NOTE
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1 Cfr Media Duemila, n. 5, gennaio 1984, 65; n. 9, ottobre 1984, 6, 8, 10 e 19.

2 Con due specializzazioni: di «programmatori» in quelli commerciali, e di «specialisti in informatica» in quelli industriali; cfr gli elenchi, ivi, 48.

3 L’attuale progetto di riforma della scuola secondaria superiore, all’art. 4: Area delle discipline comuni, prevede il perseguimento di «obiettivi formativi inerenti ai sistemi d’informazione e di comunicazione comuni a tutti gli indirizzi». In merito, l’attuale ministro della Pubblica Istruzione, sen. Franca Falcucci, che già si era occupata della questione da sottosegretaria allo stesso Ministero, nota: «La normativa vigente prevede che l’adozione di tutte le iniziative che concernono l’attività didattica nelle scuole sia prerogativa delle medesime istituzioni scolastiche. Quindi anche le ipotesi di acquisto di elaboratori elettronici come ausilio d’insegnamento deve obbligatoriamente partire dalle scuole medesime, con apposite deliberazioni dei rispettivi consigli d’istituto, adottate su proposta del personale docente. D’altra parte si ritiene che sarebbe inutile e dispendioso forzare l’inserimento nelle scuole di tali apparecchiature, perché queste, proprio in quanto viste come ausili didattici, e non componenti essenziali dello sviluppo delle materie d’insegnamento, potrebbero non essere accettate dal corpo docente, che in massima parte non ha un’approfondita conoscenza delle loro possibilità e dei metodi di gestione» (ivi, n. 2, ottobre 1983, 19).

4 Tale quella realizzata nella scuola elementare «E. Fornis» di Trieste dagli insegnanti Elena Valenti e Marino Coretti,0 di cui riferisce lo stesso Coretti nel quaderno: La calcolatrice programmabile nella scuola elementare, Le Monnier, Firenze 1983, 49, L. 5.000; e quelle attuate: a Roma, nella scuola media «Buonarroti», a iniziativa della preside Sara Tognetti Burigana (cfr ivi, n. 5, gennaio 1984, 44), e nel plesso scolastico «Flora Marchesi» di Colleferro Scalo (RM), di cui riferiscono S. UBALDI – G. RADIVO – C. BIAGINI, Il computer nella scuola di base, Coletti, Roma 1984, 191, L. 11.000.

5 Comunicare con il computer: è quanto hanno fatto i ragazzi della scuola media pistoiese «Cino da Pistoia», con un gruppo di colleghi di San Diego (California). Nel luglio 1984 essi si sono messi in contatto con quelli di San Diego utilizzando personal computer collegati via satellite con gli Stati Uniti. Nella scuola sono state allestite sei stazioni: tre per la programmazione BASIC, Pascal e LOGO; una per i messaggi, una per l’elaborazione testi e una per i giochi. Hanno preso parte al progetto l’Assessorato alla pubblica istruzione del Comune di Pistoia, il CNR, l’Università di California e l’Università di Roma (ivi, n. 12 settembre 1984, 114).

6 In Francia è stato posto in atto un programma di formazione continua degli insegnanti, con 20 centri di formazione approfondita e 27 équipe accademiche di formatori. Questo sistema ha consentito nel corso degli ultimi due anni di dare a 20.000 insegnanti una formazione atta all’utilizzazione pedagogica dell’informatica, mentre 20.000 altri insegnanti sono stati formati nel ciclo 1983-84. Fra i corsi attuati in Italia, nella nota 4 abbiamo già ricordato quello della «E. Fornis» di Trieste e quello del plesso «Flora Marchesi» di Colleferro, con i relativi testi-sussidi. A Roma opera anche il CIDI (Centro d’Iniziativa Democratica Insegnanti: Piazza Sonnino, 13), con corsi di 30 ore, «allo scopo di fornire le competenze tecniche e la cultura necessaria per utilizzare questi strumenti, senza esserne sopraffatti». Sempre a Roma, nell’istituto superiore «E. Caymari» presso il Vicariato, nel 1983-84 si è svolto un primo corso, per 80 tra docenti e presidi della scuola dell’obbligo, religiosi e laici. Per similari iniziative in progetto in Italia, cfr E. PENTINARO, I cento fiori della didattica, in Media Duemila, n. 5, gennaio 1984, 42.

7 Sono soltanto alcuni, più correnti e facili, delle decine di altri linguaggi, quali, ad esempio, l’ADA, l’ALGOL (= Algorithmic Language), il COBOL (= Commercial Business Oriented Language), il FORTH, il LIPS, il PILOT (= Programmed Inquiry Learning or Teaching), il PL/1 ... Essendosi quasi tutti sviluppati in USA, normalmente le loro espressioni si rifanno all’inglese. In particolare: il BASIC (= Beginners All Purpose Symbolic Instruction Code) è il più diffuso tra i micro- e i personal computer. Comporta molte varianti, tra le quali, dal 1978, quello standard MINIMAL BASIC ANSI. Il FORTRAN (= Formula Translator) simile al BASIC, nato negli anni 50 piuttosto per i grandi calcolatori e per problemi matematici, anch’esso in diverse versioni è facilmente implementabile nei microcomputer. Anche il Pascal – così detto dal nome del celebre matematico e filosofo francese, autore della Pascalina –, del 1972, con le varietà più disparate è comunissimo nei microprocessori. Infine, con il LOGO – varietà del LIP, messa a punto nel 1966 nell’americano MIT da Seymour Papert, già collaboratore dello psicologo svizzero Jean Piaget – si ha un vero e proprio linguaggio pedagogico, adatto soprattutto ai bambini. Per maggiori informazioni, cfr Relazioni al Convegno di aggiornamento sull’informatica per i giornalisti scientifici italiani, Honeywell, Stresa, 1971, 60-63; A. CHANDOR, Dizionario di informatica, Zanichelli, Bologna 1972, sub voce; N.N., Linguaggi per ogni esigenza, in Chip, n. 2, 1984, 78-81.

8 Molto pratico allo scopo è da segnalare, di L. SANTILLI, Scrivere col video. Le nuove frontiere della scrittura, allegato al n. 25 dell’Europeo del 1984. L’opuscolo documenta lo sviluppo già raggiunto dal word processing nel mondo dell’editoria giornalistica, e poi ormai in tutte le discipline della cultura. Ne spiega, a livello di divulgazione, il funzionamento e le prestazioni; e indica come comportarsi nell’acquistarlo, elencando 2 tra costruttori di word processor veri e propri, o di computer con funzioni similari. Chiude con un Abbecedario di anglo/computerese e con una bibliografia di testi e di riviste, quasi tutti in inglese.

9 M. LAENG – S. LARICCIA, Tutto il sapere è nella cartella, in Media Duemila, n. 2, ottobre 1985, 51. Esempi di giochi tramite diagrammi di flusso, eseguiti da bambini di II e di V elementare: in La scuola italiana verso il 2000, a cura di B. VERTECCHI, La Nuova Italia, Firenze 1984, 403 ss. Dall’Istituto dell’Enciclopedia Italiana sono in corso di pubblicazione gli Atti sugli aspetti formativi, dialettici e di ricerca scientifica che il problema dei rapporti tra istruzione e computer comporta.

10 M. LAENG, L’educazione nella civiltà tecnologica. Un bilancio preventivo e consuntivo, Armando, Roma 1984, 599, L. 24.000. Esce oggi con oltre cento pagine in più rispetto alla prima edizione, ristampata tre volte, del 1969 (cfr Civ. Catt. 1970 II 98).

11 Dal 1965 ordinario di pedagogia nell’Università di Roma, presiede il CNITE (Centro Nazionale Italiano Tecnologie Educative) ed è supervisore presso il CEDE (Centro Europeo dell’Educazione) di Villa Falconieri (Frascati). Dirige la rivista Didattica delle scienze e la Enciclopedia pedagogica, La Scuola (Brescia). È stato vice presidente della Commissione Ministeriale per i nuovi programmi della scuola elementare in Italia.

12 Scrive: «È un errore di pedagogisti di formazione retorico-letteraria ritenere che ciò riguardi solo la fase meramente tecnico-strumentale di quelli che (con vocabolo rivelatore di una mentalità) si continuano a chiamare concessivamente “sussidi”: in realtà la teoria dell’informazione propone una revisione più profonda degli stessi mezzi tradizionali, per esempio verbali, resa urgente dalla generalizzazione di problemi pur sorti inizialmente nell’ambito delle tecniche audiovisive» (p. 116).

13 Scrive: «I primi passi in direzione dell’automazione di alcuni processi d’insegnamento sono stati compiuti poco meno di un secolo fa con due importanti innovazioni: le tecniche delle schede e l’apprestamento di dispositivi di autocorrezione. Erano allora già in nuce due principi: quello dell’immagazzinamento nel sussidio materiale di un certo potenziale regolatore, e quello dell’analisi strutturale dei contenuti e del loro ordine sequenziale. Le attuali teaching machine hanno fatto nuovi passi da gigante sulla medesima strada, e ora sono in grado di immagazzinare e riprodurre, in interazione con lo scolaro, parecchi cicli didattici completi. I futuri omeostati, di cui gli attuali personal computer possono essere considerati un’ancora incompleta anticipazione, saranno addirittura adattivi, cioè riceveranno un tipo di programmazione orientativa capace di organizzare da sé i programmi esecutivi, entro margini assai più ampi» (p. 280). Sulle schede dell’autocontrollo, cfr p. 281; sui libri programmati, cfr p. 290; sulle «macchine per insegnare, rispettivamente della prima generazione (COD = Continuous Operating Devices), della seconda generazione (PAD = Partially Adaptive Devices) e della terza generazione (TAD = Totally Adaptive Devices), cfr pp. 258, 303 e 304.

14 E. PENTINARO, A scuola con il computer. La sfida della seconda alfabetizzazione, Laterza, Bari 1983, 185, L. 9.500. Lo stesso Autore, in Un elaboratore anche a Pierino (Media Duemila, n. 3, novembre 1983, 91), si chiede: «A che cosa serve un computer nella scuola?», per rispondere: «Quattro sono le applicazioni più significative: 1. In segreteria, dove, oltre a compiti amministrativi tradizionali, si possono eseguire lavori che richiedono il word processor (come le circolari), oppure si può compilare l’orario delle lezioni tenendo conto di tutte le variabili in giuoco; oppure si può determinare la composizione delle classi in obbedienza a criteri di uniformità e a vincoli predeterminati; 2. In classe, come strumento per proporre casualmente esercizi e domande e, se si registrano le risposte, come strumento di valutazione. Queste applicazioni, se estese, possono sconfinare nella docimologia; 3. Come uno degli strumenti per l’insegnamento dell’informatica. Uno strumento, quindi, accanto agli altri, tra i quali quelli sui quali si può basare un’informatica povera, che si sviluppa a esempio con la carta e la matita; 4. Come strumento della didattica di tutte le discipline».

15 L. NOVELLI, Il mio primo libro sui computer, Mondadori, Milano 1983, 63, L. 16.000.

16 G. BANFI, Facile come il BASIC, Mondadori, Milano 1983, 112, L. 14.000.

17 V. DE ROSSO, Come si programmano i computer, Mondadori, Milano 1983, 154, L. 16.000. L’Autore, laureato in ingegneria elettronica al Politecnico di Milano, attualmente è responsabile delle tecnologie didattiche ed educative nell’area Personale-Organizzazione della SIP.

18 «Uno dei timori che recentemente si è diffuso nel mondo riguarda i fenomeni che ingenererebbe l’approccio al computer in persone che non si sentono a proprio agio con le sue logiche e con le sue modalità di esercizio. Ne deriverebbero situazioni di stress, caratterizzate da sfiducia in se stessi, da insicurezza, da sensazioni di imminenti discriminazioni professionali e, soprattutto, di impotenza cronica, invincibile.
«Quest’ultima reazione negativa al dominio dei microprocessori s’inserisce, però, in un altro interrogativo di fondo, dal quale non si può prescindere quando si vogliano affrontare con rigorosa coerenza questi problemi, e quando ci si appresti all’elaborazione di una vera cultura informatica; una cultura che tenga conto delle possibilità offerte dai nuovi mezzi, ma anche della storia e delle tradizioni di pensiero della comunità invasa dai computer, e delle caratteristiche inalienabili del soggetto umano che deve servirsene[...]. Ma tutto questo implica grandi difficoltà di autoinformazione e di creatività per gli insegnanti, che a loro volta dovrebbero essere aiutati e opportunamente indirizzati. Se non si verificherà nulla del genere nella scuola, la colpa non sarà certo dei computer e della loro temuta (o esasperatamente attesa) rivoluzione culturale. Anche il computer trova difficoltà a penetrare nella crosta della pigrizia e dell’abitudinarismo» (G. BETTETINI, I molti perché della paura culturale di fronte al computer, in Corriere della Sera, 7 settembre 1984).

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Articolo estratto dal volume I del 1985 pubblicato su Google Libri.

Il testo è stato corretto dai refusi di stampa e formattato in modo uniforme con gli altri documenti dell’archivio.

I riferimenti ai documenti del magistero pontificio sono stati resi interattivi e portano al sito del progetto “Chiesa e Comunicazione”, la biblioteca digitale online che prosegue l’attività iniziata da p. Baragli con le opere Cinema cattolico: documenti della Santa Sede sul cinema e Comunicazione Comunione e Chiesa.

ARTICOLO SU

In molti Paesi l’ingresso, anzi l’irruzione del computer – quindi anche dell’informatica – nella scuola è già cosa fatta. Per esempio in Giappone: dove due milioni di scolari, dalle elementari ai licei, «giocano» a scuola con il computer. Così in USA, in Francia e in Germania: dov’esso è di uso corrente fin dalle prime classi elementari; e in Inghilterra: dove dal 1982 tutte le 27.000 scuole primarie ne sono state provviste1.

In Italia, invece, quanto a computer e a informatica nelle scuole, le cose vanno piuttosto a rilento. Introdottovi in forma sperimentale nel 1968, l’insegnamento dell’informatica è stato formalizzato, nel 1972-73, nei soli istituti tecnici2; mentre nei programmi ministeriali: per le scuole elementari siamo ancora in fase di progetto, e per le scuole medie, dal 1979, non andiamo più in là di attività discrezionali commesse ai singoli corpi docenti3. Né il ritardo è colmato dalle libere iniziative che di fatto, in questi ultimi anni – per impulso d’insegnanti e di presidi4, oppure sotto la spinta di costruttori e di rivenditori di hardware –, si sono andate moltiplicando in varie scuole, statali e non statali, magari con risultati che hanno fatto notizia5.

Non si esclude che in siffatto ritardo incida anche l’allergia di (anziani?) insegnanti verso l’antiumanesimo di «macchine» anonime, rivali – essi temono – della tradizionale docenza umanistico-interpersonale, cattedratico-verbale. Ma forse si tratta, più che altro, di una loro semplice nescienza della globale odierna rivoluzione psico-strutturale e socioculturale indotta dall’elettronica informatica, nel nostro mcluhaniano «Villaggio planetario», ormai tutto «informatizzato». Globale rivoluzione che potrà – e magari dovrà – essere anche discussa nei suoi, prevedibili o presunti, valori o disvalori umanistici e sociali, ma che certo non può essere ignorata dalla scuola, se questa è chiamata a preparare gli allievi alla vita. Teniamo presente che i ragazzi che quest’anno frequentano la prima elementare, lasceranno la scuola dell’obbligo nel 1992, la scuola secondaria superiore nel 1997, l’università negli anni 2000, e staranno a lavorare nel 2030.

Cominciare con gli insegnanti

Di qui la necessità di cominciare a sensibilizzare e a impratichire gli stessi insegnanti in corsi appropriati, volti sia all’uso pratico del computer, sia e soprattutto a saper perseguire con lo stesso gli obiettivi pedagogico-didattici propri della scuola dell’obbligo6.

Per il primo intento, con un po’ di buona volontà, tra lezioni tecniche ed esercitazioni pratiche, dovrebbero bastare una trentina d’ore, rimettendo il di più alla pratica personale. Si tratta, più che altro, di rendersi familiari alcune nozioni fondamentali di logica, di matematica e di tecnica informatica (funzioni, codice binario, rapporti tra hardware e software, ecc.); di apprendere il linguaggio macchina, e di districarsi tra una quarantina di termini-chiave dell’uno e dell’altro tra i «linguaggi»: BASIC, FORTRAN, Pascal, LOG07.

Si tratta, inoltre, di esercitarsi, prima a elaborare su carta e poi a digitare sul computer, i più semplici diagrammi di flusso; infine di saper reperire sul mercato i programmi (software) delle diverse discipline scolastiche compatibili con i propri computer (hardware), per poterne giudicare e sfruttare la validità dei contenuti e delle procedure logiche8.

Per il secondo intento, si tratta d’indirizzare i docenti ad alcuni obiettivi a medio termine, inquadrandoli nell’aggiornamento didattico oggi in atto nella scuola dell’obbligo in Italia:

«1. verificare se per mezzo del personal computer il fanciullo della scuola elementare riesca ad acquisire conoscenze, relative al programma d’insegnamento previsto, in tempo minore e con maggiore rigore logico;
«2. verificare quanto, e se sia possibile e utile, effettuare insegnamenti differenziati, non tanto in base alla rigida suddivisione delle classi, quanto in relazione alle rispettive dotazioni intellettuali, e alle possibilità legate all’età mentale e non cronologica;
«3. verificare se l’uso della macchina favorisca od ostacoli il rapporto docente discente; mentre a breve termine ci si propone di:
«4. insegnare la tecnica dell’analisi dei problemi;
«5. demitizzare il computer;
«6. far conoscere agli alunni un semplice linguaggio di programmazione;
«7. proporre una situazione da cui si possa partire per ampliare le proprie conoscenze e acquisirne altre;
«8. predisporre programmi per apprendere con velocità»9.

A prescindere da siffatti necessari corsi, almeno due ottimi volumi guida operano in Italia a convincere e orientare, in argomento, gli attesi insegnanti in informatica. Il primo – stagionato, ma opportunamente aggiornato – è L’educazione nella civiltà tecnologica, di M. Laeng10: uno dei pionieri, in Italia, con Aldo Visalberghi, dell’uso del computer nella scuola, e maestro di tutto affidamento, dati i suoi titoli accademici, le molte opere da lui pubblicate e i non pochi incarichi ricoperti in organismi pedagogico-scolastici, nazionali e internazionali11.

Non si tratta – egli precisa – di opporre la «tecnica-lavoro» dell’homo faber di oggi al «sapere-linguaggio» dell’umanistico homo sapiens di ieri. Si tratta, piuttosto, di ricercare una sintesi armonica delle «due culture», in una scuola che educhi, insieme, e al «sapere» e al «fare»; anzi, nell’odierno onninvadente sviluppo tecnologico, che educhi anche a «imparare facendo». Di qui l’attenzione che nei programmi scolastici va ancora concessa, sì alla filosofia e alla letteratura, ma altresì alla matematica, «quale necessità organica essenziale allo sviluppo del pensiero, e quindi dell’uomo in quanto pensante» (p. 72). E di qui l’accoglienza che va fatta alle odierne apparecchiature meccaniche, elettriche ed elettroniche, non solo quali sussidi dell’insegnamento orale12, e neanche soltanto per la cosiddetta «istruzione programmata»13, ma anche e soprattutto come strumento, oggetto e metodo d’informatica,

«...a strumento materiale – scrive il Laeng –, ma soprattutto a strumento formale, come capacità di educare [...] all’organizzazione sistematica del proprio pensiero [...], come potenza unificante interdisciplinare [...]. La vera interdisciplinarità nascendo soltanto allorquando la potenza del pensiero riesce a dimostrare che cose che sembravano diverse sono, in realtà, nel loro fondo, uguali, o per lo meno, hanno una struttura fondamentale alla quale rifarsi [...].
«L’informatica ci ha dato questa possibilità di unificazione dall’interno [...], perciò deve essere oggetto dell’insegnamento [...]. Qui s’affaccia il discorso sull’uso delle calcolatrici [...]. Se anche servissero ai bambini soltanto a risparmiare fatica nel fare le operazioni, troverei la cosa perfettamente accettabile [...]; ma esse servono molto di più: anche e soprattutto a stimolare alla scoperta, alla ricerca. Giocando con una calcolatrice s’impara più matematica di quanto se ne impari leggendo molti libri [...].
«Ma l’informatica deve entrare nelle scuole [...] soprattutto come metodo, come sorta di nuovo organo della logica. Aristotele aveva basato gran parte del suo Organo sullo studio delle forme grammaticali del greco del suo tempo. Ma la stessa sillogistica, che è sembrata per più di duemila anni un edificio perfetto e senza macchia, oggi sta diventando un paragrafo di un capitolo dell’algebra booleana, la stessa algebra cioè che è alla base di molte delle impostazioni fondamentali di cui si serve l’hardware, oltre che il software informatico.
«Come metodo, questo può aprire all’organo stesso del pensiero nuove strade: soprattutto può abituare a dichiarare, ogni volta che si procede a un atto di pensiero, le proprie assunzioni preliminari, i presupposti, quelli che talvolta sono dati per scontati; i propri principi, le regole di trasformazione che permettono di dare, nell’ambito del sistema, formule ben formate, cioè frasi accettabili. Quest’attitudine, che investe, sia le discipline già insegnate, sia le nuove, è anche un atteggiamento, un formidabile atto di fede nelle possibilità di migliorare in maniera significativa la nostra istruzione» (pp. 321-323).

Un’altra, anche questa ottima, introduzione a tutto l’argomento per gli insegnanti la offre E. Pentinaro con A scuola con il computer14, che non per nulla in un anno ha contato ben quattro ristampe.

Egli comincia con l’inquadrare, nella parte prima, il problema dell’elaboratore nella scuola in quello più generale dell’impatto socio-culturale dell’informatica, della telematica (robotica, burotica) sulle generazioni presenti e future, opportunamente rilevando che «noi siamo i primi a viverlo, in un momento storico che ha la stessa portata della rivoluzione industriale [del secolo XVIII]. Questa è una grande sfida per l’educazione. Non conoscere l’informatica nella società del futuro sarà tal quale essere analfabeti nella società di oggi» (p. 31).
Quindi, seguendo lo schema proposto da R. Sherwood della New York University, nella seconda parte egli presenta e sviluppa le tre categorie secondo le quali utilizzare l’elaboratore personale; cioè: 1. impararlo, vale a dire conoscerlo e imparare a usarlo; 2. imparare mediante uso: usufruendo dei suoi nuovi linguaggi, come ambiente di lavoro e di apprendimento, così nella fabbrica e nell’ufficio, come in casa e nel tempo libero.
Nella parte terza, l’Autore – che attualmente opera nel progetto «Editoria elettronica» della Mondadori – mette a frutto la propria esperienza professionale trattando degli editori: prima, di quanto essi possano fare per portare, anche in Italia, l’elaboratore nelle scuole; poi, dei problemi che essi sono chiamati a risolvere nella creazione di software educativi.

Nell’insieme, dunque, una guida utile, anche perché cumula competenza, chiarezza e calore missionario.

Editoria per allievi

S’è detto dell’«Editoria elettronica» della Mondadori. Ebbene, della sua «Serie Libri», a mo’ d’esempio possiamo segnalare tre titoli a uso degli allievi in informatica.

Il primo, elementare, è l’album-fumetto di L. Novelli: Il mio primo libro sui computer15, che in nove capitoletti conduce – come precisa il sottotitolo – «nel fantastico mondo dell’informatica e della cibernetica, visto insieme con Andrea (un computer molto personale) e con i suoi tre simpatici «interfaccia»: la bambina Ada, il bambino Marco e il cagnolino Plotter. Siamo, ovviamente, all’abbiccì della computeristica a uso dei bambini; ma, forse, un po’ anche dei grandi: invitati a tornare bambini, se vogliono – come, o prima o dopo, dovranno – entrare nel regno dei computer.

Il secondo, non certo per bambini, è la guida al linguaggio di programmazione più diffuso sul personal computer: Facile come il BASIC, di G. Banfi16. Il quale procura nozioni e propone esercizi in modo graduale, piano e volutamente scherzoso, convinto com’è, il suo Autore, che s’impara facilmente quello che si apprende divertendosi. In particolare, piuttosto per principianti è la prima parte: Il BASIC che si usa tutti i giorni; mentre ad acuire l’appetito di chi tenda a qualcosa di più è la parte seconda: Il BASIC che si usa nelle grandi occasioni. Chiarezza e padronanza sono i pregi di un Autore che, laureato in scienze economiche, da vent’anni si occupa di sistemi informativi presso la IBM italiana.

Fermo restando che, in informatica, «programmare» significa soprattutto strutturare i problemi in ordine sequenziale comprensibile alla macchina, praticamente riducendosi a un’analisi logica dei programmi stessi e dei compiti richiesti al computer, opportunamente, col terzo volume, V. De Rosso insegna Come si programmano i computer17 a quanti, indipendentemente dalla loro cultura scolastica non proprio elementare, incontrassero il calcolatore per la prima volta. Prescindendo da ogni elaboratore e da ogni linguaggio particolare, egli si propone quindi d’introdurre il neofita nella logica che sta alla base dei linguaggi: vuoi «orientati alla macchina», come l’ASSEMBLER, vuoi «orientati ai problemi», come il BASIC, il COBOL, il FORTRAN. Passa quindi in rassegna i vari aspetti della programmazione: istruzioni, linguaggi, programmi e sottoprogrammi, algoritmi e schemi a blocchi, gestione della memoria e del sistema operativo del computer. Così il lettore vi è condotto per mano: dai programmi più semplici ai più complessi, e a tradurre questi programmi generali in programmi specifici, particolarmente a livello di personal computer. Pregio non ultimo: fatta da un italiano per italiani, la guida cerca di ridurre al minimo il glossario inglese, abbondando in corrispondenti termini nostrani.

Giochi di guerra

Nel film Wargames (Giochi di guerra), di John Badham, milioni di spettatori, anche in Italia, hanno visto meravigliati come un ragazzino di dodici anni, Mattew Broderick, in un seguito di circostanze in parte cercate e in parte fortuite, col suo modesto personal computer riesce a mettersi in contatto col megacomputer NORAD, del Supremo Comando USA per la difesa aerospaziale, e a metterlo in preallarme nucleare, rischiando così di scatenare un conflitto mondiale. Ma che, per fortuna, il disastro non si verifica, perché lo stesso ragazzo, che solo può arrestare la macchina della morte, riesce a impedire che la simulazione, dal Pentagono scambiata per realtà, diventi realtà effettiva.

Non si esclude che, per gli almeno duecentomila ragazzi che in Italia risultano tra i patiti del computer, il film sia stato solo uno spasso; quando, invece, c’è da credere che molti adulti l’hanno preso, o per delirante fantainformatica, o per una prova dell’apocalittica minaccia mondiale costituita dall’odierna tecnologia elettronica. Quanto, però, meglio avrebbero fatto se, ugualmente distanti tra apocalittici e integrati, avessero concluso che, dunque, computer e informatica sono realtà che oggi non possono essere ignorate, e che, perciò, noi e i nostri figli, dobbiamo bene informarcene, per padroneggiarle18.

A mezzo il secolo XVII, il Renzo dei Promessi sposi, padre «di non so quanti bambini dell’uno e dell’altro sesso [...], volle che tutti imparassero a leggere e a scrivere, dicendo che, già che la c’era questa birberia, dovevano profittarne anche loro». La «birberia» di oggi si chiama informatica computerizzata. Che dire dei Renzi che oggi tollerassero che i propri figli ne restassero «analfabeti»?

1 Cfr Media Duemila, n. 5, gennaio 1984, 65; n. 9, ottobre 1984, 6, 8, 10 e 19.

2 Con due specializzazioni: di «programmatori» in quelli commerciali, e di «specialisti in informatica» in quelli industriali; cfr gli elenchi, ivi, 48.

3 L’attuale progetto di riforma della scuola secondaria superiore, all’art. 4: Area delle discipline comuni, prevede il perseguimento di «obiettivi formativi inerenti ai sistemi d’informazione e di comunicazione comuni a tutti gli indirizzi». In merito, l’attuale ministro della Pubblica Istruzione, sen. Franca Falcucci, che già si era occupata della questione da sottosegretaria allo stesso Ministero, nota: «La normativa vigente prevede che l’adozione di tutte le iniziative che concernono l’attività didattica nelle scuole sia prerogativa delle medesime istituzioni scolastiche. Quindi anche le ipotesi di acquisto di elaboratori elettronici come ausilio d’insegnamento deve obbligatoriamente partire dalle scuole medesime, con apposite deliberazioni dei rispettivi consigli d’istituto, adottate su proposta del personale docente. D’altra parte si ritiene che sarebbe inutile e dispendioso forzare l’inserimento nelle scuole di tali apparecchiature, perché queste, proprio in quanto viste come ausili didattici, e non componenti essenziali dello sviluppo delle materie d’insegnamento, potrebbero non essere accettate dal corpo docente, che in massima parte non ha un’approfondita conoscenza delle loro possibilità e dei metodi di gestione» (ivi, n. 2, ottobre 1983, 19).

4 Tale quella realizzata nella scuola elementare «E. Fornis» di Trieste dagli insegnanti Elena Valenti e Marino Coretti,0 di cui riferisce lo stesso Coretti nel quaderno: La calcolatrice programmabile nella scuola elementare, Le Monnier, Firenze 1983, 49, L. 5.000; e quelle attuate: a Roma, nella scuola media «Buonarroti», a iniziativa della preside Sara Tognetti Burigana (cfr ivi, n. 5, gennaio 1984, 44), e nel plesso scolastico «Flora Marchesi» di Colleferro Scalo (RM), di cui riferiscono S. UBALDI – G. RADIVO – C. BIAGINI, Il computer nella scuola di base, Coletti, Roma 1984, 191, L. 11.000.

5 Comunicare con il computer: è quanto hanno fatto i ragazzi della scuola media pistoiese «Cino da Pistoia», con un gruppo di colleghi di San Diego (California). Nel luglio 1984 essi si sono messi in contatto con quelli di San Diego utilizzando personal computer collegati via satellite con gli Stati Uniti. Nella scuola sono state allestite sei stazioni: tre per la programmazione BASIC, Pascal e LOGO; una per i messaggi, una per l’elaborazione testi e una per i giochi. Hanno preso parte al progetto l’Assessorato alla pubblica istruzione del Comune di Pistoia, il CNR, l’Università di California e l’Università di Roma (ivi, n. 12 settembre 1984, 114).

6 In Francia è stato posto in atto un programma di formazione continua degli insegnanti, con 20 centri di formazione approfondita e 27 équipe accademiche di formatori. Questo sistema ha consentito nel corso degli ultimi due anni di dare a 20.000 insegnanti una formazione atta all’utilizzazione pedagogica dell’informatica, mentre 20.000 altri insegnanti sono stati formati nel ciclo 1983-84. Fra i corsi attuati in Italia, nella nota 4 abbiamo già ricordato quello della «E. Fornis» di Trieste e quello del plesso «Flora Marchesi» di Colleferro, con i relativi testi-sussidi. A Roma opera anche il CIDI (Centro d’Iniziativa Democratica Insegnanti: Piazza Sonnino, 13), con corsi di 30 ore, «allo scopo di fornire le competenze tecniche e la cultura necessaria per utilizzare questi strumenti, senza esserne sopraffatti». Sempre a Roma, nell’istituto superiore «E. Caymari» presso il Vicariato, nel 1983-84 si è svolto un primo corso, per 80 tra docenti e presidi della scuola dell’obbligo, religiosi e laici. Per similari iniziative in progetto in Italia, cfr E. PENTINARO, I cento fiori della didattica, in Media Duemila, n. 5, gennaio 1984, 42.

7 Sono soltanto alcuni, più correnti e facili, delle decine di altri linguaggi, quali, ad esempio, l’ADA, l’ALGOL (= Algorithmic Language), il COBOL (= Commercial Business Oriented Language), il FORTH, il LIPS, il PILOT (= Programmed Inquiry Learning or Teaching), il PL/1 ... Essendosi quasi tutti sviluppati in USA, normalmente le loro espressioni si rifanno all’inglese. In particolare: il BASIC (= Beginners All Purpose Symbolic Instruction Code) è il più diffuso tra i micro- e i personal computer. Comporta molte varianti, tra le quali, dal 1978, quello standard MINIMAL BASIC ANSI. Il FORTRAN (= Formula Translator) simile al BASIC, nato negli anni 50 piuttosto per i grandi calcolatori e per problemi matematici, anch’esso in diverse versioni è facilmente implementabile nei microcomputer. Anche il Pascal – così detto dal nome del celebre matematico e filosofo francese, autore della Pascalina –, del 1972, con le varietà più disparate è comunissimo nei microprocessori. Infine, con il LOGO – varietà del LIP, messa a punto nel 1966 nell’americano MIT da Seymour Papert, già collaboratore dello psicologo svizzero Jean Piaget – si ha un vero e proprio linguaggio pedagogico, adatto soprattutto ai bambini. Per maggiori informazioni, cfr Relazioni al Convegno di aggiornamento sull’informatica per i giornalisti scientifici italiani, Honeywell, Stresa, 1971, 60-63; A. CHANDOR, Dizionario di informatica, Zanichelli, Bologna 1972, sub voce; N.N., Linguaggi per ogni esigenza, in Chip, n. 2, 1984, 78-81.

8 Molto pratico allo scopo è da segnalare, di L. SANTILLI, Scrivere col video. Le nuove frontiere della scrittura, allegato al n. 25 dell’Europeo del 1984. L’opuscolo documenta lo sviluppo già raggiunto dal word processing nel mondo dell’editoria giornalistica, e poi ormai in tutte le discipline della cultura. Ne spiega, a livello di divulgazione, il funzionamento e le prestazioni; e indica come comportarsi nell’acquistarlo, elencando 2 tra costruttori di word processor veri e propri, o di computer con funzioni similari. Chiude con un Abbecedario di anglo/computerese e con una bibliografia di testi e di riviste, quasi tutti in inglese.

9 M. LAENG – S. LARICCIA, Tutto il sapere è nella cartella, in Media Duemila, n. 2, ottobre 1985, 51. Esempi di giochi tramite diagrammi di flusso, eseguiti da bambini di II e di V elementare: in La scuola italiana verso il 2000, a cura di B. VERTECCHI, La Nuova Italia, Firenze 1984, 403 ss. Dall’Istituto dell’Enciclopedia Italiana sono in corso di pubblicazione gli Atti sugli aspetti formativi, dialettici e di ricerca scientifica che il problema dei rapporti tra istruzione e computer comporta.

10 M. LAENG, L’educazione nella civiltà tecnologica. Un bilancio preventivo e consuntivo, Armando, Roma 1984, 599, L. 24.000. Esce oggi con oltre cento pagine in più rispetto alla prima edizione, ristampata tre volte, del 1969 (cfr Civ. Catt. 1970 II 98).

11 Dal 1965 ordinario di pedagogia nell’Università di Roma, presiede il CNITE (Centro Nazionale Italiano Tecnologie Educative) ed è supervisore presso il CEDE (Centro Europeo dell’Educazione) di Villa Falconieri (Frascati). Dirige la rivista Didattica delle scienze e la Enciclopedia pedagogica, La Scuola (Brescia). È stato vice presidente della Commissione Ministeriale per i nuovi programmi della scuola elementare in Italia.

12 Scrive: «È un errore di pedagogisti di formazione retorico-letteraria ritenere che ciò riguardi solo la fase meramente tecnico-strumentale di quelli che (con vocabolo rivelatore di una mentalità) si continuano a chiamare concessivamente “sussidi”: in realtà la teoria dell’informazione propone una revisione più profonda degli stessi mezzi tradizionali, per esempio verbali, resa urgente dalla generalizzazione di problemi pur sorti inizialmente nell’ambito delle tecniche audiovisive» (p. 116).

13 Scrive: «I primi passi in direzione dell’automazione di alcuni processi d’insegnamento sono stati compiuti poco meno di un secolo fa con due importanti innovazioni: le tecniche delle schede e l’apprestamento di dispositivi di autocorrezione. Erano allora già in nuce due principi: quello dell’immagazzinamento nel sussidio materiale di un certo potenziale regolatore, e quello dell’analisi strutturale dei contenuti e del loro ordine sequenziale. Le attuali teaching machine hanno fatto nuovi passi da gigante sulla medesima strada, e ora sono in grado di immagazzinare e riprodurre, in interazione con lo scolaro, parecchi cicli didattici completi. I futuri omeostati, di cui gli attuali personal computer possono essere considerati un’ancora incompleta anticipazione, saranno addirittura adattivi, cioè riceveranno un tipo di programmazione orientativa capace di organizzare da sé i programmi esecutivi, entro margini assai più ampi» (p. 280). Sulle schede dell’autocontrollo, cfr p. 281; sui libri programmati, cfr p. 290; sulle «macchine per insegnare, rispettivamente della prima generazione (COD = Continuous Operating Devices), della seconda generazione (PAD = Partially Adaptive Devices) e della terza generazione (TAD = Totally Adaptive Devices), cfr pp. 258, 303 e 304.

14 E. PENTINARO, A scuola con il computer. La sfida della seconda alfabetizzazione, Laterza, Bari 1983, 185, L. 9.500. Lo stesso Autore, in Un elaboratore anche a Pierino (Media Duemila, n. 3, novembre 1983, 91), si chiede: «A che cosa serve un computer nella scuola?», per rispondere: «Quattro sono le applicazioni più significative: 1. In segreteria, dove, oltre a compiti amministrativi tradizionali, si possono eseguire lavori che richiedono il word processor (come le circolari), oppure si può compilare l’orario delle lezioni tenendo conto di tutte le variabili in giuoco; oppure si può determinare la composizione delle classi in obbedienza a criteri di uniformità e a vincoli predeterminati; 2. In classe, come strumento per proporre casualmente esercizi e domande e, se si registrano le risposte, come strumento di valutazione. Queste applicazioni, se estese, possono sconfinare nella docimologia; 3. Come uno degli strumenti per l’insegnamento dell’informatica. Uno strumento, quindi, accanto agli altri, tra i quali quelli sui quali si può basare un’informatica povera, che si sviluppa a esempio con la carta e la matita; 4. Come strumento della didattica di tutte le discipline».

15 L. NOVELLI, Il mio primo libro sui computer, Mondadori, Milano 1983, 63, L. 16.000.

16 G. BANFI, Facile come il BASIC, Mondadori, Milano 1983, 112, L. 14.000.

17 V. DE ROSSO, Come si programmano i computer, Mondadori, Milano 1983, 154, L. 16.000. L’Autore, laureato in ingegneria elettronica al Politecnico di Milano, attualmente è responsabile delle tecnologie didattiche ed educative nell’area Personale-Organizzazione della SIP.

18 «Uno dei timori che recentemente si è diffuso nel mondo riguarda i fenomeni che ingenererebbe l’approccio al computer in persone che non si sentono a proprio agio con le sue logiche e con le sue modalità di esercizio. Ne deriverebbero situazioni di stress, caratterizzate da sfiducia in se stessi, da insicurezza, da sensazioni di imminenti discriminazioni professionali e, soprattutto, di impotenza cronica, invincibile.
«Quest’ultima reazione negativa al dominio dei microprocessori s’inserisce, però, in un altro interrogativo di fondo, dal quale non si può prescindere quando si vogliano affrontare con rigorosa coerenza questi problemi, e quando ci si appresti all’elaborazione di una vera cultura informatica; una cultura che tenga conto delle possibilità offerte dai nuovi mezzi, ma anche della storia e delle tradizioni di pensiero della comunità invasa dai computer, e delle caratteristiche inalienabili del soggetto umano che deve servirsene[...]. Ma tutto questo implica grandi difficoltà di autoinformazione e di creatività per gli insegnanti, che a loro volta dovrebbero essere aiutati e opportunamente indirizzati. Se non si verificherà nulla del genere nella scuola, la colpa non sarà certo dei computer e della loro temuta (o esasperatamente attesa) rivoluzione culturale. Anche il computer trova difficoltà a penetrare nella crosta della pigrizia e dell’abitudinarismo» (G. BETTETINI, I molti perché della paura culturale di fronte al computer, in Corriere della Sera, 7 settembre 1984).

In argomento

Massmedia

n. 3405, vol. II (1992), pp. 260-268
n. 3351, vol. I (1990), pp. 260- 269
n. 3310, vol. II (1988), pp. 351-363
n. 3218, vol. III (1984), pp. 144-151
n. 3200, vol. IV (1983), pp. 158-164
n. 3202, vol. IV (1983), pp. 362-368
n. 3195-3196, vol. III (1983), pp. 209-222
n. 3188, vol. II (1983), pp. 154-161
n. 3191, vol. II (1983), pp. 463-467
n. 3179, vol. IV (1982), pp. 464-467
n. 3141, vol. II (1981), pp. 222-237
n. 3088, vol. I (1979), pp. 351-359
n. 3075-3076, vol. III (1978), pp. 223-238
n. 3072, vol. II (1978), pp. 566-573
n. 3062, vol. I (1978), pp. 151-159
n. 3058, vol. IV (1977), pp. 349-362
n. 3055, vol. IV (1977), pp. 45-53
n. 3045, vol. II (1977), pp. 260-272
n. 3034, vol. IV (1976), pp. 336-351
n. 3036, vol. IV (1976), pp. 580-587
n. 3022, vol. II (1976), pp. 323-336
n. 3013, vol. I (1976), pp. 20-36
n. 2990, vol. I (1975), pp. 144-157
n. 2983, vol. IV (1974), pp. 36-48
n. 2973, vol. II (1974), pp. 250-256
n. 2967, vol. I (1974), pp. 258-263
n. 2961, vol. IV (1973), pp. 258-263
n. 2942, vol. I (1973), pp. 144-150
n. 2927, vol. II (1972), pp. 451-456
n. 2911, vol. IV (1971), pp. 39-48
n. 2913, vol. IV (1971), pp. 235-253
n. 2882, vol. III (1970), pp. 154-160
n. 2870, vol. I (1970), pp. 155-160
n. 2859-2860, vol. III (1969), pp. 219-230
n. 2739, vol. III (1964), pp. 246-254
n. 2729, vol. I (1964), pp. 422-435
n. 2702-2704, vol. I (1963), pp. 105-118, 313-325
n. 2636, vol. II (1960), pp. 124-39
n. 2612, vol. II (1959), pp. 113-124
n. 2548, vol. III (1956), pp. 400-408