Articolo estratto dal volume I del 1984 pubblicato su Google Libri.
Il testo è stato corretto dai refusi di stampa e formattato in modo uniforme con gli altri documenti dell’archivio.
I riferimenti ai documenti del magistero pontificio sono stati resi interattivi e portano al sito del progetto “Chiesa e Comunicazione”, la biblioteca digitale online che prosegue l’attività iniziata da p. Baragli con le opere Cinema cattolico: documenti della Santa Sede sul cinema e Comunicazione Comunione e Chiesa.
Per trattare con chiarezza ed efficacia un enunciato, a evitare ambiguità o equivoci, era nella sapiente prassi dell’insegnamento filosofico scolastico1, durato nelle università ecclesiastiche sino ai primi decenni di questo secolo, iniziarne l’esposizione e la discussione con un solenne: Explico terminos!, che era quanto dire: «Preciso il significato dei termini». Allo stesso intento di chiarezza è vantaggioso introdurre questo argomento cominciando col precisarne i tre termini: «problemi morali», «nuove tecnologie» e «comunicazione», iniziando da quest’ultimo.
«Comunicazione intenzionale»
A proposito di «comunicazione», opportunamente il noto antropologo belga-francese Lévi-Strauss2 ha rapportato tutta la vita di relazione dell’uomo, quale persona naturalmente sociale, a tre campi o tipi di comunicazione: quella dei sessi, e si ha la parentela; quella dei beni, e si ha l’economia; e quella dei contenuti di coscienza – generalmente distinti in intellezioni, volizioni e stati d’animo –, e si ha il linguaggio. Ora, di questi tre tipi o campi, il più rilevante è certamente il terzo, del quale qui si tratta. Questo, infatti, è conditio sine qua non per un esercizio pienamente umano degli altri due; e a questo ci si riferisce quando si parla, come per antonomasia, di comunicazione tout court.
Tuttavia, impropriamente ogni volta che l’uomo in qualche modo esprime se stesso, anche quando non lo faccia con la parola, si parla di «linguaggio». Infatti questo termine, propriamente parlando, dovrebbe valere soltanto per l’esprimersi-comunicare umano attuato mediante la parola parlata, vale a dire mediante suoni articolati da quell’organo mobile della bocca che si chiama lingua. Ora, se è vero che questo modo privilegiato di comunicare è restato quasi esclusivo nella storia dell’homo sapiens per centinaia di migliaia di anni, e se è vero che esso resta ancora ordinario nel mondo d’oggi, è anche vero che da almeno sei millenni a esso si sono andati affiancando altri umani modi di esprimersi e comunicare, che non possono propriamente dirsi «linguaggi», in quanto congegnati con fattori tecnici sempre più condizionanti l’espressione verbale-orale.
«Nuove tecnologie»
Da circa cinquemila anni, infatti, c’è stata anche la comunicazione scritta: prima ideografica e poi fonografico-alfabetica, dalla tecnologia elementare dello scalpello, dello stilo e della penna. Poi, per circa quattrocento anni, c’è stata anche la comunicazione scritta a stampa, dalla tecnologia ancora molto ridotta dei caratteri mobili di Gutenberg. Da centocinquant’anni siamo, invece, anche e soprattutto a quei mezzi di comunicazione, o mass media, che, appunto perché strutturati in un’alta tecnicità, il Vaticano li ha opportunamente qualificato «strumenti della comunicazione sociale»3. E sono: primo, dal 1830, il giornale; poi, dal 1896, il cinema; quindi, dagli anni ’20 e ’50 di questo secolo, rispettivamente la radio e la televisione. Non basta: da vent’anni, con l’invasione dell’elettronica nella tecnica di questi strumenti, siamo a una loro globale comunicazione poco o nulla verbale, non «linguaggio», ma tecnotronica4; mentre in questi anni ’80, con la crescente interazione tra calcolatori e telecomunicazioni5 siamo all’odierna e definitiva onnicomprensiva loro comunicazione telematica.
«Problemi morali»
Se il paradosso del «profeta dei mass media»; Marshall McLuhan: «Il mezzo è il messaggio» contiene, come abbiamo cercato di dimostrare6, molto di preziosamente vero, siffatto inserirsi, a ritmo esponenziale, della tecnologia nei mezzi e veicoli della comunicazione umana non può non essere avvenuto – come bene ha dimostrato l’antropologo, e maestro di McLuhan, Harold A. Innis7 – se non con altrettanto esponenziali effetti socioculturali negli individui e nei gruppi sociali che l’hanno subito; perciò creando anche i problemi morali che qui interessano. Per il passato, a esempio, altro era il rilievo di moralità che la falsità o l’ingiuriosità comportavano nelle comunicazioni semplicemente verbali, limitate, nel tempo e nello spazio, ai pochi individui del preistorico villaggio tribale; e già altro fu quello delle comunicazioni che, prima scritte e poi a stampa, coinvolsero gruppi sociali sempre più estesi nel tempo e nello spazio, provocando, tra l’altro, da parte delle autorità, prima civili e poi religiose, repressioni di – poco importa se veri o presunti – illeciti sociopenali. Si ricordi, per esempio, il bruciamento dei libelli famosi, ossia manoscritti diffamatori, già praticato nella prassi e nel diritto romani, e poi anche nella disciplina della Chiesa cattolica sino a tutto il 1572: anno delle due ultime costituzioni contro i «menanti» di san Pio V e di Gregorio XIII8; e si ricordino soprattutto la secolare dottrina e la prassi della stessa Chiesa cattolica, tutta intesa a prevenire e a reprimere l’immoralità della comunicazione a stampa: prima con un necessario preventivo Imprimatur per ogni libro, poi con la requisizione e il bruciamento di quelli stampati senza detto Imprimatur, quindi con le pene canoniche comminate contro ogni lettore o detentore non autorizzato dei libri elencati nel famoso Indice dei libri proibiti, abolito, dopo ben quattrocento anni, soltanto nel 1966.
Nell’individuare questi problemi morali, prima ancora che a una visuale della morale specificamente cristiana e cattolica, qui conviene attenersi a quel nucleo originario della stessa che dovrebbe essere riconosciuto e ammesso, almeno come morale naturale, da tutti indistintamente gli uomini; nucleo al quale, del resto, in questi ultimi decenni vanno adeguandosi non poche dichiarazioni e convenzioni, anche su piano internazionale.
Dell’informazione
Inoltre, delle tre classiche funzioni dei mass media – che sono l’informazione, la formazione e il divertimento – qui conviene tenere presente soprattutto l’informazione, per due ragioni. La prima è perché, tra le dette tre funzioni o prestazioni, soprattutto con le nuove tecnologie l’informazione è quella che più accelera e condiziona l’odierno processo di socializzazione di tutta l’umanità, integrandola nel mcluhaniano globale «villaggio planetario»9. La seconda è perché i problemi morali attinenti all’insegnamento e allo spettacolo attuati con le nuove tecnologie si differenziano quasi soltanto quantitativamente da quelli dei contenuti dottrinali erronei o spettacolarmente licenziosi, avverso ai quali ha reagito – come s’è visto – il secolare magistero della Chiesa sulla stampa, e la sua secolare ostilità contro il teatro e contro i suoi teatranti.
Come si vede, si trattava, più che altro, di tutelare i fedeli, lettori o spettatori, dai pericoli contro la fede o contro la morale, piuttosto che di tutelare tutti gli uomini nel libero esercizio di quel tutto moderno «diritto a essere informati su quanto, secondo le rispettive condizioni, convenga alle persone, singole o associate»; diritto che il Vaticano II ha sentenziato «appartenere alla società umana [...], a causa delle sempre più strette relazioni d’interdipendenza dei suoi membri [...], e dato che la pubblica e pronta comunicazione degli eventi e delle situazioni ne offre ai singoli uomini quella conoscenza più adeguata e continua che li mette in grado di contribuire efficacemente al bene comune e di promuovere insieme agli altri un più rapido progresso di tutta la società»10.
Orbene, l’esercizio di quest’irrinunciabile diritto all’informazione, specialmente con le odierne tecnologie di comunicazione, presenta tutta una serie di problemi, anche morali, relativi ai quattro momenti dell’informazione giornalistica, che sono: l’accesso alle fonti da parte degli informatori, l’effettiva libertà di questi nel formulare le notizie, il libero accesso degli stessi agli strumenti di diffusione per divulgarle, e infine il libero accesso alle stesse notizie da parte dei pubblici che ne sono i destinatari.
Infatti, circa il primo momento, l’accesso alle fonti, si pone la questione della liceità o meno della loro segretezza oltre gli stretti limiti richiesti dal bene comune, e quella dell’oligopolio mondiale che di fatto oggi è esercitato dalle note cinque grandi Agenzie d’informazione internazionali11. Circa il secondo momento, ci si deve chiedere se la libertà di espressione degli informatori può venir limitata da abusivi interventi censòri delle proprietà o delle gestioni dei mass media, oppure dal prepotere ideologico-politico, o dalla stessa pubblicità economica. Circa il terzo momento, vale a dire il libero accesso alle tecnologie e agli strumenti di diffusione, quando esso non venga già impedito da oggettivi limiti tecnici – tale, per esempio, quello della limitata disponibilità di lunghezze d’onda per le televisioni – ci si deve chiedere se esso possa essere ostacolato da monopoli ideologici-politici, come avviene, per esempio, in tutti i Paesi comunisti; oppure da oligopoli economici, come quelli delle multinazionali, che, di fatto, con la loro prepotenza schiacciano qualsiasi concorrenza.
Problema socio-morale, questo, particolarmente sentito dai Paesi in via di sviluppo, dato che il gap tecnologico – vuoi nelle apparecchiature (hardware), vuoi, e forse anche più, nei programmi (software) – da essi subito, li mantiene in uno stato di crescente dipendenza economica e culturale – diciamo pure: d’insopportabile umiliante colonialismo – rispetto ai pochi Paesi altamente industrializzati. Infine, e siamo al quarto e ultimo momento dell’informazione giornalistica, la libera recezione da parte dei pubblici che ne sono i destinatari può venir negata da interventi censòri, giuridici o di fatto, quali quelli contro la libera circolazione dei giornali che siano dissonanti dalla locale «voce del padrone», o le azioni di disturbo radiotelevisive contro le trasmittenti sgradite al regime di turno.
A questi problemi, relativi a un’effettiva ottimale comunicazione-informazione umana, specialmente per il Terzo Mondo s’innesta oggi quello dell’ampliamento, miglioramento ed equa distribuzione delle infrastrutture tecnologiche che ne condizionano il flusso e la qualità: dai mezzi di trasporto alle linee telegrafiche e telefoniche, via-cavo o via-etere, dalle apparecchiature rice-trasmittenti radiofoniche o televisive, terrestri od orbitanti nello spazio, sino ai macro- e micro-elaboratori elettronici. Non per nulla proprio su queste infrastrutture, e sugli squilibri ch’esse oggi determinano tra i pochi Paesi supernutriti e i molti Paesi affamati, ha richiamato l’attenzione di tutto il mondo l’ONU proclamando il 1983: «Anno mondiale della comunicazione»12.
Tutela della «privacy»
Lo spazio disponibile induce a sorvolare su un’altra serie di problemi attinenti, questi, alla qualità e alla quantità dei contenuti dell’informazione in generale, perché la stessa «sia sempre vera e, fatte salve la giustizia e la carità, anche intera»13. Tale, per esempio, il problema della doverosa netta distinzione tra notizia (oggettiva) e commento (soggettivo); quello dei dolosi (o colposi) silenzi su particolari oggettivamente rilevanti e, in genere, quello dell’uso tendenzioso degli espedienti propri della giornalistica valutazione (o svalutazione) delle notizie14. Mentre conviene soffermarci su di un problema morale che le nuove tecnologie di comunicazione rendono particolarmente rilevante: quello «del rispetto scrupoloso [...] dei legittimi interessi e della dignità dell’uomo, così nella ricerca delle notizie come nella loro divulgazione»15.
Ci si riferisce, non tanto ai «paparazzi» di felliniana memoria, ingombranti invasori di ogni privacy personale e familiare, quanto e soprattutto alle silenziose ma temibili «memorie» elettroniche e «banche di dati», che l’odierno boom della microelettronica va moltiplicando e sempre più potenziando. Per esse, infatti, la privacy e la dignità delle persone possono gravemente essere insidiate e violate, intanto, con la stessa illecita raccolta di dati riservati personali, magari a insaputa degli interessati; poi col mancato aggiornamento degli stessi dati, senza del quale questi finiscono col non rispondere più a verità; infine e soprattutto con la loro indebita divulgazione, sia direttamente da parte degli stessi detentori, pubblici o privati, delle «banche di dati», sia per doloso o colposo libero accesso alle stesse da parte di non aventi diritto. Da notare come questo problema di moralità può investire interessi e valori, non solo di singoli individui, bensì anche di estesi gruppi sociali, e anche di intere nazioni16.
Tutela di tutto l’uomo
Restano da ricordare tre problemi insieme culturali e morali, i quali, più che riguardare i contenuti-messaggi comunicati con le odierne tecnologie, riguardano l’uso più o meno critico e responsabile che di queste facciano i recettori loro utenti, nella mcluhaniana visuale degli effetti psicoculturali indotti dagli stessi strumenti. E sono i problemi della difesa dei valori tipici della persona umana dai tre pericoli: dell’incomunicabilità, dell’infantilismo e della massificazione.
Il pericolo dell’incomunicabilità interpersonale – calamità oggi non esclusiva dei personaggi dei film di Antonioni – sta nell’unidirezionalità; caratteristica della comunicazione massmediale, specialmente televisiva, che disabitua da ogni dialogo e – ormai anche con gli scompagnanti giochi elettronici – aliena da ogni rapporto che non sia quello anonimo con le macchine; e sta anche nella quasi esclusiva globale loro comunicazione per immagini, sinestesica, che finisce con disabituare l’uomo da ogni veicolo verbale, essenziale per un’insostituibile comunicazione interumana.
A sua volta, il pericolo dell’infantilismo è dato dalla scarsa o nulla idoneità delle stesse tecniche massmediali a comunicare contenuti intellettuali-logici, o che impegnino i recettori in proprie scelte critiche, così su piano di credenze e di opinioni personali, come su piano di condotta personale e sociale; contro una, invece, loro prevalente idoneità a incrementare la fantasia e l’emotività dei recettori; a scapito, dunque, del loro psichismo di adulti-maturi, e con ipertrofia di quello infantile, gratificando i recettori con gli pseudovalori di una macdonaldiana masscult e midcult, che di un’autentica cultura ha solo la parvenza.
Infine, il pericolo della massificazione dei recettori – vale a dire: della riduzione dei loro comportamenti mentali e pratici, da personalmente responsabili ad acritici e gregari – si verifica soprattutto quando l’alta suggestionabilità dei recettori, così resi e mantenuti psicologicamente e culturalmente infantili, venga manipolata da una non controllata alta suggestività propria delle tecniche di comunicazione, soprattutto nel battage della propaganda, o con quello esemplaristico della pubblicità più consumistica.
Siffatta tutela della propria personalità autenticamente umana da questi tre pericoli comporta necessariamente, da parte dei recettori, non solo consapevoli rifiuti nell’esporsi alla massa sempre più farraginosa e dispersiva delle comunicazioni massmediali, ma anche un parallelo impegno culturalmente e moralmente costruttivo per rettificare ed equilibrare le spinte e gli effetti meno degni che dette comunicazioni, in ogni caso, esercitano. Si tratta, perciò, di opporre all’isolamento visionario solipsistico indotto dai mass media una buona dose di quotidiana ginnastica mentale nell’uso della parola parlata e scritta, e nel dialogo socializzante; si tratta, poi, di equilibrare la pletora fantastico-emotiva indotta dalle immagini, col correttivo di uno studio metodico, nella ricerca del sapere più fondato; si tratta, infine, di addestrarsi a opporre ragioni motivate agli slogan imbonitori della pubblicità e della propaganda, e opporre personali comportamenti responsabili alle imposizioni di più o meno furbi «Caroselli».
Per una soluzione ottimale
Tre rilievi valgano per un’ottimale soluzione dei problemi culturali e morali che si sono toccati.
Il primo riguarda il nostro atteggiamento di fondo, teorico e pratico, rispetto al valore o disvalore delle nuove tecnologie di comunicazione. Partiremmo col piede sbagliato se optassimo per la categoria degli «apocalittici», i quali nelle nuove tecnologie travedono soltanto danni e malanni; o per la categoria degli «integrati», i quali ne disconoscono, o di fatto ne ignorano, ogni problema culturale e morale. Nel primo caso, infatti, non ci resterebbe altro da fare che oscurantisticamente condannarle tutte in blocco, e irrealisticamente tutte in blocco rifiutarle; mentre nel secondo dannosamente trascureremmo ogni dispositivo di protezione culturale e morale. Meglio, perciò, sarà se – seguendo l’equilibrato magistero del Vaticano II su i mass media – delle nuove tecnologie terremo presenti così i danni e i pericoli potenziali come i potenziali innegabili vantaggi, per quindi addestrarci a evitare il più possibile i primi e a profittare il più possibile dei secondi; esercitandoci, cioè, prima a discernere e poi a responsabilmente scegliere, tra l’utile e il dannoso, tra il necessario e il superfluo, tra il vero e l’erroneo, tra il provato e l’opinabile, tra il personalmente acquisito e il luogo comune acritico, tra il socialmente impegnativo e l’evasione irresponsabile...
Il secondo rilievo riguarda il dove e il come effettuare siffatto addestramento specifico. Ancora una volta il Concilio Vaticano II, nell’Inter mirifica, ne indica tre luoghi e tempi: nella famiglia, soprattutto mediante il comportamento culturalmente e moralmente coerente dei genitori; nella scuola, con l’insegnamento sistematico, informativo e orientativo; e nella catechesi della Chiesa, per l’aspetto più propriamente religioso e morale17. Tutte previdenti disposizioni che, però, almeno in Italia, sono rimaste pressoché lettera morta; e ciò per una mancata previa sensibilizzazione e formazione degli stessi formatori. Questo spiega perché, a tutti i livelli, si sia restati quasi del tutto ignari delle problematiche socioculturali e morali delle nuove tecnologie di comunicazione, e perciò anche assenti nei relativi problemi educativo-pedagogici.
Il terzo e ultimo rilievo riguarda la visuale ideale dei valori umani e religiosi nella quale, per impostare e risolvere i problemi di cui s’è discorso, va condotta la sensibilizzazione e formazione di cui s’è detto. La migliore visuale ideale è questa: che le nuove tecniche attuino, sì, nell’umanità tutta informatizzata, il massimo di comunicazione, purché non – a scapito dell’individua personalizzazione dei comunicanti – massificandola; e non a ostacolo della loro comunione, ma anzi risolvendosi tutta in questa. Sul modello della comunicazione-comunione trinitaria proposto dalla tesi teologica dell’istruzione pastorale Communio et progressio, formulabile in questi termini: «Come nella SS. Trinità la più perfetta comunicazione tra le tre Persone si attua nella comunione dell’unica natura ed essenza divina, restando però realmente distinte le tre Persone; così occorre che anche tra gli uomini, la massima comunicazione che le nuove tecnologie realizzano, li porti anche al massimo di comunione tra loro, conservando tuttavia integri i valori personali dei singoli individui».
È un ideale, si direbbe, irraggiungibile. Ma mette conto di fare di tutto per realizzarlo almeno in parte.
1 «Scolastici» furono detti la filosofia e il metodo d’insegnamento praticati nelle scuole ecclesiastiche, specialmente dal XII al sec. XVII.
2 Cfr C. LEVI-STRAUSS, Antropologia strutturale, Saggiatore, Milano 1967, 43 ss.
3 Evitando le più correnti, ma incerte e ambigue, terminologie di audiovisivi, techniques de diffusion (o de communication), mass communications e mass media ...
4 Termine proposto da Z. BRZENINSKI, in L’America nell’epoca elettronica (in Futuribili, 1918, n. 3), a indicare la simbiosi in atto tra la tecnologia e l’elettronica. E si rifà alla cibernazione, cioè alla trasformazione radicale della società odierna mediante la cibernetica: il ramo della scienza, pura e applicata, che studia i sistemi di trasmissione e regolazione di segnali di comando e di controllo, condotta da un punto di vista unificato, negli aspetti comuni alle macchine, ai circuiti elettrici, agli animali, agli uomini e alle organizzazioni.
5 In argomento, cfr A. STEFANIZZI, Le nuove tecnologie di comunicazione, La Civiltà Cattolica, Roma 1983.
6 Cfr E. BARAGLI, Il caso McLuhan, La Civiltà Cattolica, Roma 1980; Dopo McLuhan, LDC, Torino 1981.
7 Cfr H.A. INNIS, Le tendenze della comunicazione, SugarCo, Milano 1982, presentato in Civ. Catt. 1983 II 463.
8 In argomento: Pio V, Costituzione «Romani Pontificis providentia» (17 marzo 1572); Gregorio XIII, Costituzione «Ea est rerum» (11 settembre 1572).
9 Da notare come il termine socializzazione, nelle diverse discipline e ideologie, assuma tre diverse accezioni. Economisti e giuristi l’usano correntemente nel senso di nazionalizzazione o statizzazione dei beni di consumo; in sociologia marxista il termine indica il processo di collettivizzazione che porta a morte l’economia capitalistica a vantaggio del sistema socialista; infine per gli psicosociologi moderni vale il processo di acculturazione con il quale il bambino e l’adolescente oppure l’adulto proveniente da altra cultura s’integrano al gruppo sociale facendone propri le norme, i valori e i comportamenti. L’Inter mirifica, invece, e altri documenti del Vaticano II si riferiscono alla socializzazione nell’accezione proposta dalla Mater et magistra di Giovanni XXIII: «Il progressivo moltiplicarsi dei rapporti di convivenza, con varie forme di vita e di attività associata, e istituzionalizzazione giuridica, privata e pubblica: che è uno degli aspetti tipici della nostra epoca».
10 Inter mirifica, n. 5.
11 Che sono: le americane Associated Press e United Press International, l’inglese Reuter, la francese France Press e la russa TASS.
12 Cfr A. STEFANIZZI, Il 1983 «Anno mondiale della comunicazione», in Civ. Catt. 1983 I 453.
13 Inter mirifica, n. 5.
14 È la nota Formula di J. Kayser – 110 V = 40 S + 40 T + 20 P –, secondo la quale la Valorizzazione (= V) di una notizia dipenderebbe: per un coefficiente del 40% dal Sito (= S), per un coefficiente del 40% dalla intitolazione (= T), e finalmente per un coefficiente del 20% dalla Presentazione (= P).
15 Inter mirifica, n. 5.
16 In argomento, cfr N. CATANIA, Un’autodisciplina per l’operatore del campo telematico, in Media 2000, 1983, n. 1, 95.
17 «I genitori ricordino che è loro dovere vigilare diligentemente[...]; si favoriscano e si moltiplichino nelle scuole cattoliche di ogni grado[...] iniziative atte a questo scopo [...], e nell’insegnamento catechistico si esponga e si spieghi la dottrina e la morale cattolica sull’argomento» (Inter mirifica, nn. 10 e 16).