NOTE
×

1 Problemi e prospettive del tempo libero in Italia, Roma, Ufficio del Tempo Libero della D.C., 1968, in-8º, pp. 518. – Contengono nel testo integrale: due Saluti inaugurali (dell’on. ATTILIO IOZZELLI, dirigente dello stesso Ufficio, e dell’on. ANGELO SALIZZONI, della Presidenza del Consiglio dei ministri); cinque Relazioni (prof. FRANCO CRESPI: Significato e condizioni del tempo libero nella società italiana di oggi; prof. VITALIANO ROVIGATTI: Poteri pubblici e tempo libero in un regime democratico; dott. ANTONIO CIAMPI: Tempo libero e mezzi di comunicazione sociale; on. LEANDRO RAMPA: Tempo libero e attività sportiva; on. ADOLFO SARTI: Tempo libero e turismo); quattordici Interventi e ventitre Comunicazioni. Seguono le due Appendici: Indicazioni bibliografiche e Il Convegno nella stampa italiana. Il volume si apre con una Presentazione, che sostanzialmente viene ripresa in questa nostra Nota.

2 Cfr Civ. Catt. 1959, IV, 267-278.

3 È riportata nella Relazione Crespi, pp. 35-36.

4 In L’impiego del tempo libero come attuale problema sociale, cit. p. 208.

5 Pensiamo, ad esempio, al servizio militare: che non solo può essere «libero» ma che, anche quando è obbligatorio nel suo insieme, consente amplissimi spazi di scelte libere. Pensiamo al tempo, certo «necessitato», dei viaggi dei pendolari, che essi possono liberamente occupare – oltre che, poniamo, nella preghiera – in letture culturalmente corroboranti e politicamente orientative, oppure utilizzare sferruzzando maglie e merletti, oppure «ammazzare», come si dice, con le parole incrociate... E, per rifarci di nuovo al Guzzetti, pensiamo a due donne che confezionino corredini per neonati: per l’operaia, che lavori in serie in una industria, quello può essere un lavoro pesante, anonimo, da liberarsene non appena possibile, mentre per un’altra che aspetti il suo primo bambino, pur rientrando nel «necessitato», può essere il «lavoro» ideale per riempire il suo tempo libero.

6 L’esule e il regno, Bologna, Cappelli, 1955.

7 Informazione e cultura, Milano 1967, p. 63.

MENU

Articolo estratto dal volume II del 1968 pubblicato su Google Libri.

Il testo è stato corretto dai refusi di stampa e formattato in modo uniforme con gli altri documenti dell’archivio.

I riferimenti ai documenti del magistero pontificio sono stati resi interattivi e portano al sito del progetto “Chiesa e Comunicazione”, la biblioteca digitale online che prosegue l’attività iniziata da p. Baragli con le opere Cinema cattolico: documenti della Santa Sede sul cinema e Comunicazione Comunione e Chiesa.

ARTICOLO SU

Indetto dall’Ufficio centrale per il Tempo libero della Democrazia Cristiana, il 16-17 giugno 1967 si svolgeva nella Domus Pacis di Roma il convegno di studio Problemi e prospettive del tempo libero in Italia, e sollecitamente oggi ne escono gli Atti1. L’abbondanza dei contributi e la varietà degli aspetti, così dottrinali come pratici, in essi toccati ne fanno una nuova, utilissima, voce nella bibliografia sul tempo libero, eppure già quasi pletorica, come dimostrano le compendiose Indicazioni bibliografiche che ne fanno parte.

Se non andiamo errati, la raccolta più ricca in argomento erano sinora gli Atti della XXXIIª Settimana sociale dei cattolici d’Italia (Padova: 20-26 sett. 1959): L’impiego del tempo libero come problema sociale attuale2. Oggi questi nuovi Atti giungono come opportunissimo completamento di quelli, dato anche il loro carattere più pratico e «politico», ed una maggiore aderenza ai problemi del giorno in Italia, a confronto di quelli: a carattere più dottrinale-etico e generale.

Durante la sostanziosa lettura siamo andati appuntando tre ordini di considerazioni. Il primo riguarda il concetto di tempo libero; il secondo affronta aspetti più direttamente morali-religiosi nel fenomeno; il terzo ed ultimo formula alcune indicazioni pratiche che, ci sembra, in sede politica dovrebbero scaturire da questa raccolta di studi e di esperienze.

Che cos’è questo «tempo libero»?

Il termine «tempo libero» non si riferisce ad una realtà univoca, ma ad un insieme di fenomeni diversi ed interdipendenti. Giustamente, perciò, molti relatori ed interventi hanno cercato di precisarne via via la portata, proponendo – e qua e là ritenendo, o correggendo – le molte definizioni-descrizioni che ne sono state date: da quelle molto semplici del Castelli e del Crespi, a quelle, ovvie, dell’Encyclopedia of the Social Sciences e del Convegno di Sabaudia ’65, alle varianti di Kaplan, Anderson, Bauer, Houtart, Volpicelli..., per non parlare di quella, diventata ormai paradigmatica, del Dumazedier3.

Non vorremmo però che le giustissime preoccupazioni teleologico-etiche finissero per snaturare la nozione germinale – valida, anche se non totale – del termine. Infatti, «tempo-libero», originariamente, e tuttora nel linguaggio corrente, almeno esplicitamente non connotava niente di tendenziale o di «tesi». Si riferiva semplicemente ad una situazione fattuale, di tempo «non necessitato», generalmente da fattori economici. Soprattutto nel settore industriale (secondario) il progresso tecnologico forniva prodotti e servizi in maggior quantità, in minor tempo e costi minori: di qui, da parte degli operai, la rivendicazione di poter disporre di sempre maggior tempo non necessitato dalla produzione, ed il problema di come usare vantaggiosamente di questo tempo così «liberato».

Se, poi, riflessioni più attente hanno sviluppato una problematica più vasta, e distinta per settori disciplinari, per livelli personali e per mezzi strumentali, quel problema di fondo resta; ed, anzi, ingigantirà nei prossimi anni col rapidissimo perfezionarsi e generalizzarsi del progresso tecnologico (automazione) e con l’immissione di ulteriori grandi masse contadine nella produzione industriale.

In un secondo momento, «tempo libero» comprese non più soltanto, o principalmente, quello «liberato» rispetto al settore industriale, bensì anche quello liberato rispetto ai settori primario e terziario; anzi, pure quello liberato da ogni impiego richiesto dalle esigenze generali della vita: sia fisica (alimentarsi, ripararsi dalle intemperie, curarsi...), sia culturale (scuola d’obbligo e non d’obbligo, aggiornamento professionale...), sia sociale (tutte le prestazioni obbligatorie e consuetudinarie della vita civile), ecc. Sicché, per dirla col Guzzetti: «Tempo necessitato è quello che occorre per procurarsi i mezzi indispensabili per poter fare tutto ciò, ed il tempo occorrente per farlo effettivamente; “tempo libero”, invece, è quello che rimane quando si è soddisfatto il complesso di quei bisogni»4.

In questa accezione allargata, l’attenzione prima viene portata sul «lavoro» rispetto al «non-lavoro»: il tempo sarebbe «libero» più perché liberato «da» che perché liberato «per». Quindi l’attenzione si sposta sul carattere delle rispettive «occupazioni»: obbligatorie, in forza di costrizioni esterne, quelle del tempo «necessitato»; rimesse, invece, a libere scelte personali quelle del tempo libero. Questo elemento nuovo non è affatto arbitrario. Ma lo accompagna una sfocatura concettuale, che si rileva quando dai discorsi generici si passi ai casi pratici, magari per scoprire che uno stesso «tempo» concreto, ed una stessa occupazione, possono risultare insieme - sotto diversi aspetti – e «necessitati» e «liberi»5.

Manifestamente, la vita umana, individuale e sociale, nella sua complessità non si lascia incasellare in formole rigide, care alla nostra – un po’ frettolosa e pigra – intelligenza logicizzante. Perciò, anche del tempo libero, forse è vano cercare una definizione valida ad ogni uso: e prudenza consiglia di accontentarci di precisazioni terminologiche via via aderenti agli aspetti che se ne trattino, ed ai problemi che si discutano e che s’intendano risolvere; ben inteso: evitando di rilevare un aspetto tanto da negare o da ignorare gli altri, inerenti alla realtà globale di cui il tempo libero fa parte.

A questo proposito – oltre, come s’è detto, a non includere nella stessa nozione di tempo libero i fini ed i modi nei quali esso è, o dovrebbe essere, occupato –, occorre evitare ogni dicotomia manichea tra tempo necessitato, o di lavoro, e tempo libero. Manichea, per esempio, è quella, di estrazione marxista, secondo la quale «il lavoro» occuperebbe tutto il solatìo versante dei valori umani, mentre il tempo libero, socialmente improduttivo, occuperebbe quello opaco dei disvalori; concezione che potrebbe riecheggiare anche nella retoricizzante massima «Il lavoro nobilita l’uomo», nonché nella nostra Costituzione, là dove si afferma la Repubblica Italiana essere «fondata sul lavoro».

Ma non meno manichea sarebbe quella che, in assoluto, facesse del tempo libero il luogo privilegiato dei valori, assegnando ad esso in proprio la funzione di redimere i disvalori, tutti concentrati nel lavoro. Anche teologicamente parlando non ogni lavoro, pur se necessitato, deve considerarsi come una condanna, né la perfezione dell’uomo viatore consiste in una libertà totale ed assoluta. A prescindere, infatti, da quella della vita fisica (ricambio biologico), la sua libertà nasce condizionata dalle esigenze del tessuto sociale, nel quale egli è costituzionalmente chiamato ad inserirsi, nelle dimensioni, specialmente oggi, dell’umanità intera.

In realtà: tempo di lavoro e tempo libero sono, in sé, due situazioni socialmente ed eticamente in pari grado «neutre», «polivalenti». Che poi, in concreto, si qualifichino come valori o disvalori dipende, non tanto dalla fatica o dalla piacevolezza, dal lucro o dal non lucro, che li accompagni, né dalla necessità o dalla libertà rispetto a fattori esterni, quanto dall’animus dell’uomo che con le sue azioni o col suo riposo li riempia.

Di conseguenza, che l’uomo debba e possa disporre di una giusta quantità di tempo libero dal lavoro è certamente problema che va affrontato e risolto; e, parimente, va affrontato e risolto quello di come occupare il tempo libero di cui uno effettivamente disponga; ma l’uno e l’altro devono rientrare nel problema generale e totale dell’uso umano del tempo tout court, libero o necessitato che esso sia; rientrare nel problema fondamentale ed universale dell’uomo come tale: il senso e l’uso della stessa esistenza umana.

Senza dubbio, a questa esigenza si sono intonati quanti, nelle relazioni o negli interventi, sono tornati a richiedere che il tempo libero sia, di fatto, umanamente ed interiormente «liberante»: vale a dire, tale che renda l’uomo più integralmente umano, più libero rispetto alle proprie schiavitù interne, che possono condizionarlo ben più ferreamente che non le costrizioni esterne. In fondo, al limite, un lavoro, ed anche tutta una vita, esteriormente «necessitati» possono essere redenti in toto da un uomo interiormente libero, che sappia, come si dice, fare di necessità virtù; mentre non c’è tempo libero capace di redimere un uomo privo di libertà interiore.

Aspetti morali-religiosi

A questo punto pare che s’innesti naturalmente l’aspetto morale-religioso, come del lavoro così anche del tempo libero.

Scriveva Lino Curci: «Non potremo ridare un significato all’esistenza umana se non ricollocandola di fronte a Dio. Una restaurata religio della persona sarà possibile soltanto nel rinnovato equilibrio di un umanesimo cristiano che torni a innestarla nel suo destino trascendente e preveda il libero sviluppo della vocazione dell’uomo, mandato sulla terra a realizzare un divino pensiero, quello e non altro. Dio è alla base di questo processo, è la spinta: e l’individuo che si muove da essa vive poi una sua vita originale, legato all’Assoluto da cui proviene e tuttavia libero di una libertà che è; divina obbedienza»;6.

Che questo sia compito precipuo della Chiesa è pacifico; che poi gli uomini di Chiesa, clero e laici, l’abbiano finora, in Italia, sempre tempestivamente e sufficientemente svolto, almeno rispetto all’uso del tempo libero, non molti oserebbero affermarlo. Occorre, perciò, recuperare il tempo perduto, iniziando e dinamizzando un’attività pastorale del tempo libero su queste tre direttive: teologia delle realtà terrestri; catechesi di una morale-ascesi genuinamente evangelica; riscatto, almeno delle feste religiose, quale «tempo santificato».

Circa la prima, come le comunicazioni Benedetto e Nadotti opportunamente rilevano, i documenti del Vaticano II – e, primo tra essi, la Gaudium et spes – offrono principi fecondissimi. Non resta che accettarli, svilupparli e proporli in una visione ariosa e liberante del creato e dell’esistenza umana, ed, in essa, del tempo libero come luogo privilegiato di gioioso ed autentico possesso di sé, della natura e delle conquiste del progresso tecnico.

Ma, aggiornando questa teologia delle realtà terrestri, la Chiesa non ha in nulla innovato il senso della vita, tradizionale nel suo magistero: contrariamente a quanto certa pubblicistica orecchiante mostra di credere, irridendo ad una mentalità «preconciliare» in favore di una spiritualità «giovannea». La vita, per l’uomo, resta prova e missione, di cui sarà chiamato a rendere strettissimo conto; ed il tempo – sia esso necessitato o libero – resta talento da far fruttare secondo il disegno di Dio, nell’adempimento del doppio ed unico mandato della carità: «Ama il tuo Dio, ama il tuo prossimo» (cfr Mt 22,37). I veri valori restano quelli dell’essere, che il Padre vede in abscondito, e non quelli dell’avere, che le tarme intignano ed i ladri asportano (cfr Mt 6,19); e la contemplazione resta ancora, rispetto all’attività dispersiva, l’optima pars, che a nessuno, se non lo vogliamo, sarà dato toglierci (cfr Lc 10,42).

Queste verità, dunque, vanno inculcate, senza complessi di «matusa», anche circa l’uso del tempo libero, opponendo al mito regnante del benessere il non sempre facile dovere del buon essere, esortando a spezzare la spirale dei bisogni, alimentata dalla pubblicità invadente, tutta a servizio della macchina industriale-economica e niente a servizio dell’uomo; e perciò anche esortando l’uomo a distringere la morsa degli impegni quotidiani, settimanali, annuali, inserendovi corroboranti pause, in cui l’homo faber cessi di funzionare come macchina di produzione e di consumo, per diventare homo cogitans, homo creans e soprattutto homo orans.

Ciò vaie innanzitutto per la domenica e le grandi feste liturgiche. Purtroppo, nel dilagare dello spirito laico, va sempre più attenuandosi la sacra fisonomia del «Giorno del Signore», rinnovazione e prolungamento del mistero pasquale, «pregustazione dell’eterno, giorno di riposo di Dio che si fa il giorno del riposo dell’Uomo, perché questo si ricordi di quello cui è chiamato vocazionalmente, oltre ogni ambito e disposizione concreta entro il tempo dell’edificazione materiale e del rapporto sociale» (Comunicazione Camillucci). Quando non lo si occupi in altri laVori lucrativi, spesso il «riposo» non è sacro e doveroso omaggio, anche sociale, dell’uomo a Dio, padrone del tempo, datore e conservatore dei beni terreni, ma tempo quasi necessitato: dalla rituale partita, dall’escursione (che è miracolo se salva una Messa infreddolita e frettolosa), quando non dalla noia e dallo spettacolo di evasione, anche moralmente nocivo. E pure tra i praticanti, un’ormai anacronistica distinzione tra lavori servili e lavori liberali continua ad autorizzare nel Giorno del Signore, lavori professionali, gravosi convegni, lavori «liberali», anche di lucro...: che tutto sono meno che riposo come culto, «santificazione» della festa nella contemplazione, nella comunione dell’agape fraterna, nel penetrare la scienza di Dio, nel servizio di carità e di apostolato. Ma questa rinnovata missionaria catechesi circa la santificazione del riposo festivo va accompagnata da ulteriori aggiornamenti nella prassi e nell’organizzazione pastorale. Mentre, infatti, l’illuminazione sempre più diffusa, gli spettacoli serali e soprattutto l’invadenza della televisione, rendono sempre meno comode le pratiche cultuali mattutine, care alla declinante civiltà contadina, la motorizzazione ed il turismo, ormai non più privilegi di ricchi ma fenomeno di massa, rendono sempre meno funzionale una pastorale fondata unicamente sull’organizzazione parrocchiale.

Ovviamente, non toccava ai Convegno di giugno, come non tocca ad un partito, sia pure esso la Democrazia Cristiana, dettare programmi su questo argomento alla Chiesa; la quale, del resto, specialmente in questo post-concilio, ha dimostrato un – per alcuni – financo avventato spirito innovatore. Pare tuttavia che tocchi anche e specialmente ai politici che come tali si professino cristiani, apprezzare questo senso del sacro in quel tempo libero privilegiato che dovrebbero essere i giorni festivi di precetto, e tutelarlo, sia nell’attività legislativa, sia in quella amministrativa, almeno nell’àmbito del rispetto della persona umana e del riposo settimanale, secondo la lettura e lo spirito dei nn. 3 e 36 del dettato costituzionale.

Indicazioni pratiche

Ma con ciò già siamo entrati nella terza serie delle nostre considerazioni, vale a dire: nelle indicazioni pratiche, che dovrebbero scaturire da questa raccolta di studi e di esperienze sul tempo libero. Essa s’inizia con un augurio: che la D.C. anche fuori dei periodi pre-elettorali continui ad interessarsi a questo settore. Possiamo aver traveduto, ma, in passato, almeno rispetto agli strumenti della comunicazione sociale, c’è parso di vedere disinteresse ed assenze inesplicabili in un gruppo e movimento di opinione, qual è un partito; disinteresse ed assenze che, invece, non è dato rimproverare ad altri partiti, anche molto meno consistenti di essa. Oltre tutto, si tratta di un servizio di carità sociale – contrastare il pernicioso sopravvento di alcune classi imprenditoriali –, cui un partito di ispirazione cristiana dovrebbe essere sensibile, sì da trovarne un’efficace espletazione anche in sede di attività parlamentare.

La recente istituzione da parte della Direzione Centrale della D.C., di un «Ufficio del tempo libero» ed il sostanzioso esito di questo primo Convegno, fondano la speranza che questo augurio si avvererà. Ne seguano, dunque, e presto, altri, di questi convegni di studio, magari meno pletorici e più settoriali, opportunamente preparati. Occorre, infatti, lavorare con dati il più possibile precisi, completi ed aggiornati: su quanto sia effettivamente il tempo libero a disposizione degli italiani, su quanti e quali italiani ne dispongano in misura sufficiente, su come l’impieghino, su perché l’impieghino in alcune maniere piuttosto che in altre, ecc.

Giustamente è stato rilevato che il loisir, per dirla alla francese, rappresenta nel mondo odierno il più grosso fattore di trasformazione economica dopo la rivoluzione industriale, e che perciò lo Stato non può disinteressarsene. Ma sarebbe un bel guaio qualora lo Stato se ne interessasse soltanto, poniamo, ai fini turistici, trasformandosi a sua volta in un’impresa puramente imprenditoriale, e non anche a tutela dei valori più umani dei cittadini. Ecco, allora, tra i suoi compiti primari in questo settore quello di assicurare a tutti almeno il riposo festivo ed annuale, impedendo, per quanto è in esso, il lavoro straordinario non strettamente necessario, venga esso imposto, o prestato sottobanco; non solo vigilando all’osservanza delle leggi, in armonia col dettato costituzionale, ma anche riducendo in radice la spinta al superlavoro con l’assicurare a tutti retribuzioni giuste e livellate nell’ambito del lavoro ordinario.

A parte ciò, relatori ed interventi hanno, molto a proposito, deprecato ogni monopolistica azione dello Stato circa il tempo libero, tipo «dopolavoro» fascista; come pure ogni suo paternalistico intervento con più o meno velata coloritura ideologica. Ma, in pari tempo, l’hanno auspicato, quest’intervento, tempestivo e generoso, a sostegno ed incremento delle relative iniziative dei corpi intermedi. A questo scopo hanno invocato una programmazione e a tempi «lunghi» in favore delle strutture stesse del tempo libero, a cominciare da quelle urbanistiche, per continuare con quelle del turismo popolare (ostelli, motels, campings...), dello sport (palestre: non solo scolastiche o aziendali...) e di attività generalmente culturali: quali il teatro e le filodrammatiche, i cinema d’essai e per ragazzi, le biblioteche, le mostre viaggianti, i complessi corali e strumentali ecc. Pensiamo tuttavia che in questo settore si apra amplissimo il campo delle attività sussidiarie anche della D.C.: sia per approntare mezzi e strumenti per i propri iscritti, sia, e soprattutto, per predisporre quei fattori condizionanti personali, in mancanza dei quali le stesse strutture tecnicamente più efficienti restano inoperanti.

Tra questi fattori c’è, come s’è detto, il reddito economico: che occorre, quanto possibile, livellare, anche per evitare che il tempo libero operi come odioso differenziatore di classi; vale a dire, che, mentre apre ai ricchi le vie del turismo, del teatro, del concerto, ecc., non continui a confinare i meno abbienti nell’uso dei mezzi culturalmente meno nobili e socialmente meno aperti, quali certo cinema ed una televisione scacciapensieri.

Ma primo e principale fattore condizionante è il livello culturale. È vero: il tempo libero dovrebb’essere tempo liberante; ma è anche vero che sarà tale solo ed in proporzione della libertà interiore ,raggiunta da chi lo usi. «Quidquid recipitur — diceva l’antico adagio scolastico — ad modum recipientis recipitur»; cioè: «In definitiva, il profitto del recettore dipende dal suo grado di recettività».

Già questo vale sotto l’aspetto strettamente morale. «Se il tuo occhio è torbido – ammoniva Gesù – tutto in te sarà tenebroso» (Mt 6,23); e san Paolo di rincalzo: Omnia munda mundis (Tt. 1,15). Ma altrettanto vale sul piano semplicemente umano-culturale. Si avrà un bel mettere a disposizione di chi disponga di tempo libero mezzi e strutture ideali: essi resteranno deserti se troveranno masse semianalfabete e di gusti volgari; d’altra parte, produttori che si muovano in economia di mercato o che, in ogni caso, programmino secondo periodici indici di richiesta e di gradimento, non potranno non produrre merci e servizi culturalmente mediocri e bassi quando la domanda rivelerà diffuse carenze di istruzione e di gusto. Così resterà il circolo vizioso: da una parte la produzione e il consumo di prodotti e servizi volgarmente massificanti, perché tali la massa li richiede; dall’altra lo stagnare delle stesse masse a livelli avvilenti, perché abbondantemente use a quel genere di consumi.

Come romperlo, questo circolo vizioso, se non volgendo tutte le cure alla formazione il più possibile integralmente umana dei cittadini, a cominciare dall’istruzione di base, impartita durante l’età scolastica, per continuarla con l’educazione permanente (Volpicelli), durante tutta la vita? Proprio qui, se non erriamo, si offrono alla D.C. possibilità amplissime d’iniziative: a cominciare dal reperimento dei mezzi economici in sostegno di iniziative culturali; mezzi economici che, si direbbe, per tutto sono stati trovati e stanziati meno per l’ottimo degli investimenti, che è quello del miglioramento e qualificazione del materiale umano. «Sarà forse un po’ crudo il dirlo – scriveva recentemente G. Padellaro – ma se lamentiamo una sotto-cultura del popolo, dobbiamo con meno generica diagnosi individuarne le cause nell’avere «ritenuto inutile lo studio di un programma di sviluppo economicamente assicurato, atto a sostenere e a sistemare l’orientamento culturale dei cittadini»7.

Ciò vale, crediamo, soprattutto a proposito degli strumenti della comunicazione sociale – stampa, cinema, radio, televisione, ecc. -, i quali già si tagliano una grande fetta del tempo libero dell’uomo di oggi, e tenderanno per un bel pezzo a tagliarsela maggiore.

Relatori e comunicazioni tornano spesso su questo argomento. Con piacere si rileva che non indulgono agli accenti «apocalittici» che ricorrono, poniamo, in Huxley, Camus, Heidegger, Zolla ed in altri illustri atterriti saggisti sull’odierna civiltà tecnologica e su questi strumenti, che di quella sono insieme causa ed effetto tipici.

 

Invero – come, con realismo ottimistico li giudica il Vaticano II nell’Inter mirifica (n. 2) – si tratta di doni di Dio e di frutti meravigliosi dell’ingegno umano, in sé ambivalenti, dato che, se offrono alla famiglia umana grandi vantaggi sotto gli aspetti del sollievo, della cultura e della stessa vita spirituale, è anche vero che l’uomo può adoperarli contro i disegni di Dio e così volgerli a proprio danno. Che sino ad oggi troppo spesso si sia verificata piuttosto questa seconda ipotesi non è soltanto lo stesso Decreto conciliare a lamentarlo: bisognerebbe essere sordi e ciechi per non ammetterlo. Giustamente perciò viene ripetuto in questi Atti che occorre fare qualcosa affinché l’uso scriteriato di questi strumenti non faccia del tempo libero un tempo corruttore, un tempo allucinogeno o, nella migliore delle ipotesi, un tempo perduto. Però, forse, si è più insistito sui controlli giuridici a carico dei produttori, e meno sulla necessaria ed urgente istruzione-educazione dei recettori: istruzione-educazione, non solo generale culturale-estetica, di base e permanente, di cui sopra, ma specifica: riguardante cioè gli stessi strumenti, così nel loro insieme come per ciascuno di essi in particolare.

Augurabile, dunque, che la D.C. promuova un’azione legislativa per iniziare questa istruzione-educazione specifica nel quadro delle normali discipline scolastiche, predisponendo, bene inteso, le cose in modo che essa possa svolgersi poi ad integrale maturazione umana e non in storture ideologiche o in gonfiature estetizzanti. Urge, tuttavia, anche un’opera di iniziazione delle masse di adulti che già fanno uso ed abuso quotidiano di questi strumenti, e che, impreparate, sono esposte maggiormente alle loro lusinghe epidermiche ed evasive, che ai loro contenuti problematici ed impegnativi.

Ci riferiamo ai corsi elementari di filmologia, di televisione, di stampa...: alle esercitazioni che vanno comunemente sotto i termini di cineforum, stampaforum, discoforum, ecc., e ad altre simili iniziative le quali, certo, non mancano in Italia, ma che occorrerebbe moltiplicare e potenziare. Pensiamo che specialmente in questo settore si apra per la D.C. un campo larghissimo di iniziative, atte già in se stesse ad occupare utilmente non piccoli spazi di tempo libero, ma soprattutto ad avviare i recettori a scelte ed a funzioni responsabili nel molto tempo libero consumato nell’uso degli strumenti della comunicazione sociale.

* * *

Terminiamo con un altro augurio. Nel Convegno di giugno, tra l’altro, s’è fatta parola di una «Carta del tempo libero», e si sa che l’Ufficio della D.C. ne sta approntando il progetto. Che l’impresa riesca presto e bene; sicché il problema del tempo libero – rivalorizzato in tutte le sue dimensioni: etico-religiosa, culturale, politica, economica e giuridica – anche nelle proposte operative superi, e di molto, il vecchio refrain, piuttosto borghesuccio, del Blanchard: «Otto ore per lavorare, otto ore per riposare, otto ore per vivere e sognare».

1 Problemi e prospettive del tempo libero in Italia, Roma, Ufficio del Tempo Libero della D.C., 1968, in-8º, pp. 518. – Contengono nel testo integrale: due Saluti inaugurali (dell’on. ATTILIO IOZZELLI, dirigente dello stesso Ufficio, e dell’on. ANGELO SALIZZONI, della Presidenza del Consiglio dei ministri); cinque Relazioni (prof. FRANCO CRESPI: Significato e condizioni del tempo libero nella società italiana di oggi; prof. VITALIANO ROVIGATTI: Poteri pubblici e tempo libero in un regime democratico; dott. ANTONIO CIAMPI: Tempo libero e mezzi di comunicazione sociale; on. LEANDRO RAMPA: Tempo libero e attività sportiva; on. ADOLFO SARTI: Tempo libero e turismo); quattordici Interventi e ventitre Comunicazioni. Seguono le due Appendici: Indicazioni bibliografiche e Il Convegno nella stampa italiana. Il volume si apre con una Presentazione, che sostanzialmente viene ripresa in questa nostra Nota.

2 Cfr Civ. Catt. 1959, IV, 267-278.

3 È riportata nella Relazione Crespi, pp. 35-36.

4 In L’impiego del tempo libero come attuale problema sociale, cit. p. 208.

5 Pensiamo, ad esempio, al servizio militare: che non solo può essere «libero» ma che, anche quando è obbligatorio nel suo insieme, consente amplissimi spazi di scelte libere. Pensiamo al tempo, certo «necessitato», dei viaggi dei pendolari, che essi possono liberamente occupare – oltre che, poniamo, nella preghiera – in letture culturalmente corroboranti e politicamente orientative, oppure utilizzare sferruzzando maglie e merletti, oppure «ammazzare», come si dice, con le parole incrociate... E, per rifarci di nuovo al Guzzetti, pensiamo a due donne che confezionino corredini per neonati: per l’operaia, che lavori in serie in una industria, quello può essere un lavoro pesante, anonimo, da liberarsene non appena possibile, mentre per un’altra che aspetti il suo primo bambino, pur rientrando nel «necessitato», può essere il «lavoro» ideale per riempire il suo tempo libero.

6 L’esule e il regno, Bologna, Cappelli, 1955.

7 Informazione e cultura, Milano 1967, p. 63.

In argomento

Cultura - Scuola

n. 3363-3364, vol. III (1990), pp. 258-263
n. 3258, vol. I (1986), pp. 549-563
n. 3231, vol. I (1985), pp. 262-269
n. 3202, vol. IV (1983), pp. 362-368
n. 2917, vol. I (1972), pp. 30-39
n. 2856, vol. II (1969), pp. 576-580
n. 2824, vol. I (1968), pp. 376-378
n. 2744, vol. IV (1964), pp. 151-156
n. 2738, vol. III (1964), pp. 148-50
n. 2539, vol. II (1956), pp. 58-66
n. 2484, vol. IV (1953), pp. 694-697