologico-pastorale cui dà luogo8: va perciò trattato con la massima prudenza in un atto del Magistero: non del peso, è vero, di un decreto conciliare, o di una enciclica pontificia, ma pur sempre documento redatto e pubblicato per ordine del Vaticano II, e che il Papa “ha approvato tutto e in ogni sua parte, confermandolo con la sua suprema autorità”.
Non basta. Va tenuta presente anche la diversità delle situazioni esistenti nel mondo, messa in evidenza – se ce n’era bisogno – dalle risposte, disparatissime, e dalle richieste, spesso opposte, degli episcopati al Questionario, di cui sopra; diversità che riguarda sia lo sviluppo economico e tecnologico dei singoli Paesi (per esempio: saturazione di mass media in USA e in Giappone, carestia in Africa...), sia il tipo e livello di cultura, di vita religiosa e di strutture ecclesiali (la Francia e la Germania non sono il Giappone o l’India). Né vanno dimenticate le differenze di preparazione specifica, di sensibilità e di interessi nei diversi redattori e collaboratori dell’Istruzione: altri, per esempio, essendo quelli prevalenti dei pastori in cura d’anime, altri quelli prevalenti in professionisti di “strumenti” particolari (giornalisti, cineasti, operatori radiofonici...), altri quelli di sociologi applicati alla problematica generale dei mass media... Fissando le dieci "Questioni-base” del 1966,9 il Comitato di redazione e la Commissione tentarono di superare le remore poste soprattutto da quest’ultimo ordine di differenze. In pratica però l’accordo, almeno su alcune di esse, non funzionò. Di qui alcuni laboriosi tentativi per raggiungere un’armonia o un compromesso tra prospettive diverse e tendenze spesso opposte, di cui non mancano tracce nel testo definitivo. Valgano questi esempi.
I destinatari – Essenziale nell’economia di tutto il Documento era la questione dei suoi destinatari diretti. È indubbio che nelle proposte originarie della Commissione Centrale Preparatoria, e dei Padri conciliari, essi ne fossero i vescovi: e le risposte al Questionario in maggioranza concordarono. Sennonché altre risposte designarono quali destinatari “i fedeli”, “i fedeli e i vescovi”, “tutti gli uomini di buona volontà, l’umanità, il mondo”, “le classi professionali”; e ci fu chi propose di dividere il Documento in cinque parti, destinandone la prima ai vescovi, la seconda a tutti i professionisti, la terza e la quarta rispettivamente agli educatori ed ai professionisti cattolici, la quinta ai recettori...
Il Comitato decise che il Documento “si rivolgesse direttamente ai vescovi, e per loro tramite a tutti i fedeli, con la speranza che esso possa giungere anche a tutti gli uomini di buona volontà”; ed il testo definitivo risulta formalmente fedele a questo indirizzo. La stessa qualifica di “istruzione pastorale” dimostra che la Communio et progressio riguarda in primis i vescovi, del resto esplicitamente incaricati di “approfondirla ed adattarla alle condizioni dei popoli e dei territori dei quali hanno cura” (n. 4). Tuttavia, tutta l’orditura e, per così dire, la sua atmosfera, rivela la mano la sensibilità gli interessi ed i problemi specialmente dei professionisti, suoi estensori e collaboratori.
Dottrina e prassi? – Pure circa lo scopo originario, eminentemente pratico, del Documento, non ci sono dubbi. Conformemente ad esso, la maggior parte delle risposte al Questionario si auguravano “una specie di summa di indicazioni pratiche”, argomentando che “per nessun motivo l’Istruzione doveva parlare di argomenti sui quali il Decreto aveva taciuto, o ripetere ciò che il Decreto aveva detto”. Altre risposte però chiedevano “qualcosa che colmasse le gravi lacune dottrinali del Decreto...: una specie di Schema-13, con tanto di sviluppo antropologico e sociologico”. Saggiamente il Comitato decise: “Il documento sarà essenzialmente pratico, senza tuttavia omettere la dottrina”.
La Communio et progressio, invece, risulta documento eminentemente dottrinale, con modiche e generali norme pratico-pastorali. Oltre che le ovvie ragioni sopra addotte – diversità e fluidità di situazioni locali –, come vedremo, hanno portato a questo esito, tutto sommato felice, alcuni postumi delle polemiche sull’Inter mirifica, ed anche la (tardiva) soluzione di un’altra questione-base, riguardante la struttura dell’Istruzione.
La struttura dell’lstruzione – Già per lo Schema del Decreto conciliare, in seno al Segretariato Preparatorio si erano scontrati due fronti. Uno si batteva per un Documento consacrato prevalentemente agli strumenti della comunicazione sociale nel loro insieme, osservando che nel mondo odierno essi agiscono per lo più cumulativamente, tanto che è impossibile distinguere e dividere i problemi culturali e pastorali di uno strumento da quelli degli altri. L’altro fronte, invece, si batteva perché le parti più sostanziose del Documento venissero riservate alla problematica ed alla normativa specifica della stampa, del cinema e della radio-televisione. E, di fatto, lo Schema di Costituzione presentato in Aula risultò un compromesso tra le due tendenze. Quando però la Commissione Conciliare ne ordinò una drastica riduzione, proprio le parti consacrate ai singoli strumenti, giudicate le più caduche e le meno “conciliari”, furono sacrificate in blocco: ridotte a poco più di mezza pagina (l’attuale n. 14 dell’Inter mirifica), da una dozzina che erano.
Alle Associazioni Internazionali il colpo riuscì duro; tuttavia ebbero ragione di credere che la promessa Istruzione avrebbe ricolmato ad usura il vuoto prodottosi. E, di fatto, in sede di Comitato di redazione esse tornarono a battersi per avere documenti distinti per la stampa, il cinema e la radio-televisione, sostenendo che: 1) a parte pochi principi, specialmente dottrinali, comuni a tutti gli strumenti, la maggior parte delle cose, soprattutto pratiche, sono proprie a singoli strumenti; 2) che il non aver tenuto presente questo fatto era stata la causa prima delle oscurità e delle banalità rimproverate al Decreto; 3) che le Associazioni Internazionali e gli Uffici Nazionali si interessavano quasi esclusivamente ai singoli strumenti, non al loro insieme.
Il Comitato di redazione optò per un unico documento, comprendente un’ampia Parte Generale e brevi capitoli dedicati ai singoli strumenti. Sta il fatto però che nelle due prime redazioni dell’Istruzione (1967 e 1968) questi Capitoli si sviluppavano in vere e proprie parti autonome, gonfiandola a dismisura e richiedendo enorme tempo e lavoro. Tempo e lavoro andato quasi tutto perduto, perché nel testo definitivo della Communio et progressio, sul totale di 187 numeri, appena 26 sono riservati agli strumenti in particolare (nn. 135-161).
Dopo l’“Inter mirifica”
Come s’è visto, contrariamente a quanto sembrava disporre il n. 23 dell’Inter mirifica, il contenuto dottrinale della Communio et progressio è notevolmente più ampio di quello pratico-normativo; inoltre esso si allarga a temi ed a questioni ignorati dal Decreto conciliare. Ciò è avvenuto non perché i suoi redattori abbiano espressamente adottato il criterio ipotizzato dalla Commissione Centrale Preparatoria del Vaticano II – “converrebbe che l’Istruzione contenesse tutto ciò che nello Schema di costituzione non si ritiene materia conciliare, ed anche dell’altro sulla stessa materia” –, ma perché condizionati dalle critiche mosse all’Inter mirifica, durante e dopo il Concilio, soprattutto dalla stampa10, ed ormai solidificate in “opinione comune”. Così l’Istruzione, più che reintrodurre le parti sacrificate nella riduzione dello Schema conciliare, fa opera di colmamento di lacune e, qua e là – si direbbe – di correttivo. Certo è che, nell’insieme, promette di venire bene accolta da tutta la stampa – ciò che, del resto, finora è avvenuto11 – proprio non dando ansa alle critiche del Decreto conciliare.
Per esempio, circa la discussione e redazione: si criticò la maniera spiccia con la quale i Padri conciliari trattarono l’argomento in Aula: in appena due sedute e mezza; ma l’elaborazione e redazione della Communio et progressio, come s’è visto, è frutto di sette anni di ricerche, proposte, tentativi e rifacimenti. Si obiettò che alla redazione dell’Inter mirifica avessero partecipato poche persone, non perite in materia e, soprattutto, non laici; ma all’Istruzione hanno dato il proprio apporto tutte le conferenze episcopali, hanno collaborato le tre Associazioni Internazionali specializzate Cattoliche, e decine di esperti, specialmente laici, appartenenti a diverse nazioni.
Contro il contenuto generale del Decreto conciliare si eccepì che esso, discusso ed approvato durante i due primi Periodi Conciliari, fosse in ritardo sui documenti posteriori dello stesso Concilio, e perciò rispetto al generale aggiornamento ecclesiale da essi apportato; ma l’Istruzione – come in essa esplicitamente si nota (n. 2) – ne tiene conto; e particolarmente tiene conto della costituzione sulla Chiesa ed il mondo contemporaneo (Gaudium et spes), del decreto sull’ecumenismo (Unitatis redintegratio), della dichiarazione sulla libertà religiosa (Dignitatis humanae), del decreto sull’attività missionaria della Chiesa (Ad gentes), e del decreto sull’ufficio pastorale dei vescovi (Christus Dominus).
Nella stampa, rispetto più direttamente alla dottrina, una prima corrente (francese) criticò il decreto Inter mirifica dicendolo “mancante di contenuto teologico, di approfondimento filosofico e di fondamento sociologico”; una seconda corrente (tedesca) lo criticò ritenendolo troppo preoccupato dei “diritti” della Chiesa, più attento alla prestazione dei chierici che a quella dei laici, diffuso in norme troppo particolareggiate su questioni che nella Chiesa dovevano trovare soluzioni adatte alle situazioni locali; finalmente, una terza corrente (USA) attaccò il Decreto ritenendolo favorevole al potere (censorio) dello Stato, moralistico specialmente riguardo alle attività artistiche, sostenitore di una produzione cattolica “di ghetto”, assente nel problema dell’informazione nella Chiesa, attentatore alla libertà della stampa cattolica... Ora la Communio et progressio: 1) mentre promuove la ricerca scientifica (nn. 184 e 185), ai principi teologici dedica tutta la Prima Parte (nn. 6-18) e si permette considerazioni socio-filosofiche, possibili in un documento non conciliare; 2) parla delle prestazioni della Chiesa più in termini di servizio che di diritti; riconosce competenze larghissime ai laici; espressamente (nn. 3-4,183) riduce i principi e le norme ad un minimo, comune a tutta la Chiesa, lasciando ulteriori sviluppi ed applicazioni particolari alle rispettive competenze locali o settoriali; 3) evita qualsiasi indebita attribuzione censoria allo Stato; è particolarmente rispettosa dei valori propri ed autonomi delle realtà temporali, e specialmente della cultura e dell’arte; pur promovendo, là dove possibile, attività cattoliche, si preoccupa soprattutto di quelle umanamente valide, nelle quali auspica la collaborazione di tutti i credenti e degli uomini di buona volontà; tratta ampiamente del diritto all’informazione anche all’interno della Chiesa, e riconosce alla stampa cattolica la libertà che le è propria...
Personalmente ritengo che almeno alcune lacune dottrinali sono state rimproverate all’Inter mirifica senza valide ragioni. Come ho cercato di dimostrare altrove12, esse originarono dal comprensibile malumore di centinaia di giornalisti, accreditati presso il Concilio e costretti a lavorare in condizioni proibitive. stante la rigida disciplina del segreto conciliare, seguìta dall’Ufficio Stampa della Segreteria soprattutto nel Primo Periodo, ma anche nel Secondo.
Tale, per esempio, il suo silenzio circa l’informazione e circa la pubblica opinione nella Chiesa. Infatti, argomento proprio del Decreto erano “gli strumenti della comunicazione sociale [...] ed i principali problemi posti da essi” (nn. 1 e 2), e non tutti i fenomeni ed i problemi sociali e pastorali che abbiano che fare, magari moltissimo, con gli strumenti, ma che non si risolvono in essi. Perciò l’Inter mirifica non tratta, per esempio, della comunicazione e della comunione umana in generale, della socializzazione, dell’educazione e della didattica, della civiltà dei consumi e del tempo libero, della predicazione...; e, se tratta dell’informazione e della cosiddetta opinione pubblica – della prima nei nn. 5 e 12, della seconda nel n. 8 – lo fa soltanto in relazione, appunto, all’uso degli strumenti.
Tanto meno competeva all’Inter mirifica di trattare dell’informazione e dell’opinione pubblica nella Chiesa. Dato e non concesso che la dottrina relativa fosse tanto maturata da poter formare oggetto di dibattiti e di deliberazioni conciliari, i due argomenti, nei loro diversi aspetti, potevano essere trattati con maggiore competenza dalle Commissioni Conciliari che hanno preparato le costituzioni sulla Chiesa e sulla Chiesa ed il mondo contemporaneo, ed il decreto sull’ufficio pastorale dei vescovi, che non dalla Decima Commissione: “Dei laici, della stampa e dello spettacolo”.
Resta però vero che, specialmente dopo il Concilio, i problemi dell’informazione e dell’opinione pubblica nella Chiesa sono diventati vivissimi, se non anche drammatici; e che essi sono stati agitati specialmente nella stampa e dai professionisti dei mass media, spesso parte in causa; e che perciò un’Istruzione pastorale sui mass media, e redatta soprattuto da professionisti, non poteva eluderli. Sicché la Pontificia Commissione per le comunicazioni sociali s’è trovata a svolgere in questo settore un compito suppletivo, in quanto poteva benissimo essere svolto da altre istanze del Magistero, elaborando una dottrina che, se non può dirsi del tutto esauriente, fa della Communio et progressio il documento magisteriale più avanzato in materia.
Una Magna carta
Non soltanto sotto questo aspetto, bensì in tutto il suo insieme la Communio et progressio può considerarsi la Magna carta cattolica delle “comunicazioni sociali”.
Intanto per la sua ampiezza, che supera di molto, per esempio, la già ampia Miranda prorsus, di Pio XII. Poi perché, nella scia dell’Inter mirifica, tratta di tutti gli strumenti, e non soltanto del cinema, come faceva la Vigilanti cura, di Pio XI; o soltanto del cinema e della radio-televisione, come la ricordata Miranda prorsus; e ne tratta, come s’è visto! partendo dalla conoscenza diretta di dati mondiali, e con la competenza di periti internazionali. Infine perché, in materia, è il documento ecclesiastico più aggiornato, anche rispetto a quelli conciliari, svolgendo con ampiezza insolita e con volenteroso ottimismo argomenti vitali di deontologia professionale, di prassi pastorale e di condotta personale.
Ne falserebbe però natura, spirito e portata chi la considerasse documento autosufficiente, isolato dal resto del magistero cattolico o, peggio, in polemica con esso. In nessuna parte è detto che l’Istruzione abbia inteso riassumere ed esaurire tutta la dottrina e tutta la problematica socio-pastorale circa i mass media; tanto meno è detto che essa abbia voluto abrogare, rettificare o innovare quanto altrove autoritativamente, in proposito, è stato insegnato o stabilito. Perciò, nella misura in cui la Chiesa gerarchica vi ha impegnato la sua autorità, la Communio et progressio va inquadrata e compresa nel contesto degli altri atti del magistero, ordinari o straordinari, a contenuto dottrinale e disciplinare generale (come la Gaudium et spes, l’enciclica Ecclesiam Suam), o a contenuto dottrinale e disciplinare specifico (come l’Inter mirifica, o la Miranda prorsus). E se – com’è avvenuto nel recente Congresso dell’UCIP in Lussemburgo13 – venisse fatto di rilevare. in atti posteriori della Santa Sede, principi e direttive non agevolmente accordabili, a prima vista, con i principi e le direttive dell’Istruzione, sarebbe deteriore ermeneutica denunciarli senz’altro come “contraddizioni”, da rifiutare o da ignorare. Meglio sarà cercare, con una corretta esegesi, di comporre armonicamente affermazioni ed esigenze diverse ma non opposte, inevitabili quando le questioni siano molto complesse, e quando molteplici siano i valori personali e sociali da tutelare.
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Quale Magna Carta cattolica delle “comunicazioni sociali”, la Communio et progressio va letta e riletta, studiata ed approfondita, ben oltre la sommaria presentazione antologica che se ne farà prossimamente in questa sede. Va letta e studiata anche da quanti, non cattolici e non credenti, “si preoccupano del vero progresso della famiglia umana” (n. 5); ma soprattutto dai figli della Chiesa – vescovi, clero, professionisti, educatori, semplici recettori –, affinché, secondo le rispettive competenze e responsabilità, “rendano gli strumenti della comunicazione sociale veramente utili al progresso umano ed alla gloria di Dio” (n. 186).
1 Pontificia Commissione per le Comunicazioni Sociali, Istruzione pastorale «Communio et progressio» (23 maggio 1971).
2 “Questi schemi – notarono i nove – sono stati preparati con massima diligenza e competenza e contengono molte cose. Tuttavia molti ecc.mi Padri pensano che così non possono proporsi al Concilio. Sarebbe però un vero peccato se tanto lavoro andasse perduto. Perciò occorre trovare un modo di farlo servire in argomento di tanta importanza. Forse converrebbe che il Segretariato raccogliesse in un’Istruzione, o Epitome o Direttorio ’sui mezzi di diffusione tutto ciò che non conviene proporre al Concilio, ed anche dell’altro sulla stessa materia, e lo pubblicasse con l’approvazione del Sommo Pontefice. Agendo così si avrebbe il vantaggio di avere una legge non definitiva, come dev’essere un decreto conciliare, ma da mutare completare e perfezionare secondo le circostanze. Questo Direttorio sarebbe della massima utilità agli Uffici Nazionali e diocesani, assicurando una certa unità disciplinare, pur nella possibilità di adattamenti alle diverse circostanze nazionali e regionali’ (cfr ENRICO BARAGLI, L’Inter mirifica, Roma 1969, 117).
3 Per il testo integrale dei due Schemi cfr BARAGLI, op. cit., 497 ss, 535 ss.
4 Vale a dire: i vescovi René Stourm, francese, presidente; Andrea Pangrazio, per l’Europa; Jospeh Thomas McGucken, per l’America del Nord; Hyacinthe Thiandum, per l’Africa; Gérard Mongeau, per l’Asia; Thomas William Muldoon, per l’Australia; Luciano Metzinger, per l’America del Sud. Ed i presidenti: Jean Bernard, dell’OCIC; Jacques Haas, dell’UNDA; Raimondo Manzini, dell’UCIP.
5 Risultò diviso in questi cinque gruppi: 1) I cinque documenti emanati dal Vaticano II nei tre Periodi già conclusi; vale a dire: le due costituzioni Sacrosanctum Concilium e Lumen gentium, ed i tre decreti: Inter mirifica, Orientolium Ecclesiorum ed Unitatis redintegrtaio. 2) Tutti gli interventi del Magistero ordinario della Santa Sede, anteriori o contemporanei al Vaticano II, riguardanti gli strumenti della comunicazione sociale. 3) Tutto quello che era stato rilevato circa i due schemi dell’Inter mirifico; vale a dire: i testi scritti dei 97 interventi in Aula; i 925 “modi” proposti dai Padri (in 316 documenti); altri suggerimenti pervenuti alla Commissione, anche da non Padri Conciliari, per altre vie. 4) Le risposte pervenute alla Commissione circa il Progetto di istruzione ed il Questionario. Essi erano in tutto 126; di cui: 102 dell’episcopato (14 dell’Africa, 48 dell’America, 7 dell’Asia, 29 dell’Europa e 4 dell’Oceania); 4 di Associazioni internazionali cattoliche, 20 da Consultori. 5) Elenco e sintesi di tutti i giudizi sull’Inter mirifica usciti nella stampa mondiale, periodica e non, fino a tutta l’estate del 1965. Essi erano, in tutto, 104; di cui: 8 anonimi, 96 sotto il nome dell’autore.
6 Essi erano: della Parte Generale l’italiano Enrico Baragli S.I., consultore della Pontificia Commissione; delle Parti Speciali – rispettivamente per la Stampa, il Cinema e la Radiotelevisione – il francese Emile Gabel, segretario generale dell’UCIP; il lussemburghese Jean Bernard, presidente dell’OCIC, ed il tedesco Karl H. Hoffmann S.I.
7 I quattro periti furono: l’americano del Nord Patrick Sullivan S.I., il canadese Lucien Labelle, il venezolano Alberto Ancizar S.I. ed il tedesco Kart H. Hoffmann S.I. Collaborarono il maltese Francis Cachia S.I., che ne preparò lo schema ridotto, e – rispettivamente per i testi francese ed inglese – il rev. J. Folliet e il can. Albion. Il testo latino è stato curato dal padre Reginaldo Foster O.C.D.
8 Sulla situazione, ancora di approcci di una teologia dei mass media cfr E. BARAGLI, Verso una teologia degli strumenti della comunicazione sociale?, in Civ. Catt. 1970 II 141 ss.
9 Erano le seguenti: 1) Come chiamare il Documento: Istruzione o Direttorio? 2) Quale lo scopo e la natura: piuttosto dottrinale o piuttosto pratico? 3) Quali i destinatari: i vescovi, i fedeli, i professionisti...? 4) Quale l’argomento diretto e proprio? 5) Quali gli “strumenti” da tener presenti? 6) Quale la struttura del Documento? 7) Quale lo sviluppo? 8) Quali gli argomenti da trattare? 9) Mettere in primo piano la funzione di evangelizzazione, oppure quella di umanizzazione? 10) Quale rilievo dare ai compiti dei laici?
10 Per tutta la polemica cfr E. BARAGLI, op. cit.. 141 ss,. 169 ss.: e più sinteticamente: Un infortunio di opinione al Vaticano II, in Saggi e studi di pubblicistica, serie XVII-XVIII, 55-78.
11 Ne hanno scritto, tra gli altri, gli anonimi o collettivi: Le Vatican et les mass media, in Le Monde, 4 giugno 1971: Commenti alla Communio et progressio, in Osservatore Romano, 18 luglio, 14 e 15 agosto 1971. Ed i firmati: ANCARANI NEVIO, Comunione e non comunicazione, in Cineforum, 1971, n. 104, 15-18: COUSINEAU JACQUES, Comunione e progresso, in Osservatore Romano, 4 giugno 1971; FABBRETTI NAZARENO, Per la Chiesa la libertà di stampa non è più il diavolo, in Domenica del Corriere, 20 luglio 1971, 9; FINN JAMES, Catch-up leadership, in Commonweal, 25 giugno 1971, 323; MEJIA JORGE, La instrucción pastoral sobre los medios de comunicación social, in Criterio, giugno 1971, 392-396; PIGNATIELLO LUIGI, L’istruzione pastorale Communio et progressio, in ll nostro cinema, 1971, nn. 6-7, 1; SORGI CLAUDIO, Senza cercare alibi, in Rivista del cinematoqrafo, 1971, n. 6, 258: TRASATTI SERGIO, Stampa cinema televisione: mezzi di proqresso per il bene dell’uomo, in Osservatore della Domenica, 13 giugno 1971, 7-9. Mentre andiamo in macchina riceviamo il primo ampio commento al Documento, di HANS WAGNER: Pasturalinstruktion “Communio et progressio”, über die Instrumente der sozialen Kommunikation, Trier, Paulinus Verlag, 1971, 304. Il Kommentar vi occupa 148 pagine: poi segue il testo latino del documento con la traduzione tedesca.
12 Cfr E. BARAGLI, op. cit., 199 ss.
13 Cfr E. BARAGLI, Giornalisti cattolici a congresso, in Civ. Catt. 1971 III 257.