NOTE
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1 Del 18 febbraio. Poi uscì in AAS, 42 (1950), 256 ss. È citato anche nella Communio et progressio, n. 115.

2 Cfr E. BARAGLI, Variazioni sulla (cosiddetta) opinione pubblica, in Civ. Catt. 1973 I 144 ss.), dove, dopo una panoramica su quelle proposte da autori classici e recenti. propongo questa definizione dell’opinione pubblica fattuale odierna: “L’insieme dei giudizi e degli atteggiamenti di individui in un ’pubblico’, riguardanti problemi o interessi rilevanti della comunità di cui essi si sentano parte, per lo più occasionati da fatti di attualità, secondo che vengano loro notificati dai mezzi e strumenti di comunicazione. e percepiti secondo proprie strutture psico-sociali; e, data occasione, anche l’insieme dei conseguenti comportamenti, verbali o operativi, diretti a conservare o a modificare situazioni di fatto della stessa comunità”.

3 Sul versante laico le fa riscontro l’opinione pubblica nell’accezione democratica dei liberali inglesi più ottimisti. Nel suo saggio Democratic Theory and Public Opinion (in Public Opinion Quaterly, 16, 1952, 329), così B. BERELSON enumera gli elementi dell’elettore ideale: “Interesse agli affari pubblici; possesso di informazioni e conoscenze; stabili principi politici o regole morali; capacità di attenta osservazione, impegno nella comunicazione e nella discussione, comportamento razionale, considerazione degli interessi della comunità”.
Forse un elettorato composto di siffatto materiale scelto aveva presente (o s’illudeva che esistesse) il liberale, appunto, Carlo Giacomo Fox, avversario di Guglielmo Pitt, che nel 1792 – si noti: a tre anni dall’inizio della Rivoluzione Francese –, parlando per la prima volta dell’opinione pubblica nel Parlamento inglese, diceva: "È certo cosa saggia e giusta il consultare l’opinione pubblica [...]. Se per caso l’opinione fosse in disaccordo con la mia opinione; se, dopo averle indicato il pericolo, essa non lo vedesse nella stessa luce nella quale lo vedo io, e se ritenesse che altri rimedi fossero migliori del mio, considererei mio dovere nei confronti del re, del mio paese e del mio onore, dimettermi, affinché essa opinione possa perseguire il disegno che ritiene migliore con lo strumento più idoneo, cioè ricorrendo all’uomo che condivide il suo pensiero [...]. Ma una cosa è chiarissima. e cioè che è mio dovere dare al pubblico i mezzi per formarsi un’opinione” (cit da J. HABERMAS, Storia e critica dell’opinione pubblica, Bari, Laterza, 1971, 84; il quale a p. 85 altrettanto liberalmente commenta: “L’opinione pubblica si forma nello scontro dell’argomentazione per una causa, e non, acriticamente, nel consenso ingenuo o manipolato plebiscitariamente, o nel dissenso di persone in base al common sense. Essa ha perciò bisogno di un proprio oggetto, cioè di dati di fatto reali, più che di grandi personaggi).

4 Cfr Dialogo opinionale nella Chiesa, in Civ. Catt. 1973 II 425, dove riporto anche la relativa Bibliografia.
Stante la sua scarsa precisione concettuale, sembra che siffatta “riduzione” accezionale debba farsi anche nella Communio et progressio. Infatti, sotto la rubrica Publica opinio (n. 114) essa tratta del Dialogus in Ecclesia, ed al n. 115, riportando Pio XII, scrive: “La Chiesa è un organismo vivente e le occorre l’opinione pubblica, che si alimenta nel dialogo tra le sue membra”; e continua (n. 116): “Perciò è necessario che i fedeli prendano piena coscienza dell’autentica libertà di esprimere le proprie idee [...].“In realta, il campo nel quale può estendersi l’interno dialogo della Chiesa è vastissimo [...] . Tuttavia, perché siffatto colloquio si svolga [...]” (n. 117). Cfr anche i nn. 139 e 176.
Non differentemente la Lettera della Segreteria di Stato al Congresso dell’UCIP (Lussemburgo 1971): "[...] Di qui, nella vita quotidiana del popolo di Dio, quello scambio di pensieri e di attività, di proposte e di esperienze che [...] si sprigiona dalle intelligenze e dalle libere volontà dei suoi membri [...]. Può quindi dirsi che [...] l’esistenza di un ’opinione pubblica nella Chiesa attiene alla sua stessa natura”.
Neanche il documento sulla Giustizia nel mondo, emanato dal III Sinodo dei Vescovi-1971 (cfr G. CAPRILE, Il Sinodo dei Vescovi: Seconda Assemblea Generale 1971, Roma 1973, 1201) si spinge oltre. Afferma infatti: “45. La Chiesa riconosce a tutti il diritto ad una ragionevole libertà di parola e di opinioni; nel quale diritto rientra anche quello di essere ascoltati in uno spirito di dialogo, rispettoso della legittima diversità nella Chiesa”.

5 Tutto su questa tesi è E. GUERRERO, La opinion pública en la Iglesia (in Razón y fe, luglio 1960, 45 ss.); ed anche S. TROMP, che scriveva (in Gregorianum, 1962, n. I, 9): Non autem tam facile est, etiam in Ecclesia, cognoscere bene opinionem publicam sanam, ac nonnulli sibi fingunt. Quod si principia Pii Papae XII applicamus, eam uno solo medio vere apto cognoscere valemus: attendendo videlicet ad modum quo homines prudentes et sapientes, de re religiosa bene instructi, dotati insuper spiritu catholico, quo nihil aliud volunt quam bonum reipublicae christianae, ad ea quae fiunt in Ecclesia veluti sponte et connaturaliter reagant. lamvero homines hisce donis ornati sunt relative pauci (cfr Eccle 1,15). Accedit quod sapientes et prndentes, prout describitur in sacris /itteris (cfr Iac 1,19; Eccle 10,14; Eccli 21,29; Prv 10,14), sunt tardi ad loquendum. verba non multiplicant, fobia sua in corde custodiunt et scientiam suam abscondunt potius quam pub/ice venditant. Nec raro accidit quoque, ut maiore cognitione rerum praediti oh munus quod gerunt, ob idem munus loqui palam non possint. .
La ignora, invece. e la travisa J. DlEZ-ALEGRÍA in Manipulation et liberté dans l’Eglise (in Concilium, 1971, n. 65, 59 ss.). Dal canto suo I. IRIBARREN (in Journalistes catholiques, janv. 1971) ne tenta un’esegesi, opportunamente distinguendo tra eco (“buona”) e risonanza (“manipolata”), quando però, nel pensiero di Pio XII, l’opinione pubblica nella Chiesa in tanto è valida in quanto eco e risonanza vi sono sinonimi.

6 J. ROCHE, Liberté du chrétien, autorité de l’Eglise, Paris, Fayard, 1971, 25, 95, 123.

7 Nell’elogio funebre di Luigi XVI, Pio VI qualificava la monarchie: le meilleur des gouvernements. La Bullarii Romani continuatio (Tomo IX, Roma 1845, 318) in nota riporta le seguenti Proposizioni, alle quali verisimilmente il Papa si ispirò: 7. la monarchie est la forme de gouvernement la plus commune, la plus ancienne et aussi la plus naturelle. 8. Le gouvernement monarchique est le meilleur. 9. De toutes les monarchies, la meilleure est la successive ou héréditaire: tutte “provate”, nientedimeno, dal grande Bossuet, in Politique – si noti bene – tirée des paroles de l’Ecriture Sainte (Oeuvres, Tomo 7, Paris 1748, 289 ss.)!

8 Circa le caratteristiche della “massa” e la dinamica del “consenso” in essa, cfr L. WIRTH, Consenso e comunicazione di massa, in M. LIVOLSI, Comunicazione e cultura di massa, Milano, Hoepli, 1969, 135 ss.; ed anche E. VAN DEN HAAG, Dissenso nella società consensuale, ivi, 205 ss., H. BLUMER, Massa pubblico e opinione pubblica, ivi, 259 ss.

9 “Il Popolo di Dio [...] si compone, nel suo stesso interno, di diversi ordini. Poiché tra i suoi membri c’è diversità, sia per ufficio, essendo alcuni impegnati nel sacro ministero in bene dei loro fratelli, sia per lo stato e il tenore di vita, dato che molti nello stato religioso, tendendo alla santità per una via più stretta, sono di stimolo ai fratelli col loro esempio [...]. Il Collegio apostolico [...] esprime la varietà e l’universalità del Popolo di Dio; in quanto poi è raccolto sotto un solo capo, significa l’unità del gregge di Cristo. In esso i vescovi [...] esercitano la loro propria potestà per il bene dei loro fedeli, anzi di tutta la Chiesa, mentre lo Spirito Santo costantemente consolida la sua struttura organica e la sua concordia” (Lumen gentium, nn. 13 e 22).
Tra l’altro, non tiene conto di questo elemento l’anonimo autore dell’Editoriale di Testimonianze (agosto 1971, 465 ss.), praticamente equiparando la opinione pubblica ecclesiale a quella di un gruppo sociale qualsiasi. Lo stesso autore poi, che giustamente lamenta “il grave pericolo di manipolazione delle coscienze da parte degli strumenti di comunicazione di massa [...] manovrati da pochi centri di potere”, stranamente ignora la manipolazione che certe riviste possono esercitare dell’opinione, pubblica o meno, di più o meno consistenti e rumorosi gruppi ecclesiali.

10 È noto l’abbiccì della prassi giornalistica: “Se un cane morde un uomo, non fa notizia; se un uomo morde un cane, fa notizia”. Al Sinodo dei Vescovi del 1971 un Padre rumeno notò che “la clamorosa discussione circa le encicliche Humanae vitae e Sacerdotalis coelibatus [...] ha sopraffatto l’eco molto più debole della Populorum progressio” (G. CAPRILE, op. cit., 425).

11 A parte le considerazioni che seguono, sulla dinamica d’urto delle opinioni pubbliche, già nel caso di una parrocchia di città sui 5/10.000 abitanti, al fine di una indagine statistica su un fatto di opinione locale, non è facile distinguere quanti siano i credenti che vi prendano parte, e quanti i non credenti, più o meno consapevolmente presi nel giro. Come, poi, distinguere i cattolici, almeno anagrafici, dai non cattolici? E, tra gli anagrafici, come contare quelli che, di fatto, sono credenti, e quelli che, di fatto, in tutto o in parte, non lo sono più? Infine, tra quelli che aderiscono completamente alla dottrina cattolica, come distinguere quelli che abitualmente giudicano e si comportano da cristiani-credenti coerenti, da quelli che, magari praticanti e militanti, normalmente giudicano “col mondo”?

12 Una sfocatura rispetto al n. 1 (il soggetto dell’opinione pubblica nella Chiesa) ed a questo n. 3 (la dinamica della sua formazione) si avverte nelle parole con cui G. GIRARDET, P. ORLANDO e M. REUVER chiudevano la loro comunicazione Il Popolo di Dio soggetto dell’informazione religioso, al Convegno delle 12 Riviste del cosiddetto “dissenso cattolico”, svoltosi a Firenze dal 15 al 17 dic. 1972, sul tema Informazione religiosa ed opinione pubblica in Italia: “Crediamo che si debba fare, parlando dell’opinione pubblica nella Chiesa come Comunità del Popolo di Dio, un riferimento al Sensus fidelium. Storicamente si è parlato tanto del Sensus fidelium e lo si è usato per giustificare alcuni dogmi della Fede. Però in passato era quasi impossibile misurare questo sensus ed era di fatto la gerarchia che lo manipolava. Oggi, con i mass media, l’opinione pubblica religiosa non è più nelle mani della gerarchia, ma è diventata veramente una realtà della Chiesa-Comunione. Ora, in casi come ’la pillola’, il celibato del prete, quando l’opinione pubblica, quando il consenso dei credenti cresce continuamente contro l’opposizione tenace della chiesa-istituzionale, il Sensus fidelium prende una forma definitiva”.

13 L. WIRTH, op. cit., 143.

14 Da rilevare che, anche Gesù, pur predicando alle folle, non mirò a far leva di masse, ma andò piuttosto controcorrente. Deluse il popolo, ed anche “i suoi”, che si aspettavano un Messia “regale” (Gv 6,15). Quando molti discepoli giudicarono dure le sue parole, si ritirarono indietro e non andarono più con lui, egli chiese ai Dodici: “Volete forse andarvene pure voi? " (Gv 6,61 ss.). Invitò tutti i suoi seguaci ad entrare per la porta angusta e nella via stretta (Mt 1,13-14), della rinuncia a se stessi e della sua croce (Mt 16,24). Per questo "sui Eum non receperunt”! (Gv 1,11). E non differentemente san Paolo (cfr 1Cor 2).

15 E. POUSSET, Censure et liberté d’expression (in Recherches et débats, 68, Paris, Desclée de Brouwer, 1970, 136 ss.).

16 Christus Dominus, 27; Ad gentes, n. 30.

17 Sui consigli presbiterali e pastorali, così il citato documento del III Sinodo dei Vescovi-1971, sul Sacerdozio ministeriale (G. CAPRILE, op. cit., 1187 ss.):
“90. Il consiglio presbiterale, che e per sua natura diocesano, è una forma di manifestazione istituzionalizzata della fraternità esistente tra sacerdoti, fondata sul sacramento dell’ordine.
“91. L’attività di tale consiglio non può essere pienamente configurata a norma di legge; la sua efficacia dipende soprattutto dallo sforzo continuo, di ascoltare le opinioni di tutti, per giungere al consenso del vescovo, al quale spetta di prendere la decisione finale.
“92. Se tutto ciò viene fatto con la massima sincerità ed umiltà, superando qualsiasi unilateralità, si può giungere facilmente a provvedere rettamente al bene comune.
“93. Il consiglio presbiterale è un’istituzione nella quale i presbiteri, dato il continuo aumento della varietà nell’esercizio dei ministeri, riconoscono di integrarsi a vicenda nel servizio dell’unica e medesima missione della Chiesa.
“94. Spetta ad esso, tra gli altri compiti, ricercare gli obiettivi chiari e distintamente definiti, proporre le relative priorità, indicare i metodi, aiutare tutto ciò che lo Spirito suole suscitare per mezzo degli individui e dei gruppi, favorire la vita spirituale, onde più facilmente si possa raggiungere la necessaria unita.
“103. Il consiglio pastorale [...], col suo studio e la sua riflessione, offre gli elementi necessari affinché la comunità diocesana possa predisporre in modo organico il lavoro pastorale, ed assolverlo in maniera efficace.
“104. Quanto più cresce e si sviluppa la mutua e responsabile cooperazione dei vescovi e dei presbiteri, soprattutto per mezzo dei consigli presbiterali, tanto più è da auspicare che venga istituito il consiglio pastorale nelle singole diocesi”.

18 Esempi di consultazioni ecclesiali straordinarie: quella di Pio XII, a tutto l’episcopato cattolico, per la definizione dommatica dell’Assunzione; e quella, a raggio ed a contenuto molto più vasto, che ha preceduto il Vaticano II. La consultazione ordinaria del clero e dei laici è ormai prevista dalle Norme circa la scelta dei candidati al ministero episcopale nella Chiesa latina, del 25 marzo 1972 (cfr Civ. Catt. 1972 II 422 ss.).

19 Per il dialogo ecumenico: cfr Unitatis redintegratio, specialmente 4, 9, 11, 18, 23. Con i non cristiani: cfr Gaudium et spes, n. 92: Ad gentes, nn. 11, 16, 34, 38, 41; Nostra aerate, nn. 2 e 4; Gravissimum educationis, n. 11. Col mondo: cfr specialmente Gaudium et spes, nn. 43 e 92; Christus dominus, n. 13; Optatam totius, n. 19; Apostolicam actuositatem, nn. 14 e 31.

20 Ad rem ancora il Documento sinodale sul Sacerdozio ministeriale:
“102. Bisogna aver sempre presente l’indole propria della comunione della Chiesa, al fine di accordare opportunamente, sia la libertà personale, secondo i riconosciuti uffici e carismi di ciascuno, sia l’unità di vita e di azione del Popolo di Dio.
“99. È auspicabile che, per quanto è possibile, siano cercati quei modi, anche se riescano piuttosto difficili, con i quali le associazioni che eventualmente dividano il clero in varie fazioni, possano essere ricondotte alla comunione ed alla struttura ecclesiale”.

21 Lettera della Segreteria di Stato all’UCIP, luglio 1971. cit., n. 18.

22 Cfr Apostolicam actuositatem, 12 e 25; Perfectae caritatis, n. 15; Documento sinodale sulla Giustizia nel mondo (G. CAPRILE, op. cit., 1197). È dubbio che occorrano molte di queste qualità umane e di queste virtù cristiane (e religiose) in quello strano dialogo ecclesiale in cui semplici religiosi, ed anche superiori provinciali – com’è avvenuto –, si “desolidarizzano” con dichiarazioni pubbliche da prese di posizione, magari opinabili, del loro superiore maggiore.

23 Per il ruolo specifico della “stampa cattolica” si rimanda ad un prossimo articolo.

24 Cfr J.M. DIEZ-ALEGRÍA, Manipolazione e libertà nella Chiesa (in Concilium, magg. 1971, 87 ss.); R. LA VALLE, Il giornalista e l’opinione pubblica nella Chiesa (in Laici nelle vie del Concilio, Assisi 1966); A.G. MOLINA, La Iglesia en la encrucijada de la comunicación social, Madrid 1970; K. RAHNER, Libertà e manipolazione nella Chiesa e nella Società, Bologna 1971; G. ZIZOLA, Immagine della religione attraverso la grande stampa di informazione (Comunicazione al cit. Convegno di Firenze 1972).

25 Cfr E. BARAGLI, Giornalisti perseguitati?, in Oss. Rom., 20 agosto 1971; e sui servizi giornalistici al III Sinodo dei Vescovi-1971: G. CAPRILE, op. cit. 1099 ss., 1172 ss.

26 Notava il patriarca di Venezia, A. LUCIANI, dopo il III Sinodo dei Vescovi-1971 (in Oss. Rom., 7-8 dic. 1971): “Aggiungono alcuni che i cardinali di Curia sono ligi al Papa. Ebbene, sarebbe ora di affermare coraggiosamente che voler essere col Papa non è deteriore complesso d’inferiorità, ma frutto dello Spirito Santo. Il primato, prima di essere istituzione giuridica, è infatti carisma: che da una parte spinge il Papa a servire i suoi fratelli, confermandoli nella fede; e dall’altra inclina i vescovi a comportarsi verso di lui col rispetto e l’attaccamento dovuto al fratello maggiore”.

27 Sulla "Sagra dei manifesti”, cfr Civ. Catt. 1972 II 172 ss., 470 ss.; Oss. Rom., 27 aprile 1972; A.G. MOLINA, La lglesia en la encrucijada de la comunicación social, Madrid 1970, 237 ss. -Circa le pressioni esterne sul lii Sinodo dei Vcscovi-1971: G. CAPRILE, op. cit., 1021 ss.

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Articolo estratto dal volume II del 1973 pubblicato su Google Libri.

Il testo è stato corretto dai refusi di stampa e formattato in modo uniforme con gli altri documenti dell’archivio.

I riferimenti ai documenti del magistero pontificio sono stati resi interattivi e portano al sito del progetto “Chiesa e Comunicazione”, la biblioteca digitale online che prosegue l’attività iniziata da p. Baragli con le opere Cinema cattolico: documenti della Santa Sede sul cinema e Comunicazione Comunione e Chiesa.

ARTICOLO SU

Anche in alcuni ambienti dove fa bon ton ignorare il – preconciliare! – magistero di Pio XII, è citatissima una sua affermazione, per sostenere che pure nella Chiesa può e deve operare una vera e propria opinione pubblica. È ricavata dalla fine di un discorso preparato dal Papa per il Congresso Internazionale dell’Union Internationale de la Presse Catholique (UIPC), svoltosi in Roma dal 17 al 19 febbraio 1950, ma che, da lui non pronunciato perché indisposto, i congressisti poterono soltanto leggere sull’Osservatore Romano1. Eccola:

“Desideriamo aggiungere una parola circa l’opinione pubblica nella Chiesa (ovviamente: intorno alle materie lasciate alla libera discussione). Potrebbero meravigliarsene soltanto quelli che non la conoscono [la Chiesa], o la conoscono male. Infatti, dopo tutto, essa è un organismo vivo: la sua vita sarebbe deficitaria se le mancasse l’opinione; e la mancanza sarebbe colpa dei pastori e dei fedeli”.

Il termine e il suo contesto

Più vigorosa – e siamo nel 1950! – l’affermazione non poteva essere. Ma il contenuto non ne è così perspicuo come a prima vista si direbbe. Per precisarne l’esatta portata dottrinale è indispensabile appurare che cosa propriamente Pio XII intendesse per “opinione pubblica” in tutto il discorso, di cui il brano, come s’è detto, è una semplice postilla. Orbene, senza darne una definizione vera e propria, il Papa ve la descrive in questi termini:

“Prerogativa di ogni società normale composta di uomini che, consapevoli del loro comportamento personale e sociale, sono intimamente impegnati nella comunità di cui sono membri” (n. 4); "[...] eco naturale e risonanza diffusa, più o meno spontanea, degli avvenimenti e delle situazioni contingenti nelle loro menti e nei loro giudizi” (n. 5); "[...] nelle persone che si sentono responsabili e strettamente legate alla sorte della loro comunità” (n. 11). “Queste parole contengono quasi altrettante ragioni che spiegano perché l’opinione pubblica si forma e si esprime con tanta difficoltà. Quel che oggi è noto come opinione pubblica, spesso non ne ha che il nome, vuoto di ogni significato: quasi un vago rumore, un’impressione falsa e superficiale: niente affatto eco spontanea destata nella coscienza della società e suo frutto” (n. 12). “Ma dove cercare questi uomini profondamente penetrati dal senso della propria responsabilità e della propria stretta solidarietà con l’ambiente in cui vivono?” (n. 13). Eppure "[...] uomini degni di tal nome, vere personalità, capaci di rendere possibile la vita interiore della società [...], dovrebbero poter edificare, pietra su pietra, il solido muro, battendo sul quale, la voce degli avvenimenti rimbalzerebbe in una eco spontanea” (n. 16).

In questa descrizione – che, del resto, e sia detto con tutto il rispetto, pochi sociologi oggi si sentirebbero di sottoscrivere2 – è chiaro che Pio XII s’interessa ad un’opinione pubblica più “valore socialmente positivo”3, che fenomeno sociale in sé eticamente neutro, suscettibile perciò di diventare più o meno positivo ed onesto, dipendentemente dalla sua genesi, dai suoi contenuti e dalla sua dinamica d’urto. Egli tratta, perciò, di un’opinione pubblica generica-ideale, non del fenomeno tipicamente odierno, e quale oggi – cosa che il Papa deplora – concretamente si realizza un po’ dappertutto; vale a dire: non “più o meno spontanea eco” di eventi conosciuti direttamente, ma etero-formata dall’informazione “polarizzata” dei mass media; non, poi, dinamizzata da spinte endogene, ma montata ed eterodiretta dagli stessi mass media: i quali manovrano, non “persone” (e, nel caso nostro, “cristiani”) coscienti-responsabili delle proprie scelte ideologiche e pratiche, bensì masse d’urto, che tendono a prevalere sulle minoranze, non tanto per più salde ragioni (e più autentico senso cristiano), ma perché, semplicemente, “maggioranza”.

Come si vede, “opinione pubblica” nell’accezione di Pio XII equivale, più o meno, al “dialogo umano (e cristiano)”, di cui s’è parlato4, da parte di fedeli, i quali, non psicologicamente condizionati da spinte irrazionali, e saldi nella visione e nella prassi integrale dei valori cristiani, si comportano quali membra vive nella vita della Chiesa, mano mano che gli eventi ne sollecitano scelte responsabili5.

“Democrazia” e “Popolo di Dio”

Quali le cause di questo equivoco? – Principalmente due. La prima è nella equivocità, anche nell’ambito non ecclesiale, dei termini “opinione pubblica”; la seconda è in un comparare società civile e Chiesa di Cristo, che finisce col contaminare la genuina concezione di questa: fenomeno quasi inevitabile, dato che le stesse persone appartengono alla società civile, assimilandone tutti i modelli mentali e di comportamento; ed appartengono alla Chiesa, spesso però conoscendone e praticandone scarsamente lo “stile” di pensiero e di vita. Scrive J. Roche6:

“Si può verificare la tendenza, anzi si verifica senz’altro, ad equiparare del tutto le due società. In passato, sfiorando il ridicolo7, abbiamo fatto della Chiesa una monarchia assoluta: regime piuttosto discutibile; nel clima di questa seconda metà del secolo XX, la tentazione è forte di ridurre la Chiesa a pura e semplice democrazia [...] profana, svotandola completamente del suo insopprimibile elemento misterioso. Quel che è peggio, inconsciamente tendiamo a vivere il nostro essere Chiesa di Cristo né più né meno di come viviamo l’essere cittadini del nostro paese. L’equivoco è grosso, e dannose ne sono le conseguenze. Nello Stato moderno, secondo la Dichiarazione dei diritti dell’uomo del 1789, tutti i cittadini hanno diritti uguali e identici. L’autorità viene dalla base: l’insieme dei cittadini, che fa o disfa le costituzioni, approvandole o rifiutandole. I cittadini eleggono tra di loro tanto quelli che faranno le leggi (il potere legislativo), quanto quelli che le applicheranno (il potere esecutivo). Il popolo, vale a dire la massa dei cittadini, o almeno la maggioranza di questo popolo e di questa massa, senza rivoluzione e nel rispetto della costituzione, a un dato momento può cambiare il potere legislativo e quello esecutivo, la politica interna ed estera, l’andamento generale del paese; insomma: tutto. Gli compete, si può dire, il diritto di costante ispezione e controllo sull’operato dei propri mandatari. Di qui la spinta, anche nei cattolici, ad applicare alla Chiesa lo stesso modello: cosa, del resto, non nuova nella storia, dato che ad essa ubbidirono i conciliaristi di Basilea [...].
“Ma il ’popolo cristiano’ non è il ’popolo sovrano’ della Dichiarazione del 1789. Non può darsi una sua costituzione in Chiesa: solo Gesù Cristo può dargliela, come di fatto gliel’ha data. Questo ’popolo’ potrà adattarla nei particolari, ma non può toccarne la sostanza. I fedeli potranno eleggere i vescovi e i papi, ma non deporli o sostituirli a piacimento, come invece, quali cittadini, possono fare con i loro eletti municipali o nazionali. Un concilio non è un referendum, e nessun referendum sostituirà un concilio. Veramente quella cattolica è una ’democrazia’ tutta sui generis”.

In realtà, nella Chiesa, sensus Ecclesiae e consensus Ecclesiae non coincidono. Se, infatti, il primo è necessario perché una definizione del Magistero abbia carattere di infallibilità, non è altrettanto necessario il secondo almeno nel senso stretto di condizione giuridica che lo sanzioni. In sintesi: odierna “opinione pubblica” e “dialogo del Popolo di Dio” differiscono nel soggetto, nell’oggetto, nella dinamica della formazione e nella dinamica d’urto.

* * *

1 – Soggetto preferenziale della prima sono le “masse”8: gruppi sociali con scarso connettivo, tanto più eterogenei ed anonimi quanto più numerosi; masse, inoltre, che – secondo anche l’origine storica dell’opinione pubblica quale loyale opposition à Sa Majesté; –, normalmente si considerano distinte ed antagoniste dell’“autorità”. Nella Chiesa, invece, per quanto “cattolica”, il dialogo opinionale, specialmente se verta su scelte pratiche non “dottrinali”, si svolge per lo più a livello di Chiesa locale, mediante contatti interpersonali, tra “fedeli” sostanzialmente uniti (ecclesia); insomma: in un contesto di gruppo sociale primario. In ogni caso: in un Popolo di Dio, che comprende fedeli e pastori, laici clero e religiosi9; il cui dialogo, perciò, per quanto opinionale, non dovrà mai mettere gli uni “contro” gli altri, tanto meno istituzionalizzarsi tutto “contro” la gerarchia.

* * *

2 – Nulla viene escluso dall’oggetto dell’opinione pubblica in accezione corrente. Essa, infatti, parte da questi presupposti: o che non esistono verità assolute e soluzioni certe; o che, se esistono, l’unico modo pratico per giungervi è quello del libero giuoco delle opinioni. Di conseguenza, nell’odierna società democratica a nessuno viene riconosciuto il privilegio a priori di imporre verità o norme alla collettività in quanto competente, tanto meno perché “autorità”. Mentre nella Chiesa, come s’è visto, tanto per le scelte pratiche quanto per le opzioni dottrinali, il libero giuoco delle opinioni, se non sempre, almeno spesso tende al possesso di verità oggettive. Va quindi riducendosi in proporzione agli elementi di giudizio in possesso degli opinanti (altro, infatti, vi è lo specialista e teologo, altro il responsabile di istituzioni e di opere, altro il generico e lontano) e man mano che il Magistero vada precisando sponde e fondali: per tutti indistintamente arrestandosi, come in un porto raggiunto – salva sempre la libertà di ricerca scientifica –, quando esso Magistero si faccia garante, in modo assoluto e definitivo, di una verità, sia pure parziale.

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3. – La dinamica della formazione dell’opinione; pubblica corrente parte, come s’è visto, da eventi non sempre moralmente e socialmente i più rilevanti, purché “attualità” in accezione giornalistica10. Di questi eventi il grande pubblico non ha la conoscenza diretta personale, ma “la notizia” mediata, fornita ormai quasi esclusivamente dai mass media; i quali, e per la loro natura tecnico-strumentale, e per i condizionamenti economici ed ideologici di quanti li detengono, nonché dello stesso pubblico (il feed back del “mercato”), manipolano più o meno questa informazione. Il pubblico, dal canto suo, si espone alle notizie, le percepisce, le memorizza e vi reagisce selettivamente (nota tesi del Klapper), secondo una matrice opinionale prevalentemente emotiva, polarizzando di conseguenza gli atteggiamenti, nonché i relativi comportamenti, generalmente impulsivi e gregari.

Tutt’altra è la dinamica di formazione dell’autentico dialogo opinionale ecclesiale. Già in partenza esso inquadra gli eventi in una scala gerarchica secondo la loro maggiore o minore attinenza all’Evento per eccellenza – l’avvenuta Salvezza – , oggetto perciò dell’Annuncio per eccellenza: il Nuntium Salutis. Dei singoli eventi e questioni, poi, materia del dialogo, preferisce la conoscenza diretta, o almeno documentata e critica, generalmente di pochi, diffidando di quella – normalmente sommaria, approssimativa ed alterata – fornita dai mass media: onde, nel dialogo ecclesiale, il peso particolare di quelli nei quali – o per il loro posto di responsabilità, o per la loro competenza specifica – si presume una conoscenza delle cose più documentata ed obiettiva. Infine, concessavi anche la legittimità di altre componenti emotive, nel dialogo ecclesiale, elemento specifico e caratterizzante dell’opinione-matrice è il sensus fidei, quale prassi quotidianamente vissuta da opinanti, appunto, “fedeli” ad una opzione fondamentale cristiana.

Ora, nella odierna società sempre più pluralistica, soprattutto l’appurare la presenza o meno di questo elemento caratterizzante rende quanto mai arduo, già sotto l’aspetto sociologico-quantitativo, distinguere – anche in gruppi relativamente modesti – se certi complessi di giudizi-atteggiamenti-comportamenti costituiscano dialogo opinionale nella e della Chiesa, oppure mera opinione pubblica in senso sociale-neutro: estranea, e fors’anche di natura tumorale, rispetto all’organismo ecclesiale11; mentre invece, nell’autentico dialogo ecclesiale, anche sotto questo aspetto, la parola risolutiva è al Magistero12.

* * *

4 – Infine, “il momento decisivo dell’opinione pubblica corrente è l’organizzazione delle opinioni circa problemi che esercitano una pressione su quelli che, a causa della loro posizione, devono prendere decisioni”13. A questo scopo, la sua dinamica d’urto conta soprattutto sulla quantità; degli opinanti manovrabile come massa di pressione; oppure su gruppi ristretti, ma molto rumorosi, abili a far credere che la massa (silenziosa), ossia la maggioranza, sia dalla parte loro, e che essi la rappresentino. In tutti e due i casi, i mass media operano da veicoli e da catalizzatori privilegiati in funzione di propaganda: sia contestataria diretta, sia in appoggio ed amplificazione di altri argomenti, in sé modicamente convincenti, ma impressionanti, come i manifesti (firmati), le “lettere aperte”, l’occupazione di aule e di edifici, i sit-in, gli scioperi, i cortei, le adunate più o meno oceaniche...

Nell’autentico dialogo ecclesiale, invece, la massa e la maggioranza, in quanto tale, non sono un argomento14, né si migliora la credibilità alzando la voce. Vi ha diritto la proposta serena della verità, ed anche la sua difesa animosa – a punta di ragione e di fede –, non la propaganda che non rispetti nei fedeli “la libertà della gloria dei figli di Dio” (Rm 8,21). La pressione intimidatoria vi è tutt’altro che garante della bontà delle decisioni del Magistero ed, in genere, delle scelte ecclesiali; tanto meno lo è la tattica dei fatti compiuti, anche se, stando alla storia, non è da escludere che essa abbia qualche volta sortito effetti, in definitiva, apprezzabili. Concludendo: per un cattolico l’opinione pubblica è un fenomeno odierno in sé ambivalente. Necessario in una società democratica, in concreto può attuarsi, ma può anche non attuarsi, in modo lecito ed onesto. Nell’ipotesi che, di fatto, fuori della Chiesa, si attui in modo onesto e socialmente utile, non è detto che esso si identifichi ipso facto col “dialogo ecclesiale”: ma potrà in parte coincidere con esso, in parte differenziarsi, in parte opporsi. Ancora una volta la Chiesa di Cristo appare come un quid unicum nella storia umana.

Nota opportunamente E. Pousset15:

”[...] l’insieme delle opinioni individuali costituisce la base dell’opinione pubblica, gli strati profondi e generalmente stabili della vita spirituale, intellettuale e psicologica di una comunità. Nella Chiesa, questa vita profonda, di ciascuno e di tutti può essere designata con la nozione tradizionale di sensus fidei: il senso della fede e delle cose della fede, che lo Spirito Santo intrattiene in ogni battezzato fin tanto che egli resti fedele al suo battesimo. Questo senso della fede non basta sempre ad un membro della Chiesa a formulare con chiarezza ciò che gli sembra vero, ma può dare una specie di istinto per accettare il vero, e rifiutare l’erroneo e l’equivoco.
”È probabile che le grandi correnti dell’opinione pubblica nella Chiesa dipendano da questa diffusa vita di fede nelle intelligenze [...]. Questa vita della fede animata dallo Spirito Santo in tutti ed in ciascuno non porta l’opinione pubblica ad essere sovrana nella Chiesa. Nel suo profondo, l’opinione pubblica nella Chiesa è una sorgente, un veicolo della tradizione, un ambiente vitale dove il pensiero della Chiesa si sviluppa e si dilata. Ma le occorre un discernimento, essendo indubbio che correnti d’ogni genere possono venire a mescolarsi con l’azione dello Spirito. Questo discernimento ciascuno può praticarlo già con l’aiuto degli altri, ma è compito speciale delle competenze più tecniche, agenti sotto il controllo del Magistero della Chiesa.
“Può dirsi che l’opinione pubblica nella Chiesa sia un ’luogo teologico’? Diciamo di sì, ma a patto che ci sia questo discernimento”.

Per una prassi morale-pastorale

Dalle precisazioni socio-dottrinali dei due articoli precedenti e di questo si potrebbe svolgere tutto un capitolo di pratiche applicazioni morali-pastorali. Qui ci limitiamo ad alcune note sommarie, prima circa il dialogo ecclesiale, poi circa l’opinione pubblica propriamente detta.

1 – Circa il dialogo ecclesiale. Alla gerarchia, intanto, spetta assicurare, per quanto è da essa, che circoli nel Popolo di Dio l’informazione ecclesiale più ampia libera e tempestiva possibile. Spetta, inoltre, che funzionino in clima di efficienza e di libertà le istituzioni ecclesiali del dialogo: come i consigli presbiterali e pastorali diocesani, “dei quali facciano parte sacerdoti, religiosi e laici, scelti con particolare cura, compito dei quali è studiare ed esaminare tutto ciò che si riferisce al lavoro pastorale, per poi proporre pratiche conclusioni”16; gli altri “consigli per il lavoro apostolico della Chiesa [...], nell’ambito diocesano, parrocchiale, interparrocchiale, interdiocesana, nonché a livello nazionale e internazionale”, di cui l’Apostolicam actuositatem (n. 26)17; gli Uffici Nazionali, diocesani e interdiocesani per le comunicazioni sociali, di cui l’Inter mirifica (n. 21) e la Communio et progressio (nn. 169 ss.); le consulte, le conferenze e le riunioni dei religiosi e delle religiose, di cui il Perfectae caritatis (n. 23) e l’Ad gentes (n. 33). Inoltre, eccellenti loci deputati del dialogo ecclesiale potranno essere le consultazioni, straordinarie ed ordinarie18, nonché i congressi, i convegni, le conferenze, i colloqui, anche informali. Sarebbe strano che, in questo post-Concilio, così aperto al dialogo con i non cristiani, con i credenti, col mondo19, restasse chiusa qualche via di dialogo della gerarchia con i fedeli.

Nei presbiteri, in materia, il compito è duplice. Da una parte non sottrarsi al dialogo con le autorità e con i propri confratelli: o tacendo (in pubblico!) per timidezza o per amore di quieto vivere, o cedendo al dissenso chiassoso e disgregatore, oggi di moda20; dall’altra accettare anch’essi le regole, non sempre gradevoli, del dialogo con i fedeli e con i sudditi, trattandoli come individui cristiani e religiosi maggiorenni, se lo sono; formandoli tali – nelle prediche e nei catechismi, nella confessione e nella direzione spirituale, nelle associazioni e nelle scelte comunitarie –, se non lo fossero.

Ma conditio sine qua non per riuscire nei due intenti, e non deviare e far deviare gli altri verso “opinioni che, per il loro contenuto, si pongono per se stesse fuori della vera Chiesa di Cristo”21, è che il clero conceda ai documenti del Magistero almeno lo stesso tempo attenzione e credito che troppi, anche del clero e studenti di teologia, concedono agli scritti di teologi spericolati e di contestatori squilibrati, ed a riviste o agenzie di informazione religiosa partigiane. Carisma per carisma, anche nella vita della Chiesa non è detto che “tradizione” faccia sempre matusa, e che rischiare sia sempre segno di sana gioventù.

Opiniamo che questa conditio valga anche per il dialogo dei semplici fedeli con quelli che, ai diversi livelli, hanno il carisma dell’autorità, soprattutto quando si trattasse di fedeli impreparati a giudicare, con i propri mezzi, nel merito delle questioni e delle situazioni discusse. Spesso oggi, in tanto sbandamento anche di clero e di “teologi”, per molti semplici fedeli prudenza vuole che a priori non diano credito a quanti – contestatori o ribelli à la page – siano palesemente in disarmonia col Magistero ed in rotta (o quasi) con la gerarchia.

Ma conviene che fedeli e religiosi si addestrino anche al dialogo quotidiano tra di loro. E non solo nel chiuso di gruppi giovanili spontanei, o di mini-comunità elettive, ma pure in comunità ecclesiali meno omogenee e di più ampio respiro, acquisendo ed esercitando le qualità umane e le virtù cristiane e religiose occorrenti22. A questo scopo la scuola, le associazioni giovanili e la vita di comunità possono e devono offrire una iniziazione ed un rodaggio preziosi.

In fatto di dialogo ecclesiale un ruolo tutto speciale ricade sui giornalisti23. Converrebbe perciò sensibilizzarli e formarli a non ritenersi soltanto soggetti di diritti, essi “l’opinione pubblica”, i soli esponenti e garanti del dialogo nella Chiesa; ma anche e soprattutto soggetti di responsabilità e di doveri sociali ed ecclesiali, quali fattori oggi determinanti, in bene come in male, e dell’opinione e del dialogo. Così, forse, si attenueranno certi atteggiamenti da incompresi e da perseguitati. Checché, infatti, vadano denunciando molti autori24, a conti fatti, i casi di “manipolazione”, volontaria o involontaria, dei “perseguitati”, non è detto che siano meno frequenti di quelli dei “persecutori”25.

2 – Circa l’opinione pubblica. Anche questa pone notevoli problemi morali-pastorali. Intanto devono tenere conto dell’opinione pubblica le autorità nei loro interventi magisteriali e disciplinari di una certa risonanza sociale. Infatti, l’efficacia ne sarà compromessa, ed inevitabile ne sarà la contestazione, quando non siano, nei limiti del possibile, preparati e sostenuti da opportune correnti di opinioni. Perché, oggi, questi interventi fanno notizia in tutto un mondo pluralistico-opinionale nel quale anche il Popolo di Dio vive immerso e respira, psicologicamente condizionato da esso, e perciò non più, come una volta, spontaneamente recettivo del Magistero. In queste condizioni, se si lascia avviare e consolidare un’opinione o un’attesa contraria all’autorità – le non liete vicende dell’Humanae vitae insegnino! –, sarà estremamente arduo ricreare, anche nei fedeli, le condizioni di fiduciosa recettività. Dal canto loro i fedeli, per lo stesso motivo, vanno sensibilizzati e formati a “fare opinione” anche per la gerarchia, e ciò a tutti i livelli. Non solo perché ripugna nella Chiesa un’opinione pubblica sistematicamente concorrenziale o, peggio, avversa alla gerarchia, ma anche perché, sempre e da tutti contestata e da nessuno difesa, la gerarchia verrebbe ridotta nell’impossibilità pratica di esercitare, in bene di tutta la comunità ecclesiale, il proprio carisma-servizio di autorità. In questo caso la sua situazione verrebbe ad essere più critica che non quella del potere civile; il quale, infatti, mancandogli l’adesione interiore dei cittadini, può almeno assolvere il suo compito con la coercizione esteriore, mentre la gerarchia ecclesiastica, oggi come oggi, non può contare che sul prestigio-fiducia che le deriva dallo spirito di fede dei credenti e dall’appoggio dell’opinione pubblica.

In pratica: non si tratta di passare all’apologia per sistema; tanto meno alla venerazione infantile o all’adulazione servile dell’autorità bensì all’esercizio socialmente responsabile – nel parlare, nello scrivere, nell’agire – appunto di questo spirito di fede, e di una sostanziale lealtà umana. Forse, con i tempi che corrono, iniziative pastorali in questo senso non riusciranno molto popolari. Ma questo è un motivo di più per tentarle tempestivamente e con coraggio26.

Tutti, infine, nella Chiesa dobbiamo evitare al possibile il ricorso a quei mezzi e metodi di fare opinione che, più o meno leciti o necessari fuori della Chiesa, non è detto che lo siano anche nel dialogo ecclesiale. Tali – oltre alle occupazioni di chiese e di sedi, alle dimostrazioni di piazza, ai sit-in ed agli scioperi –, sono il trasferimento di contestazioni religiose e di religiosi sui giornali laici, certi manifesti di teologi e “lettere aperte”, ed in genere le pressioni esterne sull’autorità, o la tattica dei fatti compiuti.

Su siffatte prove di forza potrà contare il “Regno di questo mondo”; meno quello di Dio, che è Regno di “verità nella carità”27.

1 Del 18 febbraio. Poi uscì in AAS, 42 (1950), 256 ss. È citato anche nella Communio et progressio, n. 115.

2 Cfr E. BARAGLI, Variazioni sulla (cosiddetta) opinione pubblica, in Civ. Catt. 1973 I 144 ss.), dove, dopo una panoramica su quelle proposte da autori classici e recenti. propongo questa definizione dell’opinione pubblica fattuale odierna: “L’insieme dei giudizi e degli atteggiamenti di individui in un ’pubblico’, riguardanti problemi o interessi rilevanti della comunità di cui essi si sentano parte, per lo più occasionati da fatti di attualità, secondo che vengano loro notificati dai mezzi e strumenti di comunicazione. e percepiti secondo proprie strutture psico-sociali; e, data occasione, anche l’insieme dei conseguenti comportamenti, verbali o operativi, diretti a conservare o a modificare situazioni di fatto della stessa comunità”.

3 Sul versante laico le fa riscontro l’opinione pubblica nell’accezione democratica dei liberali inglesi più ottimisti. Nel suo saggio Democratic Theory and Public Opinion (in Public Opinion Quaterly, 16, 1952, 329), così B. BERELSON enumera gli elementi dell’elettore ideale: “Interesse agli affari pubblici; possesso di informazioni e conoscenze; stabili principi politici o regole morali; capacità di attenta osservazione, impegno nella comunicazione e nella discussione, comportamento razionale, considerazione degli interessi della comunità”.
Forse un elettorato composto di siffatto materiale scelto aveva presente (o s’illudeva che esistesse) il liberale, appunto, Carlo Giacomo Fox, avversario di Guglielmo Pitt, che nel 1792 – si noti: a tre anni dall’inizio della Rivoluzione Francese –, parlando per la prima volta dell’opinione pubblica nel Parlamento inglese, diceva: "È certo cosa saggia e giusta il consultare l’opinione pubblica [...]. Se per caso l’opinione fosse in disaccordo con la mia opinione; se, dopo averle indicato il pericolo, essa non lo vedesse nella stessa luce nella quale lo vedo io, e se ritenesse che altri rimedi fossero migliori del mio, considererei mio dovere nei confronti del re, del mio paese e del mio onore, dimettermi, affinché essa opinione possa perseguire il disegno che ritiene migliore con lo strumento più idoneo, cioè ricorrendo all’uomo che condivide il suo pensiero [...]. Ma una cosa è chiarissima. e cioè che è mio dovere dare al pubblico i mezzi per formarsi un’opinione” (cit da J. HABERMAS, Storia e critica dell’opinione pubblica, Bari, Laterza, 1971, 84; il quale a p. 85 altrettanto liberalmente commenta: “L’opinione pubblica si forma nello scontro dell’argomentazione per una causa, e non, acriticamente, nel consenso ingenuo o manipolato plebiscitariamente, o nel dissenso di persone in base al common sense. Essa ha perciò bisogno di un proprio oggetto, cioè di dati di fatto reali, più che di grandi personaggi).

4 Cfr Dialogo opinionale nella Chiesa, in Civ. Catt. 1973 II 425, dove riporto anche la relativa Bibliografia.
Stante la sua scarsa precisione concettuale, sembra che siffatta “riduzione” accezionale debba farsi anche nella Communio et progressio. Infatti, sotto la rubrica Publica opinio (n. 114) essa tratta del Dialogus in Ecclesia, ed al n. 115, riportando Pio XII, scrive: “La Chiesa è un organismo vivente e le occorre l’opinione pubblica, che si alimenta nel dialogo tra le sue membra”; e continua (n. 116): “Perciò è necessario che i fedeli prendano piena coscienza dell’autentica libertà di esprimere le proprie idee [...].“In realta, il campo nel quale può estendersi l’interno dialogo della Chiesa è vastissimo [...] . Tuttavia, perché siffatto colloquio si svolga [...]” (n. 117). Cfr anche i nn. 139 e 176.
Non differentemente la Lettera della Segreteria di Stato al Congresso dell’UCIP (Lussemburgo 1971): "[...] Di qui, nella vita quotidiana del popolo di Dio, quello scambio di pensieri e di attività, di proposte e di esperienze che [...] si sprigiona dalle intelligenze e dalle libere volontà dei suoi membri [...]. Può quindi dirsi che [...] l’esistenza di un ’opinione pubblica nella Chiesa attiene alla sua stessa natura”.
Neanche il documento sulla Giustizia nel mondo, emanato dal III Sinodo dei Vescovi-1971 (cfr G. CAPRILE, Il Sinodo dei Vescovi: Seconda Assemblea Generale 1971, Roma 1973, 1201) si spinge oltre. Afferma infatti: “45. La Chiesa riconosce a tutti il diritto ad una ragionevole libertà di parola e di opinioni; nel quale diritto rientra anche quello di essere ascoltati in uno spirito di dialogo, rispettoso della legittima diversità nella Chiesa”.

5 Tutto su questa tesi è E. GUERRERO, La opinion pública en la Iglesia (in Razón y fe, luglio 1960, 45 ss.); ed anche S. TROMP, che scriveva (in Gregorianum, 1962, n. I, 9): Non autem tam facile est, etiam in Ecclesia, cognoscere bene opinionem publicam sanam, ac nonnulli sibi fingunt. Quod si principia Pii Papae XII applicamus, eam uno solo medio vere apto cognoscere valemus: attendendo videlicet ad modum quo homines prudentes et sapientes, de re religiosa bene instructi, dotati insuper spiritu catholico, quo nihil aliud volunt quam bonum reipublicae christianae, ad ea quae fiunt in Ecclesia veluti sponte et connaturaliter reagant. lamvero homines hisce donis ornati sunt relative pauci (cfr Eccle 1,15). Accedit quod sapientes et prndentes, prout describitur in sacris /itteris (cfr Iac 1,19; Eccle 10,14; Eccli 21,29; Prv 10,14), sunt tardi ad loquendum. verba non multiplicant, fobia sua in corde custodiunt et scientiam suam abscondunt potius quam pub/ice venditant. Nec raro accidit quoque, ut maiore cognitione rerum praediti oh munus quod gerunt, ob idem munus loqui palam non possint. .
La ignora, invece. e la travisa J. DlEZ-ALEGRÍA in Manipulation et liberté dans l’Eglise (in Concilium, 1971, n. 65, 59 ss.). Dal canto suo I. IRIBARREN (in Journalistes catholiques, janv. 1971) ne tenta un’esegesi, opportunamente distinguendo tra eco (“buona”) e risonanza (“manipolata”), quando però, nel pensiero di Pio XII, l’opinione pubblica nella Chiesa in tanto è valida in quanto eco e risonanza vi sono sinonimi.

6 J. ROCHE, Liberté du chrétien, autorité de l’Eglise, Paris, Fayard, 1971, 25, 95, 123.

7 Nell’elogio funebre di Luigi XVI, Pio VI qualificava la monarchie: le meilleur des gouvernements. La Bullarii Romani continuatio (Tomo IX, Roma 1845, 318) in nota riporta le seguenti Proposizioni, alle quali verisimilmente il Papa si ispirò: 7. la monarchie est la forme de gouvernement la plus commune, la plus ancienne et aussi la plus naturelle. 8. Le gouvernement monarchique est le meilleur. 9. De toutes les monarchies, la meilleure est la successive ou héréditaire: tutte “provate”, nientedimeno, dal grande Bossuet, in Politique – si noti bene – tirée des paroles de l’Ecriture Sainte (Oeuvres, Tomo 7, Paris 1748, 289 ss.)!

8 Circa le caratteristiche della “massa” e la dinamica del “consenso” in essa, cfr L. WIRTH, Consenso e comunicazione di massa, in M. LIVOLSI, Comunicazione e cultura di massa, Milano, Hoepli, 1969, 135 ss.; ed anche E. VAN DEN HAAG, Dissenso nella società consensuale, ivi, 205 ss., H. BLUMER, Massa pubblico e opinione pubblica, ivi, 259 ss.

9 “Il Popolo di Dio [...] si compone, nel suo stesso interno, di diversi ordini. Poiché tra i suoi membri c’è diversità, sia per ufficio, essendo alcuni impegnati nel sacro ministero in bene dei loro fratelli, sia per lo stato e il tenore di vita, dato che molti nello stato religioso, tendendo alla santità per una via più stretta, sono di stimolo ai fratelli col loro esempio [...]. Il Collegio apostolico [...] esprime la varietà e l’universalità del Popolo di Dio; in quanto poi è raccolto sotto un solo capo, significa l’unità del gregge di Cristo. In esso i vescovi [...] esercitano la loro propria potestà per il bene dei loro fedeli, anzi di tutta la Chiesa, mentre lo Spirito Santo costantemente consolida la sua struttura organica e la sua concordia” (Lumen gentium, nn. 13 e 22).
Tra l’altro, non tiene conto di questo elemento l’anonimo autore dell’Editoriale di Testimonianze (agosto 1971, 465 ss.), praticamente equiparando la opinione pubblica ecclesiale a quella di un gruppo sociale qualsiasi. Lo stesso autore poi, che giustamente lamenta “il grave pericolo di manipolazione delle coscienze da parte degli strumenti di comunicazione di massa [...] manovrati da pochi centri di potere”, stranamente ignora la manipolazione che certe riviste possono esercitare dell’opinione, pubblica o meno, di più o meno consistenti e rumorosi gruppi ecclesiali.

10 È noto l’abbiccì della prassi giornalistica: “Se un cane morde un uomo, non fa notizia; se un uomo morde un cane, fa notizia”. Al Sinodo dei Vescovi del 1971 un Padre rumeno notò che “la clamorosa discussione circa le encicliche Humanae vitae e Sacerdotalis coelibatus [...] ha sopraffatto l’eco molto più debole della Populorum progressio” (G. CAPRILE, op. cit., 425).

11 A parte le considerazioni che seguono, sulla dinamica d’urto delle opinioni pubbliche, già nel caso di una parrocchia di città sui 5/10.000 abitanti, al fine di una indagine statistica su un fatto di opinione locale, non è facile distinguere quanti siano i credenti che vi prendano parte, e quanti i non credenti, più o meno consapevolmente presi nel giro. Come, poi, distinguere i cattolici, almeno anagrafici, dai non cattolici? E, tra gli anagrafici, come contare quelli che, di fatto, sono credenti, e quelli che, di fatto, in tutto o in parte, non lo sono più? Infine, tra quelli che aderiscono completamente alla dottrina cattolica, come distinguere quelli che abitualmente giudicano e si comportano da cristiani-credenti coerenti, da quelli che, magari praticanti e militanti, normalmente giudicano “col mondo”?

12 Una sfocatura rispetto al n. 1 (il soggetto dell’opinione pubblica nella Chiesa) ed a questo n. 3 (la dinamica della sua formazione) si avverte nelle parole con cui G. GIRARDET, P. ORLANDO e M. REUVER chiudevano la loro comunicazione Il Popolo di Dio soggetto dell’informazione religioso, al Convegno delle 12 Riviste del cosiddetto “dissenso cattolico”, svoltosi a Firenze dal 15 al 17 dic. 1972, sul tema Informazione religiosa ed opinione pubblica in Italia: “Crediamo che si debba fare, parlando dell’opinione pubblica nella Chiesa come Comunità del Popolo di Dio, un riferimento al Sensus fidelium. Storicamente si è parlato tanto del Sensus fidelium e lo si è usato per giustificare alcuni dogmi della Fede. Però in passato era quasi impossibile misurare questo sensus ed era di fatto la gerarchia che lo manipolava. Oggi, con i mass media, l’opinione pubblica religiosa non è più nelle mani della gerarchia, ma è diventata veramente una realtà della Chiesa-Comunione. Ora, in casi come ’la pillola’, il celibato del prete, quando l’opinione pubblica, quando il consenso dei credenti cresce continuamente contro l’opposizione tenace della chiesa-istituzionale, il Sensus fidelium prende una forma definitiva”.

13 L. WIRTH, op. cit., 143.

14 Da rilevare che, anche Gesù, pur predicando alle folle, non mirò a far leva di masse, ma andò piuttosto controcorrente. Deluse il popolo, ed anche “i suoi”, che si aspettavano un Messia “regale” (Gv 6,15). Quando molti discepoli giudicarono dure le sue parole, si ritirarono indietro e non andarono più con lui, egli chiese ai Dodici: “Volete forse andarvene pure voi? " (Gv 6,61 ss.). Invitò tutti i suoi seguaci ad entrare per la porta angusta e nella via stretta (Mt 1,13-14), della rinuncia a se stessi e della sua croce (Mt 16,24). Per questo "sui Eum non receperunt”! (Gv 1,11). E non differentemente san Paolo (cfr 1Cor 2).

15 E. POUSSET, Censure et liberté d’expression (in Recherches et débats, 68, Paris, Desclée de Brouwer, 1970, 136 ss.).

16 Christus Dominus, 27; Ad gentes, n. 30.

17 Sui consigli presbiterali e pastorali, così il citato documento del III Sinodo dei Vescovi-1971, sul Sacerdozio ministeriale (G. CAPRILE, op. cit., 1187 ss.):
“90. Il consiglio presbiterale, che e per sua natura diocesano, è una forma di manifestazione istituzionalizzata della fraternità esistente tra sacerdoti, fondata sul sacramento dell’ordine.
“91. L’attività di tale consiglio non può essere pienamente configurata a norma di legge; la sua efficacia dipende soprattutto dallo sforzo continuo, di ascoltare le opinioni di tutti, per giungere al consenso del vescovo, al quale spetta di prendere la decisione finale.
“92. Se tutto ciò viene fatto con la massima sincerità ed umiltà, superando qualsiasi unilateralità, si può giungere facilmente a provvedere rettamente al bene comune.
“93. Il consiglio presbiterale è un’istituzione nella quale i presbiteri, dato il continuo aumento della varietà nell’esercizio dei ministeri, riconoscono di integrarsi a vicenda nel servizio dell’unica e medesima missione della Chiesa.
“94. Spetta ad esso, tra gli altri compiti, ricercare gli obiettivi chiari e distintamente definiti, proporre le relative priorità, indicare i metodi, aiutare tutto ciò che lo Spirito suole suscitare per mezzo degli individui e dei gruppi, favorire la vita spirituale, onde più facilmente si possa raggiungere la necessaria unita.
“103. Il consiglio pastorale [...], col suo studio e la sua riflessione, offre gli elementi necessari affinché la comunità diocesana possa predisporre in modo organico il lavoro pastorale, ed assolverlo in maniera efficace.
“104. Quanto più cresce e si sviluppa la mutua e responsabile cooperazione dei vescovi e dei presbiteri, soprattutto per mezzo dei consigli presbiterali, tanto più è da auspicare che venga istituito il consiglio pastorale nelle singole diocesi”.

18 Esempi di consultazioni ecclesiali straordinarie: quella di Pio XII, a tutto l’episcopato cattolico, per la definizione dommatica dell’Assunzione; e quella, a raggio ed a contenuto molto più vasto, che ha preceduto il Vaticano II. La consultazione ordinaria del clero e dei laici è ormai prevista dalle Norme circa la scelta dei candidati al ministero episcopale nella Chiesa latina, del 25 marzo 1972 (cfr Civ. Catt. 1972 II 422 ss.).

19 Per il dialogo ecumenico: cfr Unitatis redintegratio, specialmente 4, 9, 11, 18, 23. Con i non cristiani: cfr Gaudium et spes, n. 92: Ad gentes, nn. 11, 16, 34, 38, 41; Nostra aerate, nn. 2 e 4; Gravissimum educationis, n. 11. Col mondo: cfr specialmente Gaudium et spes, nn. 43 e 92; Christus dominus, n. 13; Optatam totius, n. 19; Apostolicam actuositatem, nn. 14 e 31.

20 Ad rem ancora il Documento sinodale sul Sacerdozio ministeriale:
“102. Bisogna aver sempre presente l’indole propria della comunione della Chiesa, al fine di accordare opportunamente, sia la libertà personale, secondo i riconosciuti uffici e carismi di ciascuno, sia l’unità di vita e di azione del Popolo di Dio.
“99. È auspicabile che, per quanto è possibile, siano cercati quei modi, anche se riescano piuttosto difficili, con i quali le associazioni che eventualmente dividano il clero in varie fazioni, possano essere ricondotte alla comunione ed alla struttura ecclesiale”.

21 Lettera della Segreteria di Stato all’UCIP, luglio 1971. cit., n. 18.

22 Cfr Apostolicam actuositatem, 12 e 25; Perfectae caritatis, n. 15; Documento sinodale sulla Giustizia nel mondo (G. CAPRILE, op. cit., 1197). È dubbio che occorrano molte di queste qualità umane e di queste virtù cristiane (e religiose) in quello strano dialogo ecclesiale in cui semplici religiosi, ed anche superiori provinciali – com’è avvenuto –, si “desolidarizzano” con dichiarazioni pubbliche da prese di posizione, magari opinabili, del loro superiore maggiore.

23 Per il ruolo specifico della “stampa cattolica” si rimanda ad un prossimo articolo.

24 Cfr J.M. DIEZ-ALEGRÍA, Manipolazione e libertà nella Chiesa (in Concilium, magg. 1971, 87 ss.); R. LA VALLE, Il giornalista e l’opinione pubblica nella Chiesa (in Laici nelle vie del Concilio, Assisi 1966); A.G. MOLINA, La Iglesia en la encrucijada de la comunicación social, Madrid 1970; K. RAHNER, Libertà e manipolazione nella Chiesa e nella Società, Bologna 1971; G. ZIZOLA, Immagine della religione attraverso la grande stampa di informazione (Comunicazione al cit. Convegno di Firenze 1972).

25 Cfr E. BARAGLI, Giornalisti perseguitati?, in Oss. Rom., 20 agosto 1971; e sui servizi giornalistici al III Sinodo dei Vescovi-1971: G. CAPRILE, op. cit. 1099 ss., 1172 ss.

26 Notava il patriarca di Venezia, A. LUCIANI, dopo il III Sinodo dei Vescovi-1971 (in Oss. Rom., 7-8 dic. 1971): “Aggiungono alcuni che i cardinali di Curia sono ligi al Papa. Ebbene, sarebbe ora di affermare coraggiosamente che voler essere col Papa non è deteriore complesso d’inferiorità, ma frutto dello Spirito Santo. Il primato, prima di essere istituzione giuridica, è infatti carisma: che da una parte spinge il Papa a servire i suoi fratelli, confermandoli nella fede; e dall’altra inclina i vescovi a comportarsi verso di lui col rispetto e l’attaccamento dovuto al fratello maggiore”.

27 Sulla "Sagra dei manifesti”, cfr Civ. Catt. 1972 II 172 ss., 470 ss.; Oss. Rom., 27 aprile 1972; A.G. MOLINA, La lglesia en la encrucijada de la comunicación social, Madrid 1970, 237 ss. -Circa le pressioni esterne sul lii Sinodo dei Vcscovi-1971: G. CAPRILE, op. cit., 1021 ss.

In argomento

Magistero

n. 3195-3196, vol. III (1983), pp. 209-222
n. 3188, vol. II (1983), pp. 154-161
n. 3141, vol. II (1981), pp. 222-237
n. 2990, vol. I (1975), pp. 144-157
n. 2983, vol. IV (1974), pp. 36-48
n. 2979-2980, vol. III (1974), pp. 242-247
n. 2950, vol. II (1973), pp. 347-358
n. 2951, vol. II (1973), pp. 425-438
n. 2911, vol. IV (1971), pp. 39-48
n. 2913, vol. IV (1971), pp. 235-253
n. 2882, vol. III (1970), pp. 154-160
n. 2859-2860, vol. III (1969), pp. 219-230
n. 2847, vol. I (1969), pp. 250-253
n. 2787-2788, vol. III (1966), pp. 314-315
n. 2702-2704, vol. I (1963), pp. 105-118, 313-325
n. 2636, vol. II (1960), pp. 124-39
n. 2612, vol. II (1959), pp. 113-124
n. 2605, vol. I (1959), pp. 66-69
n. 2555, vol. IV (1956), pp. 521-532
n. 2545, vol. III (1956), pp. 30-42
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