Articolo estratto dal volume III del 1967 pubblicato su Google Libri.
Il testo è stato corretto dai refusi di stampa e formattato in modo uniforme con gli altri documenti dell’archivio.
I riferimenti ai documenti del magistero pontificio sono stati resi interattivi e portano al sito del progetto “Chiesa e Comunicazione”, la biblioteca digitale online che prosegue l’attività iniziata da p. Baragli con le opere Cinema cattolico: documenti della Santa Sede sul cinema e Comunicazione Comunione e Chiesa.
Il professore Marshal McLuhan sta passando il suo quarto d’ora di celebrità. In Canadà, suo paese natale, dove dirige il Center for Culture and Technology dell’Università di Toronto; in Inghilterra, e soprattutto negli Stati Uniti, dove è stato consigliere del Seminar on Culture and Communication della Ford Foundation e docente nelle Università del Wisconsin e di St. Louis.
Oltre ai saggi ed articoli pubblicati in una dozzina di riviste, lo hanno lanciato i volumi The Mechanical Bride (1951) e The Gutenberg Galaxy (1962), rispettivamente sul folclore dell’era industriale e sulle relazioni tra cultura e sviluppo tecnologico. Come si vede, fa parlare di sé non nel campo della matematica, al quale ha dedicato i suoi studi giovanili, o della letteratura inglese, nella quale si è laureato (Cambridge, 1942), ma nella sociologia della comunicazione, alla quale è dedicato anche il presente Unterstanding Media1, che, edito a New York nel 1964, esce ora in edizione italiana.
È un libro difficile, almeno per noi, che non viviamo negli Stati Uniti, perché vi abbondano i riferimenti al mondo minuto americano, ed americani sono il modo di pensare, di esporre e di provare, accostando fatti di cronaca e reminiscenze di letture disparatissime, concludendo più per via di illazione che di ragionamento; inoltre cedendo al gusto del paradosso in misura inconsueta nella saggistica nostrana. Ma dev’essere libro difficile anche per i lettori americani, perché la materia, – come osservò, sgomento del rischio che correva, il suo primo editore – per il 75% è nuova; ed anche perché, presumibilmente, dovrebbero essere rari i lettori addestrati alla ginnastica mentale del McLuhan, ricercatore eclettico ed accanito, ed autore agilissimo, anzi, si direbbe, acrobata spericolato, nel saltare tra materie ed esperienze diversissime, e nel rilevare nessi, o almeno relazioni e paralleli, a prima vista impensabili.
Ma è un libro stimolante come pochi, inteso com’è a spiegare globalmente l’uomo ed il mondo di oggi, a prevedere l’uomo ed il mondo di domani, partendo dai media quali fattori di mutazione proprio per quel che sono, più e prima ancora che per quel che possono trasmettere; ed iniziando il discorso da zero, vale a dire accettando poco o nulla delle opinioni tradizionali in argomento. Che tutto, o quasi, nell’uomo e nel mondo si riesca a spiegare con un bandolo tanto semplice, a molti lettori potrà sembrare fin troppo facile e bello per essere in tutto e per tutto attendibile; ed il critico attento avvertirà che il limite tra proposte brillanti e paradossali, di cui sopra, e verità dimostrate logicamente, resta spesso incerto2. Tuttavia, le grandi linee dell’opera sembrano valide e le ipotesi avanzate, anche col loro alone d’ombra, lasciano pensare; perché, a parte la novità, sono suasive e coerenti, soprattutto sollecitanti programmi di azione e di formazione personale e sociale.
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Sociologi e pubblicisti usano il termine media, in assoluto o con i determinativi mass e communication, intendendo i mezzi di comunicazione umana, quali (anticamente) la parola, e poi lo scritto, quindi la stampa in tutte le sue forme, e recentemente il telegrafo ed il telefono, il grammofono i dischi ed il magnetofono, il cinema, la radio, la televisione... Per il McLuhan però il termine si allarga in accezioni molto più vaste, includendo praticamente tutti i prodotti e le attività tecnologiche nelle quali l’uomo in qualche modo si esprime, imprimendovi perciò una «informazione» di sé più o meno duratura: dalla ruota, le strade, i numeri, l’abbigliamento, gli alloggi, il danaro, l’orologio, la fotografia, l’automobile e l’aeroplano... sino alla pubblicità, i giuochi, la macchina da scrivere, le armi, l’automazione...
Egli distingue (oltre che in media caldi e freddi, con conseguenze ed applicazioni tutt’altro che gratuite) in media puramente meccanici (quelli di ieri) ed in media elettrici (gli odierni), e cerca di dimostrare che non solo l’uomo – il che è pacifico – ha cambiato e continua a cambiare radicalmente il mondo secondo la sua propria natura, ma soprattutto che questi mezzi hanno cambiato e continuano a cambiare, nel moltissimo che ha di modificabile, la stessa natura dell’uomo secondo la loro propria natura; sicché, per spiegare qual era l’uomo di una volta, quale l’uomo della cultura alfabetica, quale l’uomo medievale e del rinascimento, e quale l’uomo odierno e futuro, sarebbe assurdo prescindere dagli impatti successivi dei media, dall’accumularsi ed elidersi dei loro effetti, dalla possibilità ed esigenza, dagli stessi creata, di media successivi più ricchi d’«informazione», e, perciò, a loro volta, più condizionanti le categorie menitali ed il costume, il connettivo e le strutture della società umana.
Per tremila anni, iniziando dall’invenzione della scrittura alfabetica, i mezzi puramente meccanici, afferma l’A., avrebbero «esploso» l’uomo, vale a dire: operata un’estensione del suo corpo in senso spaziale; da un secolo, invece, con l’impiego tecnologico dell’elettricità, l’uomo avrebbe iniziato, ed andrebbe via via accelerando, il periodo d’implosione, tutto il mondo essendo ormai diventato un’estensione dello stesso suo sistema nervoso centrale, abolita, come praticamente avviene nella sinestesia individuale, ogni estensione di tempo e di spazio; ed oggi ci staremmo «rapidamente avvicinando alla fase finale dell’estensione dell’uomo, quella, cioè, in cui... il processo creativo di conoscenza verrà collettivamente esteso all’intera società umana».
«Oggetto di quest’opera è appunto ’l’analisi di alcune estensioni, tra le più importanti, considerate in uno con le loro implicazioni sociologiche e psicologiche» (pp. 9-10).
Per non sperderci nel denso volume, non staremo ad esemplificare ,intorno a queste implicazioni oltre quanto lo stesso McLuhan fa nella Prefazione:
«Nell’era meccanica, oggi in declino, molte azioni potevano essere accolte senza preoccupazioni eccessive. La lentezza di ogni moto in genere garantiva che le reazioni sarebbero seguite con ritardo considerevole. Oggi, invece, azione e reazione sono quasi contemporanee. Noi viviamo, per così dire, miticamente e integralmente, ma continuiamo a pensare secondo gli antichi e frammentari moduli di spazio e di tempo dell’era pre-elettrica.
«L’uomo occidentale aveva derivato dalla tecnologia dell’alfabetismo la capacità di agire senza reagire... Questo distacco era segno di non partecipazione. Ora che – dopo l’avvento dell’energia elettrica – il nostro sistema nervoso centrale viene tecnologicamente esteso sino a coinvolgerci in tutta l’umanità e a incorporare tutta l’umanità in noi, siamo necessariamente implicati in profondità nelle conseguenze di ogni nostra azione. Non è praticamente più possibile mantenere l’atteggiamento tipicamente estraneo e superiore che aveva finito con il caratterizzare l’uomo occidentale di media cultura...
«L’elettricità ha ridotto il globo a poco più che un villaggio, e, riunendo con repentina implosione tutte le funzioni sociali e politiche, ha intensificato in misura straordinaria la consapevolezza della responsabilità umana. È questo componente centripeta che modifica la posizione dei negri, degli adolescenti e via dicendo. Non è più possibile contenere politicamente questi gruppi sociali entro limiti determinati; essi sono ora, grazie ai media elettrici, coinvolti nella nostra vita, come noi nella loro.
«È l’età dell’angoscia dovuta a un processo d’accentramento che impone partecipazione e impegno, indipendentemente da qualsiasi specifico “punto di vista ". Il carattere particolare di ogni singolo, anche nobilissimo, punto di vista ha perduto nell’era elettrica ogni funzione...
«L’aspirazione della nostra epoca alla totalità, all’empatia e alla consapevolezza in profondità è un complemento naturale della tecnologia elettrica. L’epoca dell’industrie meccaniche che ci ha preceduti ha trovato il suo naturale modo d’espressione nella veemente asserzione di opinioni personali. Ogni cultura e ogni epoca hanno un modello preferito di percezione e di conoscenza e tendono a prescriverlo per tutti e per tutto. La caratteristica del nostro tempo è la ribellione contro gli schemi imposti. Siamo divenuti improvvisamente ansiosi che cose e persone dichiarino totalmente la propria natura. Deve potersi riconoscere in questo nuovo atteggiamento una fede profonda, che tocca l’armonia fondamentale dell’intero essere. È alla luce di ciò che questo libro è stato scritto. Esso esplora i confini del nostro essere, esteso dalla moderna tecnologia, cercando in ciascun caso il principio dell’intelligibilità» (pp. 10-12).
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Ai lettori volenterosi la stimolante esperienza di seguire l’A. nella sua avventura. Per conto nostro concludiamo questa presentazione con qualche rilievo.
Non tutto, come abbiamo detto, ci sembra perfetto. Numerose ripetizioni appesantiscono la lettura. Troppo fitte le citazioni di autori, non sempre pertinenti, addotte come prove, e le affermazioni, allineate paratatticamente, a supplire argomenti probanti. Inoltre il McLuhan sembra preoccupato unicamente degli effetti quantitativi dei media, e poco o nulla di quelli qualitativi: culturali, umani, morali ecc. Forse per questo, tra «apocalittici» e «integrati», gli riesce agevole aderire piuttosto a questi che a quelli.
Resta tuttavia suo merito l’aver indicato una via promettente di risultati ricchi e preziosi. Sulla traccia del suo pensiero, per esempio, si potrebbero rilevare influssi illuminanti tra scrittura alfabetica e codificazione mosaica, tra stampa e secessione luterana, tra informazione giornalistica e rivoluzione francese e, per ricordare Charles Chaplin, tra l’insieme dei media e la moderna ecatombe di imperi3. Altro suo merito resta il rilevare l’impagabile valore di rottura e di equilibrio che la libera attività dell’artista rappresenta nella società «massificata» e condizionata dai media. Infine, richiamando l’attenzione più sull’efficacia dei media in quanto tali che sui loro contenuti, batte in breccia un luogo comune e dannoso tra troppi moralisti, anche cattolici e chierici.
Speriamo che il monito, avanzato da un autore così competente e brillante, valga a mutare mentalità e prassi, di preferenza battute sino ad oggi, eccessivamente fiduciose in azioni censorie, ovviamente ristrette ai contenuti, e poco o nulla nella formazione dei recettori, rispetto all’azione globale dei media. Anche se il volume producesse soltanto questo effetto, fatica dell’A. e fatica dei lettori sarebbero più che ripagate.
1 Marshall McLUHAN, Gli strumenti del comunicare, Milano, Il Saggiatore, 1967, in-8º pp. 383. L. 2200.
Ne hanno scritto ultimamente da noi: La Fiera Letteraria del 13 e 20 luglio; A. PINNA (ciarlatano, profeta o calmante?), in Panorama del 3 agosto; A. MIOTTO (attribuendogli un integrismo ottimista, agli antipodi dell’ira apocalittica di Positions contre les technocrates, del marxista francese H. LEFEBVRE) in Il Resto del Carlino del 4 agosto; E. FULCHIGNONI (facendogli riconoscere, da un interlocutore americano, più estro scanzonato e profetismo poetico che valore scientifico) in Corriere della Sera del 19 agosto; N. ABBAGNANO (con lodi e riserve, in misura uguale) su La Stampa del 27 agosto, ecc.
2 Perciò al lettore che non abbia fretta non mancheranno occasioni di dubbi e di rettifiche. Per conto nostro, a mo’ di esemplificazione, rileviamo le discutibili applicazioni-estensioni del Salmo 115 (p. 55) e di Shakespeare (p. 159); la (sembra!) accettazione del principio di non causalità di David Hume (pp. 20 e 95); le peregrine anticipazioni su Dante (p. 118) e sui santi (p. 138), l’immotivato trionfalismo con cui si chiude la p. 135, ed a mezzo la p. 347; fa confusione tra camera oscura e lanterna magica nel Cinquecento (p. 203), l’inesatto affermato rapporto tra l’esperimento fotografico di Muybridge e l’invenzione del cinema (pp. 194 e 302), il corrivo parallelo tra righe di stampa e pellicola cinematografica (p. 302) e tra film e giornale come «opera d’arte» (p. 311), l’accenno errato al manifesto dell’asincronismo dei russi (p. 305), l’asserita relazione tra tecnologia, liturgia ed ecumenismo (p. 342), e via di questo passo...
3 Alla protesta di Sir Winston Churchill: «Non sono qui per presiedere alla dissoluzione dell’impero britannico», l’attore e regista nota: «Questa dissoluzione non è provocata dalla politica, dagli eserciti rivoluzionari, dalla propaganda comunista, dalle manifestazioni di piazza o dai comizi. I cospiratori sono la radio, la televisione e il cinema, l’automobile e il trattore, le innovazioni scientifiche, l’aumento della velocità e l’infittirsi delle comunicazioni. Ecco i rivoluzionari responsabili della dissoluzione degli imperi» (in La mia autobiografia, Milano 1964, p. 571).