Articolo estratto dal volume III del 1956 pubblicato su Google Libri.
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I riferimenti ai documenti del magistero pontificio sono stati resi interattivi e portano al sito del progetto “Chiesa e Comunicazione”, la biblioteca digitale online che prosegue l’attività iniziata da p. Baragli con le opere Cinema cattolico: documenti della Santa Sede sul cinema e Comunicazione Comunione e Chiesa.
Guidati da furbizia, o da innato spirito d’indipendenza, che li fanno insofferenti di ogni irreggimentazione, i latini in genere e gli italiani in specie, piuttosto diffidano della pubblicità, tanto che «È réclame!» «É propaganda!» valgono per essi un giudizio di tentato raggiro, e lo dicono con la saputa sodisfazione di chi addita una trappola scoperta ed evitata. Che poi, se di trappola si tratta, spesso la scoprano e la evitino, non è detto; anzi è presumibile che no, tanto insistente è diventato anche in Italia il clamore pubblicitario, pur restando le mille miglia lontano dalle punte segnate nei paesi dove impazza liberamente, per esempio negli Stati Uniti d’America, in cui in un anno beve la bellezza di tremila miliardi di lire!
Crediamo di scegliere da noi quando facciamo le nostre spese, e di esprimere una nostra personale opinione quando diamo un voto o un parere; di fatto, la più parte delle volte adottiamo il pensiero ed eseguiamo la volontà altrui. Siamo prigionieri tra i fili di una ragnatela tesaci intorno dalle mille imprese industriali o commerciali, da società culturali, sportive, turistiche, di beneficenza, da uffici stampa di governi e di ministeri, da organizzazioni di chiese e di partiti, dato che oggi non c’è istituzione o attività di una certa importanza che non si avvalga della propaganda, se vuol vivere. La pubblicità ci assale violentemente dalle fiere e dalle mostre, dai “giri” d’Italia e di Francia, dai cartelloni murali che tappezzano le vie, le stazioni, gli stadi, dalle insegne luminose che hanno mutato le nostre strade in mirabolanti perpetue kermesse, dalle scritte bianche sul nero dell’asfalto e sull’azzurro del cielo, dagli altoparlanti degli imbonitori modernizzati, dai cortei, dalle “giornate”, feste e comizi; ci attende al varco nelle vetrine dei negozi, appesa alle reticelle dei treni o ai mancorrenti dei filobus, nell’anticamera del dentista e dell’avvocato, sullo schermo dei cinema, nelle cabine telefoniche; riempie a metà le riviste e i rotocalchi, s’insinua tra una notizia e l’altra dei quotidiani, tra un numero e l’altro degli elenchi telefonici, nelle etichette di scatole e di bottiglie e negli imballi con cui i fornitori le accompagnano, nelle schedine del totocalcio; entra in casa da sotto la porta in volantini e circolari, in bollettini, dalle testate dei calendari; dalla radio, offrendo canzoni, concerti, sketch, freddure; dalla timbratura della corrispondenza; solletica brame e speranze allestendo concorsi e mettendo in palio apparecchi radio, frigoriferi, motocicli, automobili, villini, viaggi all’estero, milioni sonanti e titoli di miss... Abbiamo un bel difendercene, ma essa ci condiziona quando acquistiamo un dentifricio, un sapone, un rasoio, un’automobile, un orologio o un panettone, quando ci rechiamo a un cinema o a una mostra, a una sagra o a una villeggiatura, quando chiediamo un aperitivo o una bibita al barista, un cachet o un callifugo al farmacista, una polizza ad un assicuratore, quando critichiamo un autore o quando facciamo tifo per la Roma e, ahimè, sì, forse, anche quando attacchiamo un partito politico o scegliamo una scuola per nostro figlio...
Per quanto possa dispiacerci il sentirci trattati da cose e vedere la nostra superba libertà fatta oggetto di statistiche, previsioni ed esperimenti, come se fossimo cavie in un laboratorio, la realtà è questa: se due persone intelligenti, con metodi e mezzi appropriati, ci si mettono a lanciare un’idea o un prodotto, in poco tempo, se proprio non pretendono di vendere sabbia alla Libia e ghiaccio ai lapponi, e se concorrenti più furbi e più ricchi non li prevengono, hanno l’umanità a discrezione; e questo, secondo leggi statisticamente tanto sicure che oggi le spese enormi affrontate da industriali e da partiti, lungi dall’essere un rischio, e molto meno una pazzia, sono segreto e argomento di sicuro successo. Anzi le cose sono andate tanto avanti che, da tecnica empirica, il rapporto fra soggetto operante (= agente) e soggetto recettore (= il pubblico) a scopo d’informazione, propaganda e pubblicità, in che consiste il fenomeno pubblicistico, è oggetto ormai di una scienza vera e propria: la tecnica sociale della comunicazione pubblicistica1. Corsi, istituti e facoltà universitarie2, articolati in materie e cattedre, si sono venuti organizzando anche in Italia dopo la seconda guerra mondiale. Ed esiste tutta una letteratura sull’argomento, teorica e tecnica, alla quale ricorrono, oltre ai piazzisti di beni di consumo, i piazzisti d’idee, con quali effetti sull’opinione pubblica nazionale e mondiale basta avere due occhi in fronte per accorgersene.
Per sfuggire agli eccessi della propaganda, per poterne giudicare oggettivamente i moventi, i metodi e i risultati ed, eventualmente, per poterla adoperare a proposito, specialmente per fini morali, è bene che quanti, per scelta o per dovere, s’interessano delle sorti terrene ed eterne della società umana, non ne restino del tutto digiuni. Questo scopo umano ed apostolico appunto ci consiglia di presentare qui alcune tra le pubblicazioni più recenti di pubblicismo apparse in Italia.
Otto pubblicazioni
Lasciando da parte le opere piuttosto di divulgazione (ottime, alcune, ma sempre empiriche e non sistematiche)3, ci portiamo su quelle che si presentano come impostate scientificamente, meno brillanti forse, ma, se mantengono quanto promettono, più sicure.
Non si direbbe che sia questo il caso delle quattro pubblicazioni del Centro di demodossalogia di Roma, la prima delle quali, Invito alla demodossalogia, è poco più di un programma-relazione dello stesso Corso, con molta retorica e poco metodo, specialmente nelle pagine introduttive; la seconda: Demodossalogia generale (appunti tratti dalle lezioni del prof. A. Perini-Bembo) è anch’essa introduttiva, per quanto più impegnata, sistematica e documentata; non, dunque, sufficiente per dare un giudizio sulla portata e i risultati effettivi della nuova scienza, trattando solo il primo dei suoi sette rami: la sistematica, e non gli altri sei: il psico-sociale, il morfologico, l’applicativo, l’etico-politico, il giuridico e lo storico. E questo è un vero peccato perché, dal poco cui si accenna, s’intuisce l’interessantissima visione che dell’umanità si avrebbe studiandola sotto il profilo dell’opinione pubblica, con tutti i problemi psicologici, sociali e morali connessi. Ma quanto vi si dice è anche sufficiente per far palese il pericolo in cui le scienze sociologiche e la demodossalogia in particolare possono incorrere, data la molteplicità di contatti che esse hanno con altre scienze: ed è di scivolare in asserzioni, scorci e nozioni che i relativi competenti, a torto o a ragione, potranno trovare discutibili e, poi, fidandosi su quelle, riportarne l’impressione di facilonerie da orecchianti.
Molto affrettato è il terzo volumetto, di A. L. Brighenti: Pubblicità generale e principi di teoria e tecnica pubblicitaria, cui però vanno riconosciuti i meriti di abbondanza di dati, di chiarezza, di sensibilità morale non ordinaria in lavori di questa indole. Niente più che un rapido e sommario excursus sull’Evoluzione della pubblicità è l’omonima pubblicazione di A. De Rosa, conosciuto per un suo più impegnato Le grandi fiere campionarie, del 1952.
Il padre Félix Morlion O.P., noto per l’originalità delle sue iniziative di apostolato culturale, tra le quali i “Cineforum” e l’“Università internazionale Pro Deo”, dopo aver divulgativamente trattato l’argomento nel suo L’apostolato dell’opinione pubblica (Roma, Studium; 1947, p. 246), qualche anno dopo, ad uso degli studenti della stessa “Pro Deo”, vi tornava sopra col suo Filosofia dell’opinione pubblica (pp. 20; 64; 42), dal titolo, come si vede, quanto mai promettente ma, ahimè, anch’esso «lunga promessa coll’attender corto». Infatti, di filosofia, specialmente nella prima parte di Nozioni generali, vi si parla; la terminologia scolastica si usa e la sua sistematica si suppone in tutte le tre parti, e si ritrova nel rigore logico con cui le tesi vengono impostate e deduttivamente dimostrate, nonché in una certa tendenza aprioristica, con cui sembra che si attribuisca valore di dimostrazione a ordinate sistemazioni lessicali; ma nell’insieme, specialmente nelle parti seconda e terza (Dialettica del tema popolare e del racconto, Dialettica dell’informazione), non va oltre i limiti di una metodologia pratica, partendo da leggi psicologiche intuitive, insufficientemente dimostrate e, forse, difficilmente dimostrabili. A parte ciò, che più di una censura è un rilievo dei suoi limiti oggettivi (tanto più che essa, anche dell’opinione pubblica, studia solo i riflessi politico-religiosi odierni), la pubblicazione è ricca di buone, acute e pratiche osservazioni di fatto sulla psicologia del pubblico, di pertinenti e puntuali analisi sulle opposte dialettiche comunista e democratica, nonché di chiarificatrici esemplificazioni sulla tecnica dell’articolo, della questione disputata e del dibattito; per queste doti, per l’ottimismo che l’accompagna, per la schietta dedizione alla buona causa della civiltà e della Chiesa cattolica che l’anima, si può dire prezioso sussidiario del propagandista cattolico nell’apostolato moderno.
Con tutt’altra impostazione si presentano i due volumi Saggi e studi di pubblicistica, editi a Roma dall’Istituto italiano di Pubblicismo, «del tutto nuovi per l’Italia... con lo scopo di illustrare ed approfondire problemi particolari di quella pubblicistica moderna, nella quale fin oggi solo un vago empirismo dettava le sue leggi e i suoi giudizi». Dunque: non trattati sistematici, ma materiali di avvio e contributi per una scienza in formazione. Il primo volume contiene sedici numeri. Alcuni studiano il fenomeno pubblicistico rispetto ad ambienti e scopi diversi; per esempio, tra le forze armate (R. Fiore Vernazza: L’organizzazione della informazione pubblica nelle FF.AA.; C. Tamberlani - T. Zarra, Sulla propaganda militare; E. Fais: I mezzi orali nella propaganda militare; A. Pecoraro: Metodo e tecnica della propaganda nelle FF.AA. in U.S.A.), per il turismo (R. De Gasperis: Problemi di propaganda turistica), per la produzione agricola industriale (U. Zampieri: La propaganda collettiva della canapa); altri indagano sugli stessi strumenti pubblicistici, quali il giornalismo (D. Di Gregorio: Appunti per una metodologia del giornalismo; L. Podestà: Della organizzazione redazionale del periodico; L. Pascutti, L. Dentice, A. Frattani, F. Radice: La stampa periodica dello spettacolo), la parola in atto (i citati E. Fais e C. Tamberlani), o sulla loro evoluzione storica (F. Fattorello: Dagli studi sul giornalismo agli studi sulla pubblicistica generale; F. Paolone: Gli strumenti della propaganda personale); altri, infine, sulla tecnica, la legislazione e l’organizzazione economica della propaganda. Nel complesso si tratta di studi seri e sistematici; ma non ne mancano di piuttosto superficiali: uno, per esempio, ce n’è approssimativo e generico, volenterosa ma poco documentata esercitazione scolastica, e un altro inficiato di un certo empirismo e d’infiorata oratoria patriottarda, che non ci si attenderebbe in questa sede. Non ce ne scandalizziamo davvero, trattandosi, in fondo, di un coraggioso tentativo senza precedenti in Italia.
Il secondo volume ci sembra più impegnato ed omogeneo. Anche qui alcuni studi sono sulla storia, elementi ed evoluzione della pubblicistica in generale; tali lo studio di F. Paolone: Gli strumenti della propaganda ideologica, ricco di dati, di buona cultura filosofica e scientifica, ottima sensibilità morale cattolica4; quello di F. Fattorello sulle Publics relations, e il nozionale preciso studio di L. Podestà sul Gruppo elementare, analizzato da Ch. H. Cooley. Esclusi i tre del prof. W. E. Porter sulla pubblicità, radiodiffusione e giornalismo in U.S.A., interessanti per la loro praticità e per i problemi morali suscitativi, e quello storico di R. Lefevre: L’editto albertino del 1848 sulla stampa, che per giusto un secolo normò l’uso di questo massimo strumento pubblicistico in Italia, tutti gli altri studi e saggi vertono sull’applicazione degli strumenti pubblicistici in dati ambienti, professioni o attività economiche. La diversità, appunto, degli argomenti è indice validissimo per dimostrare quanto possa il pubblicismo nell’organizzazione dei settori più disparati e, si direbbe, più impervi alla convivenza umana. Tre riguardano la professione e la politica militare, e sono: C. Tamberlani - T. Zarra: Sulla propaganda militare; E. Fais: Propaganda della C.E.D. tra le FF. A.4. (con problemi morali posti e non sciolti); L. Bonifazi: La propaganda per le Accademie militari; uno (pratico, di buon senso, giuridicamente completo, che pone tra l’altro la questione della libertà di stampa in rapporto al diritto dell’informazione), di G. Quartuccio, su Polizia e stampa; due, di R. De Gasperis e E. Carapezzi, (sul turismo, ricchi di pertinenti osservazioni sulle virtù civiche richieste dalla convivenza civile, nonché di troppo ottimistiche valutazioni della scuola americana); altri, finalmente, su argomenti vari, tra i quali, inatteso ed interessantissimo per notizie, indagini e progettazioni, uno di P. Pontiroli Gobbi, Sugli incidenti stradali5. Un posto a sé merita La parola e il successo, di C. Tamberlani, tentando esso una indagine approfondita della parola in atto, non in quanto mezzo espressivo dell’oratoria letteraria o sacra (nel qual caso sarebbe venuto ad infoltire una produzione tra noi più pletorica che scarsa), bensì come strumento pubblicistico. Non mancano all’autore titoli estrinseci per trattare con competenza la materia. Professore, tra l’altro, di analitica dell’eloquenza presso l’istituto superiore di eloquenza sacra dell’O.F.M., di tecnica dell’espressione presso l’Università internazionale di studi sociali di Roma, e di tecnica della propaganda orale presso l’istituto di pubblicismo, attore teatrale e cinematografico, nonché formatore di attori quale docente nel Centro sperimentale di cinematografia, egli può vantare nella teoria e nella pratica della parola un’esperienza più che trentennale6.
Della pubblicistica orale egli prima dà le nozioni fondamentali, inquadrandole nello schema più ampio della pubblicistica in generale (parte I); poi tratta dei due termini del rapporto pubblicistico, e cioè il pubblico, soggetto reattivo (parte II), e colui che parla, o soggetto attivo, analizzandone lo strumento (linguaggio fonico) nella tecnica dell’espressione verbale (parte III), nei suoi generi (parte IV) e nella tecnica della propaganda orale (parte V). Tenta così una via di mezzo tra i numerosi manuali per riuscire interessanti e persuasivi e gli studi più speculativi sulle folle e sulle loro variazioni di opinione, seguendo dei secondi il rigore scientifico, ma non l’astrattezza, e dei primi la praticità, ma non l’empirismo. Che egli raggiunga pienamente l’intento non diremmo; né lo poteva, essendo tuttora la psicologia sperimentale, specialmente collettiva, molto lontana dalla formulazione di leggi scientificamente precise sul comportamento, reazione ed influenzabilità delle folle, o del pubblico in genere. Perciò ci dobbiamo accontentare delle intuizioni, spesso brillanti, dei suddetti speculativi, o delle esperienze, in gran parte soggettive e contingenti, dei praticanti (attori, oratori, propagandisti e “pubblicisti” in genere), come fa il Tamberlani; il quale, appunto, fa tesoro della sua esperienza personale e la convalida con le opinioni di altri, o praticanti, o studiosi, ricorrendo cioè all’argomento di autorità, che, in scienza, ha il valore che ha. Suo merito è l’aver sistemato un insieme vastissimo di esperienze e di osservazioni in una specie di precettistica o, sit venia verbo, nuova retorica, la quale, come ogni tecnica d’arte, se non aprirà il segreto dell’ars convincendi a chi non ne ha sortito da natura il dono, almeno spiegherà le ragioni del successo di altri più fortunati, e di essi migliorerà il rendimento.
Opportunamente, tra l’altro, egli rileva come nella pubblicistica orale sia necessario adattare la lingua al pubblico secondo la psicologia e la preparazione della folla, e dell’uditorio selezionato, e quindi la necessità di conoscerlo questo pubblico, e di avvertirne le fluttuazioni; e, più che la lingua, quanto sia necessario controllare il pensiero per poter manovrare efficacemente i meccanismi dei riflessi condizionati e delle immagini collettive dell’uditorio. Altro merito non piccolo del Tamberlani è l’aver rilevato la funzione riflessa dell’uditorio sul parlatore e l’aver seguito, nella sua precettistica, una linea di buon gusto che manifesta in lui non il propagandista, nel senso deteriore del termine, preoccupato cioè del prodotto, più che dell’uomo ch’è suo termine, quanto l’oratore, che apprezza i valori umani della parola come intelligenza posseduta e partecipata. È sperabile che questo suo onorifico tentativo di sistemazione, valido in gran parte anche per la superiore oratoria, valga a riportare molta logorrea, con cui, dentro e fuori casa, la propaganda politica e commerciale oggi ci affligge, a quella dignità formale e di contenuto che dovrebbe distinguere ogni propaganda dal ciarlatanesimo7.
Mete più alte
Qualunque ne sia il valore assoluto, tutte queste pubblicazioni hanno almeno un merito: quello di aver tentato una sistemazione organica di alcune leggi che regolano i fenomeni tanto complessi quanto importanti della formazione e delle reazioni delle opinioni pubbliche, ubbidendo ad un’esigenza scientifica, la quale, mentre va ad onore di chi l’asseconda, assicura maggiori probabilità di riuscita a chi li volesse applicare alla prassi. Leggendoli, anche un non competente ne ricava molteplici utili. Intanto gli cadono alcuni pregiudizi che lo facevano diffidare di ogni attività pubblicistica indiscriminatamente, come di un assalto proditorio ai suoi interessi o al suo buon senso; poi scopre il diritto che ha di essere informato, documentato ed illuminato; quindi comincia a giudicare la propaganda un servizio, che gli rende possibile scegliere a ragion veduta, cosa che egli non farebbe finché rimanesse nell’ignoranza dell’oggetto da scegliere; impara a difendere la sua personalità e i suoi interessi dai trucchi, quando quella diventasse troppo invadente e ingiustamente interessata; trasferendo poi sul piano dei principi la portata delle esigenze logiche e morali della buona propaganda, egli viene a delineare nei suoi giusti termini il rapporto etico che deve accompagnare sempre quello psicologico intercorrente tra soggetto attivo e soggetto reattore, a fin di assicurare al rapporto pubblicistico quella continuità nello spazio e nel tempo, che, invece, per forza di cose, viene a mancare agli imbonitori di falsi valori; chiamato, infine, egli stesso, stabilmente o in situazioni di emergenza, ad agire come soggetto attivo nel campo politico, culturale o religioso, individua, per adoperarli o escluderli, importanti elementi che spiegano successi ed insuccessi dei buoni o delle forze avversarie.
A dir la verità, proprio quest’ultimo riflesso ci ha spinto a presentare queste pubblicazioni in questa sede. Perché, se è vero che la missione apostolica è divina, e si risolve in definitiva nell’azione personale di Dio nelle anime singole, è anche vero che quel Dio, che avrebbe potuto, se l’avesse voluto, escludere l’intermediario umano nell’opera di santificazione, in realtà l’ha voluto ordinariamente necessario, rendendo l’apostolato anche opera dell’uomo sull’uomo. «Se la fede, necessaria alla salvezza, si ha per l’udito — notava già san Paolo — ad essa occorre l’opera di un predicante» (Rm 10,14); la quale, come ogni opera dell’uomo, vedrà la sua efficacia assicurata dall’osservanza, consapevole o meno, delle leggi psicologiche che regolano ogni attività umana. Così, anche l’apostolato, in quanto attività umana, è un fatto di opinione pubblica; tutti i membri della Chiesa ne sono soggetti agenti e reagenti, tutti essendo impegnati a portare, in sé e negli altri, al più completo rigoglio il buon seme sparso da Gesù Cristo. Che affinché ciò avvenga occorra la libera opera di Dio, è chiaro; ma che, quasi per rendere sufficiente questa, occorra anche l’opera metodica ed organizzata della Chiesa lo dimostrano sia la struttura organica da Dio conferitale, sia i successi e gli insuccessi da essa registrati in venti secoli di storia. Ed oggi, proprio portate da siffatta oggettiva visione di cose, anime elette, consapevoli dell’ora che il mondo sta passando, non si stancano di additare in una oggettiva conoscenza dei bisogni e delle forze a disposizione, e in una loro tempestiva formazione e dislocazione, il segreto, dopo quello insostituibile della santità interiore, della riorganizzazione umana e cristiana nel mondo8.
Se in quest’arte, in cui “gli altri” spesso, purtroppo, ci sono maestri senza scrupoli, gli onesti faranno qualche progresso, non avranno da dolersene; anzi, apprezzando i risultati, che non tarderanno a manifestarsi, saranno grati a quanti avranno indicato loro la via buona e li avranno spronati ad adottare i metodi convenienti; e converranno col Manzoni «che, giacché la c’è questa birberia, devono almeno profittarne anche loro».
1 Intorno a questa interpretazione sociologica data da F. Fattorello al fenomeno, e in questa materia configurata, si muove tutto il programma didattico e scientifico del Corso propedeutico alle professioni pubblicistiche, istituito presso la facoltà di statistica dell’Università di Roma, e quello dell’annessa scuola di pubblicistica. È merito dell’Istituto di pubblicismo, e del movimento di studi sorto intorno ad esso in Italia, l’avere concepita una «pubblicistica generale» ed una interpretazione scientifica del fenomeno pubblicistico, che perciò appare sempre il medesimo in tutte le sue applicazioni; come pure merito dello stesso istituto l’introduzione nell’uso, con una del tutto nuova accezione scientifica, del termine di «pubblicismo». Con tutt’altra interpretazione P. Orano chiamò questa nuova scienza «demodossalogia», e la definì: «Studio organico delle genesi e sviluppi, attitudini e comportamento delle opinioni pubbliche» (cfr Invito alla demodossalogia, infra, p. 7). Per una proposta di rapporti tra demodossalogia, psicologia e sociologia, cfr F. MORLION, Filosofia dell’opinione pubblica, infra, p. 5.
2 Dopo la seconda guerra mondiale sorse un Centro di demodossalogia, che era stato ideato dall’Orano col proposito d’inserirlo nell’Università di Roma; nel 1947 si apriva l’Istituto italiano di pubblicismo; sempre a Roma, nel 1948, la «Pro Deo» apriva un Istituto di giornalismo e scienze dell’opinione pubblica. (Per notizie: cfr F. MORLION, L’apostolato dell’opinione pubblica (1947), p. 211 ss. Tra gli istituti ricordiamo il Doxa, di Milano, per l’applicazione del sistema Gallup ai sondaggi della pubblica opinione; l’Ente italiano per l’organizzazione scientifica del lavoro, e l’Istituto di psicologia sperimentale (fondazione Pellegrini), di Torino.
3 Per esempio: La psicologia della propaganda, di A. MIOTTO (Firenze, Ed. Universitaria, 1953, pp. 240), chiaro, ricco di dati e di pertinenti osservazioni. Dati ed osservazioni interessanti, specialmente sul mondo del lavoro americano, si trovano anche nel pletorico, disperso e strambo Studio dell’umanità, di ST. CHASE, pubblicato in italiano dal Bompiani nel 1952. Per la sua impostazione strettamente religiosa ricordiamo: J. MONDANGE, La fabbrica dell’opinione pubblica (1952), da noi recensito in Civ. Catt. 1954, II, 436.
4 Idee e nozioni qui sommariamente raccolte vengono più ampiamente e scolasticamente svolte dallo stesso autore nel suo: Appunti per una storia degli strumenti del pubblicismo (Roma 1952). Per il cinema in particolare, cfr dello stesso F. PAOLONE: Il cinema al servizio dell’informazione, della propaganda e della pubblicità, e: Il cinema come strumento pubblicistico (nn. 7 e 7 bis dei Quaderni didattici della Cineteca scolastica italiana, Roma 1952, 1953): inoltre: La propaganda e il cinema, in L. VOLPICELLI: Il film e i problemi dell’educazione. (Roma-Milano, Bocca, 1953, pp. 84-97).
5 A rivista già pronta per la stampa ci perviene l’atteso terzo volume di Saggi e studi di pubblicistica (quinta e sesta serie), 1956, pp. 372. Notificandolo ai nostri lettori ne rileviamo le buone caratteristiche che esso ha in comune con gli altri due, e una maggiore maturità d’impegno con cui in generale vi sono trattati i singoli argomenti. Con una forse troppo accentuata abbondanza vi si ripetono quelli affini al turismo (A. M. SIMONELLI: La stampa periodica per il turismo in Italia; R. DE GASPERIS: Disegno per un piano di propaganda turistica all’estuo; L. BEMPORAD: La propaganda per attirare il turista inglese in Italia; C. F. FRIEDER: La propaganda per il turismo italiano in Argentina), alcuni dei quali più pertinenti al turismo come tale che alla pubblicistica. Sul giornalismo sono la buona precisazione di F. FATTORELLO: Limiti alla storia del giornalismo; Il processo del Don Pirlone, di R. LEFEVRE, e il preciso Innovazioni e progressi tecnici della stampa in America di D. DE GREGORIO. Due saggi particolarmente ricchi di notazioni psicologiche e di raffronti sperimentali sono: L’episodica militare come fattore di propaganda, di M. SCHIRRU, e La propaganda per la rinascita dell’aeronautica italiana nel campo civile, sportivo e militare, di F. GRECO. Su temi più attinenti agli strumenti pubblicistici si intrattengono R. DE GASPERIS: Appunti sulla tecnica e sullo sviluppo del cartellone; U. ZAMPIERI: Note critiche di pubblicità applicata; L. PODESTÀ: La tecnica delle «relazioni sociali» nei servizi della pubblica amministrazione; ma soprattutto, con la consueta invidiabile ricchezza e sicurezza di cultura, chiarezza di pensiero e di dettato, F. PAOLONE, nei due saggi: Il linguaggio nel rapporto pubblicistico e Il cinema come strumento pubblicistico. Questi due suoi lavori ci aumentano il desiderio di veder pubblicati quanto prima i suoi Lineamenti di storia degli strumenti del pubblicismo, che conosciamo solo in dispense.
Se, chiudendo questo terzo volume, ci è lecito un augurio, esso sia questo: che il sistematico studio dei fenomeni pubblicistici venga avviato e potenziato anche in campo religioso cattolico, ed apporti un aumento di efficacia nell’azione apostolica della Chiesa, e che qualche segno di augurio verificato appaia anche sui volumi avvenire di questa bella serie di Pubblicistica.
6 Citiamo tra i suoi scritti più affini al presente argomento: Tecnica della propaganda orale (1950), L’educazione in atto: I, Analitica di eloquenza sacra (1952), Propaganda militare (1953), Penetrazione sociale (1954), La crisi della parola (1954).
7 Opportunamente l’autore distingue la funzione propagandistica della parola a servizio di una ideologia da quella più nobile e morale come mezzo di educazione. Più netta invece avremmo voluta la distinzione terminologica tra propaganda d’idee e pubblicità commerciale. Per i concetti e la terminologia di propaganda e pubblicità cfr A. PERINI-BEMBO, Demodossalogia generale, cit., pp. 16-26 ss. Meglio di tutti ci sembra che precisi concetti e termini il prof. F. FATTORELLO, in Saggi e studi di pubblicistica, cit., II, p. 43.
Un grave appunto invece dobbiamo muovere al volume per la sua incredibile scorrettezza redazionale; citazioni approssimative, sconnessioni sintattiche e libertà grammaticali, illogica ed ineguale punteggiatura, più che onesta abbondanza di refusi tipografici, la più sbrigliata noncuranza nella trascrizione di nomi propri, periodi sospesi a mezz’aria fanno lamentare nell’autore non altrettanto rispetto alla parola scritta (e ai suoi lettori) di quanto egli, giustamente, ne propugna per quella parlata (e per i suoi ascoltatori). Molte volte si ha l’impressione di trovarsi avanti ad appunti frettolosamente buttati giù per una lezione, o a fogli di schedario; il che, se nuoce alla chiarezza, almeno riduce la portata di alcune lacune ed imprecisioni di pensiero che vi abbiamo sorpreso.
8 Cfr P. LOMBARDI, Per un mondo nuovo. Roma, La Civiltà Cattolica, 1954, specialmente tutta la parte II: Come costruire il mondo nuovo.