Articolo estratto dal volume IV del 1964 pubblicato su Google Libri.
Il testo è stato corretto dai refusi di stampa e formattato in modo uniforme con gli altri documenti dell’archivio.
I riferimenti ai documenti del magistero pontificio sono stati resi interattivi e portano al sito del progetto “Chiesa e Comunicazione”, la biblioteca digitale online che prosegue l’attività iniziata da p. Baragli con le opere Cinema cattolico: documenti della Santa Sede sul cinema e Comunicazione Comunione e Chiesa.
Riprendiamo il discorso della cultura cinematografica e dei cattolici in Italia. Finora non c’era da stare molto allegri. Tra opere originali ed opere tradotte, nell’editoria del ramo noi facevamo la figura di parenti poveri, se non di parassiti. I luminari che si rispettano, le autorità che fanno testo, erano «gli altri»: autori estranei o apertamente ostili al nostro mondo filosofico-morale, tra i quali la truppa dei (pochi convinti e dei molti mercenari) marxisti.
I danni di questa situazione erano palesi. Intanto, la loro massiccia presenza nei settori della produzione, della critica e della politica cinematografica veniva a beneficiare del lustro della cultura, mentre la nostra presenza finiva col passare per moralismo oscurantista; inoltre, l’uso quasi obbligato dei loro trattati, manuali e saggi anche da parte delle nuove leve nostre continuava a mantenere tra di noi, più o meno vivaci ed avvertiti, indirizzi e simpatie estetico-politicp-morali di estrazione idealistica o materialistica, o, quanto meno, agnostica. Ciò quando, a conti fatti, raramente la cultura di quei «luminari» e di quelle «autorità» risultava seria e sicura, fondata com’era su di un nozionismo empirico e su illazioni soggettive, quando non anche su dommatismi di parte, più che sui saldi principi filosofici e sui sicuri strumenti logici del nostro patrimonio culturale e religioso.
A ragion veduta, quindi, il nostro periodico è tornato più volte a notare quanto fosse intollerabile siffatto stato di cose ed a rilevare tutta l’urgenza di mutarlo a nostro favore, argomentando, fra l’altro, che proprio sul terreno della cultura si combattono battaglie ben più redditizie e risolutive che non, poniamo, su quello degli interventi censòri e delle denunce, tanto su piano religioso-ecclesiastico quanto su quello giuridico-politico; di conseguenza, non ha mancato di richiamare tempestivamente l’attenzione dei lettori su ogni nuova presenza culturalmente qualificata che andava elevando di tono l’editoria del cinema, anche se, più spesso, per rammaricarsi che, ad avvantaggiarsene, era ancora il campo avversario.
Ma oggi, con la pubblicazione di alcuni saggi e trattati eccellenti e «nostri», la situazione pare che tenda, finalmente, a rovesciarsi a nostro favore. Di qui la fiduciosa compiacenza con la quale li presentiamo.
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Secondo quanto promette il titolo, il bel volume di A. Mura: Film, storia e storiografia1, prima prende in esame il film in rapporto alla storia, impostando, discutendo e, per quanto possibile, risolvendo le due questioni: quale valore possa riscuotere il film come documento storico e quali possibilità abbia il discorso filmico come narrazione storiografica (in altre parole: se e come il film possa contribuire alla storia pensata e scritta); quindi considerando il cinema come oggetto di storiografia (vale a dire: se e come la storia pensata e scritta possa trattare del cinema).
Forse l’àmbito dell’argomento potrà sembrare ristretto e troppo specializzato rispetto agli interessi culturali e morali con cui ci siamo introdotti; ma non è così. In realtà, una discussione esauriente delle due serie di problemi investe l’essenza stessa del cinema e del film, con tutta la rosa dei fenomeni e delle realtà disparatissime che la costituiscono e ne dipendono. E l’autore non ne schiva nessuna, sicché il suo discorso spazia dal terreno dell’arte e dell’estetica a quello della cronaca e della storia, da considerazioni e dati tecnici ed economici a dottrine filosofiche antiche e moderne, dalla teorica generale della comunicazione intenzionale ai fenomeni psicologici e sociologici implicati con essa..., via via fino alla letteratura, specialmente drammatica, alle arti figurative, alla musica, all’etica...
A parte, dunque, il godimento che al lettore deriva da queste pagine tanto ricche di cultura e di intelligenza quanto semplici e piane, il loro merito specifico principale resta nel supporre e nel proporre una visione del cinema e del film equilibrata, matura e razionalmente sicura rispetto alle principali referenze culturali che lo innervano e che storicamente lo ambientano; perciò lo liberano dai tanti luoghi comuni che, come la gramigna, prosperano nell’editoria cinematografica, soffocandone le poche verità acquisite. E non è che il Mura polemizzi, almeno di proposito. Egli, fiducioso nella forza della verità, si limita ad esporre, e da sé «cinema» appare come termine equivoco; perciò vanno a farsi benedire tante semplificazioni che correntemente ne falsano e non ne risolvono i problemi. Parla di «comunicazione filmica» a preferenza di «linguaggio», evitando estrapolazioni dall’espressione propria del termine a quella metaforica; e rivede le bucce anche alla frettolosa (quando non interessata) uguaglianza tra cinema (o film) ed arte; e vengono ridimensionati critici e storici (per conto nostro abbiamo pensato anche al Kracauer di Cinema tedesco, alla Eisner dello Schermo demoniaco, ed anche al Pandolfi di Il cinema nella storia...); e viene giudicata come si merita la ignoranza (o la malafede?) di tante zelanti riesumazioni «storiche» recenti del fascismo, nonché di certi film «religiosi», raccomandati, dicono, nientedimeno, anche da cardinali americani...
Insomma, per noi la lettura di questo saggio è stata una vera gioia dello spirito; perciò, pur dissentendo su qualche punto – per esempio circa la drastica distinzione tra cinema muto e sonoro, che il Mura ha in comune con lo Schwob – lo poniamo tra i pochi che meritino di far parte di una ideale selezionata biblioteca specializzata.
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Ma con i (per ora) tre volumi di R. May, N. Taddei e G.F. Bettetini, una promettente presenza culturale dei cattolici del cinema assume un peso particolare, mostrandosi appoggiata ad un’impresa editoriale, che – se dal mattino si vede il buon giorno – promette bene.
Il primo volume è Le tecniche della realizzazione cinematografica, di R. May2. Il suo autore da una trentina d’anni va pubblicando articoli e saggi sull’argomento (e recentemente anche sulla televisione) alternando al lavoro della penna quello dell’insegnamento e della moviola. La sua multiforme competenza ha riscosso meritata notorietà anche all’estero; e se in Italia non gli ha fruttato i posti e gli onori di cui godono altri suoi ex compagni di viaggio, forse più furbi ma certamente non più competenti, una causa può individuarsi nel suo mancato omaggio al conformismo marxista. Si tratta di una guida informativo-didattica «che intende informare il lettore sul processo che presiede alla nascita di un film, dalla prima idea al momento in cui il film stesso, completato e concluso il suo ciclo industriale e commerciale, viene proiettato in una sala pubblica agli spettatori» (p. 13); e di una guida sicura e completa, differenziandosi dalle decine di manuali d’iniziazione, coloriti ed aneddotici ma superficiali ed approssimativi, che si trovano sul mercato, venendo quindi incontro a chi intenda diventare veramente competente in materia. Insomma: oltre questo livello non resta che quello dello specialista-professionista.
Eccone lo schema generale. Parte prima: La pre-realizzazione (L’idea – Il tema - Il soggetto – La scaletta – Il trattamento – La pre-sceneggiatura – La sceneggiatura – Tecnica della sceneggiatura – La «visualizzazione» – Finanziamento ed organizzazione – Piano di lavorazione e preventivo – Il regista nella preparazione del film). Parte seconda: Il materiale e i mezzi tecnici (La pellicola – La macchina da presa e gli accessori – La tecnica della ripresa sonora – Il teatro di posa e i mezzi tecnici). Parte terza: La realizzazione (L’organizzazione – I mezzi tecnici del racconto per immagini – Tecnica della ripresa – L’illuminazione – Il truccaggio – La recitazione – Tecnica della ripresa). Parte quarta: Dalla realizzazione alla proiezione (Lo sviluppo e la stampa – Preliminari del montaggio – Pratica del montaggio – Doppiaggio, montaggio e preparazione delle colonne – Il missaggio e l’edizione del film – Il cinema a colori – Lo stereocinema e le nuove tecniche – Il cinema italiano neorealista). Conclusione.
Come si vede, nulla di nuovo nell’argomento, nella sua divisione e sviluppo. Il nuovo è nella completezza e nella serietà dell’informazione, nel rigore della documentazione anche illustrativa, entro e fuori testo, e nella bibliografia. Qua e là non mancano estrose punte polemiche, che tradiscono gli interessi culturali e morali del May, tutt’altro che relegati a quelli puramente tecnici.
A sua volta, il Trattato di teoria cinematografica, del padre Nazareno Taddei S.I.3, costituisce una novità assoluta, almeno sotto due aspetti. Primo: l’ampiezza d’impostazione, appunto trattatistica, e di sistemazione teorica, esauriente l’argomento: «allo studio, infatti dell’immagine cinematografica, che costituisce l’oggetto del presente volume — premette l’autore — seguirà quello della struttura, ed infine quello dell’estetica» (p. 11). Secondo: si ha il primo serio incontro tra filmologia e cultura filosofico-scolastica. L’autore, infatti, parte, se non proprio dalle tesi esplicite, almeno dal pensiero assimilato della philosophia perennis, e ne adotta il metodo nel chiarificare concetti e termini, nel discutere le proposizioni, nel graduale raggiungimento delle conclusioni e nel coordinamento delle stesse. Si veda, a questo proposito, l’illuminante parallelo-confronto tra segno verbale ed immagine schermica (p. 261 ss.). L’autore è stato uno dei primi a rilevarlo nella sua apoditticità illuminante. Scolasticamente parlando non fa una grinza, ma quante grinze toglierebbe, se ben compreso, a tanti bistorti ragionamenti polemici ancor oggi in corso a proposito di cultura ed incultura della parola e dell’immagine!
Probabilmente il procedimento riuscirà ostico alla cultura ridotta di molti, anche noti, saggisti e teorici del cinema. Per conto nostro riteniamo che questa sia la via per fare della filmologia, finalmente, una disciplina che non si debba vergognare rispetto alle altre discipline universitarie, e godiamo che a segnare questa via sia un cattolico, un sacerdote, un italiano.
Proprio la struttura trattatistica del volume ci impedisce di riassumerlo. Ci limitiamo perciò a qualche rilievo generale.
Le tre parti del trattato (I: L’Immagine cinematografica come immagine, II: L’Immagine cinematografica come segno; III: L’Immagine cinematografica come linguaggio) sono integrate da sufficienti tavole fuori testo e da una nota bibliografica (forse troppo abbondante in titoli e scarsa in indicazioni orientative).
L’autore, uomo di studio, ma anche di pratica, conosce ottimamente l’argomento. Ciò gli permette un’esposizione originale, scarsamente dipendente da quanto possono aver scritto o detto altri autori. Tuttavia non è che li ignori. Si veda, ad esempio, come affronta e smonta il vieto problema del montaggio come specifico essenziale ed assoluto (p. 119 ss.), come tratta degli annosi «fattori differenziati» di Arnheim (per esempio: circa il bianco-nero ed il colore), e come ridimensioni il luogo comune dell’asincronismo pudovchiano (p. 187 ss.). Di particolare rilievo è poi quanto l’autore, mettendo a profitto la sua competenza di musicista, espone e sistematizza sul ritmo dell’immagine cinematografica, non legandolo esclusivamente alla durata dell’inquadratura (p. 127); interessanti anche le aperture che l’autore, specialmente esemplificando, si concede su singoli problemi cinematografici (per esempio: sul neorealismo: p. 113 ss.), e su singoli film: per esempio, Riccardo III (p. 27), Dies lrae (p. 105), Stromboli (p. 119), Arpa birmana (p. 140), A double tour (p. 155)...
Ovviamente l’accordo di fondo con quanto l’autore va esponendo lascia libero al lettore di accedere o meno ad alcuni particolari, sia di forma sia di sostanza. Per conto nostro, troviamo la forma qua e là un po’ troppo abbondante, oltre che disuguale di tono. Nuoce al testo forse la provenienza da vere e proprie lezioni svolte nell’insegnamento orale (che per altro gli giova come chiarezza espositiva). Rileviamo anche le molte esemplificazioni di argomenti e di tono, come dire?, «domestico», ed i quattro o cinque excursus dottrinali che, tra l’altro, salvo errori, temiamo anticipino quanto l’autore dovrà trattare negli altri due volumi progettati. Vero è che il lettore digiuno di filosofia scolastica ha bisogno di un certo inquadramento d’idee: ma resisterà a quelle che reputerà digressioni non necessarie?
Circa la sostanza, sempre movendoci nel largo campo degli opinabili, si potrà discutere sull’accezione di simbolo, di asemantico, ecc. proposta dal Taddei, e su altri punti minori. Di maggior rilievo, invece ci pare, quanto riguarda l’accezione del termine linguaggio, applicato al cinema, come correntemente si fa, non in senso traslato; quindi la quasi esclusiva importanza attribuita al cinema come linguaggio proprio, quasi ignorando il rilievo sociologicamente amplissimo che il cinema può avere, e che di fatto ha, anche come strumento di registrazione di altri modi di espressione-comunicazione... Opinabili, tuttavia, che sostanzialmente non diminuiscono fa sodisfazione di avere per le mani questo volume, né rattiepidiscono il desiderio di avere quanto prima anche gli altri due promessi.
Il milanese ingegner Gianfranco Bettetini si raccomanda per molti titoli comuni al padre Taddei, del quale, del resto, è discepolo e collaboratore. Egli, infatti, è docente, autore di vari saggi sul cinema, apprezzato regista televisivo e cinematografico, e, qualità rara tra laici, anche cattolici, bene introdotto nella filosofia scolastica.
Questo suo grosso volume: Il segno: dalla magia fino al cinema4, può considerarsi come la prima opera del genere scritta da un uomo dello spettacolo, aperto ai più disparati interessi culturali, entro i quali lo spettacolo stesso è manifestazione totalizzante. Eccone lo schema generale:
Premesse. – Parte prima: Natura e tipologia del segno. – Parte seconda: Il segno interiore (Natura del segno interiore in se stesso – Natura del segno interiore nel suo manifestarsi – La vita del segno interiore nell’individuo – La vita del segno interiore nella storia dell’umanità). Parte terza: Il segno razionale (Natura del segno razionale in se stesso – Tipologia del segno razionale – Natura del segno razionale nel suo manifestarsi – La vita del segno razionale nell’individuo – La vita del segno razionale nella storia dell’umanità. Le scritture). Conclusione provvisoria.
Non, propriamente parlando, trattato, anche se del trattato possiede la quantità di argomenti toccati e, qua e là, anche l’ordinato sviluppo espositivo, è molto più di un saggio. Si direbbe piuttosto una seria analisi, ma più acuta che sistematica, dell’«uomo che comunica»: con se stesso, con l’oggetto e col suo simile; perciò un’analisi delle varie fasi della comunicazione umana, della conoscenza e dei processi dell’autocoscienza: dalle primitive comunicazioni magiche alle più evolute forme razionali, sino alle soglie dei fantasmi che oggi si muovono sugli schermi del cinema e della TV.
Che la lettura ne sia sempre agevole non giureremmo. Forse gioverebbe al volume uno sfrondamento della materia, più esorbitante che copiosa, ed un ricorso meno parco all’esemplificazione, là dove concetti e fatti comunicativi, cui l’autore si riferisce, è da presumere che siano familiari soltanto a specialisti. Tuttavia frequentemente queste pagine offrono aperture culturali di grande interesse. Ricordiamo, a caso, quelle sull’induzione e sull’intuizione (pp. 285-305), sul superamento della «legge» nel cristianesimo e nella sua liturgia (p. 149 ss.), sulla mimica dei Moudras e su alcune costanti delle culture indiana e cinese (p. 125 ss.), sull’origine e lo sviluppo della comunicazione linguistica (p. 231 ss.) e sull’attitudine dei segni a diversi tipi di comunicazione (p. 250 ss.), sull’esistenza di schemi di linguaggio preconcettuali tanto nello sviluppo dell’individuo quanto in quello del genere umano (p. 258 ss.) ecc.
Ma riteniamo che, come nel saggio del Mura, il pregio principale del Bettetini risiede nell’affrontare con serietà, con buona preparazione personale nonché con ricca conoscenza di autori, un insieme, si direbbe non omogeneo, di fenomeni e di problemi – segno, linguaggio, espressione, spettacolo, arte... –, sotto la formalità di «comunicazione umana». Prescindendo anche dalla felice concordanza di questo denominatore comune con la terminologia, non senza validi motivi, adottata e proposta dal Decreto del Vaticano II Inter mirifica, ci pare che questa sia la via culturalmente più feconda e giusta per affrontare in maniera originale, tra gli altri, i vari problemi che, non senza imprecisioni terminologiche e concettuali, vanno sotto i termini di Mass media, Mass communication, «civiltà delle immagini», audiovisivi, ecc.
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Che anche la cultura cinematografica venga ad inquadrarsi in questo insieme, e che ciò avvenga su iniziativa di autori cattolici, non può non essere motivo di grande sodisfazione e di maggiori speranze. Non resta, dunque, che augurarci che alle speranze seguano, costanti e durature, le attuazioni.
1 A. MURA, Film, storia e storiografia, Roma, Ediz. della Quercia, 1963, in-16º. pp. 314. L. 2.800.
2 R. MAY, Le tecniche della realizzazione cinematografica. (Dal soggetto allo schermo), Milano, Ediz. i 7, 1964, in-16º, pp. 475. L. 3.800. Come epilogo e coronamento vi avremmo letto volentieri il suo magistrale Dal cinema al cinemavarietà, pubblicato in apertura di numero in Bianco e Nero, 1964, nn. 4-5.
3 N. TADDEI, Trattato di teoria cinematografica. I: L’immagine . Ivi, 1963, in-16º, pp. 346. L. 3.800.
4 G. BETTETINI, Il segno: dalla magia fino al cinema, Ivi, 1963, in-16º, pp. 376. L. 3.800.