NOTE
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1 CONGREGAZIONE PER L’EDUCAZIONE CATTOLICA, Orientamenti per la formazione dei futuri sacerdoti circa gli strumenti della comunicazione sociale (19 marzo 1986). Dello stesso documento Prima appendice e Seconda appendice.

2 Cfr E. BARAGLI, Massmediologia e formazione seminaristica. Un magistero attento ai «Segni dei tempi», in Civ. Catt. 1986 IV 26-39.

3 Con Lettera circolare, datata 7 febbraio 1971 e indirizzata a 40 Rappresentanti Pontifici, cui fecero riscontro 36 risposte.

4 Per una documentazione completa in argomento cfr E. BARAGLI, L’inter mirifica, Studio Romano della Comunicazione Sociale, Roma 1969, 261-101; lD., Comunicazione e pastorale, ivi, 1974, 38-48.

5 E non «Commissione», come le dieci che elaborarono gli altri documenti conciliari, tanto l’idea originaria dello stesso Giovanni XXIII era stata lontana dal ritenere i mass media argomento da trattare in Concilio. Egli, infatti, aveva pensato piuttosto a un organismo incaricato di assistere, durante il Concilio, i giornalisti e, in genere, il mondo dell’informazione, analogo a quello del «Segretariato per i fratelli separati», incaricato, infatti, di assistere gli «Osservatori» nei lavori del Concilio. Compito che poi, di fatto, venne assegnato, prima alla Segreteria Generale del Concilio e, poi, all’apposito Comitato Stampa.

6 Stante l’accezione negativa con la quale i due termini erano (e sono ancor oggi) usati da non pochi massmediologi, che U. Eco direbbe «apocalittici»: per i quali «mezzi» e «comunicazioni» si direbbero «di massa», perché effetto loro proprio e necessario sarebbe la «massificazione» dei recettori. Ma, come precisa anche la nota 16 degli Orientamenti, «nel linguaggio corrente niente vieta di usare, per brevità, la più comune dizione mass media (e massmediologia): come, del resto, avviene in non pochi documenti del Magistero, e in questo stesso Documento”.

7 Questa nell’accezione originale del n. 58 della Mater et Magistra di Giovanni XXIII (1961), che la dà quale «progressivo moltiplicarsi di rapporti di convivenza, con varie forme di vita e di attività associata, ed istituzionalizzazione, privata e pubblica».

8, Gli Orientamenti la riportano, nella nota 11, dagli Acta Synodalia S.ti Concilii Oecumenici Vaticani II, vol. V, Periodus Prima, Pars III, 375.

9 Gli estratti di 92 di essi sono riportati in E. BARAGLI, L’Inter mirifica, cit., 580 s.

10 Ad esempio: «Il cardinale Michael Browne, vescovo di Galwav (Irlanda), si meravigliava che non vi si parlasse del teatro, antiquissimum medium communicationis socialis, intorno al quale tanto hanno scritto Padri e teologi: e si meravigliava che non si parlasse dello scandalo, dato che la dottrina morale di questi strumenti nei trattati di morale si trova proprio nel capitolo dello scandalo e sulle sue occasioni. Quindi proponeva alcune varianti di terminologia connesse con le necessarie precisazioni concettuali» (E. BARAGLI, L’Inter mirifica, cit., 1 ss).

11 Sette anni dopo, la soluzione garberà poco agli estensori dell’istruzione pastorale Communio et progressio, i quali, quasi a correggerla, dedicheranno al teatro – detto «uno tra i più antichi e potenti generi della comunicazione umana» – i quattro numeri 158-161 di tutto un paragrafo.

12 Lo stesso E. MASCILLI MIGILORINI, che intitola la sua «ipotesi per una metodologia» Le comunicazioni sociali (Montefeltro, Urbino 1972), nota: «L’uso della definizione “comunicazione sociale” ha raggiunto una diffusione cosi estesa, che la sua volgarizzazione è avvenuta a costo di una considerevole perdita di precisione» (p. 16).

13 Cosi, per esempio, «per le (o delle) comunicazioni sociali» vengono correntemente dette, sia la Pontificia Commissione, sia la Giornata Mondiale, l’una e l’altra, secondo l’Inter mirifica, propriamente istituite come «degli strumenti della comunicazione sociale». Un «Centro interdisciplinare delle comunicazioni sociali»; opera nella romana Pontificia Università Gregoriana, e, sempre in Roma, uno «Studio paolino internazionale delle comunicazioni sociali»; (SPICS) è gestito dai Paolini; mentre una «Scuola di specializzazione in comunicazioni sociali» opera presso la milanese Università Cattolica del Sacro Cuore.

14 Cfr, in proposito, E. BARAGLI, Mass media e Group Media, in Civ. Catt. 1979 I 351. Due recenti esempi di terminologie incerte e approssimative li offrono gli Statuti dell’UNDA (19 gennaio 1983) e del Centro televisivo Vaticano (22 ottobre 1983). Nei primi, infatti, si tratta, sì, di radio e di televisione, ma alternate, non solo con mass media e con communications sociales, ma anche: due volte con moyens audiovisuels, due volte con moyens de communication audiovisuels, e sei volte, tout court, col singolare l’audiovisuel. Nei secondi si tratta una volta di «comunicazioni sociali, specialmente audiovisive», e due volte di «strumenti audiovisivi: con speciale riferimento alla installazione ed esercizio di reti di impianto di diffusione sonora e televisiva».

15 Oltre, come subito si dirà, nel susseguente n. 10, il documento, al n. 25 della Seconda Appendice li proporrà quali «sussidi pastorali contigui ai mass media».

16 «In America Latina, negli ultimi 25 anni, sono sorti una trentina di centri di preparazione tecnica lai mass media. Ora abbiamo dei laici ben preparati sotto questo aspetto, ma scarsamente preparati sotto il profilo dottrinale e apostolico. Potrebbe la Commissione aiutare gli episcopati con opportuni orientamenti per risolvere questo problema, al quale finora non è stata data risposta soddisfacente, almeno in America Latina?» (così mons. G. Prat, vescovo di Cochabamba [Bolivia], in G. CAPRILE, Il Sinodo dei Vescovi 1983, Civiltà Cattolica, Roma 1985, 519).

17 In verità, per la formazione di tutti i recettori, tanto l’Inter mirifica (ai nn. 10 e 16) quanto la Communio et progressio (ai nn. 67-69 e 89), chiamano in causa la famiglia, la scuola e la Chiesa. Quindi i seminaristi si dovrebbero supporre, almeno in qualche misura, già formati. Ma i fatti troppo spesso dimostrano che occorre supplire, o almeno completare, quanto da altri non è stato eseguito.

18 In proposito, lo stesso n. 11 prosegue: «Sicuri che all’insegnamento teorico s’accompagni una certa esperienza pratica in un adeguato uso degli strumenti stessi: sia per far prendere conoscenza agli alunni, con progressiva maturità, delle costanti culturali e politiche, religiose e morali, delle produzioni e programmazioni in corso; sia per poter valutare le tecniche moderne con realismo e senso critico. Di qui la convenienza che i seminari e gli istituti d’istruzione siano dotati di un’adeguata attrezzatura operativa».

19 Partendo da La comunicazione umana quale fondamentale, e oggi più che mai complesso e determinante fenomeno socio-antropologico (nn. 1- 16), i primi capitoli ne richiamano nozioni, terminologie, caratteristiche (nn. 1-2), e l’evoluzione epocale: da quella dei semplici «mezzi» a quella degli «strumenti» (nn. 1-4). Passano, quindi, alle ricerche, studi, teorie e autori della comunicazione massmediale nel suo insieme (nn. 1-8), alla presentazione dei singoli mass media oggi in via d’integrazione, e alle loro funzioni socio-culturali, quali lo svago, l’informazione, la propaganda-pubblicità e l’opinione pubblica (nn. 13-16). Entrando, quindi, nell’ambito religioso quattro capitoli (nn. 17-20), sotto il titolo Mezzi e strumenti di comunicazione e Chiesa, trattano: a) degli eventi socio-culturali e politico-religiosi connessi con la comunicazione e la rivelazione veterotestamentaria, e con la comunicazione tout court nella storia della Chiesa; b) dell’evoluzione nella prassi e nella normativa della Chiesa rispetto all’uso dei mezzi e degli strumenti; e) dei 6 più rilevanti documenti del Magistero romano su questi; infine d) di una prospettata «teologia dei mass media». Nel settore seguente, Pastorale dei mass media in generale, 14 capitoli (nn. 21-34) trattano, nell’ordine: doveri e diritti della Chiesa in argomento; condizioni di efficacia nell’uso dei mass media; relative istituzioni ecclesiali: al centro, internazionali, nazionali e diocesane; mass media e predicazione (e annessi sussidi), mass media e liturgia, mass media e sacramentaria; problemi etici e deontologici connessi col diritto-dovere dell’informazione, con la propaganda e pubblicità, e con la dinamica e i contenuti delle pubbliche opinioni. Seguono tre capitoli (nn. 30-32) su particolari questioni teologico-pastorali e ascetico-culturali connesse con i mass media: l’informazione nella Chiesa, l’opinione pubblica nella Chiesa, mass media e stati consacrati. Infine, altri 2 (nn. n-14) trattano del necessario adeguamento generale, prima didattico e poi pedagogico, indotto oggi dai mass media. Alla Pastorale dei singoli mass media appartengono i 3 ultimi capitoli (nn. 35-37) dell’Indice degli argomenti, ovviamente dedicati: il primo alla stampa, il secondo al cinema, il terzo alla radio-televisione.

20 «Infatti, più o meno direttamente, confluiscono in esse tutte, si può dire, le scienze dell’uomo: dalla semiologia, la linguistica, la filosofia, la psicologia, la sociologia, l’antropologia sociale e culturale [...], alla pedagogia, la didattica, la tecnologia, l’economia, il diritto e le arti: figurativa e musicale, narrativa e drammaturgica [...]; nonché, soprattutto per gli avviati al sacerdozio, la teologia, la morale e la pastorale».

21 «In pratica, nella formazione di base, di questo Indice converrà tener presenti almeno i nn. 1-6 sulla comunicazione umana in generale; i nn. 9-11 sui suoi odierni strumenti; il n. 12 sulla loro attuale evoluzione telematica; i nn. 13-16 sulle loro funzioni; il n. 19 sul Magistero ecclesiale in argomento; il n. 32 sull’uso della comunicazione massmediale da parte degli stati consacrati. Si tratta di esporli e spiegarli a sufficienza, in una ventina di lezioni, agli inizi della vita seminaristica, per poi aggiornarli ed applicarli in esercitazioni pratiche sui singoli media [...], adeguate ai livelli di studio, durante tutta la permanenza in seminario. Invece, nella formazione pastorale, occorre che tutti gli argomenti vengano ripresi e trattati esaurientemente da rispettivi competenti [...]: o in un congruo numero di lezioni e di esercitazioni, distribuite, secondo l’affinità della materia, nei curriculi filosofico e teologico [...], oppure strutturate in un curriculo a sé stante».

22 Al n. 13 della silloge, l’accorata esortazione rivolta da Paolo VI, il 7 luglio 1964, al I Congresso Nazionale dell’Associazione Cattolica Esercenti Cinema (ACEC): «Procurate di ben conoscere il pensiero della Chiesa su quanto riguarda la vostra attività; non vi dispiaccia di anteporre alle teorie dei maestri profani, alle idee di moda degli artisti, dei critici, dell’opinione pubblica, gli insegnamenti tanto meditati, tanto autorevoli, tanto umani del Magistero ecclesiastico. La dottrina nostra, anche in questo campo, ove fenomeni in continua l’evoluzione e le opinioni sono ogni giorno nuove e volubili, non è catena molesta, che frena il nostro passo nel seguire fatti e idee in rapido movimento, ma è sostegno sicuro per non restarvi sommersi, è criterio di giudizio che ci aiuta a comprendere, a tutto giudicare e classificare rettamente, è sorgente di pensiero e di esperienza, che qualifica chi la possiede a tenere il campo con autorità, con onore, con capacità di guida, di comprensione e di aiuto». Gli farà riscontro il n. 19 del conciliare Presbyterorum ordinis affermando: «Per poter dare una risposta esauriente ai problemi della vita degli uomini d’oggi è necessario che i presbiteri conoscano a fondo i documenti del Magistero, specie quelli dei concili e dei romani pontefici».

23 Ci si riferisce alla distorta critica giornalistica postconciliare, che in questo ventennio ha consolidato l’opinione di un’Inter mirifica quale «un incidente conciliare», e di una Communio et progressio quale tardiva, ma provvidenziale restauratrice dello stesso. Sembra impossibile che, ancora oggi, si possa affermare: «Quando Paolo VI promulgava l’Inter mirifica, una clausola finale lasciava capire che i Padri conciliari non erano del tutto contenti del testo [...]. Dopo otto anni, nel 1971, ecco che la Communio et progressio viene accolta con entusiasmo dalla Chiesa e nel mondo dei professionisti» (L. E. Metzinger, in Documentación CELAM, luglio-dicembre 1983, 168).

24 Dal n. 8 della Communio et progressio, che a sua volta, senza citarlo, si rifà al n. 24 della Gaudium et spes. Al quale numero rimanda, per due volte, la recente enciclica di Giovanni Paolo II Dominum et vivificantem (nn. 59 e 62).

25 Cfr E. BARAGLI, Verso una teologia degli strumenti di comunicazione sociale, in Civ. Catt. 1970 II 141; ID., C’è una teologia dei mass media?, in Miscellanea Lateranense XL-XLI (1975) 526; Verso una teologia dei mass media, in La rivista del clero italiano, maggio 1983, p. 445; Dalla comunicazione alla comunione, in Palestra del clero, 1º dicembre 1984, p. 1424.

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Articolo estratto dal volume I del 1987 pubblicato su Google Libri.

Il testo è stato corretto dai refusi di stampa e formattato in modo uniforme con gli altri documenti dell’archivio.

I riferimenti ai documenti del magistero pontificio sono stati resi interattivi e portano al sito del progetto “Chiesa e Comunicazione”, la biblioteca digitale online che prosegue l’attività iniziata da p. Baragli con le opere Cinema cattolico: documenti della Santa Sede sul cinema e Comunicazione Comunione e Chiesa.

ARTICOLO SU

I recenti Orientamenti per la formazione dei futuri sacerdoti circa gli strumenti della comunicazione sociale1, emanati dalla Congregazione per l’Educazione Cattolica, punto di arrivo – come si è visto2 – dell’apertura culturale-pastorale operata, in argomento, dal Magistero romano nel cinquantennio 1935-86, rispondono a tre precise complementari indicazioni conciliari e postconciliari. Del 1963 è, infatti, il decreto Inter mirifica, che, trattando della necessaria «specifica formazione teorica e pratica di tutti i recettori», la prescrive «per le scuole cattoliche di ogni grado», quindi anche «nei seminari» (n. 16). È, poi, del 1971 l’istruzione pastorale Communio et progressio, applicativa dello stesso decreto, la quale, a proposito dei seminaristi quali futuri operatori dei mass media, precisa: «Per non restare estranei alle realtà della vita, e non arrivare impreparati ai loro compiti di apostolato, i futuri sacerdoti [...] nei seminari [...] apprendano come questi mezzi influiscano nella società umana, ed anche la tecnica di usarli; e quest’apprendimento sia considerato quale parte integrante della loro formazione. Infatti, senza di esso nessuno può esercitare un apostolato efficace nel mondo d’oggi, ogni giorno più condizionato da questi strumenti» (n. 111).

Ma già nel 1970 la Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis della Congregazione per l’Educazione Cattolica, occupandosi dei futuri sacerdoti anche quali future guide dei fedeli, aveva rilevato: «Sommamente conviene che i sacerdoti sappiano farne buon uso, cioè non li subiscano passivamente, ma siano capaci di darne un giudizio critico. Ciò, tuttavia, sarà possibile solo se in seminario verranno educati da persone competenti, tanto nella teoria quanto nella prassi [...], sicché rispetto a questi strumenti siano in grado di imporsi una disciplina, di educare i fedeli e di usarli efficacemente nell’apostolato» (n. 68).

Si trattava di indicazioni generiche, che le competenti conferenze episcopali dovevano tener presenti nell’approntare le Rationes per le rispettive nazioni, da concretare poi nei programmi di studio e nei regolamenti dei singoli seminari. Compito tutt’altro che agevole – attinente com’era a un settore didattico-formativo del tutto nuovo – come, poi, accertò un’inchiesta avviata sette anni dopo dalla stessa Congregazione in tutti i seminari, maggiori e minori, dei territori di diritto comune3. Risultò infatti che, ancora nel 1978, nella maggior parte di essi il problema era, sì, più o meno avvertito, ma poco o nulla attuato. Anche per la carenza dei necessari sussidi tecnici ed economici, e per la mancanza di docenti preparati a svolgere programmi organici in argomento; ma soprattutto per una carente precisazione previa dello stesso oggetto e ambito proprio della proposta iniziazione-formazione, e dei suoi tre distinti scopi e livelli.

Soprattutto, perciò, su questi due ultimi punti – conditio sine qua non dei precedenti – gli attuali Orientamenti cercano di fare chiarezza.

Termini propri di un ambito proprio

Alcuni odierni mezzi e veicoli tecnologici di comunicazione nella pubblicistica laica vengono pensati prevalentemente nella visuale socioantropologica dell’estensione dei loro recettori: «masse»; sono, perciò, correntemente detti mass media. Spesso non è così, invece, nell’ambito ecclesiale; dove, infatti, si è portati a rilevarne piuttosto altri aspetti – ad esempio: morale, o didattico-pastorale – conformandovi le relative terminologie, spesso improprie, se non anche ambigue; a rettificare le quali pare che poco sia valso anche il peso del Vaticano II. Vale la pena perciò di ripercorrere alcune vicende di cui siamo stati testimoni e parte4, atte, tra l’altro, a chiarire il curioso iter percorso dai mass media per far parte delle materie conciliari.

Cominciamo col ricordare che la Commissione Antipreparatoria (1959), primo prologo del futuro decreto conciliare, – pur incaricata di trattare «delle nuove tecniche audiovisive: cinema, radio e televisione», alle quali «poteva [sic!] essere aggiunta la stampa» – venne detta «Dei mezzi moderni di apostolato». Il taglio tutto pastorale e non sociologico, e la sua incongrua terminologia, non senza qualche frutto vennero subito denunciati dalla Commissione; tanto che, nel motu proprio Superno Dei nutu (1960), al secondo organismo preconciliare in argomento venne affidato il compito «di trattare tutti i problemi attinenti ai moderni mezzi di diffusione del pensiero, quali la stampa, la radio, il cinema, la televisione, ecc.». Tuttavia questo Segretariato5 – che preparò lo schema di costituzione De instrumentis communicationis socialis – venne purtroppo etichettato «Della stampa [quale?] e dello spettacolo [quale?]»; etichetta che, nella bolla Appropinquante Concilio (1962) restò attaccata – non si sa perché – alla X Commissione conciliare, detta infatti (se ne rilevi il taglio ancora moralistico-censorio) De fidelium apostolatu: de scriptis prelo edendis et de spectaculis moderandis. Ciò nonostante gli estensori dell’Inter mirifica si adoperarono – almeno nel testo del decreto con pieno esito – a chiarirne termini e contenuti. Evitati, dunque, perché inadeguati o impropri, alcuni termini e locuzioni ricorrenti nelle varie aree linguistiche – come «audiovisivi» (= aid visuals, audiovisuels), techniques (o moyens) d’information o de diffusion (collective)... ; ed esclusi anche, perché potenzialmente compromettenti per un Concilio, i più ricorrenti mass media (e mass communications)6; ed estraendo però da essi i tre dati – della «comunicazione», della «tecnicità» e della «socializzazione»7 – necessari e sufficienti per caratterizzare tutti e soli i mezzi della nuova realtà socioantropologica, approdarono alla definizione «Strumenti della comunicazione sociale»: di proposito solo e sempre usata – oltre che nel titolo – ben 35 volte nei 24 numeri dell’Inter mirifica, e così esplicitata nel primo numero della stessa:

«Il genio dell’uomo, soprattutto ai nostri giorni, ha tratto dal creato [...] meravigliose invenzioni tecniche. Tra queste la Chiesa accoglie e segue con speciale sollecitudine [...] quelle che hanno aperto nuove vie per comunicare con la più grande facilità notizie, idee e insegnamenti. Tra queste invenzioni spiccano quegli strumenti i quali, di loro natura, sono capaci di raggiungere e muovere, non solo singoli individui, ma le stesse moltitudini, e tutta intera la società umana – quali la stampa, il cinema, la radio, la televisione ed altri delle stesse caratteristiche -: che possono quindi a ragione dirsi strumenti della comunicazione sociale».

Purtroppo l’innovazione terminologica passò quasi del tutto inavvertita e inosservata dagli stessi Padri conciliari, in massima parte nuovi alla materia, nonostante che lo schema di costituzione conciliare da essi discusso in aula sul finire del primo periodo (1962) recasse la seguente «Dichiarazione»8:

«Ai membri del Segretariato è sembrato necessario accogliere la proposta degli esperti in materia, e di proporre, per designare queste recenti invenzioni, la denominazione STRUMENTI DELLA COMUNICAZIONE SOCIALE: da usare, in avvenire, anche nella legislazione ecclesiastica e nei documenti pastorali. Tale denominazione, innanzitutto rileva l’originale tecnicità; di questi mezzi; quindi la loro funzione strumentale, per la quale contenuti intenzionali, espressi da un agente umano, vengono comunicati ad altri; infine l’impatto che rapidamente ne consegue nell’intero complesso sociale».

Tant’è vero che, nei loro stessi interventi in aula9, i Padri spaziarono a volontà in terminologie e in contenuti, andando dall’arte all’oratoria sacra, dall’editoria libraria (Sacra Scrittura, Indice dei libri proibiti...) al teatro, a proposito del quale fu addirittura necessario giungere a un compromesso. Infatti, nella redazione del terzo schema ridotto (1963), per evitare l’opposizione di alcuni Padri10 – che non avrebbe certo agevolata la già difficoltosa navigazione conciliare dello schema –, si giudicò opportuno trattarne, curando tuttavia di inneggiare, sì, al teatro, ma in termini ortodossi. Onde nel numero 14 del decreto – dopo aver trattato dei tre «strumenti»: stampa, cinema e radio-televisione –, la chiusa... diplomatica: «Infine si faccia in modo che la nobile e antica arte del teatro, che oggi questi strumenti vanno largamente diffondendo, contribuisca all’armonico sviluppo culturale e morale degli spettatori»11.

Le cose non sono andate meglio in questo postconcilio. Mentre, infatti, da parte della pubblicistica laica non sono mancati apprezzamenti positivi verso la nuova terminologia conciliare il suo contenuto specifico, in ambito ecclesiale, non escluso quello magisteriale romano, non si è attuata l’auspicata uniformità terminologica, né quella dei contenuti. Si è, invece, continuato a trattare di «mezzi» e di «comunicazioni di massa», di «strumenti» e di «tecniche audiovisive», di una generica onnicomprensiva «comunicazione sociale»12 e del suo confusionario plurale «le comunicazioni sociali»13 come sinonimi, non avvertendo che in generiche «comunicazioni sociali» possono rientrare, ad esempio, anche il telefono, la posta, il turismo, il folklore, l’urbanizzazione ecc. Inoltre, pur trattando di mass media, ci si è allargati, non solo all’editoria libraria, ai bollettini parrocchiali, al teatro, alle canzoni, ai balli, ma anche al telefono, ai dischi, alle cassette, agli audiovisivi in genere, ai vari group media, multimedia, minimedia14.

Occorreva, dunque, fare un po’ d’ordine. A questo scopo gli Orientamenti, già nell’Introduzione (n. 7) rilevano, sì, come «altre necessità pastorali possano richiedere che ci s’interessi anche allo studio e alla pratica di altri mezzi e strumenti di espressione e di comunicazione, quali il teatro, le arti figurative...»15, ma fissano «l’oggetto proprio e diretto dell’iniziazione ed educazione ai mass media come intesi dal decreto conciliare Inter mirifica, poi assecondato anche dal nuovo Codice di diritto canonico»; quindi, ribadito che, occorreva differenziare le questioni proprie dei mass media da quelle che non direttamente toccano l’oggetto specifico di questo Documento» (n. 10: Principi comuni), consigliano:

«a) di curare – per quanto lo consentano le rispettive espressioni linguistiche – un uso corretto dei termini, tenendo presenti le diverse accezioni nelle quali dai vari autori, e nelle diverse scuole, le differenti terminologie vengono correntemente usate. Ciò valga specialmente rispetto all’accezione giuridica che la terminologia conciliare ha assunto anche nel nuovo Codice di diritto canonico;
«b) in particolare si ritengano e si trattino come “strumenti della comunicazione sociale” soltanto la stampa quotidiana o periodica d’informazione, il cinema, la radio, la televisione, e altri aventi le stesse caratteristiche tecnologico-comunicative; distinguendoli, sia da altri mezzi di espressione che, per quanto rilevanti, siano meno specifici (ad esempio, il teatro), sia da tecniche similari (ad esempio, l’editoria libraria), oppure complementari agli “strumenti” propriamente detti, quali i dischi, le cassette, le diapositive, i group media, i multimedia, i minimedia ...
«c) tenendo conto dell’accelerata globale evoluzione tecno-sociologica verso la tecnotronica e la telematica, di cui i mass media sono, insieme, oggetto, fattori e specchio, è necessario trattare non esclusivamente dell’uno o dell’altro di essi (del solo cinema, della sola televisione...), ignorando gli altri (ad esempio, la stampa); né conviene trattare soltanto di qualche aspetto peculiare di alcuni di essi (ad esempio, solo della cultura o civiltà “dell’immagine”); ma anche e soprattutto del loro insieme, e di tutti i loro aspetti e problemi più ricorrenti tra gli autori più noti: quali il “dialogo del mondo”, il “villaggio cosmico”, l”’uomo unidimensionale”, l’“uomo computer-informatizzato”...
«d) infine, tra questi e altri macrofenomeni socio-culturali, occorre dare il più ampio spazio a quelli dell’informazione, della propaganda e pubblicità, della cosiddetta “opinione pubblica”, dell’uso del tempo libero [...], in quanto specificamente connessi con gli stessi strumenti».

Formazione integrale a tre livelli

Non scarseggiano – neanche nel mondo ecclesiale, europeo e non europeo – corsi e altre iniziative di formazione ai mass media. Ma, stando ai programmi che se ne conoscono, essi sembrano quadrare poco o nulla con la «formazione dei futuri sacerdoti»16; perché, od oscillano tra un avvio pratico professionale, per lo più giornalistico, dei frequentanti, e una loro specializzazione culturale-accademica; oppure, curano, sì, nella scuola o altrove, una formazione dei recettori ai mass media, ma attenendosi soltanto: o al loro aspetto formale-estetico (gli artisti), o a quello ideologico-politico (i marxisti), o a quello etico-religioso (i moralisti). Opportunamente, quindi, gli Orientamenti cominciano, nel n. 9, col distinguere la vera e propria iniziazione e formazione dei futuri sacerdoti in tre gradi o livelli:

«li primo, di base, riguardi l’adatta e specifica formazione dei recettori; vale a dire di tutti i lettori, gli spettatori e ascoltatori dei mass media; è da impartire, perciò, a tutti gli alunni di seminario indistintamente, in quanto tutti rientrano tra i recettori17.
«Il secondo, pastorale, riguardi la futura attività sacerdotale, sia per poter formare a loro volta i fedeli al retto uso dei mass media, sia per poterne fare essi stessi valido uso nell’apostolato; è perciò da impartire a tutti i futuri sacerdoti.
«Il terzo livello, specialistico, riguardi “quanti già operino nei mass media, o che, mostrando speciale inclinazione, si preparino a operarvi”, come pure quanti s’avviino all’insegnamento e formazione sui mass media nei due primi livelli».

Quindi gli Orientamenti passano, col n. 11, a esigere, «soprattutto nei due primi gradi, di base e pastorale, un’iniziazione e formazione quanto più possibile integrale»; non solo «dando la dovuta attenzione anche a un’appropriata prassi didattica»18, ma anche e soprattutto «interessandosi in ogni caso alla formazione e alla tutela di personalità pienamente umane nei recettori, aprendoli a quei valori psico-sociologici ed etico-culturali che i mass media vastamente coinvolgono [...]; e interessandosi, insieme, alla maturazione cristiana degli stessi, perché nel responsabile uso dei mass media sappiano poi vivere tutta la loro vita sacerdotale in modo arricchente e fecondo». Un’idea dell’impegno dottrinale e della visuale didattico-pedagogica propria dell’apertura culturale e pastorale del magistero odierno, che queste due integrali iniziazioni e formazioni, di base e pastorale, di fatto richiedono, la danno – anche nel loro progredire dal socio-antropologico all’ecclesiale-pastorale – i ben 37 capitoli dell’Indice degli argomenti, che il documento propone nella Seconda Appendice19.

Come gli stessi Orientamenti rilevano nel presentarlo, nella sua complessità quest’Indice non fa che riflettere l’interdisciplinarità propria della scienza e dello studio della comunicazione umana e, in essa, di quella massmediale odierna20. Perciò un insegnamento adeguato di tutti e singoli i mass media e, insieme, di tutte e singole le discipline da parte di un solo docente non è pensabile. Non per nulla i massmediologi si limitano, in genere, ad approfondire, ciascuno, l’uno o l’altro medium o disciplina, conforme ai propri interessi culturali o professionali; e lo stesso fa l’editoria in argomento. Ma questo, se porta gli Orientamenti a suggerire, nel n. 25, il ricorso alla docenza e all’editoria specializzata, e a commisurare qualità e quantità degli argomenti ai primi due gradi e livelli d’insegnamento21, li fa sempre insistere sull’«uomo totale» come scopo ultimo di ogni formazione.

Infatti, al n. 16 suggeriscono per i recettori: «Si curi l’aspetto tecnico specifico dei singoli strumenti [...]. Si riservi molta attenzione anche alle strutture economiche, politiche, giuridiche o ideologiche che, nelle rispettive aree nazionali e culturali, ne condizionino [...] i messaggi. Inoltre, si tengano presenti [...] gli aspetti culturale ed estetico in connessione con le altre discipline e con altri veicoli e forme di espressione e di comunicazione – quali la storia, la filosofia, la letteratura, la drammaturgia, le arti figurative, la musica [...] –, sì da raccordare ad esse quella “scuola parallela”, e spesso contrapposta, che sono i mass media».

E suggeriscono, al n. 23, per la formazione pastorale: «Converrà non ignorare, almeno nei loro punti essenziali, le varie tematiche socio-culturali – tecnologia, telematica, antropologia culturale, sociologia, economia, semiologia e linguistica, psicologia e pedagogia, ecc. – in quanto connesse con la comunicazione umana attuata con i mass media e con le tecnologie più recenti. Nelle stesse tematiche si inquadrerà quella propriamente religiosa e morale-pastorale degli strumenti della comunicazione sociale. Conviene, infatti, tener presente sempre “l’uomo totale”, che gli stessi strumenti investono sotto l’aspetto individuale e sociale, prima come uomo, poi come credente e cristiano, la cui piena tutela e promozione, specialmente oggi, la Chiesa assume come compito della propria cura pastorale».

Sicurezza dottrinale

Con siffatta interdisciplinarità, specialmente per i docenti dei corsi di secondo livello, non sarà certo facile evitare – come esigono gli Orientamenti al n. 12 – «ogni superficialità e improvvisazione» dottrinale. Di qui, secondo il documento, la necessità, quando si tratti di discipline profane, di tenersi aggiornati su quanto gli studiosi più accreditati vanno pubblicando intorno ai mass media, purché, poi,

«nel parteciparlo agli alunni, distinguano bene il certo e dimostrato dall’ipotetico e opinabile, il definitivo dal transitorio, il circoscritto dal generale, i fatti dalle loro interpretazioni ideologiche: ciò specialmente quando da teorie e proposte particolari si facciano derivare norme di comportamento e di prassi pastorale».

Quando si tratti, poi, del «copioso Magistero della Chiesa in argomento», gli Orientamenti auspicano che «tutti [i docenti] se lo rendano familiare, l’accolgano fiduciosi e lo propongano con oggettività»; quindi ne orientano la conoscenza offrendone, nella Prima Appendice, una silloge di 42. estratti, in ordine cronologico, dal 1935 al 198522, e nel testo indicando tra essi i 7 principali «che un docente cattolico di mass media dovrebbe avere costantemente presenti».

Li precede l’enciclica di Pio XI sul cinema Vigilanti cura (29 giugno 1936), sempre memoranda in quanto primo e organico intervento del Magistero romano su un mass medium tanto «profano», con esiti dottrinali e normativi che si estesero (e perdurano) in tutta la Chiesa. Seguono i Due Discorsi sul film ideale, proposti il 21 giugno e il 28 ottobre 1955 da Pio XII al mondo cinematografico italiano e internazionale: vero trattatello sull’argomento, ancor oggi valido.

Viene, terza, l’enciclica di Pio XII Miranda prorsus (8 settembre 1957), di particolare rilevanza in quanto presenta la sintesi più armonica e completa di tutto ciò che, sul cinema, il Magistero e la disciplina romana erano andati disponendo in 98 documenti precedenti; e lo fa trattando anche della radio e della televisione; e per la prima volta inserendo la trattazione dei tre mass media in una globale visione antropologico-cattolica sulla comunicazione umana in generale e sulla moderna-tecnologica in particolare.

Segue, quarto documento, la Lettera della Segreteria di Stato alla 42e Semaine Sociale de France: Nancy-1955 (14 luglio 1955); pietra miliare nello sviluppo della dottrina cattolica in argomento per aver trattato, per la prima volta, di tutti i mass media, stampa compresa, nel loro insieme, anche se qualificandoli, come voleva il tema della Semaine: «techniques de diffusion».

Chiudono il gruppo i tre documenti oggi più attuali in quanto frutti del Vaticano II. Primo viene il decreto conciliare Inter mirifica (4 dicembre 1963): silloge sostanziale, estesa a tutti gli strumenti della comunicazione sociale, di quanto di più valido e duraturo il Magistero romano, in un secolo e mezzo, era andato acquisendo e disponendo specialmente circa il cinema e la stampa. Seconda viene l’istruzione pastorale Communio et progressio (23 maggio 1971): la quale, decretata come applicativa del decreto conciliare, di fatto si è tanto sviluppata e aperta da meritare – almeno per la sua ampiezza e per i tre nuovi argomenti in essa trattati – la qualifica di odierna Magna Charta della Chiesa sui mass media. Vengono, infine, i 9 canoni del nuovo Codice di diritto canonico (25 gennaio 1983) in argomento; mentre, quasi come sussidi e fonti per aggiornare il tutto secondo singoli interessi pastorali del tempo, la serie si chiude con i 19 «Messaggi» che i sommi pontefici Paolo VI e Giovanni Paolo II hanno via via inviato nelle Giornate Mondiali degli strumenti della comunicazione sociale».

Gli Orientamenti non suggeriscono indicazioni particolari per l’uso di tutti questi documenti romani. Tuttavia resta inteso che occorrerà sempre tener presente il loro diverso peso magisteriale. Ché, altro, ad esempio, sarà quello di un discorso e di un messaggio del papa, altro quello della sua enciclica dottrinale. In particolare, altro sarà quello di un’istruzione di una commissione pontificia, come la Communio et progressio, e tutt’altro sarà quello di un decreto conciliare, come l’Inter mirifica23.

«Dalla comunicazione alla comunione»

L’Indice degli argomenti, al n. 20, a proposito di una teologia dei mass media chiede di trattare: 1) se essa sia utile o necessaria; 2) quali ne siano i requisiti; 3) quali siano, sino ad oggi, le proposte avanzate; 4) quali elementi ne offra il Magistero: dalla Miranda prorsus alla «tesi» della Communio et progressio.

Le quattro questioni partono da questi antefatti. Una decina di giorni prima che l’Inter mirifica venisse approvato e promulgato dal Concilio, alcuni Padri francesi giudicarono lo schema «bolso e privo di fondamento dottrinale»; e Noël Copin, corrispondente del parigino La Croix – oggi redattorecapo dello stesso –, coniò il sonante tri-slogan di un decreto «privo di contenuto sociologico, di approfondimento filosofico e di fondamento teologico». Allora e poi nessuno rilevò che Padri e corrispondente parigino, digiuni di massmediologia, avevano ignorato: che non esisteva, come ancor oggi non esiste, una laica comune teoria sociologica sui mass media; che tanto meno esisteva, come oggi non esiste, una generale indiscussa teoria filosofica sugli stessi; infine, che se, nella Chiesa, esisteva una sufficiente teologia della comunicazione divino-umana in generale, non ne esisteva una recepta communis particolare sui mass media; mentre non era compito del Concilio inventarne una, anche perché da nessuna parte, entro e fuori il Concilio, se n’erano fatte richieste. Tuttavia, come avviene nei boom di opinione, il terzo rintocco del sonoro tri-slogan tanto alimentò le critiche giornalistiche sul decreto, che gli estensori della Communio et progressio credettero doveroso colmare la biasimata lacuna, dedicando a una teologia dei mass media quasi tutta la sua prima parte (nn. 6-18): «Gli strumenti della comunicazione sociale nella visione cristiana: elementi dottrinali».

In questa visuale teologica – però opportunamente distinguendo tra le diverse «comunicazioni» – procedono i tre numeri degli Orientamenti: il primo, sulla scia della Miranda prorsus (nn. 2-4-2 5), trattando della «Comunicazione umana: dono di Dio»; il secondo, seguendo la Dei Verbum (nn. 4 e 7), trattando de «La rivelazione e la comunione»: prima profetico-veterotestamentaria, poi del Figlio, quindi apostolico-ecclesiale; e il terzo – appunto seguendo la Communio et progressio –, proponendo, soprattutto a proposito della comunicazione massmediale, la «tesi» – «ogni comunicazione tenda alla comunione» –, con i suoi due modelli divini:

«Il Magistero postconciliare ha additato nella “comunione” il termine ideale di ogni “comunicazione”: così interpersonale come “di massa”; e ha posto in risalto analogie e convergenze con due divini esemplari di perfetta comunicazione-comunione. Il primo è in Gesù Cristo, “Comunicatore perfetto” [...]. L’altro esemplare è nell’altissimo mistero dell’eterna comunicazione-comunione del Padre del Figlio e dello Spirito Santo, uniti in una sola vita divina»24.

Siffatta ardita analogia di comunicazione-comunione nei mass media con quella cristologica e trinitaria non sembrerà gratuita a chi ricordi le molte eresie cristologiche e trinitarie che, soprattutto nei primi secoli, provarono la Chiesa. Esse, infatti, provenivano in gran parte dalla difficoltà che i nostri limitati intelletti umani incontrano nel concepire e nell’ammettere tipi di comunicazione personale tanto intimi da realizzare, sì, tra i comunicanti, la più stretta unione, però mantenendone integre le essenze e la perfetta distinzione. Così, rispetto all’unione ipostatica del Cristo, vi fu chi cercò di superare le difficoltà, o – come Nestorio – salvando tanto l’interezza delle due nature da farne anche due Persone, in una comunicazione-comunione soltanto morale; mentre altri vi furono che cercarono di salvare la reale unità, ma: o – come gli ebioniti, Paolo di Samosata e soprattutto Ario – privilegiando la natura umana del Cristo a spese di una sua ridotta natura e Persona divina, oppure – come i doceti, gli apollinaristi e i monoteliti – accentuando la natura e la Persona divina a spese di una sua ridotta natura umana. E la stessa erronea alternativa sviò le controversie e le eresie trinitarie.

Anche nella comunicazione massmediale ci si trova a superare una non agevole simile antinomia. Da una parte, usare dei mass media in modo da attuare, com’è di loro natura, il massimo di socializzazione, ma, dall’altra, non permettere che ciò avvenga a danno delle persone umane, massificandole. Si tratta, infatti, di tutelare la crescita umana di queste persone come conditio sine qua non per realizzare – anche per tramite dei mass media – la piena comunione di tutti gli uomini tra loro e con Dio invocata dal Cristo: «Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola» (Gv 17,21).

Questa è la tesi e questo è il modello che, convinti della loro bontà, da quindici anni andiamo proponendo25. Non ci resta, dunque, altro che auspicare che gli Orientamenti dati dalla Congregazione per l’Educazione Cattolica per la formazione dei futuri sacerdoti circa i mass media giovino ad attuarla, a loro utile personale e a utile delle persone ad essi affidate.

1 CONGREGAZIONE PER L’EDUCAZIONE CATTOLICA, Orientamenti per la formazione dei futuri sacerdoti circa gli strumenti della comunicazione sociale (19 marzo 1986). Dello stesso documento Prima appendice e Seconda appendice.

2 Cfr E. BARAGLI, Massmediologia e formazione seminaristica. Un magistero attento ai «Segni dei tempi», in Civ. Catt. 1986 IV 26-39.

3 Con Lettera circolare, datata 7 febbraio 1971 e indirizzata a 40 Rappresentanti Pontifici, cui fecero riscontro 36 risposte.

4 Per una documentazione completa in argomento cfr E. BARAGLI, L’inter mirifica, Studio Romano della Comunicazione Sociale, Roma 1969, 261-101; lD., Comunicazione e pastorale, ivi, 1974, 38-48.

5 E non «Commissione», come le dieci che elaborarono gli altri documenti conciliari, tanto l’idea originaria dello stesso Giovanni XXIII era stata lontana dal ritenere i mass media argomento da trattare in Concilio. Egli, infatti, aveva pensato piuttosto a un organismo incaricato di assistere, durante il Concilio, i giornalisti e, in genere, il mondo dell’informazione, analogo a quello del «Segretariato per i fratelli separati», incaricato, infatti, di assistere gli «Osservatori» nei lavori del Concilio. Compito che poi, di fatto, venne assegnato, prima alla Segreteria Generale del Concilio e, poi, all’apposito Comitato Stampa.

6 Stante l’accezione negativa con la quale i due termini erano (e sono ancor oggi) usati da non pochi massmediologi, che U. Eco direbbe «apocalittici»: per i quali «mezzi» e «comunicazioni» si direbbero «di massa», perché effetto loro proprio e necessario sarebbe la «massificazione» dei recettori. Ma, come precisa anche la nota 16 degli Orientamenti, «nel linguaggio corrente niente vieta di usare, per brevità, la più comune dizione mass media (e massmediologia): come, del resto, avviene in non pochi documenti del Magistero, e in questo stesso Documento”.

7 Questa nell’accezione originale del n. 58 della Mater et Magistra di Giovanni XXIII (1961), che la dà quale «progressivo moltiplicarsi di rapporti di convivenza, con varie forme di vita e di attività associata, ed istituzionalizzazione, privata e pubblica».

8, Gli Orientamenti la riportano, nella nota 11, dagli Acta Synodalia S.ti Concilii Oecumenici Vaticani II, vol. V, Periodus Prima, Pars III, 375.

9 Gli estratti di 92 di essi sono riportati in E. BARAGLI, L’Inter mirifica, cit., 580 s.

10 Ad esempio: «Il cardinale Michael Browne, vescovo di Galwav (Irlanda), si meravigliava che non vi si parlasse del teatro, antiquissimum medium communicationis socialis, intorno al quale tanto hanno scritto Padri e teologi: e si meravigliava che non si parlasse dello scandalo, dato che la dottrina morale di questi strumenti nei trattati di morale si trova proprio nel capitolo dello scandalo e sulle sue occasioni. Quindi proponeva alcune varianti di terminologia connesse con le necessarie precisazioni concettuali» (E. BARAGLI, L’Inter mirifica, cit., 1 ss).

11 Sette anni dopo, la soluzione garberà poco agli estensori dell’istruzione pastorale Communio et progressio, i quali, quasi a correggerla, dedicheranno al teatro – detto «uno tra i più antichi e potenti generi della comunicazione umana» – i quattro numeri 158-161 di tutto un paragrafo.

12 Lo stesso E. MASCILLI MIGILORINI, che intitola la sua «ipotesi per una metodologia» Le comunicazioni sociali (Montefeltro, Urbino 1972), nota: «L’uso della definizione “comunicazione sociale” ha raggiunto una diffusione cosi estesa, che la sua volgarizzazione è avvenuta a costo di una considerevole perdita di precisione» (p. 16).

13 Cosi, per esempio, «per le (o delle) comunicazioni sociali» vengono correntemente dette, sia la Pontificia Commissione, sia la Giornata Mondiale, l’una e l’altra, secondo l’Inter mirifica, propriamente istituite come «degli strumenti della comunicazione sociale». Un «Centro interdisciplinare delle comunicazioni sociali»; opera nella romana Pontificia Università Gregoriana, e, sempre in Roma, uno «Studio paolino internazionale delle comunicazioni sociali»; (SPICS) è gestito dai Paolini; mentre una «Scuola di specializzazione in comunicazioni sociali» opera presso la milanese Università Cattolica del Sacro Cuore.

14 Cfr, in proposito, E. BARAGLI, Mass media e Group Media, in Civ. Catt. 1979 I 351. Due recenti esempi di terminologie incerte e approssimative li offrono gli Statuti dell’UNDA (19 gennaio 1983) e del Centro televisivo Vaticano (22 ottobre 1983). Nei primi, infatti, si tratta, sì, di radio e di televisione, ma alternate, non solo con mass media e con communications sociales, ma anche: due volte con moyens audiovisuels, due volte con moyens de communication audiovisuels, e sei volte, tout court, col singolare l’audiovisuel. Nei secondi si tratta una volta di «comunicazioni sociali, specialmente audiovisive», e due volte di «strumenti audiovisivi: con speciale riferimento alla installazione ed esercizio di reti di impianto di diffusione sonora e televisiva».

15 Oltre, come subito si dirà, nel susseguente n. 10, il documento, al n. 25 della Seconda Appendice li proporrà quali «sussidi pastorali contigui ai mass media».

16 «In America Latina, negli ultimi 25 anni, sono sorti una trentina di centri di preparazione tecnica lai mass media. Ora abbiamo dei laici ben preparati sotto questo aspetto, ma scarsamente preparati sotto il profilo dottrinale e apostolico. Potrebbe la Commissione aiutare gli episcopati con opportuni orientamenti per risolvere questo problema, al quale finora non è stata data risposta soddisfacente, almeno in America Latina?» (così mons. G. Prat, vescovo di Cochabamba [Bolivia], in G. CAPRILE, Il Sinodo dei Vescovi 1983, Civiltà Cattolica, Roma 1985, 519).

17 In verità, per la formazione di tutti i recettori, tanto l’Inter mirifica (ai nn. 10 e 16) quanto la Communio et progressio (ai nn. 67-69 e 89), chiamano in causa la famiglia, la scuola e la Chiesa. Quindi i seminaristi si dovrebbero supporre, almeno in qualche misura, già formati. Ma i fatti troppo spesso dimostrano che occorre supplire, o almeno completare, quanto da altri non è stato eseguito.

18 In proposito, lo stesso n. 11 prosegue: «Sicuri che all’insegnamento teorico s’accompagni una certa esperienza pratica in un adeguato uso degli strumenti stessi: sia per far prendere conoscenza agli alunni, con progressiva maturità, delle costanti culturali e politiche, religiose e morali, delle produzioni e programmazioni in corso; sia per poter valutare le tecniche moderne con realismo e senso critico. Di qui la convenienza che i seminari e gli istituti d’istruzione siano dotati di un’adeguata attrezzatura operativa».

19 Partendo da La comunicazione umana quale fondamentale, e oggi più che mai complesso e determinante fenomeno socio-antropologico (nn. 1- 16), i primi capitoli ne richiamano nozioni, terminologie, caratteristiche (nn. 1-2), e l’evoluzione epocale: da quella dei semplici «mezzi» a quella degli «strumenti» (nn. 1-4). Passano, quindi, alle ricerche, studi, teorie e autori della comunicazione massmediale nel suo insieme (nn. 1-8), alla presentazione dei singoli mass media oggi in via d’integrazione, e alle loro funzioni socio-culturali, quali lo svago, l’informazione, la propaganda-pubblicità e l’opinione pubblica (nn. 13-16). Entrando, quindi, nell’ambito religioso quattro capitoli (nn. 17-20), sotto il titolo Mezzi e strumenti di comunicazione e Chiesa, trattano: a) degli eventi socio-culturali e politico-religiosi connessi con la comunicazione e la rivelazione veterotestamentaria, e con la comunicazione tout court nella storia della Chiesa; b) dell’evoluzione nella prassi e nella normativa della Chiesa rispetto all’uso dei mezzi e degli strumenti; e) dei 6 più rilevanti documenti del Magistero romano su questi; infine d) di una prospettata «teologia dei mass media». Nel settore seguente, Pastorale dei mass media in generale, 14 capitoli (nn. 21-34) trattano, nell’ordine: doveri e diritti della Chiesa in argomento; condizioni di efficacia nell’uso dei mass media; relative istituzioni ecclesiali: al centro, internazionali, nazionali e diocesane; mass media e predicazione (e annessi sussidi), mass media e liturgia, mass media e sacramentaria; problemi etici e deontologici connessi col diritto-dovere dell’informazione, con la propaganda e pubblicità, e con la dinamica e i contenuti delle pubbliche opinioni. Seguono tre capitoli (nn. 30-32) su particolari questioni teologico-pastorali e ascetico-culturali connesse con i mass media: l’informazione nella Chiesa, l’opinione pubblica nella Chiesa, mass media e stati consacrati. Infine, altri 2 (nn. n-14) trattano del necessario adeguamento generale, prima didattico e poi pedagogico, indotto oggi dai mass media. Alla Pastorale dei singoli mass media appartengono i 3 ultimi capitoli (nn. 35-37) dell’Indice degli argomenti, ovviamente dedicati: il primo alla stampa, il secondo al cinema, il terzo alla radio-televisione.

20 «Infatti, più o meno direttamente, confluiscono in esse tutte, si può dire, le scienze dell’uomo: dalla semiologia, la linguistica, la filosofia, la psicologia, la sociologia, l’antropologia sociale e culturale [...], alla pedagogia, la didattica, la tecnologia, l’economia, il diritto e le arti: figurativa e musicale, narrativa e drammaturgica [...]; nonché, soprattutto per gli avviati al sacerdozio, la teologia, la morale e la pastorale».

21 «In pratica, nella formazione di base, di questo Indice converrà tener presenti almeno i nn. 1-6 sulla comunicazione umana in generale; i nn. 9-11 sui suoi odierni strumenti; il n. 12 sulla loro attuale evoluzione telematica; i nn. 13-16 sulle loro funzioni; il n. 19 sul Magistero ecclesiale in argomento; il n. 32 sull’uso della comunicazione massmediale da parte degli stati consacrati. Si tratta di esporli e spiegarli a sufficienza, in una ventina di lezioni, agli inizi della vita seminaristica, per poi aggiornarli ed applicarli in esercitazioni pratiche sui singoli media [...], adeguate ai livelli di studio, durante tutta la permanenza in seminario. Invece, nella formazione pastorale, occorre che tutti gli argomenti vengano ripresi e trattati esaurientemente da rispettivi competenti [...]: o in un congruo numero di lezioni e di esercitazioni, distribuite, secondo l’affinità della materia, nei curriculi filosofico e teologico [...], oppure strutturate in un curriculo a sé stante».

22 Al n. 13 della silloge, l’accorata esortazione rivolta da Paolo VI, il 7 luglio 1964, al I Congresso Nazionale dell’Associazione Cattolica Esercenti Cinema (ACEC): «Procurate di ben conoscere il pensiero della Chiesa su quanto riguarda la vostra attività; non vi dispiaccia di anteporre alle teorie dei maestri profani, alle idee di moda degli artisti, dei critici, dell’opinione pubblica, gli insegnamenti tanto meditati, tanto autorevoli, tanto umani del Magistero ecclesiastico. La dottrina nostra, anche in questo campo, ove fenomeni in continua l’evoluzione e le opinioni sono ogni giorno nuove e volubili, non è catena molesta, che frena il nostro passo nel seguire fatti e idee in rapido movimento, ma è sostegno sicuro per non restarvi sommersi, è criterio di giudizio che ci aiuta a comprendere, a tutto giudicare e classificare rettamente, è sorgente di pensiero e di esperienza, che qualifica chi la possiede a tenere il campo con autorità, con onore, con capacità di guida, di comprensione e di aiuto». Gli farà riscontro il n. 19 del conciliare Presbyterorum ordinis affermando: «Per poter dare una risposta esauriente ai problemi della vita degli uomini d’oggi è necessario che i presbiteri conoscano a fondo i documenti del Magistero, specie quelli dei concili e dei romani pontefici».

23 Ci si riferisce alla distorta critica giornalistica postconciliare, che in questo ventennio ha consolidato l’opinione di un’Inter mirifica quale «un incidente conciliare», e di una Communio et progressio quale tardiva, ma provvidenziale restauratrice dello stesso. Sembra impossibile che, ancora oggi, si possa affermare: «Quando Paolo VI promulgava l’Inter mirifica, una clausola finale lasciava capire che i Padri conciliari non erano del tutto contenti del testo [...]. Dopo otto anni, nel 1971, ecco che la Communio et progressio viene accolta con entusiasmo dalla Chiesa e nel mondo dei professionisti» (L. E. Metzinger, in Documentación CELAM, luglio-dicembre 1983, 168).

24 Dal n. 8 della Communio et progressio, che a sua volta, senza citarlo, si rifà al n. 24 della Gaudium et spes. Al quale numero rimanda, per due volte, la recente enciclica di Giovanni Paolo II Dominum et vivificantem (nn. 59 e 62).

25 Cfr E. BARAGLI, Verso una teologia degli strumenti di comunicazione sociale, in Civ. Catt. 1970 II 141; ID., C’è una teologia dei mass media?, in Miscellanea Lateranense XL-XLI (1975) 526; Verso una teologia dei mass media, in La rivista del clero italiano, maggio 1983, p. 445; Dalla comunicazione alla comunione, in Palestra del clero, 1º dicembre 1984, p. 1424.

In argomento

Massmedia

n. 3405, vol. II (1992), pp. 260-268
n. 3351, vol. I (1990), pp. 260- 269
n. 3310, vol. II (1988), pp. 351-363
n. 3218, vol. III (1984), pp. 144-151
n. 3200, vol. IV (1983), pp. 158-164
n. 3202, vol. IV (1983), pp. 362-368
n. 3195-3196, vol. III (1983), pp. 209-222
n. 3188, vol. II (1983), pp. 154-161
n. 3191, vol. II (1983), pp. 463-467
n. 3179, vol. IV (1982), pp. 464-467
n. 3141, vol. II (1981), pp. 222-237
n. 3088, vol. I (1979), pp. 351-359
n. 3075-3076, vol. III (1978), pp. 223-238
n. 3072, vol. II (1978), pp. 566-573
n. 3062, vol. I (1978), pp. 151-159
n. 3058, vol. IV (1977), pp. 349-362
n. 3055, vol. IV (1977), pp. 45-53
n. 3045, vol. II (1977), pp. 260-272
n. 3034, vol. IV (1976), pp. 336-351
n. 3036, vol. IV (1976), pp. 580-587
n. 3022, vol. II (1976), pp. 323-336
n. 3013, vol. I (1976), pp. 20-36
n. 2990, vol. I (1975), pp. 144-157
n. 2983, vol. IV (1974), pp. 36-48
n. 2973, vol. II (1974), pp. 250-256
n. 2967, vol. I (1974), pp. 258-263
n. 2961, vol. IV (1973), pp. 258-263
n. 2950, vol. II (1973), pp. 347-358
n. 2942, vol. I (1973), pp. 144-150
n. 2927, vol. II (1972), pp. 451-456
n. 2911, vol. IV (1971), pp. 39-48
n. 2913, vol. IV (1971), pp. 235-253
n. 2882, vol. III (1970), pp. 154-160
n. 2870, vol. I (1970), pp. 155-160
n. 2859-2860, vol. III (1969), pp. 219-230
n. 2847, vol. I (1969), pp. 250-253
n. 2739, vol. III (1964), pp. 246-254
n. 2729, vol. I (1964), pp. 422-435
n. 2702-2704, vol. I (1963), pp. 105-118, 313-325
n. 2636, vol. II (1960), pp. 124-39
n. 2612, vol. II (1959), pp. 113-124
n. 2548, vol. III (1956), pp. 400-408

In argomento

Magistero

n. 3195-3196, vol. III (1983), pp. 209-222
n. 3188, vol. II (1983), pp. 154-161
n. 3141, vol. II (1981), pp. 222-237
n. 2990, vol. I (1975), pp. 144-157
n. 2983, vol. IV (1974), pp. 36-48
n. 2979-2980, vol. III (1974), pp. 242-247
n. 2950, vol. II (1973), pp. 347-358
n. 2951, vol. II (1973), pp. 425-438
n. 2952, vol. II (1973), pp. 547-559
n. 2911, vol. IV (1971), pp. 39-48
n. 2913, vol. IV (1971), pp. 235-253
n. 2882, vol. III (1970), pp. 154-160
n. 2859-2860, vol. III (1969), pp. 219-230
n. 2847, vol. I (1969), pp. 250-253
n. 2787-2788, vol. III (1966), pp. 314-315
n. 2702-2704, vol. I (1963), pp. 105-118, 313-325
n. 2636, vol. II (1960), pp. 124-39
n. 2612, vol. II (1959), pp. 113-124
n. 2605, vol. I (1959), pp. 66-69
n. 2555, vol. IV (1956), pp. 521-532
n. 2545, vol. III (1956), pp. 30-42
n. 2532, vol. IV (1955), pp. 601-609