Articolo estratto dal volume II del 1992 pubblicato su Google Libri.
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I riferimenti ai documenti del magistero pontificio sono stati resi interattivi e portano al sito del progetto “Chiesa e Comunicazione”, la biblioteca digitale online che prosegue l’attività iniziata da p. Baragli con le opere Cinema cattolico: documenti della Santa Sede sul cinema e Comunicazione Comunione e Chiesa.
All’opera e al pensiero del famoso massmediologo canadese Marshall Herbert McLuhan la nostra rivista ha dedicato tre articoli1 negli anni 1980-81, quando di suo, anche in Italia, circolavano i due best sellers che da una quindicina di anni l’andavano lanciando in tutto il mondo: La galassia Gütenberg (1962) e Gli strumenti del comunicare (1964). Ne riprendevamo il discorso tre anni dopo2, per presentare due suoi «ritrovamenti»: il critico-letterario Paesaggio interiore (1969) e il critico-caustico La sposa meccanica (1936;1951): anche questo nel frattempo passato, sulla scia dei due primi, a best seller mondiale. E torniamo a trattarne nel decennale della sua morte – avvenuta nelle prime ore del 1981 –, quando possiamo finalmente attingere nella sua cinquantenaria Corrispondenza3, edita negli USA nel 1987, e da noi nel 1990.
Il docente di letteratura inglese
Priva com’è di ogni missiva o risposta dei destinatari, questa Corrispondenza è, più che altro, un epistolario. E tutt’altro che completo: infatti le sue due curatrici – la moglie Corinne Marshall e la sua amica e agente Matie Molinaro –, tra i ben 100.000 fogli di vere e proprie lettere del canadese ne hanno selezionate solo 1.500, e l’editore italiano le ha ridotte a 1066; delle quali: 16, dal 1931 al 1936, di McLuhan studente universitario; altre 16, dal 1936 al 1946, di McLuhan cattolico e docente universitario; le ultime 188, dal 1946 al 1979, di McLuhan scrittore e, sino alla morte, parte del corpo insegnante del St. Michael’s College dell’Università di Toronto. Tuttavia l’epistolario si rivela una fonte molto opportuna per completare, confermare o rettificare, quel molto che, in 30 anni, si è scritto (e non scritto) nel mondo su McLuhan.
Intanto vi abbondano i dati biografici; preziosi a proposito di un personaggio che non amava parlare di sé e della sua vita e, per giunta, tanto carente di veri biografi4 quanto copioso di apologisti e di stroncatori. Sorvoliamo sugli abbondanti dati che concernono la sua vita affettiva familiare5; e anche amicale, con più o meno illustri personaggi6; per soffermarci piuttosto sull’evoluzione e sulla validità del suo pensiero.
Dato il suo prevalente interesse per le componenti sensoriali delle proprie esperienze7, non si esclude che tra queste, in una certa misura, possano rientrare i dati riguardanti i suoi stati di salute. Ottima quella fisica, almeno negli anni universitari, tanto da farlo spiccare nel canottaggio, nel ciclismo e nel pattinaggio su ghiaccio. Non solida, pare – invece – quella mentale; se studente al Trinity College di Cambridge, preparandosi a un esame finale, cade in preda a una grave crisi depressiva (p. 20); se, poi, per otto anni, conta frequenti perdite di coscienza e capogiri, sino al novembre del 1967, quando, iniziato un suo corso alla Fordham University di New York, doveva interromperlo a causa di una grave operazione di tumore al cervello (p. 96); e se nel 1969 doveva scrivere: «Come risultato della mia operazione al cervello (prendo ancora dei sedativi a due anni di distanza) mi si sono cancellati parecchi anni di letture, e ora sto rileggendo molti libri» (p. 251). Tre mesi prima della morte – amaro riscontro per uno che si era sempre dato per «cerebrodestro» – colpito da un ictus all’emisfero sinistro, perdeva la capacità di leggere e di scrivere, oltre che, in gran parte, l’uso della parola (p. 349).
Ma più numerosi e attendibili sono i dati che ridimensionano la duplice esorbitante fama, alimentata dalla pubblicità giornalistica, sul nome di McLuhan; quella, transitoria (in USA), di radicale populista: uno dei quattro «magni M», con Marx, Mao e Marcuse; e quella, a tutt’oggi perdurante dappertutto, di «oracolo dell’era elettronica» o della «Galassia Marconi». Infatti queste lettere, con le relative introduzioni di William Toye, comprovano: 1) che alla letteratura inglese McLuhan ha dedicato tutta la sua formazione universitaria, soltanto per un patente abbaglio iniziata con un anno di matematica; 2) che sul prosatore elisabettiano Thomas Nashe (1567-1601) egli svolse la sua tesi di dottorato a Cambridge nel 1943; 3) che con la letteratura inglese egli inizia la carriera universitaria alla St. Louis University (Missouri) negli anni 1938-19448; 4) che tutti sulla letteratura inglese sono i cinque diplomi che – tra Bachelor e Master of Arts – egli poteva vantare nel 1944 per passare docente all’Assumption College di Windsor (Ontario) (p. 88); infine che: 5) di suo furono – e restano! – di autentico interesse culturale, anche se ignorati dal chiasso pubblicitario, non le pubblicazioni di teoria delle comunicazioni, ma i saggi di critica letteraria su poeti e narratori, anglofoni e francofoni, quali Chaucer, Joyce, Eliot, Keats, Coleridge, Tennyson, Hopkins, Yeats, Chesterton, Poe, Pound, Baudelaire e Rimbaud, Mallarmé e Valéry...
Vero è che fin dalla giovinezza «una lettura onnivora lo accompagnò per tutta la vita» (p. 18). Ricorda il Toye:
Diciannovenne, «ogni sera, prima di coricarsi leggeva alcuni passi da Shakespeare e dalla Bibbia. C. K. Chersterton e Thomas Babington Macaulay erano i suoi eroi letterari; ma nel 1931 scoprì, tra gli altri, Thackeray e Robert Louis Stevenson. Decise di specializzarsi nella letteratura inglese dell’800. Leggeva, tra i vari autori, Santayana, Nietzsche, Anatole France ecc. ]...]. Gli autori che leggeva per diletto includevano Jacques Maritain e il san Francesco dei Fioretti; le opere critiche di T. S. Eliot e il suo Murder in the Cathedral; Virginia Wolf, James Joyce, Ezra Pound, William Empson, Windham Lewis, Aldous Huxley e Thomas Wolfe. Alla vigilia della sua laurea approfondì Hopkins, Eliot e Pound» (p. 20). Nel 1935 chiedeva al fratello Raymond il Tartufe di Molière, Athalie di Racine, Marriage [sic!] de Figaro di Beaumarchais (p. 42). Giovane docente, legge e annota Tarr di W. Lewis, le Lettere e l’ABC of Reading di E. Pound («Vorrei averle lette almeno sette anni fa»), per la seconda volta l’Ulysses di J. Joyce, e le Poesie di Yeats (p. 67).
Nel 1939, studente a Cambridge, scrive alla mamma Elsie: «Corinne e io abbiamo finito di leggere Dr. Fu-Munchu di Sax Rohmer in francese e stiamo per affrontare qualcos’altro. Abbiamo letto Senso e sensibilità di Jane Austen e La radice e il Fiore [1935] di L. H. Meyers e stiamo cominciando ora Il sovrintendente di Trollope. Li leggiamo ad alta voce. Quando leggo io, Corinne lavora a maglia; quando legge lei, io fumo» (p. 73). E nel 1960, in procinto di pubblicare The Gütenberg Gaiaxy, confessava: «Non ho fatto che leggere per vent’anni, e adesso è ora di produrre qualcosa di mio» (p. 170).
Di qui il suo trattare con disinvoltura, pure in questa sua Corrispondenza – oltre, come si vedrà, che dei problemi della comunicazione umana – anche di storia e antropologia, di economia e astronomia, ecologia, religione, insegnamento, musica e psichiatria, di pena capitale, giochi di parole, freddure... e altro ancora. Ma tutto in una prevalente visuale più letteraria-sinestetica che critico-logica; più, appunto, da esteta fantastico-emotivo «cerebrodestro», che da scienziato razionale-sistematico, «cerebrosinistro».
Nella «Galassia Marconi»
Anche su McLuhan «oracolo della Galassia Marconi» questa Corrispondenza fornisce un buon numero di dati, per lo più disattesi dalla pubblicistica corrente, sia giornalistica sia dotta. Alcuni riguardano il suo casuale e non metodico inoltrarsi nella materia sino a condensarla nei due motti-paradossi cui legherà il suo nome: «Il mezzo è il messaggio» e la convivenza umana ridotta a «Villaggio cosmico». Tali sono quelli che confermano come il caustico La sposa meccanica, di McLuhan venticinquenne, rimase un inizio del tutto estraneo rispetto al maturo e appagato esploratore della «Galassia Marconi». Riferiva di lui L. G. Stearn nel 1967: «Quando, nel 1936, arrivai nel Wisconsin, mi trovai di fronte a classi di matricole e mi resi conto improvvisamente che ero incapace di capirle. Sentii un bisogno urgente di studiare la loro cultura popolare: pubblicità, giochi, pop; così illustrando le immagini visive del nostro ambiente [...] ed esaminandole per dar loro un significato dopo averle dislocate in commenti allusivi e taglienti, egli mise in luce un’insidiosa produzione di sesso e tecnologia» (p. 94).
Il pensiero di McLuhan – precisa il Toye – s’incanalò verso i media alla fine degli anni Quaranta, quando lesse gli scritti e s’incontrò con un collega del Dipartimento di economia politica, Harold Adams Innis9, pioniere nello studio dei mezzi di comunicazione nella storia e delle loro conseguenze economiche e sociali (p. 95). Poi altri autori e docenti vennero a incrementare il suo mutevole pensiero, con le loro opere e frequentazioni personali. Tali, per la linguistica e la letteratura, Walter Ong e altri docenti gesuiti alla St. Louis University: John Culkin e Clement J. McNaspy, Stanley J. Murphy, Felix Giovannelli; e personaggi come Northrop Frye e Eric Havelock, ma anche antropologi come Edmund Carpenter, Siegfried Giedion e Margaret Mead; psicosociologi come Jacques Ellul, Johan Mumford, David Riesman e Jaqueline Tyrwhitt; l’architetto Harley Parker, il pubblicitario Barry Day, lo scrittore C. P. Snow....
Di qui in McLuhan il susseguirsi, senza amalgamarsi, di almeno quattro massmediologi. Quello della bizzarra tipologia «calorica» dei media, da lui distinti in hot-caldi e cool-freddi (1960: p. 164). Quello dei media dati quali «estensioni» dell’uomo (1963: p. 181): sintagma corrente tra gli antropologi per denotare, in generale, l’impatto delle tecnologie-ambiente sulle strutture psicosociali dell’uomo (le «culture»), ma che il Nostro, col suo confusionario paradosso «Il mezzo è il messaggio», altera, attribuendo «messaggi» anche a tecnologie che di comunicazione intenzionale non sono (p. 267 s). Terzo viene il McLuhan che, persistendo nella sua allegoria, alla remota «esplosione» (dall’alfabeto all’automobile) fa seguire l’odierna «implosione» (elettronica) della Galassia Marconi. E ultimo approda il McLuhan dei due «emisferi cerebrali». La Corrispondenza, copiosa in argomento, lo introduce con questa sua confidenza alla Tyrwhitt: «Per trent’anni almeno ho usato l’approccio dei due emisferi sotto i nomi di scritto e orale, visivo e acustico, caldo e freddo, mezzo e messaggio, figura e sfondo, e così via. Ora si scopre che la medicina ha costruito una grande testa di ponte per questo approccio con le nuove conoscenze che sono state acquisite sui due emisferi del cervello. Se si prendono in considerazione i tratti dell’emisfero sinistro, vi si scoprono i lineamenti del Primo mondo – il mondo alfabetizzato e industriale –, e, d’altra parte, nell’emisfero destro si scorgono le caratteristiche del Terzo Mondo – il mondo senza alfabeto fonetico» (1968: p. 229)10.
Con quest’ultimo suo approdo la Corrispondenza ha il merito di precisare i due più autentici valori culturali di McLuhan massmediologo. Quello cioè di aver richiamato l’attenzione di psicologi, sociologi, pedagogisti, politici – e anche, si spera, dei pastoralisti –, dai contenuti «messaggi» culturali e morali dei mass media alle risonanze sensoriali-intellettuali attinenti alle tecnologie degli stessi; e quello di aver finalmente avvalorato le sue intuizioni e opinioni, non più con amenità letterarie, aforismi, o con citazioni usate come argomentazioni, ma con dati scientificamente fondati11.
Il cattolico «sinestesico»
Non meno preziosi sono i dati con i quali la Corrispondenza completa quei pochi che i biografi, sino al 1980, erano riusciti a raccogliere su McLuhan cattolico12. Molti riguardano la sua conversione dal protestantesimo, perfezionata col battesimo e la prima comunione nella cappella del St. Michael’s College di Toronto il 24 e il 25 marzo del 1937 (p. 58)13. Consta così, ad esempio, che, se alla sua formazione catechetico-teologica provvidero sacerdoti come i padri Phelan e Kutchera14,allo slancio, diciamo così, suasorio provvidero soprattutto «laici» letterati, quali Jacques Maritain e Gilbert Keith Chesterton.
Sul primo, nel 1935, McLuhan ventiquattrenne scriveva al fratello Red: «Come manuale di filosofia ti raccomando vivamente l’Introduzione alla filosofia di Maritain. È il più grande pensatore francese vivente e uno dei più autorevoli studiosi di Tommaso d’Aquino [...]; è una meraviglia di lucidità e di ordine» (p. 39). Nel 1969 confidava allo stesso Maritain: «Il mio primo incontro con la sua opera fu all’Università di Cambridge nel 1934. Il suo testo Art and Scholasticism faceva parte delle opere da leggere nel Dipartimento d’inglese. Per me fu una rivelazione. Divenni cattolico nel 1937» (p. 241); e nel 1976 ricordava: «È stato nel 1934-36, quando ero studente a Cambridge, che ho scoperto gli scritti di Jacques Maritain [...]; da allora ho letto tutto quello che ho trovato di Maritain e mi sono sempre tenuto al corrente sulle sue opere» (p. 336).
Sul secondo – che fin dal 1931 era stato «uno dei suoi eroi letterari» (pp. 20 e 23) – nella stessa data scriveva: «In quegli anni mi interessavo profondamente al pensiero cattolico avendo preso tale direzione per l’influsso esercitato su di me da G. K. Chesterton, di cui avevo letto What’s Wrong with the World15 nel 1931» (ivi). Nel 1934 lo ricorda al fratello Red: «Ora ti posso raccomandare il libro di Chesterton su san Tommaso perché ti sarà utile per i tuoi corsi di filosofia. Tratta di Platone, Aristotele e il loro influsso sul cristianesimo» (p. 33); e pensa di scrivere un articolo su di lui (p. 37). Infine nel 1935 ne fa un ritratto spiritoso, conforme alla sua corporatura, dopo essere stato suo commensale a cena (p. 46); per poi così precisarne, all’allarmata mamma Elsie, il ruolo di suo «eroe persuasore». «Se non avessi incontrato Chesterton sarei rimasto agnostico per molti anni. Chesterton non mi ha convinto dell’esistenza di alcuna verità religiosa, ma ha impedito che la mia disperazione divenisse un’abitudine, o degenerasse in misantropia. Mi ha aperto gli occhi alla cultura europea e mi ha incoraggiato a conoscerla più da vicino. Mi ha insegnato le ragioni di tutto ciò che in me era semplicemente collera cieca e infelicità. C’è passato attraverso anche lui; ma poiché viveva in un ambiente in cui rimaneva molta parte della cultura cattolica, e poiché aveva genio sufficiente, ci è passato attraverso rapidamente. È rimasto anglo-cattolico finché è stato capace di farlo (1922). Sua moglie si è convertita al cattolicesimo alcuni anni più tardi» (p. 49).
Della sua pratica religiosa, personale e familiare, sempre coerente con la sua conversione – tanto da comprendere, sino agli ultimi anni, messa e comunione quotidiana –, eravamo già informati; la Corrispondenza ci provvede ulteriori costanti sulla sua vita di pietà.
Nel 1939, sposatosi, scrive al papà Herbert: «Ricordaci nelle tue preghiere» (p. 68), e nel novembre del 1970 al figlio Eric: «Un nuovo anno di benedizioni» (p. 266). Ricalcando il formulario epistolare dei gesuiti, non solo con gli amici pp. W. Ong (pp. 107 e 109), St. Murphy (pp. 87 e 89) e McNaspy (p. 104), ma anche con altri religiosi, come J. Mole (p. 316), e con protestanti come J. Taylor (p. 230) si firma: «Suo in Cristo..., Cordialmente in Cristo..., Affezionatissimo in Cristo..., Come sempre in Cristo..., Suo nel Signore..., Benedizioni e saluti in nostro Signore...». In comunione di preghiere vive l’anno liturgico. Augura «Un santo Natale» all’amico W. Jovanovich (p. 215), «Un Natale pieno di gioia e di consolazioni» a W. e Sh. Watson (p. 219), «Un decennio benedetto» al protestante W. Glenesk (p. 2j6), «Un santo anno nuovo» al liturgista J. Bret (p. 293); confida al p. McNaspy: «Sarebbe un modo orribile di cominciare l’anno nuovo se non chiedessi la tua benedizione e la tua preghiera, e non ti assicurassi le mie» (p. 103). E nella preghiera cementa le sue amicizie. Col compositore Duke Ellington (p. 306: «Preghiamo perché tu possa godere di un’ottima salute»), con Maritain (p. 241: «Suo con molte preghiere»), col primo ministro canadese Pierre Elliott Trudeau (p. 277: «Voglio che lei sappia che è nelle mie preghiere [...], Corinne e io preghiamo per lei»; p. 302: «Cordialmente e assicurandoti delle mie preghiere»; p. 349: «Corinne ed io preghiamo che il tuo Natale e il Nuovo Anno siano disseminati di miracoli in profusione»), e col re Gustavo di Svezia (p. 323: «La ricordiamo nelle nostre preghiere)...
Invece, quello che la Corrispondenza dice, e quello che la stessa non dice, consolida piuttosto i dubbi altrove rilevati sulla personalità dottrinale-razionale del Nostro16. In proposito non illudano i suoi frequenti richiami e rimandi ai «raziocinanti» Aristotele (pp. 33, 39, 170..., 340, 344) e Tommaso d’Aquino (pp. 33, 39, 90..., 296 e 340); le sue visuali e i suoi approcci, non esclusi quelli relativi alla sua conversione e all’ipotizzato suo sacerdozio17, restano quasi sempre quelli di un sinestesico-«cerebrodestro». Egli sta, per esempio, con l’anglo-cattolico T. S. Eliot quando scrive: «Alla fine è il cristiano che può godere la vita in modo più vario, raffinato e intenso» (p. 45); e così, nella già citata lettera del 1935, richiamandosi alla sua estrosa attività di artista teatrante, scriveva a sua madre Elsie:
«La religione cattolica [...] è la sola a benedire e a impiegare tutte quelle facoltà meramente umane che producono il gioco e la filosofia, la poesia e la musica, l’allegria e l’amicizia con una base molto carnale. Essa sola scende a patti con i termini che le nostre sette18 hanno odiato e hanno designato con brutti appellativi, come “carnale”, che è squisitamente vicino a “carnaio”. La Chiesa cattolica non disprezza né mortifica ingiustamente quegli attributi e quelle facoltà che Cristo si degnò di assumere. Questi sono d’ora innanzi santi e benedetti [...]. Ci volle del tempo prima che capissi finalmente come il carattere di ogni società, il cibo, l’abbigliamento, le arti e i divertimenti siano, in ultima analisi, determinati dalla sua religione. C’è voluto ancora più tempo per poter credere che la religione fosse altrettanto grande e gioiosa quanto le cose che essa crea, o distrugge» (p. 48 s).
Siffatta visuale sinestesico-«cerebrodestra» spiega certe sue poco «cattoliche» posizioni morali e dottrinali. Tale il recupero di psicanalisti materialisti come Sigmund Freud (pp. 192, 200, 291 e 324) e Gustav Jung (p. 90: «L’antropologia e la psicologia moderne sono oggi più importanti per la Chiesa di quanto non lo sia san Tommaso»); il suo ridurre l’uomo rinascimentale a fenomeno interamente emotivo-nevrotico (p. 87: «dato che l’importanza di un Machiavelli, di un Hobbes e di un Marx non è in primo luogo intellettuale, bensì catartica. Non offrono tanto sistemi concettuali, quanto strategie emotive»); nonché alcune sue riserve e silenzi su valori morali. Fa bene, infatti, a dirsi contrario alla massoneria (p. 138), all’aborto (p. 279) e al «dominio delle pornografie propinate dai media», ma per precisare che «le espressioni d’indignazione morale non sono di alcuna utilità, e servono esclusivamente ad alienare i giovani» (p. 301)19.
Forse per questo non si stanca di celebrare autori come A. Rimbaud, E. Pound, G. Chaucer – e soprattutto J. Joyce –, senza deplorarne, lui docente in Università cattoliche, le sconcezze e l’empietà blasfema anticattolica. Tutto – egli sembra dire – si spiega con... la velocità della luce, nella quale l’odierno uomo elettronico comunica. Scrive: «I vecchi fumetti hanno quel tipo di valori morali solidi per cui ogni cosa o è giusta o è sbagliata. Ma alla velocità della luce non ci sono più valori morali [...]. Le strutture legali non stanno più in piedi alla velocità della luce. L’informazione elettronica prende il posto dei vincoli legali» (p. 100). «La mia familiarità con la poesia e la critica simbolista mi ha portato ad accostarmi sia all’arte che alla tecnologia secondo i metodi strutturalista e formalista. Tali metodi escludono semplicemente la possibilità di formulare giudizi di valore o valutazioni moralistiche, se non come aggiunte posteriori in veste di confessione personale» (p. 317). «Quando è disincarnato, l’uomo non ha identità, e non è soggetto alla legge naturale. Infatti non ha la base per una moralità di qualsiasi tipo» (p. 346).
Infine questa Corrispondenza conferma due curiose posizioni del Nostro rispetto al Magistero romano sui mezzi e strumenti della comunicazione umana. Già copioso, quello preconciliare, di almeno 630 interventi20, egli – che, come si è visto, tanto ridonda in citazioni «laiche» – non ne riporta uno; pur criticando, tra l’altro, la condotta del clero cattolico e del Concilio di Trento riguardo alla stampa di Gütenberg (pp. 204 e 245), nonché quella del Vaticano I riguardo – niente di meno! – all’elettronica (p. 260). Rispetto poi al Vaticano II: non una parola sul decreto sugli strumenti della comunicazione sociale Inter mirifica (1963); mentre nel 1974 riserva questa secca valutazione sull’istruzione Communio et progressio (1971), applicativa dello stesso: «Le ho dato un’occhiata e l’ho trovata inutile» (p. 314)21. Inoltre, sempre sul Vaticano II, non mancano alcune riserve favorite, tra l’altro, dal suo perseverante culto per J. Maritain. Di lui scrive: «Ho appena finito di leggere Le paysan de la Garonne, trovandolo giusto al 100%» (p. 238); e a lui parla di «burocrati ottocenteschi che dovrebbero mettere in pratica il Vaticano II» (p. 240). Mentre con P. E. Trudeau, a proposito di stampa e messaggio evangelico, nel 1969 nota: «Il Vaticano II ha fatto un grande errore in questo campo, come in molti altri» (p. 232): e nel 1974, a proposito della «più grande perdita della fede che si sia vista dalla Riforma in poi», commenta: «Il Vaticano II è stato tutto una fioritura di individualismo liberale e una specie di immolazione dell’individuo nella nuova totale immersione nella partecipazione, resa possibile dalle sensazioni televisive del viaggio interiore [...]. Se la Riforma ha significato l’eliminazione delle gerarchie acustiche e musicali a favore del punto di vista visivo e privato, il Vaticano II è stato il seppellimento di questo individualismo nella palude [...] del solidarismo elettronico e del coinvolgimento totale» (p. 319).
1 Cfr Civ. Catt. 1980 II 433, IV 375 e 1981 I 116; poi raccolti e integrati in E. BARAGLI, Dopo McLuhan, LDC, Torino-Leumann 1981. Per uno studio più completo, cfr ID., Il caso McLuhan, La Civiltà Cattolica, Roma 1980.
2 Cfr Civ. Catt. 1984 III 144.
3 M. McLUHAN, Corrispondenza: 1931-1979, SugarCo, Milano 1990, 359, L. 40.000. Tra i pochissimi che l’hanno segnalato sulla stampa italiana: A. GNOLI, McLuhan: ti odio, villaggio globale, in la Repubblica, 26 gennaio 1991; G. GAMALERI, McLuhan, testimone del passaggio dalla scrittura all’oralità, in Avvenire, 27 gennaio 1991; Il McLuhan delle lettere, in Mass Media, 1991, n. 1, 5.
4 Quattro sono gli autori che forniscono sufficienti dati biografici: R. ROSENTHAL, Biografia actual, in McLuhan Pro & Contra, Monte Avila, Caracas 1969; G. GERBNER, McLuhan Herbert Marshall, in Encyclopedia Americana, vol. 18, New York 1969, 80; P.Y. PETILLON, Avant et après McLuhan, in Critique, 1969, 101; R. KOSTELANETZ, McLuhan, sacerdote dei mass media, in Servizio Informazioni AVIO, 1971, no. 5-6, 219.
5 Figlio dell’agente di assicurazioni Herbert (1879-1967) e della già insegnante e poi anche dicitrice Elsie Naomi (1889-1961), Marshall ebbe sei figli.
6 Tra gli altri: attori, registi, compositori, pianisti e pittori come W. Allen, J. Miller, J. Cage, D. Ellington, G. Gould e G. Lewis; scrittori e filologi come E. Pound, W. J. Ong e W. Watson; antropologi e sociologi come E. Carpenter, A. Innis e D. Riesman; politici come l’ambasciatrice USA in Italia C. Booth Luce e il primo ministro canadese P. E. Trudeau.
7 Il primo settembre 1961 confidava a John Wain: «Da oggi uso le stampelle perché mi sono slogato un piede [...]. Ciò significa scoprire il proprio corpo in una luce completamente diversa» (p. 104).
8 Dove, precisa il Toye, «tenne corsi sui seguenti argomenti: Letteratura inglese fino al 1771, un seminario sul Rinascimento: il XVII secolo, Storia della critica letteraria; Poesia e vita; Il Romanzo vittoriano; Critica applicata; Studi sulla letteratura del Rinascimento inglese; La poesia fino a Milton» (p. 58).
10 Opportunamente il Toye precisa: «D’ora in avanti questo argomento sarà di particolare interesse per McLuhan. Le caratteristiche degli emisferi del cervello sono state formalmente divise nelle seguenti gerarchie. Emisfero sinistro: Verbale, Sequenziale, temporale, digitale; Logico, analitico; Razionale, Pensiero occidentale. Emisfero destro: Non-verbale, video-spaziale, Simultaneo, spaziale, analogico; Gestalt, sintetico; Intuitivo; Pensiero orientale (p. 230).
11 Sull’argomento cfr E. H. LENNEBER, in «On explaining language», in Science, 9 maggio 1969; A. P. LURIJA, The functional organisation of the brain, in Scientific American, marzo 1970; R. J. TROTTER, The other hemisphere, in Sciences News, aprile 1973; J. C. ECCLES, The understanding of the brain, 1973; J. JAYNES, The origin of consciousness in the breakdown of the bicameral mind, Boston, 1977 (cit. in W. J. ONG, Oralità e scrittura, il Mulino, Bologna 1986, 54).
12 A quelli menzionati in E. BARAGLI, Il caso McLuhan, cit., 52 e 328-330, tutti anteriori alla sua morte (1981), si sono aggiunte le due interviste, dell’aprile 1984, di G. Gamaleri al p. W. Ong e a Corinne McLuhan, riportate in G. GAMALERI, Il villaggio elettronico di McLuhan, Capone, Cavallino (LE) 1981, 71 e 83.
13 Però col Toye non sembra concordare lo stesso McLuhan, che il 12 aprile 1979 ricordava al p. Stanley Murphy: «Oggi ricorre il quarantaduesimo anniversario della mia conversione al cattolicesimo» (p. 347).
14 Testimonianza della serietà e completezza di questa sua formazione catechetico-teologica resta la lunga e bellissima lettera, del 11 gennaio 1939 (p. 61), alla moglie Corinne, allora ancora non cattolica.
15 La raccolta, di una quarantina di riflessioni argute sulla società, era del 1910. Chesterton (1874-1936) si era convertito al cattolicesimo nel 1922.
16 Cfr E. BARAGLI, Il caso McLuhan, cit., pp. 303-305; dove, trattando del suo pensiero filosofico ed etico-religioso, se ne denunciano il monismo monocausale, l’empirismo e il sensismo.
17 A suo fratello Maurice, l’11 aprile 1936 egli aveva scritto: «Se fossi venuto in contatto con quella Cosa del cattolicesimo che è la Fede cinque anni fa, credo che mi sarei fatto prete» (p. 56).
18 Elsie aveva allevato i due figli nella Chiesa Battista Nassau (p. 18); lo zio Ray era testimonio di Geova (p. 55) e il fratello Maurice sarà ministro dell’United Church canadese dal 1943 al 1962 (pp. 30 e 51).
19 Di qui il suo diffidare di ogni censura, anche rispetto ai giovani. Il 5 gennaio 1951 confidava al da lui ammiratissimo E. Pound: «Quest’anno ho un gruppo di studenti veramente eccezionali, che si stanno impadronendo della poesia contemporanea, e alcuni di loro sono sbalorditi quando vengono in contatto con la sua. Non riescono a perdonare il modo in cui ne sono stati tenuti lontano da stratagemmi e pretesti pedagogici» (p. 123).
20 Cfr E. BARAGLI, Comunicazione Comunione e Chiesa, SRCS, Roma 1973.
21 Lettera indirizzata al p. John W. Mole, uno dei rari critici della Commmunio et progressio in favore dell’Inter mirifica.