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Articolo estratto dal volume III del 1964 pubblicato su Google Libri.

Il testo è stato corretto dai refusi di stampa e formattato in modo uniforme con gli altri documenti dell’archivio.

I riferimenti ai documenti del magistero pontificio sono stati resi interattivi e portano al sito del progetto “Chiesa e Comunicazione”, la biblioteca digitale online che prosegue l’attività iniziata da p. Baragli con le opere Cinema cattolico: documenti della Santa Sede sul cinema e Comunicazione Comunione e Chiesa.

ARTICOLO SU

È proprio vero che non tutto il male viene per nuocerei Pare che il Leone d’oro, infelicemente assegnato al pamphlet politico di Fr. Rosi nell’ultima Mostra veneziana, abbia fatto scoprire agli industriali italiani – e Finalmente!», è stato detto, – l’esistenza del cinema. Non, evidentemente, del cinema come mezzo per lanciare i prodotti delle proprie industrie (perché il fatto che la Rassegna del cinema industriale, svoltasi a Bologna dal 9 al 12 giugno di quest’anno, fosse già alla sua quinta edizione, e che presentasse un programma di film, eterogeneo, sì, ma fin troppo folto, deporrebbe piuttosto per il contrario), bensì del cinema come potente strumento di opinioni pubbliche.

Infatti Le mani sulla città; puntava il dito accusatore contro uno speculatore senza scrupoli, inducendo lo spettatore a conchiudere, indignato e convinto: Ecco che cosa sono gli industriali italiani; ecco le mascalzonate che essi continueranno a tramare indisturbati, se il partito comunista (notoriamente, l’unico a difendere i proletari dai soprusi del capitale!) non vigilasse. Ed ecco, allora, gli industriali reagire, coronando la Rassegna bolognese con un incontro

«Cinema-industria», nel quale – per dirla in lubrificatissimi termini ufficiali –, e esponenti degli ambienti imprenditoriali e cinematografici hanno approfondito i problemi relativi al rapporto tra cinema italiano e la civiltà industriale, anche e soprattutto per quanto riguarda il film spettacolare», ovvero, per dirla in termini casalinghi, gli industriali hanno chiesto ai cineasti ed ai cinematografari: Perché mai nei vostri film ci trattate cosi?

Non indulgeremo sulle risposte degli interpellati, scontatissime per quanti ne conoscono l’estrazione culturale politica e morale, ma sì sulla domanda stessa. E non tanto perché la categoria di persone che la pone sia stata particolarmente maltrattata dal cinema italiano; giacché, per esempio, clero e monache, guardie, carabinieri e soldati, politici magistrati avvocati medici maestri commercianti ed oneste donne di casa... non sono stati certo trattati meglio; quanto perché la categoria che la pone, a differenza delle altre, avrebbe potuto proteggersi da qualsiasi attacco sugli schermi, per il semplice fatto che dispone di quella pecunia alla quale oboediunt omnia; anche, dunque – per non dire «soprattutto» – cineasti e cinematografari.

Perché gli industriali non l’hanno fatto? – La commovente ingenuità da loro dimostrata nel porre la domanda, e nell’attenderne una risposta plausibile, ammette, ci pare, una sola spiegazione; ed è che essi ignorino tutto della situazione «politica» del cinema italiano. Ignorano, per esempio, – cose dette e ridette, purtroppo inutilmente, dal nostro periodico – che fin dall’immediato dopoguerra, nello schieramento delle forze politiche, gli unici che hanno fermamente creduto nel cinema sono stati i marxisti, e che, coerentemente – ignavia o cecità dei cattolici (anche posti molto in alto) aiutando – se ne sono impadroniti come di un feudo, e che come tale da vent’anni lo vanno sfruttando; ignorano che registi, soggettisti, sceneggiatori, attori ecc. in massima parte sono sufficientemente intelligenti, o scettici, per non aderire all’ideologia marxista, ma che si adattano a passare per marxisti, o almeno per non avversi al marxismo, perché se no, o non trovano lavoro, o, se lo trovano, lavorano in perdita, restando tagliati fuori dalle giurie, dai convegni, dai concorsi, dai premi e dal battage della critica; perché sono i critici – pure questo ignorano gli industriali! – che nel cinema fanno il nuvolo e il sereno, e questi critici, per le stesse ragioni di foraggiamento, passano in gran parte per marxisti, mentre marxiste sono quasi tutte le riviste e le collane editoriali cinematografiche... Stante siffatta situazione di monopolio, perché meravigliarsi se sugli schermi italiani la figura dell’industriale, espressione del capitale, viene vilipesa o ridicolizzata, mentre il proletario viene compianto come vittima o esaltato sempre come purissimo eroe? e come sperare che questa faziosa contrapposizione non continui, se la situazione di monopolio è stata predisposta, attuata e mantenuta proprio in funzione di lotta di classe?! L’unica cosa da fare è smantellare la cittadella del culturame cinematografico marxista, opponendo iniziative a iniziative, premi a premi, correnti di critica a correnti di critica, riviste e collane editoriali a riviste e collane editoriali...

Non, evidentemente, per opporre un altro odioso monopolio di fatto in difesa di una categoria di persone – la cui migliore difesa, del resto, resta l’onestà nella vita e negli affari –, oppure di un’altra ideologia; ma, prima di tutto, per porre i molti cineasti e cinematografari, ancora disponibili, in condizione di lavorare secondo la loro libera fantasia o il loro legittimo interesse economico, senza pagare umilianti pedaggi al conformismo marxista; ma poi, e soprattutto, per creare finalmente i nuovi quadri umani che occorrono per la produzione, l’esercizio e la critica di un cinema per lo meno «civile», ed anche culturalmente, artisticamente e moralmente degno.

Non è tempo, dunque, d’incontri e di colloqui, che nella migliore delle ipotesi sono tempo buttato e, nella peggiore, incrementano illusioni negli industriali e confusione nel pubblico; ma è tempo di fatti. Come hanno capito egregiamente e da tempo i marxisti, il problema è prevalentemente economico; va dunque risolto con stanziamenti adeguati alla bontà ed all’urgenza dell’impresa. E siccome, in questi chiari di luna, dal governo a questo proposito pare che ci sia poco o nulla da sperare, l’onere viene a cadere in gran parte sugli industriali.

Ma è poi un onere? - Ne dubiteremmo anche se volessimo restare nella corta prospettiva dell’incontro bolognese. Infatti, risolto il problema generale di un cinema «civile», sarebbe risolto anche quello particolare delle calunnie contro gli industriali, come contro qualsiasi altra categoria. Ma perché mai limitarsi ad essa? Perché non portare interessi ed animi verso la più ampia e nobilissima missione di civiltà e di cultura che, non solamente nel cinema, bensì anche rispetto a tutti gli strumenti della comunicazione sociale, oggi si apre al capitale? Non è forse anche, o meglio: soprattutto, agli industriali che si è rivolto il decreto Inter mirifica del Vaticano II, là dove rileva la sconvenienza «che i figli della Chiesa tollerino che la parola della salvezza resti inceppata ed ostacolata dagli oneri, certo ingentissimi, richiesti da questi strumenti», e là dove invita «insistentemente le società e i singoli, che dispongano di rilevanti possibilità economiche... ad aiutare generosamente con i loro mezzi... le iniziative che abbiano genuini compiti culturali...»?

* * *

Al convegno di Bologna è stato proposto agli industriali di devolvere a sostegno della boccheggiante industria cinematografica italiana una parte dei miliardi di cui essi verranno a disporre in seguito alla nazionalizzazione delle industrie elettriche... Lasciamo ogni allegro commento. Per conto nostro siamo certi che sostanziosi investimenti a pro della cultura e della civiltà della nazione, piuttosto prima che dopo, si rivelerebbero molto più redditizi, anche economicamente. Ché non è certo la presenza sempre più attiva dei marxisti negli strumenti che fanno il brutto e il bello nell’opinione pubblica a garantire sonni tranquilli agli industriali, anche e soprattutto se onesti!

In argomento

Cultura - Scuola

n. 3363-3364, vol. III (1990), pp. 258-263
n. 3258, vol. I (1986), pp. 549-563
n. 3231, vol. I (1985), pp. 262-269
n. 3202, vol. IV (1983), pp. 362-368
n. 2917, vol. I (1972), pp. 30-39
n. 2856, vol. II (1969), pp. 576-580
n. 2827, vol. II (1968), pp. 58-66
n. 2824, vol. I (1968), pp. 376-378
n. 2744, vol. IV (1964), pp. 151-156
n. 2539, vol. II (1956), pp. 58-66
n. 2484, vol. IV (1953), pp. 694-697