NOTE
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1 Cfr E. BARAGLI, Il caso McLuhan - L’uomo, le opere, il pensiero, in Civ Catt. 1980 II 433-451; Per una valutazione critica del pensiero di Marshall McLuhan, in Civ Catt. 1980 III 375-393.

2 Anche in questo terzo ed ultimo articolo si presentano – ridotto al minimo l’apparato di documentazione e di note – alcune linee di quanto più largamente si espone e si discute nel volume di recente pubblicazione: E. BARAGLI, Il caso McLuhan, Roma, La Civiltà Cattolica, 1980, 8º, 428. L 14.000.

3 T. NAIRN, McLuhanologia, in AA.VV., Analisi di Marshall McLuhan, Buenos Aires, Tiempo contemporáneo, 1969, 69.

4 F. BALLE, Pour comprendre les média. MacLuhan, Paris, Hatier, 1972, 71.

5 J. CAZENEUVE, I poteri della televisione, Roma, Armando, 1972, 197.

5 N. ABBAGNANO, L’uomo di domani, in La Stampa, agosto 1967.

7 C. PELLIZZI, L’uomo elettrico di McLuhan, in Video, 1967, 40 e 54.

8 D. Mosso, La messa teletrasmessa, Bologna, Ed. Dehoniane, 1974, 8-11.

9 Civ Catt. 1980 II 442.

10 Apocalittici e integrati, Milano, Bompiani, 1968 – Per una lista di quindici dolèances contro i mass media e la loro cultura di massa, cfr ivi, 37 ss.; e per una controlista di nove difese della stessa. cfr ivi, 41 ss.

11 P. E. LAZARSFELD – R. K. MERTON, Comunicazione di massa, gusti popolari e azione sociale organizzata, in AA.VV., L’industria della cultura, Milano, Bompiani, 1969, 209 ss.; C. CAZENEUVE – J. OULIF, La grande chance de la télévision, Paris, Calman-Lévy, 1963, passim.

12 Cfr E. MORIN, L’industria culturale, Bologna, Il Mulino, 1963; A. MOLES, Le Kitsch: L’art du bonheur, Paris, Marne, 1971; G. DORFLES, Il Kitsch: Antolologia del cattivo gusto, Milano, Mazzotta, 1972.

13 Opponendo una lista non meno nutrita di benemerenze socio-culturali dei mass media; quali, ad esempio, l’estensione di svaghi “nobili” ai meno abbienti, una volta riservati ai pochi ricchi; una generalizzata istruzione di base, già monopolio dei clercs; la diffusa informazione, condizione di sviluppo democratico e di partecipazione alla vita civile...

14 Eccezion fatta, forse, per l’iconicità; di alcuni quali il cinema, la televisione e, in parte, la stampa: dagli uni denunciata quale fattore di un’alogica «civiltà iconica» (o «dell’immagine»); dagli altri apprezzata, invece, quale correttivo di una troppo astratta cultura verbale; evidentemente in relazione alla loro tecnicità, ma in una prospettiva diversa da quella di McLuhan.

15 Ad esempio: la solidarietà (e la carità cristiana) di un «prossimo» estesa ormai dai mass media ad individui e popoli di tutto il mondo; la possibilità, per la prima volta nella storia della Chiesa, di proclamare direttamente «a tutte le genti» e «sino agli ultimi confini della terra» l’annuncio della salvezza; una Chiesa cattolica resa «presente» (che «fa notizia») nel vivo del mondo odierno, così accreditandosi come «valore».

16 Seguo. sunteggiando, quanto ho svolto in E. BARAGLI, op. cit., 359 ss.; e, più ampiamente. in Comunicazione e pastorale, Roma. La Civiltà Cattolica, 1974, 108 ss.; e poi per la stampa: 249 ss.; per il cinema: 285 ss.; per la radio-televisione: 324 ss.

17 Queste espressioni sono nell’editto Etsi ad mortalem, emanato il 4 genn. del precedente 1486 dall’arcivescovo di Colonia Bertoldo di Henneberg, istituendo, il primo ufficio ecclesiastico diocesano di censura preventiva (cfr E. BARAGLI, Una costante preoccupazione pastorale della Chiesa: l’“Imprimatur”, in Civ. Catt. 1975 II 441) – Nell’Inter multiplices si legge: «Tra le molteplici cure [...] del nostro ufficio pastorale in primo luogo deve essere quella di far sì che quanto nel nostro tempo s’inventa di utile e di lodevole e di conforme alla fede cattolica ed ai buoni costumi, non solo si conservi e si alimenti, ma anche passi ai posteri; ciò che sia dannoso condannabile ed empio venga reciso e divelto, sicché non rispunti mai più [...]. Ma è da rilevare che, se il bene, tanto è più utile divino e grande quanto più è universale, così il male, tanto è da credere peggiore ed abominando quanto più sia diffuso e copioso, soprattutto considerando che la mente dell’uomo, nella sua fragilità, si trova più incline al male che al bene. Ne segue che l’arte della stampa, come è ritenuta utilissima perché facilita la moltiplicazione di libri pregevoli ed utili, così diverrebbe dannosissima se chi l’ha nelle mani la usasse malamente, senza regola stampando ciò che è nocivo. Quindi è necessario che con giusti rimedi venga messo un freno agli stampatori, sicché desistano dallo stampare libri che si prevedano contrari o avversi alla fede cattolica, o che rischino di arrecare scandalo nelle menti dei fedeli».

18 Dopo il Concilio di Trento si aggiunse (1584) la loro inserzione in un vincolante Indice dei libri proibiti, che, attraverso le costituzioni Sollicita ac provida di Benedetto XIV (1753) e Officiorum ac munerum di Leone XIII (1897), e il Codice di diritto canonico (1917), doveva durare sino alla chiusura del Vaticano II, quando l’Indice, con le relative censure, cessava di aver valore di legge (Dichiarazione Post litteras apostolicas, della S. Congr. per la Dottrina della Fede, 14 giu. 1966, in AAS LVIII [1966], 1451.

19 Così, ad esempio, Gregorio XVI denunciava «la non mai troppo esecrata e condannata libertà di stampa, di tutto diffondere nel pubblico», e inorridiva «vedendo da quanto mostruose dottrine o, per dir meglio, da quanti mostri di errori siamo assaliti, che per lungo e per largo vengono diffusi da valanghe di libelli e di scritti [...] dai quali erompe nella terra una deprecanda maledizione». (Enc. Mirari vos, 15 ag. 1832). Gli faceva eco Pio IX, condannando, appena eletto, «tanti velenosi fogli volanti [...] che contagiavano il male e che, ben presentati ma pieni di errori e di inganni, con grandissimo dispendio vengono diffusi dappertutto tra i fedeli, disseminando in ogni dove dottrine pestifere, depravando specialmente le menti e gli animi degli imprudenti. Da questa immane ed universale ondata di errori e da tanta sfrenata licenza di pensare. di parlare e di stampare dipende il deterioramento del costume» (Enc. Qui pluribus, 9 nov. 1846). E, parlando a giornalisti cattolici, così Leone XIII: «Conseguita quella sfrenata libertà, che meglio si direbbe licenza, di pubblicare per le stampe tutto ciò che talenta, gli uomini amanti di novità si diedero tosto a spargere una moltitudine quasi infinita di giornali che avessero per compito [...] di calunniare e di rendere invisa la Chiesa, e di istillare negli animi le più perniciose dottrine [...]. Non s’ingannerebbe molto chi volesse attribuire specialmente alla stampa malvagia la colluvie dei mali e la deplorevolissima condizione di tempi e di cose alla quale oggi siamo giunti» (Discorso Ingenti sane laetitia, 22 febb. 1879). E san Pio X, dopo aver lodato Leone XI perché «durante il suo pontificato non si lasciò mai sfuggire occasione di raccomandare di opporre stampa a stampa, in un aperto duello tra il bene e il male» (Lettera Quem catholici, 27 genn. 1906), esortava l’episcopato brasiliano: «Si faccia in modo di diffondere la stampa cattolica dappertutto e a tutti, soprattutto tra quelli che la carità cristiana deve strappare alle fonti inquinate dei giornali cattivi (Lettera Paulopolin nuper, 18 dic. 1910).

20 II giornale viene individuato per la prima volta come quotidiana scripta da Gregorio XVI nella lettera al Vescovo di Liegi Quum ex pastorali, del 25 apr. 1845. Per l’attualità; quale oggetto proprio dell’informazione giornalistica (recentiorum factorum narratio), e per il giornale diventato di fatto una necessità sociale (edendarum ephemeridum veluti inducta necessitas), cfr Leone XIII, discorso cit., del 22 febb. 1879. Lo stesso Leone XIII, 4 anni dopo (Lettera Saepe numero considerantes, del 18 ag. 1883), diffidente nomina le instabili opinioni (opinionum laevitati) contro le certezze provate. Per sentire qualificare «quarto potere» – l’opinione pubblica occorrerà attendere il pontificato di Paolo VI (Lettera della Segr. di Stato alla 53.ma Settimana Sociale di Francia del 2 lug. 1966). Il dovere-diritto all’informazione verrà esplicitamente enunciata solo nel decreto del Vaticano II Inter mirifica, del 4 dic. 1963. Infine. l’ultimo ricorso per la censura al braccio secolare si trova, salvo errori, nel Concordato tra Pio IX e l’imperatore d’Austria Francesco Giuseppe, del 18 ag. 1855.

21 E sono: la Lettera della Segreteria di Stato al can. Abel Brohée, presidente dell’OCIC, del 27 apr. 1934; l’enciclica di Pio XI Vigilanti cura, del 29 giu. 1936; i due Discorsi sul film ideale di Pio XII , del 21 giu. e 28 ott. 1955; per la parte dedicata al cinema, l’enciclica di Pio XII Miranda prorsus, dell’8 set. 1957.

22 La Lettera della Segreteria di Stato del 1934 rileva che «il cinema sta diventando il più grande e più efficace mezzo d’influenza, ancora più efficace della stampa, giacché non è raro il caso di film visti da più milioni di spettatori» (n. 31), ma – sorvolando sugli slogan tardivi di Goebbels per il nazismo: «Il cinema è uno dei mezzi più efficaci per costruire un [nostro] mondo migliore»; e di Mussolini per il fascismo: «Il cinema è l’arma più forte» –. va ricordata, per il marxismo, l’asserzione di Lenin (nel 1921!): «Per la Russia, di tutte le arti la più importante è il cinema»; e quella di Stalin (nel 1924!): «Il cinema è un grande strumento di agitazione delle masse. Si tratta quindi di prendere la cosa con le nostre mani».

23 «Non si dà oggi mezzo più potente del cinema ad esercitare influsso sulle moltitudini, sia per la natura stessa delle immagini luminose, sia per la popolarità dello spettacolo cinematografico, sia infine per le circostanze che l’accompagnano» (Vigilanti cura, 20).

24 Il cinema, nato come registrazione di fenomeni di moto, può essere usato come semplice mezzo di trasporto di altre forme di comunicazione umana, quali il linguaggio propriamente detto, il teatro, il ballo...; ma anche come forma specifica di comunicazione, che usa come segni espressivo-comunicativi le immagini visive. In argomento, e per l’annosa questione sullo «specifico filmico», rimando al mio E. BARAGLI, Corso elementare di filmologia, 3ª ed., Roma 1971, 47-50.

25 Cfr Vigilanti cura, nn. 63 e 65.

26 «Il problema morale della produzione dei film sarebbe risolto alla radice se ci fosse modo di avere una produzione cinematografiche informata pienamente ai principi della morale cristiana» (Vigilanti cura, n. 35).

27 Cfr E. BARAGLI, Codice Hays-Legion of Decency, Roma, La Civiltà Cattolica, 1968.

28 Con questa si aprono i due maggiori documenti magistrali in argomento: la enciclica Miranda prorsus, e il decreto conciliare Inter mirifica.

29 Cfr Miranda prorsus, n. 137.

30 Cfr PIO XII: Messaggio «I rapidi progressi» del 1° gennaio 1954; Discorso «En vous souhaitant» del 21 ottobre 1955; Miranda prorsus, n. 144.

31 Ad esempio, viene rilevata la «contemporaneità» quale caratteristica del medium televisivo (in diretta): cfr PIO XII, Telemessaggio «Non è forse una fausta» (6 giugno 1954), n. 5.

32 Cfr Miranda prorsus, n. 141.

33 Cfr Miranda prorsus, n. 115.

34 Cfr Pio XII, Radiomessaggio «Con la più viva soddisfazione» (11 ottobre 1955) n. 9; Radiomessaggio «Attendite populi» (27 ottobre 1957), n. 4.

35 I Infatti ogni comunicazione tende proprio a «rendere comune» al recettore destinatario un contenuto di coscienza che il promotore della comunicazione a questo scopo esprime in un «messaggio», codificandolo in segni sensorialmente percepibili e – così almeno egli si attende – correttamente decodificabili dal recettore. Di qui, da parte del promotore, il ricorso ad altri mezzi e codici per assicurare la recezione e la comprensione del messaggio qualora l’una o l’altra non si realizzi, o per carenza sensoriale del recettore, o per difetto del medio-ambiente, o per più o meno scarsa comunanza di codici.

36 Si pensi, ad esempio, per il primo caso, alla comunicazione verbale-scritta attuata per mezzo di un impersonale dattiloscritto o per telegramma, rispetto a quella attuata con un autografo, che partecipi, invece, al recettore le note caratteriali e lo stato d’animo dello scrivente. E, per il secondo caso, si pensi, ad esempio, ai suoni nella musica e ai simboli algebrici nella matematica... Intanto perché, in questo caso, sono proprio i mezzi, a costituire i codici comunicativi più o meno aperti a dati contenuti-significati: contenuti solo logico-quantitativi, ad esempio, quelli algebrici, e solo a-logico-emotivi quelli musicali. Ma soprattutto perché l’uso esclusivo o prevalente di questi mezzi a preferenza di altri – in ciò occorre concordare con McLuhan! – non può non incidere sui settori sensoriali interessati (o non interessati) dei comunicanti, con intuibili (e dimostrati) riflessi sulla psicologia e sui comportamenti sociali degli stessi.

37 Tra gli esempi più ovvi: il caso degli strumenti musicali, che il compositore presceglie per comunicare «una sua» espressione; la quale, viceversa, si muta o si altera se, nell’esecuzione, quelli vengono in tutto o in parte sostituiti; ed è il caso delle tecniche pittoriche: i modi e le possibilità espressive, ad esempio, dell’affresco diversificandosi così nell’esecuzione: come nella resa espressiva, da quelli della tempera o dell’olio.

38 Di cui, infatti, la costituzione dogmatica del Vaticano II Dei Verbum così ha rilevato l’essenziale natura comunicativo-saIvifica, dalle prime origini dell’uomo sino alla fine dei tempi: «Dio, il quale crea e conserva tutte le cose per mezzo del Verbo (cfr Gv 1.3)» non solo «offre agli uomini nelle cose create una perenne testimonianza di sé (cfr 1Rm, 19-20), ma, volendo aprire la via della soprannaturale salvezza, sin dal principio manifestò Se stesso ai progenitori [...]. A suo tempo chiamò; Abramo [...], ammaestrò; Mosè [...]; e, dopo avere a più riprese e in più modi parlato per mezzo dei Profeti [...], ha parlato a noi per mezzo del Figlio (Eb 1,1-2)». Inoltre «Dio [...] dispose che quanto Egli aveva rivelato per la salvezza di tutte le genti rimanesse per sempre integro e venisse trasmesso a tutte le generazioni. Perciò Cristo ordinò agli Apostoli [...] di predicare a tutti il Vangelo. Ciò venne eseguito tanto dagli Apostoli, i quali nella predicazione orale, con gli esempi e le istituzioni trasmisero ciò che avevano ricevuto dalle labbra, dalla frequentazione e dalle opere di Cristo [...], quanto da quegli Apostoli e da uomini della loro cerchia, i quali [...] misero in scritto l’annuncio della salvezza. Gli Apostoli poi, affinché il Vangelo si conservasse sempre integro e vivo nella Chiesa, lasciarono come successori i vescovi, ad essi affidando il loro proprio compito di magistero» (nn. 1-7).

39 Di Platone, cfr il noto apologo del dio Theuth e Thamous, re di Tebe, in Fedro, 724c-725-b. Cap. 59; e, per la catechesi odierna, così Giovanni Paolo II nella Catechesi tradendae, del 16 ott. 1979: «Gli inizi della catechesi cristiana, che coincisero con una civiltà soprattutto orale, hanno fatto il più ampio ricorso alla memorizzazione. In seguito la catechesi ha conosciuto una lunga tradizione di apprendimento mnemonico delle principali verità. Sappiamo tutti che questo metodo può presentare certi inconvenienti [...]. Nondimeno voci molto autorevoli si sono fatte sentire [...] per riequilibrare assennatamente la funzione della riflessione e della spontaneità, del dialogo e del silenzio, dei lavori scritti e della memoria. Del resto, alcune culture tengono tuttora in gran conto la memorizzazione» (n. 55).

40 «Gli scribi avevano nell’ebraismo una posizione di autorità e di guida che era di gran lunga sproporzionata alla loro primaria funzione d’interpreti della Legge; di fatto erano dittatori morali [...]. Essi basavano la propria autorità sulla fedeltà al testo dell’Antico Testamento, al di là del quale erano consapevoli di non poter andare. A quel tempo, di fatto, erano andati molto al di là del testo; però la teoria dell’insegnamento degli scribi era che esso non proponeva nient’altro che non fosse già contenuto in qualche modo nella Legge» (J. McKENZIE, L’autorità nella Chiesa, Torino. Gribaudi, 1969, 104).

41 Per limitarci a due casi tra i più correnti, basti pensare, su piano civile-politico, all’efficienza dell’informazione giornalistica e della propaganda-pubblicità sulle opinioni e sul comportamento dei singoli e delle masse ; e ciò, non soltanto nei regimi dittatoriali, ai quali l’informazione, mutilata e manipolata, è condizione prima ed assoluta per sopravvivere; ma anche nelle (più o meno) libere democrazie, dove, a condurre la cosa pubblica, è il «consenso» mobilitato dall’informazione e dalla propaganda, e dove la pubblicità è, tutt’altro che metaforicamente, l’anima del commercio... e di moltissime altre cose. Non per nulla, nell’un campo e nell’altro, da tempo vengono messe al punto ed applicate costose ricerche motivazionali e sofisticate content analysis. E, su piano etico, basti rilevare che, se qualche psicologo magari li nega ai contenuti erotico-pornografici, quasi tutti concordano nel denunciare almeno gli effetti malsani dei contenuti-messaggi di violenza e di odio nel cinema e nella televisione, e l’infausta funzione strumentale-consumistica esercitata dai loro divi e personaggi.

42 Cfr anche Gaudium et spes, n. 62; Gravissimum educationis, lntr.; Communio et progressio, 1, 49, 53, 127, 181 e 187.

43 Cfr E. BARAGLI, Il caso McLuhan - L’uomo, le opere, il pensiero, in Civ. Catt. 1980 II 443.

44 E così la circolare Nella sua sollecitudine della Pont. Comm. per la pastorale della migrazione e del turismo, del 26 magg. 1978, n. 2 (AAS LXX [1978], 357): «La mobilità invita ad un’appropriata comprensione del mondo in cui viviamo, e di cui vediamo evolversi sotto i nostri occhi le strutture. L’economia è diventata planetaria; la politica, per essere realistica, assume dimensioni mondiali [...] .Ormai è impossibile essere indifferenti all’interpenetrazione di razze, civilizzazioni, culture, ideologie. Il mondo è diventato piccolo, le frontiere tendono a cadere, lo spazio è ridimensionato, le distanze svaniscono [...]: viviamo tutti in un solo villaggio».

45 Cfr E. BARAGLI, L’Inter mirifica, Roma, La Civiltà Cattolica, 1969, 261 ss.. 273 ss., 299 ss.; Comunicazione e pastorale, ivi, 1974, 38 ss.

46 Cfr Gaudium et spes, nn. 6, 25 e 63.

47 Ad esempio, nella Communio et progressio, l’espressione strumenti della comunicazione sociale viene adoperata in senso proprio (come nell’Inter mirifica) 31 volte (nn. 2, 4, 6, 7, 13, 21, 41, 46, 48 e 49, 62 e 63, 64 e 65, 71, 73 e 74, 90, 96, 100, 102, 122, 125 e 126, 134, 157, 160, 162, 165, 182 e 184). Per il resto – a parte gli pseudo-sinonimi latini di media, apparatus e reperta; artes e machinamenta (2 volte), inventa (7 volte) e subsidia (17 volte) –, 33 volte vi si tratta di generici strumenti di comunicazione (nn . 9, 12 e 13, 16, 20, 22, 38, 40, 44, 51, 53, 62, 67, 70, 76, 80, 84, 87 e 88, 91 e 92, 97, 99, 100, 103, 106 e 107, 118 e 119, 131, 163, 183 e 184); 7 volte si parla di una anche più generica comunicazione (nn. 2, 17, 80, 134, 168, 169 e 170), mentre per ben 39 volte vi si tratta, al singolare e al plurale, di [leggi proprie di] una mai da nessuno definita (né definibile) comunicazione sociale (nn. 1, 5, 8, 12, 14 e 15, 18, 23, 71, 73, 79, 83, 100 e 101, 102 e 103, 107 e 108, 109 e 110, 113, 127, 130 e 131, 133, 164, 166, 167 e 168, 171, 172 e 173, 17 , 179, 181 ,183 e 184, 186 e 187) .

48 Ad esempio nella stessa Communio et progressio, dove s’è fatto socialis equivalente a generalis (n. 76) e ad universalis (n. 79); e, più recentemente, quando a socialis, s’è attribuita un’accezione di valore positivo, e non semplicemente fattuale, eticamente neutra; cfr Discorso di Giovanni Paolo II all’UNESCO, 2 giu. 1980, n. 16 (Oss Rom., 23 giu. 1980), ripreso nel Discorso al Congresso UCIP, del 25 sett. 1980, n. 10 (ivi, 26 sett. 1980).

49 I. TOFFLER, Lo choc del futuro, Torino, Einaudi, 1972 (cfr Civ. Catt. 1977 IV 349).

50 Di cui è ancora la Gaudium et spes a notare che, «sebbene essa non manchi di pericoli, tuttavia reca in sé molti vantaggi nel rafforzamento ed accrescimento delle qualità della persona umana e per la tutela dei suoi diritti» (n. 25); e della quale Giovanni XXIII , nella citata Mater et magistra, rileva realisticamente i vantaggi, i costi e l’evitabile determinismo.

51 Cfr Mass media e predicazione, in E. BARAGLI, Comunicazione e pastorale, cit. 179 ss.

52 Questione che si pone, ad esempio, per i nubendi nel sacramento del matrimonio, tra confessore e penitente nel sacramento della penitenza, tra fedele e il celebrante nella messa (televisiva); cfr Mass media e liturgia, ivi, 195 ss.

53 Cfr Teologia dei mass media, ivi, 133 ss. e J. HEREDIA, Teologia de los strumentos de comunicación social y Magistero Romano (tesi di laurea), Toma, PUG, 1978.

54 A. BOURDIS, Marshall McLuhan: profeta o mistificatore?, Torino, SEI, 1974, 174.

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Articolo estratto dal volume I del 1981 pubblicato su Google Libri.

Il testo è stato corretto dai refusi di stampa e formattato in modo uniforme con gli altri documenti dell’archivio.

I riferimenti ai documenti del magistero pontificio sono stati resi interattivi e portano al sito del progetto “Chiesa e Comunicazione”, la biblioteca digitale online che prosegue l’attività iniziata da p. Baragli con le opere Cinema cattolico: documenti della Santa Sede sul cinema e Comunicazione Comunione e Chiesa.

ARTICOLO SU

Dopo aver presentato il personaggio McLuhan, i suoi scritti ed il suo pensiero; e dopo averne proposta una – ci sembra – obiettiva valutazione critica sostanzialmente negativa1; equità vuole che rispondiamo a quanti dei nostri lettori si saranno giustamente chiesti: «Tutto, dunque, da buttar via in McLuhan? E bisogna proprio ammettere che la sua cometa, compiuta la vistosa orbita nel cielo della mass-mediologia, abbia lasciato soltanto nebbia di confusione o, nella migliore delle ipotesi, soltanto l’eco di molto clamore per nulla?».

Cercheremo, dunque, di mostrare – ancora una volta sommariamente2 – quanto di utile racchiude la sua eredità accettata con beneficio d’inventario. Rileveremo, intanto, il salutare scotimento che la sua discussa presenza ha provocato negli interessi, diciamo, «della gente» riguardo ai mass media; quindi proveremo quanto il suo slogan-paradosso: Il mezzo è il messaggio sia risonato innovatore, tanto nelle ricerche e nella pubblicistica «laiche» quanto negli interessi e nell’insegnamento della Chiesa cattolica. Infine, precisato quanto di vero si salva dello stesso slogan-paradosso, individueremo alcune delle più radicali mutazioni socio-culturali effettivamente indotte dai mass media nel mondo odierno, per chiederci quali normative pratiche – civili e culturali, ed anche specificamente pastorali – dette mutazioni mcluhaniane oggi sembrano sollecitare.

Un salutare scotimento

Intanto è giusto riconoscere a McLuhan, insieme con non pochi suoi critici, il merito di aver calato a livello di curiosità popolare i problemi socio-culturali della comunicazione umana e dei mass media, divulgandoli sui best seller, i tascabili ed i rotocalchi; ed, insieme, il merito di aver scosso, con le sue provocatorie esorbitanze, annose pigrizie mentali anche nella cerchia degli addetti ai lavori. Scrivono, ad esempio, tra gli stranieri T. Nairn, F. Balle e J. Cazeneuve:

«Ci si è chiesto: “Com’è possibile che questo tema sia sfuggito agli intellettuali? Nelle grandi sintesi del XIX, per esempio in Hegel e Marx, la comunicazione umana non figura come problema, né, tanto meno, come problema distinto dagli altri. Ed ora, invece, è diventato il problema culturale più discusso. Perché?” [...] McLuhan è il primo che non ha fatto un mito a mezza strada tra la poesia e la teoria [...]: un problema fondamentale che ci concerne tutti»3.
«McLuhan ha richiamato alla sociologia dell’informazione e dei media un’evidenza trascurata, se non ignorata; che, cioè, lo studio delle comunicazioni di massa deve cominciare da quello dei suoi strumenti [...] caratteristici dell’età industriale»4.
«È il grande merito di McLuhan di aver attirato, a un tratto, l’attenzione sulla tecnica e sulle sue proprietà intrinseche [...]. Se ci si attiene al problema della cultura, si possono desumere e conservare preziosi insegnamenti dall’apporto mcluhaniano, nonostante gli eccessi a cui conduce una veduta troppo sistematica degli effetti della tecnica»5.

E così, ad esempio, ne hanno scritto, tra gli italiani, il filosofo N. Abbagnano, il sociologo C. Pellizzi ed il teologo e liturgista D. Mosso:

«L’invito che proviene da Understanding Media, di prendere coscienza delle trasformazioni che attendono, o possono attendere, l’uomo (cioè ciascuno di noi} nel prossimo futuro per effetto degli strumenti di cui facciamo uso con la massima disinvoltura, è un invito valido, che deve essere meditato»6.
«McLuhan ha bisogno di essere “decantato”: ciò che non va al fondo offre troppi spunti suggestivi per [...] raccomandare un riordinamento “sistematico” delle sue intuizioni migliori [...]. McLuhan è una fonte quasi inesauribile di prospettive nuove, di inattesi problemi. Prezioso soprattutto per una cultura come la nostra [italiana], che riposa, pesante e quasi esanime, sopra una certezza di aver molto capito [...]. Lo studio dei media di massa, che sono oggi uno dei termini quotidiani della nostra vita, è trascurato in Italia [...]. Per questa via un popolo va a cacciarsi in vicoli ciechi, e corre sempre il pericolo di aprire gli occhi quando è troppo tardi»7.
«L’analisi storico-sociale di McLuhan pecca forse di gratuità e semplicismo [...]. Comunque, ci pare di scorgere in lui una straordinaria carica di stimolo e di provocazione a riconsiderare con occhi nuovi, (o piuttosto: con tutta una sensibilità nuova) l’intricatissimo universo di comunicazioni che regge la vita sociale dei nostri giorni [...]. La Chiesa deve interessarsi alle attuali ricerche sulla comunicazione; altrimenti rischia di venir meno alla sua missione. C’è pericolo, infatti, che restando fermi alla “mentalità letteraria” dei secoli passati, si finisca col continuare a parlare il linguaggio di Gutenberg a uomini che capiscono solo più (o, in ogni caso, molto meglio) “il linguaggio di Marconi”»8.

«Media» e messaggi tra apocalittici ed integrati

In quanto all’originalità provocatoria dello slogan: Il mezzo è il messaggio, a suo luogo abbiamo mostrato com’esso, di fatto, costituì un’innovazione rivoluzionaria – un «paradosso» nel senso proprio del termine –, nella linea degli studi e delle ricerche sui mass media seguita, prima in USA negli anni ’20, quindi in USA, Inghilterra ed altrove negli anni ’50-’60. Studi e ricerche nei quali – nella nota formula di Lasswell: Chi (comunica), Che cosa, A chi, Con quali effetti –, rispetto a questi ultimi il medium venne praticamente trascurato, in quanto considerato allora tutt’uno con il Chi (quelli che detenevano i media), a sua volta ritenuto un dato in sé noto, e di fatto invariabile9. Per cogliere meglio il ruolo innovatore di McLuhan in siffatto contesto, qui giova sviluppare quanto ivi abbiamo appena accennato circa l’annosa ed ancor non spenta controversia sull’influsso globale, umanizzante o meno, dei mass media nel mondo odierno.

Si tratta della controversia che, secondo la fortunata aggettivazione dell’omonimo saggio di U. Eco10, ha visto molti sociologi e pedagogisti «apocalittici» – da J. Ortega y Gasset, T. S. Eliot, D. Riesman, D. MacDonald ... , a M. Horkheimer, Th. Adorno, H. Marcuse ed altri della Scuola di Francoforte – opporsi al fronte degli «integrati»: D. Bell, E. Shils, L. Rosten..., a proposito della questione se i mass media rendano più «uomini», più «persone» e più «libere» le masse dei loro utenti; gli apocalittici denunciandovi il tracollo della più autentica cultura e civiltà (umanistica), e gli integrati, al contrario, rilevandone i vantaggi, o (più spesso) ignorandone o riducendone al minimo i pericoli; in ogni caso prospettandone facili difese e rimedi.

Orbene, sotto il profilo culturale e sociale della controversia – si noti quanto siamo lontani dal mondo di McLuhan! – nei cahiers des doléances degli apocalittici spiccano questi capi d’accusa:

  • infantilismo psichico: in quanto i mass media tenderebbero ad atrofizzare nei loro recettori lo psichismo superiore, proprio dell’adulto maturo (intelligenza illuminata e logica, volontà consapevole e responsabile), e ad ipertrofizzare lo psichismo inferiore, infantile, proprio degli immaturi (fermi a sogni fantastici, interessi futili, stati emotivi, fuga dalle realtà della vita e dalle proprie responsabilità);
  • comportamenti gregari: in quanto i mass media, da una parte degraderebbero l’autonomia della personalità umana con l’incrementare nei recettori gli istinti ed i comportamenti propri delle masse (ad esempio, i fenomeni di suggestione collettiva); e, dall’altra, con isolarli dal dialogo sociale, aggraverebbero il fenomeno tutto odierno dell’incomunicabilità interpersonale;
  • esproprio, nel passivismo, del tempo libero (e non libero) dei recettori, dato che i mass media li distoglierebbero da ogni attività personale (lavoro individuale, studio, letture, sport, hobby...), assuefacendoli ad una vita tutta sognata (la «disfunzione narcotizzante» di Lazarsfeld-Merton; il decadere di tutti gli eventi e di tutti i valori a «spettacolo» di Cazeneuve...)11;
  • masscult-midcult e Kitsch, in quanto i mass media diffonderebbero, sì, il sapere, la cultura e l’arte, ma – secondo la legge: «Quantità e qualità del prodotto (e dei destinatari) sono inversamente proporzionali» – lo farebbero a scapito dei loro valori più autentici. Quindi: non studio personale, ma curiosità frivola; non sodo sapere e seria scienza, ma acervo di nozioni approssimative, e spurie esperienze estetiche12.

Ora, ...prescindere dalla reale consistenza di siffatti negativi effetti socio-culturali, non è da escludere che essi possano e debbano ascriversi, in una visuale più mcluhaniana, anche alla natura (tecnica) dei mass media. Sta, tuttavia, il fatto che, tanto gli apocalittici nel denunciarli quanto gli integrati nel contestarli13, quasi tutti si sono rifatti esclusivamente ai «messaggi»14; e che, di conseguenza, ad incidere sulla qualità degli stessi hanno creduto necessario e sufficiente orientare ogni normativa didattico-pedagogica, ed ogni azione socio-culturale relativa ai mass media.

Mezzi e messaggi nel mondo cattolico

Più o meno lo stesso è avvenuto nel mondo cattolico a proposito di mass media e valori etico-religiosi. Ci si è chiesto se essi contribuissero ad avvicinare gli uomini a Dio, o non, piuttosto, ad allontanarveli; a renderli membra più vitali del Corpo mistico di Cristo, oppure membra deboli ed inerti. E, mentre pochi saggisti e pastoralisti hanno rilevato alcuni vantaggi di fatto attinenti più ai media in sé che ai loro messaggi15, i più hanno insistito (ed insistono) nel denunciare i guasti ed i pericoli attinenti ai loro contenuti deteriori; quali

  • il relativismo scettico: dato che i promotori dei mass media, condizionati dal profitto economico e da masse di recettori di ogni credenza ed opinione, sono portati ad ignorare ogni seria controversia, ed a ridurre tutti i contenuti-messaggi all’opinabile o al sensazionale;
  • il consumismo materialista: imposto quale esclusivo scopo dell’esistenza umana dalla pressione pubblicitaria, onnipotente nei mass media;
  • l’esemplarità volgare: data la continua proposta di deteriori modelli di comportamento, imposti esclusivamente dal clamore pubblicistico, e magari scandalistico; al posto dei modelli una volta consueti, quali gli eroi, i geni, i santi...;
  • l’escalation licenziosa di rappresentazioni e di stimolazioni via via più crude ed abiette: dalla violenza fisica al più dichiarato anarchismo individuale e sociale; dal turpiloquio alla pornografia, e all’irrisione dissacratoria e sacrilega.

E, ovviamente, su siffatte denunce ricorrenti si è impostata una pastorale eccessivamente fiduciosa in censure, condanne e proibizioni circa i contenuti, o soltanto sollecita di opporre messaggi edificanti a quelli eversivi e dissacratori.

E nel pensiero, diciamo così, ufficiale della Chiesa16? Occorre riconoscere che anche nei molti documenti dottrinali e disciplinari del Magistero romano in argomento tardano le, del resto molto rare, riflessioni sui media in se stessi, ogni attenzione portandosi sui loro contenuti; ancora una volta: o per lamentarli e condannarli in quanto contrari alla fede e ai buoni costumi, oppure per auspicarne e sollecitarne di ortodossi e morali, secondo uno schema risalente all’apparire dell’antenato degli odierni mass media: la stampa di Gutenberg. Infatti, nella costituzione Inter multiplices di Innocenzo VIII – primo documento «cattolico» in argomento –, del 1487, vano sarebbe (oltre che pretenzioso!) cercare una profetica visione della stampa quale primo evento radicalmente nuovo nella comunicazione umana avveratosi durante la vita della Chiesa, le cui conseguenze psico-sociali – come presto vedremo – dovevano drammaticamente sconvolgere la sua stessa storia. Vi si tratta di «un’arte divina», alla quale la Chiesa s’interessa per i contenuti dalla stessa divulgati, dato che «alcuni, per cupidigia di lucro o di vacua fama, già ne abusavano, avvilendo in rovina e frode quanto [da Dio] era stato donato per elevare la vita degli uomini»17; ed a siffatta visuale contenutistica vi s’ispirano le misure censorie e punitive che poi per cinque secoli dovevano caratterizzare la dottrina e la legislazione della Chiesa sull’editoria: obbligatorio esame previo di tutti gli scritti destinati alla stampa; concessione dell’Imprimatur solo a quelli non contrari alla religione cattolica; pene spirituali e pecuniarie a quanti stampassero leggessero o detenessero libri contravvenenti a queste disposizioni; e distruzione degli stessi18.

Dato che siffatti perduravano a Roma il clima mentale e l’apparato difensivo rispetto alla stampa quando questa, intorno al 1830, generò il giornale – capofila degli odierni mass media –, che meraviglia se nei frequenti interventi dei papi – del resto quasi sempre occasionati dalle insolenze del giornalismo anticlericale e miscredente, o dalle intemperanze e deviazioni di quello cattolico –, dominò la denuncia contro le «mostruose dottrine» di una stampa, responsabile unica o quasi di tutti i guasti politici religiosi e morali del secolo19? Sta, tuttavia, il fatto che ancora una volta le apprensioni contenutistiche fecero passare inosservata la rivoluzionaria originalità socio-culturale del mezzo. Si ignorò che la stampa-giornale, destinata prima alla borghesia e poi alle masse, non s’identificava con il libro, classico veicolo di cultura in senso umanistico, bensì con l’informazione di attualità: reale «quarto potere», in quanto fattore e veicolo primario delle nascenti opinioni pubbliche. Così avvenne che, nella controversia pro o contro il secolare istituto censorio, nella Chiesa si continuò a trattare di «libertà di stampa» nell’accezione, valida nel sec. XVII, di libertà di opinione e di espressione, e non anche e soprattutto nell’accezione di libertà (diritto-dovere) d’informazione. Quindi, mentre i «laici» si schierarono a paladini della libertà tout court, via via strappandone ai «Principi» i relativi diritti legali e costituzionali, gli uomini di Chiesa insistettero sui danni della libertà fatta licenza, e nel ricorrere a misure proibitive e repressive, all’uopo sollecitando, anche in tempi non troppo remoti, l’appoggio del braccio secolare20; mentalità e condotta che, purtroppo, finirono con l’accreditare loro la taccia di nemici della libertà e del progresso.

Se lo spazio lo permettesse, converrebbe ora dedicare un’analisi più particolareggiata al rapporto, tutt’altro che mcluhaniano, tra mezzo e messaggi ricorrente nei documenti del magistero romano sul cinema: sia per il loro alto numero – più di un centinaio! – , sia perché in essi, nel ventennio 1936-’57, si andò sviluppando l’insieme dottrinale e pastorale su cui poi si è modellato, estendendolo a tutti i mass media, il decreto conciliare Inter mirifica. Ma ci limitiamo a due rilievi sommari, e riferendoci solo ad alcuni tra i documenti più significativi in argomento21.

Il primo rilievo riguarda la tardanza – quarant’anni! – con cui Roma (timidamente) avverti il cinema – apparso nel 1895 e, una volta sonoro, dilagato nel mondo negli anni ’20 – quale nuovo medium di comunicazione umana non meno rivoluzionario del giornale. Infatti, come da tutto il «mondo bene» laico, esso vi venne giudicato volgare spettacolo, «da baraccone», minimamente sospettandosi l’impatto formidabile che – con buona pace di McLuhan! – anche con i suoi messaggi esso poteva (e doveva) esercitare sul pensiero e sul costume delle masse; impatto che, invece, venne presto avvertito e sfruttato da noti agitatori, con i risultati che tutti conosciamo22.

Il secondo rilievo è che nella Vigilanti cura e nei documenti posteriori che si rifanno ad essa, non sfuggono alcune caratteristiche proprie del nuovo medium, quali il suo farsi di immagini luminose, e l’ampiezza della sua audience23. Tuttavia, esso viene considerato nelle categorie dell’arte, dell’industria e dello spettacolo, e non in quella, del tutto nuova, di (possibile) linguaggio specifico («d’immagini luminose in movimento»), «altro» dal linguaggio verbale24. La stessa ampiezza dell’audience poi, e la stessa suggestività delle immagini, assommata alla suggestionabilità propria del pubblico cinematografico, non vi vengono viste quali fattori innovatori, a lungo termine, del tessuto psico-sociale dell’uomo d’oggi, immerso in una cultura o civiltà; «dell’immagine» (già avviata con la fotografia nel 1839 e, dopo il cinema, culminata nella televisione); bensì ancora soltanto rispetto alla maggiore pericolosità (o utilità) morale dei messaggi filmici25. Di qui la conclusione-prognosi – oggi discutibile – dell’enciclica26, a sostegno della seconda sua parte dispositivo-pastorale (poi ripresa nei documenti posteriori), tutta ricalcata sulla «santa crociata [...] promossa dall’[americana] Legione dell’onestà»27, dalla quale la stessa prende appunto le mosse per dettare norme direttive e strutturali a tutta la Chiesa: la promessa formale dei fedeli di boicottare tutti i film che offendano la verità e la morale cristiana (n. 44), e la redazione di appositi elenchi (n. 45) da parte di costituendi uffici permanenti di revisione, nazionali (n. 48) e diocesani (n. 49).

Rispetto alla radio, e poi alla televisione, salvo qualche variante, l’atteggiamento del Magistero praticamente non muta. Sì: i due mezzi in sé; suscitano ammirazione per l’odierna ingegnosità umana28, e se ne rileva l’ovvia caratteristica di «presenza casalinga»29, magari per riconoscere nella televisione una provvidenziale – oggi sfatata! – restauratrice del «focolare domestico»30; e, a proposito di televisione, non vi mancano isolati accenni al suo differenziarsi dal cinema31, ed all’evolversi del concetto socio-culturale di «presenza» da essa indotto32. Ma, ancora e sempre, tanto per Pio XI sulla radio quanto per Pio XII sulla televisione, l’attenzione si riporta prevalentemente sull’ambivalenza morale-religiosa dei messaggi che le nuove tecniche sono in grado di comunicare33, con comprensibile tutto particolare interesse agli – una volta impensabili, ed ormai universali – messaggi di predicazione-evangelizzazione34.

La storia insegna...

Denunciando siffatta (non mcluhaniana) costante attenzione della Chiesa ai contenuti morali dei mass media e poi anche al loro uso predicatorio, a torto giornalisti e pubblicisti l’hanno accusata di moralismo e d’indebita appropriazione di realtà e valori in sé secolari. Il Vaticano II – che, come subito vedremo, nella sua stessa originale terminologia, ha specificato la portata tutta sociale-culturale degli strumenti della comunicazione sociale –, in apertura di Decreto così giustifica, in proposito, la sua dottrina e prassi pastorale:

«Fondata [...] per portare la salvezza a tutti gli uomini, posta quindi nell’urgente necessità; di diffondere il Vangelo, la Chiesa cattolica ritiene suo dovere predicare l’annuncio della salvezza anche con questi strumenti, e guidare gli uomini a farne buon uso. Spetta, dunque, alla Chiesa [...] usare [...] questi strumenti in quanto essi siano necessari o utili [...] alla sua globale opera salvifica delle anime; ed è compito dei sacri pastori [...] guidare i fedeli in modo che essi, anche usando di questi strumenti, tendano alla propria salvezza e perfezione, e a quella di tutta la famiglia umana» (n. 3).

Importa, tuttavia, rilevare che siffatto dovere-diritto pastorale della Chiesa non esime i suoi operatori dall’interessarsi a quel poco – ma prezioso! – che si può salvare dello slogan-paradosso mcluhaniano sull’efficacia dei mass media in se stessi: anche per farne un uso appropriato rispetto ai loro contenuti, ma soprattutto per sintonizzare mentalità e prassi pedagogica e pastorale generale con le del tutto nuove caratteristiche psico- e socio-culturali indotte nel mondo odierno (soprattutto) dalla presenza dei mass media in se stessi.

A questo scopo pensiamo che il famoso slogan-paradosso: Il mezzo è il messaggio si debba ridimensionare ed avvalorare in questi punti:

  1. Innanzi tutto, deve restare pacifico che in ogni processo comunicativo intenzionale umano, prima ed in ogni caso ci si attendono effetti diretti dai contenuti-messaggi comunicati35.
  2. Però occorre ammettere che almeno qualche effetto, in dette comunicazioni umane intenzionali, possa dipendere anche dal mezzo usato: già quando il mezzo vi operi come semplice veicolo, e specialmente quando vi operi in funzione di specifici linguaggi36.
  3. Ed, anzi, occorre concedere che, nella comunicazione umana, siffatti effetti propri dei mezzi possano e debbano accertarsi molto di più quando una spiccata tecnicità; – e siamo agli odierni mass media! – li faccia operare quali vere e proprie cause agenti strumentali, condizionanti la causa agente principale che li adoperi37.
  4. Soprattutto ai fini pratici pedagogico-pastorali importa moltissimo notare – più prossimi a McLuhan – che nel rapporto messaggi-strumenti, mentre gli effetti prodotti dai messaggi – salvo il caso di possibili accumuli di contenuti sempre omogenei – si possono ritenere immediati, ma superficiali e passeggeri, quelli prodotti dagli stessi strumenti sono generalmente da prevedere non immediati, ma profondi e duraturi.
  5. Ovviamente, tutto ciò vale anche nel campo religioso; e in modo particolare vale per quelle religioni – quali l’ebraico-cristiana38 – che si danno come rivelate, cioè fondate sulla trasmissione ed attuazione di «messaggi»; salvifici: essendo esse impegnate a conservare integri detti messaggi nell’evolversi dei tempi ed in presenza dei disparati mezzi e strumenti di comunicazioni via via espressi o introdotti delle singole civiltà e culture.

A confermare questi, molto mcluhaniani, due ultimi punti, merita ricordare due significativi casi storici di problemi e di tensioni socio-religiose connessi appunto con l’introduzione di nuovi mezzi di comunicazione, nell’ambito della religione ebraico-cristiana.

Il primo riguarda il passaggio – siamo nel II millennio a.C. – della trasmissione della Rivelazione da orale a scritta, allorché gli ebrei conobbero «le due Tavole della Testimonianza, tavole di pietra, scritte dal dito di Dio» (Es 31,8), quando la loro guida e legislatore Mosè «scese dalla Montagna con in mano le due tavole della Testimonianza, tavole scritte su i due lati, da una parte e. dall’altra. Le tavole erano opera di Dio, la scrittura era scrittura di Dio, scolpita sulle tavole» (Es 31,15-16).

Ora, a differenza di quella orale, questa trasmissione scritta prometteva senz’altro di conservare immutato il messaggio oltre ogni barriera di spazio e di tempo; ma – a parte il problema culturale della memorizzazione, in un caso simile rilevato poi da Platone, e vivo ancora nella catechesi odierna39 –, essa finì col creare due grossi problemi socio-religiosi, perdurati sino (ed oltre) al tempo di Gesù. Il primo investì il fenomeno del profetismo, durato, da Samuele a Malachia, quasi sei secoli. Da una parte, infatti, stava l’inerzia della mente umana, incline a privilegiare, appunto in quanto fisso e perenne, quello che «Sta scritto!», e a diffidare di voci avventizie, magari discordanti; mentre, dall’altra, restava improponibile una parola di Dio ingabbiata nella parola scritta, non risultando che il Rivelatore si fosse tanto legato ad essa da interdirsi ulteriori comunicazioni con mezzi diversi; le quali, senza contraddirlo, integrassero e perfezionassero quanto già fissato nello scritto.

L’altro problema fu quello di una necessaria ermeneutica, o esegesi. Mentre, infatti, nella comunicazione immediata-orale, al parlatore è agevole adeguarsi al livello culturale e ai modi espressivi dei propri ascoltatori, i quali, da parte loro, consapevoli del genere letterario e delle concrete circostanze nelle quali il discorso di volta in volta si svolge, non abbisognano d’intermediari per farne propri tutti i contenuti denotativi e connotativi; al contrario, con la scrittura avviene che, più i recettori si distanziano nello spazio e nel tempo, più le espressioni tendono a fossilizzarsi, via via degradandosi ed obliterandosi tutte le connotazioni connesse agli spazi socio-culturali degli autori e dei destinatari originali. Di qui la necessaria mediazione di interpreti «che sanno» e, nelle strutture sociali che si accompagnano alla comunicazione scritta, di qui il potere crescente, da parte dei pochi «che sanno» – sempre, infatti, «Sapere è potere!» – sulle masse analfabete.

È quanto appunto si verificò in Israele, dove gli scribi, da semplici copisti-segretari, col tempo passarono a interpreti della legge40; ed è quanto perdurava al tempo di Gesù. Il quale, infatti – annunciato ed operando come «profeta» –, si scontrò con l’oligarchia di quei rabbi (maestri), e dei farisei (i casuidici delle Scritture), più spesso attaccati alla lettera del Libro che al suo spirito; e parteggiò per la massa dei «poveri» (gli ptokoi: semplici ed analfabeti), sottoposti all’insegnamento ex cathedra di quelli. Né, in seguito, le cose cambiarono molto. Quando, infatti, gli Apostoli, ed i fedeli della loro cerchia, fissando i detti e i fatti di Gesù vennero a completare «la Scrittura», nella storia della Chiesa perdurò la tensione, non sempre risolta nell’armonia, tra privilegiata fissità dello scritto, duttilità della trasmissione orale e libero intervento profetico dello Spirito: «che soffia dove vuole» (Gv 3,8); come dimostra la storia di molte eresie, ed il panorama di molte e recenti iniziative pastorali, oscillanti da un estremo letterario-conservatore all’altro estremo profetico-riformatore.

L’altro caso storico che qui interessa sta nel trapasso, di circa tre millenni posteriore, dalla scrittura manoscritta alla stampa di Gutenberg; e non tanto per ricordare, insieme a molti storici, il tutto moderno dirompente uso pubblicistico che, a differenza di Roma, ne fecero Lutero ed i Riformati, quanto per rilevare il potere psicologico che il medium-libro dovette esercitare rispetto ad un punto chiave della Riforma: il libero esame. È noto, infatti, come per secoli, nella Chiesa cattolica «le plebi» erano rimaste praticamente escluse dall’accesso diretto alle Sacre Scritture: sia perché analfabete, sia per la rarità dei codici manoscritti, e sia perché, con l’avvento delle lingue volgari, si erano andate moltiplicando da parte delle autorità ecclesiastiche le proibizioni di tradurre e divulgare i testi sacri dall’ormai, ai più, incomprensibile latino liturgico.

In questo stato di cose non è meraviglia se al monopolio di fatto detenuto dai pochi clerc «che sapevano», corrispondesse da parte delle plebi, «che sapevano di non sapere», una naturale propensione ad accogliere con piena fiducia, non solo quanto soltanto i detti clerc sapevano e potevano leggere in fonte, ma anche ogni versione ed interpretazione che gli stessi, in più o meno autentica funzione magisteriale, sapessero e volessero dare dei testi. Ma quando, quanti in Europa sapessero leggere, ebbero invece facile accesso diretto alle Sacre Scritture, oltre che in latino anche ormai in volgare, fu naturale che sorgesse negli stessi la persuasione che, potendole leggere con i loro propri occhi e nella loro propria lingua, le potessero anche capire e spiegare con le loro proprie teste, senza più dipendere da carismi magisteriali altrui. Ciò soprattutto quando – come in tempi passati s’era verificato – un minimo di preparazione li ponesse in grado di proporre interpretazioni meno rozze e più credibili di quelle proposte da clerc sprovveduti, o propriamente ignoranti. Fatto sta che, quando Lutero ed i Riformati confinarono nel Libro il carisma di trasmettere la Parola di Dio, già svolto per secoli dal vivo magistero della Chiesa, se il loro conseguente libero esame venne accolto senza troppe difficoltà fu anche perché il passo, in circa ottant’anni di stampa, era stato agevolato dal mezzo.

«Mass media» e socializzazione

Oggi come oggi non saremo certo noi a biasimare quanti nella comunicazione dei mass media – tanto nell’ambito culturale-civile quanto in quello etico-pastorale – continuino a preoccuparsi anche, e molto, della qualità ed efficacia dei loro contenuti-messaggi, tanto questa loro efficienza resta ancora oggi evidente41. Pensiamo però che, prima nella nostra mentalità e poi nella concreta prassi culturale e pastorale, il paradosso mcluhaniano, così ridimensionato e così storicamente convalidato, ci solleciti a preoccuparci almeno altrettanto degli effetti – ripetiamo: profondi e durevoli – connessi ai mass media in se stessi. Mancandoci lo spazio per svolgere l’argomento come converrebbe, ci limiteremo a rilevarne due punti-chiave, avvalorati dal magistero più recente.

Resta, intanto, indubbio – verità sempre presente nella visuale di McLuhan – che la presenza attiva (di molti fattori tecnico-sociali, ma) soprattutto dei mass media, rende la nostra epoca radicalmente diversa da tutte le epoche precedenti. Rileva la Gaudium et spes:

«L’umanità vive oggi in un periodo nuovo della sua storia, caratterizzato da profondi e rapidi mutamenti, che progressivamente si estendono a tutta la terra. Provocati [...] dall’attività creativa dell’uomo, sullo stesso uomo si ripercuotono, sui suoi giudizi e desideri, individuali e collettivi, sul suo modo di pensare e di agire, sia rispetto alle cose, sia rispetto agli uomini. Si può così parlare di una vera e propria trasformazione sociale, che ha i suoi riflessi anche nella vita religiosa» (n. 4).
«Nuovi e migliori strumenti di comunicazione sociale favoriscono nel modo più largo e più rapido la conoscenza degli avvenimenti e la diffusione delle idee e dei sentimenti, non senza suscitare reazioni a catena» (n. 6). «Le condizioni di vita dell’uomo moderno, sotto l’aspetto sociale e culturale, sono profondamente cambiate, cosicché è lecito parlare di una nuova epoca della storia umana. Di qui nuove vie per perfezionare e diffondere la cultura [...] preparate [...] dallo sviluppo e dall’organizzazione degli strumenti della comunicazione sociale» (n. 54)42.

Non sono mancate proposte – a nostro avviso, insufficienti o devianti – per ricondurre siffatta molteplicità e diversità di mutamenti socio-culturali a qualche fenomeno particolare, che ne rappresenti come l’origine o il riepilogo; sul quale, perciò, impostare i programmi d’intervento culturali o pastorali. A parte, ad esempio, l’insostenibile proposta di un McLuhan prima maniera – quello dell’ hot / cool43 – di ricondurre tutto alle caratteristiche percettive con le quali gli odierni mass media elettr(on)ici comunicano i propri messaggi, vale a dire secondo il tipo e l’area di stimolazione sensoriale loro propria; almeno insufficiente ci sembra quella, alquanto affine, di molti autori che puntano tutto o quasi sull’iconicità dei media, per poi impostarvi una teoria sui valori (o sui disvalori) dell’odierna civiltà o cultura dell’immagine, e quindi proporre conseguenti programmi culturali e pastorali di utilizzo (o di difesa) della (o dalla) globalità dell’immagine, rispetto all’astratta cultura della parola parlata-scritta.

Una terza proposta ricorre frequente nei documenti del Magistero. Ed è quella che – lungi dal riconoscersi nella massificazione – con espressioni più o meno figurate echeggia il Villaggio cosmico di McLuhan seconda maniera: quello dell’esplosione/implosione. Leggiamo:

«L’azione di questi strumenti si estende oltre i confini delle singole nazioni e rende tutti gli uomini quasi membri di una sola comunità umana» (Inter mirifica, n. 22, e Directorium catechisticum generale dell’11 apr. 1971, n. 2).
«Oggi, essendo i mezzi di comunicazione divenuti più rapidi, le distanze tra gli uomini vengono come eliminate, e gli abitanti di tutto il mondo resi quasi membri di un’unica famiglia» (Apostolicam actuositatem, n. 8).
«I recenti strumenti della comunicazione sociale raccolgono gli uomini di oggi in uno stretto cerchio di dialogo comune [...] , così creando ed incrementando dappertutto il pubblico dialogo di tutta la società; [...]; grazie ad essi le notizie di qualsiasi evento [...] consentono agli uomini di partecipare attivamente alla vita ed agli eventi del mondo odierno» (Communio et progressio, nn. 19-20). «Gli strumenti di comunicazione sociale formano come una pubblica piazza dove gli uomini dialogano» (ivi, n. 24). «Quell’immensa tavola rotonda che sono gli strumenti della comunicazione sociale» (ivi, n. 73). «Il Popolo di Dio [...] già scorge [...] le meraviglie che a piene mani gli promette la già iniziata epoca spaziale della comunicazione sociale» (ivi, n. 187)44.

Ma in linguaggio proprio – e siamo al nostro secondo punto-chiave – a siffatti traslati letterari è da preferire il termine-fenomeno socializzazione nell’accezione proposta e seguita da Giovanni XXIII nella Mater et magistra (n. 58), e poi ripresa dal Vaticano II45:

«Uno degli aspetti tipici caratteristici della nostra epoca è il progressivo moltiplicarsi dei rapporti di convivenza, con varie forme di vita e di attività associata, ed istituzionalizzazione giuridica, privata e pubblica».

Proprio, infatti, a questa socializzazione si riferisce la terminologia strumenti della comunicazione sociale con matura deliberazione formulata, e sempre usata – 35 volte in 24 numeri! – dall’Inter mirifica46: anche se nel magistero posteriore troppo spesso è stata svotata in accezioni generiche, ambigue47, ed anche forvianti48. In effetti, detta terminologia, individuato nella comunicazione intenzionale il proprio esclusivo campo d’interesse, vi prende in considerazione non i contenuti-messaggi, ma – precorrendo McLuhan? – soltanto quei suoi mezzi che, in quanto caratterizzati da una componente spiccatamente tecn(otron)ica, chiama propriamente strumenti. Con ciò questi vengono considerati nella linea di una vera e propria causa efficiente (secondaria) – la scolastica causa instrumentalis –, la quale – ancora con McLuhan! – non potrà non produrre nella comunicazione i suoi propri effetti, congiuntamente a quelli dei messaggi intesi e prodotti dalla causa efficiente primaria: l’uomo; che gli stessi strumenti maneggia.

Quindi con «sociale» la terminologia denota la caratteristica tutta propria della comunicazione così attuata dagli «strumenti». Una comunicazione, cioè, non solo non interpersonale, quale quella che i mezzi tradizionali attuavano tra membri di piccoli gruppi primari; ed, invece, di sua natura aperta a gruppi umani vastissimi, per un unico «dialogo del mondo»; ma prima e soprattutto una comunicazione che, da una parte è fattore primario della detta socializzazione e che, dall’altra, in complessi umani già fortemente socializzati può attuarsi soltanto con siffatti strumenti.

La proposta Mcluhan assume un peso tutto particolare quando a questa socializzazione promossa dai mass media si riconducano alcune tra le più rilevanti realtà socio-culturali che concorrono a fare del nostro tempo un’«epoca nuova». E sono:

  1. L’accelerazione esponenziale dei mutamenti in un mondo in tumultuosa evoluzione. In qualche anno, se non anche in qualche mese – più che non durante secoli e millenni nelle epoche passate – scompaiono secolari disparità tra età, sessi, classi sociali e culturali; decadono consuetudini, orari, oggetti. Di qui nell’odierno uomo socializzato un senso acuto del «tutto scorrere», e di qui anche lo «choc del futuro»: vale a dire il solo trauma psichico quale bio- e psico-sistema continuamente sottoposto ad insolite accelerate stimolazioni e proposte, che superano le sue proprie fisiologiche normali possibilità di adattamento49.
  2. La pubblicizzazione di tutti gli eventi, quando, soprattutto per l’invadenza dei mass media, tutto può essere e – non appena rivesta l’aspetto e l’interesse di «notizia» – tutto di fatto viene messo in pubblico. Onde nel nostro mondo socializzato la drastica riduzione della privacy – il «focolare domestico»! – e la, in pratica, ormai non più tutelabilità di ogni segreto, per quanto sacro. Ed, insieme, la progressiva riduzione dei comportamenti personali con riflessi socio-morali soltanto individuali e privati: ogni comportamento individuale – a cominciare, per il suo necessario feed-back, da quello dei recettori dei mass media – coinvolgendo ormai effetti e responsabilità largamente sociali.
  3. L’acculturazione globale-informale. Se nelle culture tradizionali-orali l’insieme delle conoscenze (l’istruzione), dei valori e dei modelli di comportamento (l’educazione/formazione) veniva impartito, ai figli ai cittadini e ai fedeli, da istituzioni – quali la famiglia, la scuola e la Chiesa – che, almeno di fatto, tutti riconoscevano come «qualificate»; i mass media, prima hanno interferito nel ruolo di dette istituzioni, tra l’altro mettendo in crisi – come anche McLuhan rileva – la loro autortità, una volta indiscussa; e poi hanno finito col sostituirle, fatti essi stessi focolare, cattedra e pulpito: anzi «scuola permanente,. dell’uomo d’oggi; proponendogli in proprio, senza più concorrenti, le cose da conoscere, le opinioni da seguire, i modelli da imitare e le cose da consumare.
  4. Un mondo pluralistico-opinionale: cioè non più distinto in stabili nuclei omogenei, fondati in comuni credenze-certezze. Nelle culture contadine-orali quel poco che si conosceva – cose ed eventi, per lo più, della vita quotidiana – era frutto di esperienze dirette degli individui e dei gruppi, i quali perciò ne ricavavano la certezza delle evidenti; ed anche l’insegnamento orale, fondato sulle tradizioni degli anziani, comunicava credenze-certezze, che poi gli ambienti chiusi e statici del tempo provvedevano a mantenere e a tramandare immutate. Invece, nell’odierno mondo socializzato, intanto diventa sempre più improbabile il perdurare, in compartimenti stagni, di aggregati umani omogenei. Inoltre, dal moltissimo e disparatissimo che vi viene a conoscere, l’uomo di oggi quasi mai deriva certezze; sia perché, come si è visto, a nessuno più ormai viene riconosciuto, di fatto o di diritto, un potere d’insegnamento autoritativo-autentico; e, in ogni modo, perché dei fatti e degli eventi l’uomo odierno non ha più la conoscenza personale diretta, ma soltanto la notizia mediata (quindi opinabile) dai mass media. Onde, tra l’altro, il problema tutto odierno del formarsi e dell’affermarsi di più o meno genuine «opinioni pubbliche» in contesti sociali dove, mancando ogni accordo su indiscusse comuni certezze, le decisioni operative dipendono, di fatto, dal prevalere, più o meno legittimo, di un gruppo di opinione (o di pressione) sugli altri.

Utilizzarlo integrandolo

S’intuisce come questa mcluhaniana efficienza dei mass media nel mondo odierno solleciti, in quanti ci interessiamo alle sue sorti culturali-civili ed etico-religiose, nuovi atteggiamenti mentali ed adeguati comportamenti operativi.

Del nuovo atteggiamento mentale pensiamo che, intanto, dovrebbe far parte l’accettarsi vivere ed operare nell’attuale «nuova epoca» dei mass media, resistendo alla propensione (non evitata da McLuhan) di ridurre tutte le novità a contrapposti giudizi di valore: o per sistematicamente tutte condannarle (i «vecchi» nel rimpianto di felici tempi passati), oppure per tutte acriticamente accoglierle (i «giovani») come liberatrici. Soprattutto quando ci si trovi avanti a realtà di fatto praticamente immutabili, meglio vale considerarle – non appena esse lo permettano – realtà culturalmente ed eticamente plurivalenti: capaci cioè di esiti più o meno positivi o negativi, secondo l’uso che se ne faccia ed i correttivi cui si ricorra per modificarne la portata. In ogni caso, invece di contrapporre galassie apocalittiche a galassie palingenesiche, è preferibile stare ai dati e ai fatti oggettivi, più inclinando verso una fiducia (cristiana) nell’uomo e nelle sue risorse che verso una (recente mcluhaniana) sfiducia.

Ciò vale, intanto, per la socializzazione50; e vale rispetto alle altre nuove macro-realtà socio-culturali connesse con la socializzazione ed i mass media. Vale, cioè, a proposito della cultura iconica, della de-monopolizzazione delle élite culturali da parte dei veicoli della comunicazione umana, ormai quasi tutti in mano a poteri economici e politici: nell’imporsi dell’informazione giornalistica, della propaganda-pubblicità e della cosiddetta opinione pubblica. E vale a proposito dell’accelerata dinamizzazione ed, insieme, precarietà delle attività umane; dell’irruzione de «il pubblico» nella privacy; dell’acculturazione universale e permanente fuori dei quadri istituzionali; del declino dei valori di autorità e di tradizione nel consolidarsi di un mondo tutto pluralistico ed opinionale... E ciò vale, soprattutto, per una visione del mondo d’oggi (e di domani) quale luogo, non di scontro, ma di confronto e d’integrazione, tra la cultura umanistico-tradizionale «dei mezzi» e la nuova cultura condizionata soprattutto dai mass media; dove, cioè, gli operatori culturali e pastorali siano chiamati, non ad optare per l’una cultura contro l’altra, bensì ad integrare, con una serie di scelte illuminate e di compensi, gli autentici e permanenti valori proposti dall’una e dall’altra, secondo una visione dell’uomo integralmente umana (e cristiana).

Esula dal piano e dalla possibilità di questo studio ricercare ed esporre partitamente i comportamenti operativi coerenti con siffatta mentalità (mcluhanamente) aperta agli effetti dei mass media. Auspicando che altri venga a completarli e a svilupparli, ne rileviamo alcuni riguardanti i settori comunicativo-didattico, formativo-pedagogico e teologico-pastorale.

Su piano comunicativo-didattico, ad esempio, si pongono due problemi. Il primo riguarda l’adeguamento linguistico-logico nell’insegnamento – cioè come esprimersi e come ragionare – in rapporto al variare in atto degli ideali umanistici, degli interessi, dei modi di espressione-comunicazione e di procedimenti logici, tra l’epoca della cultura mediale-verbale a quella strumentale-iconica. Per limitarci al procedimento logico, è infatti da tener presente che quello induttivo – cioè dell’illazione dell’universale dal particolare – resta d’uso, si può dire, esclusivo nei mass media, perché resta senz’altro più accessibile a recettori di bassa e media cultura (masscult-midcult?); ma che difficilmente può portarli a conclusioni necessarie, e perciò a certezze oggettive. Alle quali, invece, si presta la deduzione: il processo mentale per cui si passa da un principio generale ad una conseguenza particolare, da una legge ai fatti, da una causa agli effetti...: che ha trovato nel sillogismo aristotelico – praticamente interdetto ai mass media – la sua schematizzazione. Quale, allora, il ricorso da fare oggi – esclusivo o alternativo? preparatorio o conclusivo? – tra i due procedimenti, se l’insegnamento deve pur assicurare ancora certezze, culturali e religiose, ed insieme vuole restare accessibile a recettori così a-logicamente condizionati dai mass media?

L’altro problema su piano comunicativo-didattico riguarda lo stesso concetto e prassi dell’insegnamento, in quanto i mass media, non solo, come s’è visto, ne hanno tolta la gestione ai tre istituti tradizionalmente accreditati, e l’hanno surrogato con l’informazione informale-globale; ma hanno reso psicologicamente difficoltoso – quando non ne provocano il rifiuto – il rapporto fiduciario tra docente – quale «uno che sa», e che istituzionalmente imparte il proprio sapere –, e l’alunno: quale uno «che non sa», e che chiede di ascoltare per apprendere. Di qui oggi certe diffuse diffidenze verso cattedre e lezioni, testi, interrogazioni ed esami «nozionistici»; e le proposte – discutibili, ma da non ignorare – di nuove prassi didattiche a mezzo tra le cooperative di ricerca e i dialoghi-brainstorming (= squassacervelli), avanzate anche per la catechesi.

Sul piano formativo-pedagogico rileviamo, per sommi capi, quattro necessari adeguamenti operativi comuni agli operatori culturali e pastorali. Il primo, che si rifà all’avanzata socializzazione e all’accentuata pubblicizzazione, consiste nel formare gli uomini di oggi ad una condotta civicamente e religiosamente responsabile, più aperta che non in passato agli interessi del bene comune – creare «coscienze sociali»? –, cominciando dall’uso stesso dei mass media, con l’addestrare i recettori ad agire, mediante le proprie scelte, come feed-back promozionale o correttivo della condotta dei promotori. Il secondo, che parte anche dal riscontrato trapasso ad un mondo tutto pluralistico-opinionale, sta nell’integrare alla strategia tradizionale, quasi esclusivamente attenta alle difese esterne – il silenzio su argomenti tabù, l’isolamento da ogni possibile rischio e pericolo... –, un’altra strategia, intesa soprattutto a creare e consolidare le difese interne: modellando personalità consapevoli e responsabili, salde per virtù difese e conquistate. Il terzo consiste in una profilassi anti-choc del futuro. per rendere gli individui infinitamente più atti a sopportare l’accelerazione esponenziale dei mutamenti nell’esistenza giornaliera, di quanto siano mai stati in passato. Mezzo principe: un’educazione-scuola che li interessi, non tanto a commemorare il passato quanto a prevedere il futuro; ad attaccarsi alle poche cose che veramente devono durare, in una regale indifferenza per tutte quelle che possono pure passare; e che insegni loro, non tanto a catalogare nozioni, presto sorpassate, quanto «ad imparare come sempre imparare».

Il quarto, che in parte collima con i precedenti, riguarda la nuova strategia da seguire per far sì che nell’uso globale dei mass media gli effetti nelle masse risultino culturalmente e moralmente vantaggiosi, o nocivi il meno possibile. Secondo un’intuitiva nota formula ideografica – I = f (C,E,P) – l’Idoneità; di comunicazione (o efficienza di fatto), sia differenziata sia globale, dei mass media è da valutarsi in funzione dei tre fattori: la Capacità; (dei contenuti-messaggi) che gli stessi sono atti a comunicare, l’Estensione (dei recettori) di fatto da essi raggiungibili, e la Potenza d’impatto propria del medium sui recettori. Orbene: contrariamente alle prassi tradizionali, che puntavano, con interventi di sbarramento e di promozione, soprattutto a ridurre e a modificare la Capacità; e l’Estensione, oggi si tratta di considerare questi due fattori come praticamente costanti (cioè: non variabili), per considerare variabile solo una parte del terzo fattore: la Potenza. Diciamo «solo una parte», perché in realtà la potenza suasoria o suggestiva dei mass media dipende e dalle caratteristiche espressivo-comunicative degli stessi media (la natura dei loro stimoli) e dall’effettiva sensibilità-recettività dei recettori. Ma anche questa potenza propria dei media – se ne compiaccia McLuhan! – è da ritenere una costante, in quanto connessa con la tecnicità dello strumento, che i promotori hanno tutto l’interesse di sfruttare al massimo. Non rimane, dunque, che incentrare tutto l’impegno pedagogico sulla sola variabile che resta, la sensibilità-recettività dei recettori, formandoli – mediante una formazione specifica ai mass media ed una formazione umana (e cristiana) integrale – criticamente responsabili ed autonomamente protetti.

Infine, su piano teologico-pastorale, prestando attenzione piuttosto al peso proprio dei mass media che a quello dei loro messaggi, si ha modo di trattare nei termini giusti alcune questioni rilevanti sotto gli aspetti dottrinale e pratico. Tale, ad esempio, l’ancora aperta questione della possibilità o meno di una predicazione-evangelizzazione attuata mediante strumentazioni tecniche, specialmente radio-televisive, e della sua reale efficacia rispetto a quella orale-tradizionale51. Tale quella, meno risaputa, dell’evoluzione del concetto di «presenza» inter-personale, per effetto dell’odierno condensarsi spazio-temporale accelerato dalla tecnotronica: evoluzione che rimanda a quella del concetto di «tempo» indotta, nel Medio Evo – come, dietro l’Innis, anche McLuhan rileva – dall’introduzione dell’orologio meccanico52. Tale, infine, la questione, piuttosto inedita, di un’autentica «teologia dei mass media», che non parta, come molte proposte hanno fatto, dai contenuti-messaggi dei mass media, ma – come ha tentato di fare la Communio et progressio – dalla loro effettiva idoneità globale di comunicazione53. Qui basti avervi accennato.

* * *

Ce n’è abbastanza, crediamo, per concludere che quanto si salva dell’eredità di McLuhan non è molto; ma che è validissimo ai fini pratici, culturali e pastorali; e per ammettere, con uno dei suoi critici più equilibrati, che «il flusso portò McLuhan, il riflusso potrebbe portarlo via. Ma dipende da noi che restino sulla spiaggia scarti o tesori [...]. Non sarebbe più saggio provare ad utilizzarlo e a superarlo?»54.

È quanto abbiamo cercato di fare.

1 Cfr E. BARAGLI, Il caso McLuhan - L’uomo, le opere, il pensiero, in Civ Catt. 1980 II 433-451; Per una valutazione critica del pensiero di Marshall McLuhan, in Civ Catt. 1980 III 375-393.

2 Anche in questo terzo ed ultimo articolo si presentano – ridotto al minimo l’apparato di documentazione e di note – alcune linee di quanto più largamente si espone e si discute nel volume di recente pubblicazione: E. BARAGLI, Il caso McLuhan, Roma, La Civiltà Cattolica, 1980, 8º, 428. L 14.000.

3 T. NAIRN, McLuhanologia, in AA.VV., Analisi di Marshall McLuhan, Buenos Aires, Tiempo contemporáneo, 1969, 69.

4 F. BALLE, Pour comprendre les média. MacLuhan, Paris, Hatier, 1972, 71.

5 J. CAZENEUVE, I poteri della televisione, Roma, Armando, 1972, 197.

5 N. ABBAGNANO, L’uomo di domani, in La Stampa, agosto 1967.

7 C. PELLIZZI, L’uomo elettrico di McLuhan, in Video, 1967, 40 e 54.

8 D. Mosso, La messa teletrasmessa, Bologna, Ed. Dehoniane, 1974, 8-11.

9 Civ Catt. 1980 II 442.

10 Apocalittici e integrati, Milano, Bompiani, 1968 – Per una lista di quindici dolèances contro i mass media e la loro cultura di massa, cfr ivi, 37 ss.; e per una controlista di nove difese della stessa. cfr ivi, 41 ss.

11 P. E. LAZARSFELD – R. K. MERTON, Comunicazione di massa, gusti popolari e azione sociale organizzata, in AA.VV., L’industria della cultura, Milano, Bompiani, 1969, 209 ss.; C. CAZENEUVE – J. OULIF, La grande chance de la télévision, Paris, Calman-Lévy, 1963, passim.

12 Cfr E. MORIN, L’industria culturale, Bologna, Il Mulino, 1963; A. MOLES, Le Kitsch: L’art du bonheur, Paris, Marne, 1971; G. DORFLES, Il Kitsch: Antolologia del cattivo gusto, Milano, Mazzotta, 1972.

13 Opponendo una lista non meno nutrita di benemerenze socio-culturali dei mass media; quali, ad esempio, l’estensione di svaghi “nobili” ai meno abbienti, una volta riservati ai pochi ricchi; una generalizzata istruzione di base, già monopolio dei clercs; la diffusa informazione, condizione di sviluppo democratico e di partecipazione alla vita civile...

14 Eccezion fatta, forse, per l’iconicità; di alcuni quali il cinema, la televisione e, in parte, la stampa: dagli uni denunciata quale fattore di un’alogica «civiltà iconica» (o «dell’immagine»); dagli altri apprezzata, invece, quale correttivo di una troppo astratta cultura verbale; evidentemente in relazione alla loro tecnicità, ma in una prospettiva diversa da quella di McLuhan.

15 Ad esempio: la solidarietà (e la carità cristiana) di un «prossimo» estesa ormai dai mass media ad individui e popoli di tutto il mondo; la possibilità, per la prima volta nella storia della Chiesa, di proclamare direttamente «a tutte le genti» e «sino agli ultimi confini della terra» l’annuncio della salvezza; una Chiesa cattolica resa «presente» (che «fa notizia») nel vivo del mondo odierno, così accreditandosi come «valore».

16 Seguo. sunteggiando, quanto ho svolto in E. BARAGLI, op. cit., 359 ss.; e, più ampiamente. in Comunicazione e pastorale, Roma. La Civiltà Cattolica, 1974, 108 ss.; e poi per la stampa: 249 ss.; per il cinema: 285 ss.; per la radio-televisione: 324 ss.

17 Queste espressioni sono nell’editto Etsi ad mortalem, emanato il 4 genn. del precedente 1486 dall’arcivescovo di Colonia Bertoldo di Henneberg, istituendo, il primo ufficio ecclesiastico diocesano di censura preventiva (cfr E. BARAGLI, Una costante preoccupazione pastorale della Chiesa: l’“Imprimatur”, in Civ. Catt. 1975 II 441) – Nell’Inter multiplices si legge: «Tra le molteplici cure [...] del nostro ufficio pastorale in primo luogo deve essere quella di far sì che quanto nel nostro tempo s’inventa di utile e di lodevole e di conforme alla fede cattolica ed ai buoni costumi, non solo si conservi e si alimenti, ma anche passi ai posteri; ciò che sia dannoso condannabile ed empio venga reciso e divelto, sicché non rispunti mai più [...]. Ma è da rilevare che, se il bene, tanto è più utile divino e grande quanto più è universale, così il male, tanto è da credere peggiore ed abominando quanto più sia diffuso e copioso, soprattutto considerando che la mente dell’uomo, nella sua fragilità, si trova più incline al male che al bene. Ne segue che l’arte della stampa, come è ritenuta utilissima perché facilita la moltiplicazione di libri pregevoli ed utili, così diverrebbe dannosissima se chi l’ha nelle mani la usasse malamente, senza regola stampando ciò che è nocivo. Quindi è necessario che con giusti rimedi venga messo un freno agli stampatori, sicché desistano dallo stampare libri che si prevedano contrari o avversi alla fede cattolica, o che rischino di arrecare scandalo nelle menti dei fedeli».

18 Dopo il Concilio di Trento si aggiunse (1584) la loro inserzione in un vincolante Indice dei libri proibiti, che, attraverso le costituzioni Sollicita ac provida di Benedetto XIV (1753) e Officiorum ac munerum di Leone XIII (1897), e il Codice di diritto canonico (1917), doveva durare sino alla chiusura del Vaticano II, quando l’Indice, con le relative censure, cessava di aver valore di legge (Dichiarazione Post litteras apostolicas, della S. Congr. per la Dottrina della Fede, 14 giu. 1966, in AAS LVIII [1966], 1451.

19 Così, ad esempio, Gregorio XVI denunciava «la non mai troppo esecrata e condannata libertà di stampa, di tutto diffondere nel pubblico», e inorridiva «vedendo da quanto mostruose dottrine o, per dir meglio, da quanti mostri di errori siamo assaliti, che per lungo e per largo vengono diffusi da valanghe di libelli e di scritti [...] dai quali erompe nella terra una deprecanda maledizione». (Enc. Mirari vos, 15 ag. 1832). Gli faceva eco Pio IX, condannando, appena eletto, «tanti velenosi fogli volanti [...] che contagiavano il male e che, ben presentati ma pieni di errori e di inganni, con grandissimo dispendio vengono diffusi dappertutto tra i fedeli, disseminando in ogni dove dottrine pestifere, depravando specialmente le menti e gli animi degli imprudenti. Da questa immane ed universale ondata di errori e da tanta sfrenata licenza di pensare. di parlare e di stampare dipende il deterioramento del costume» (Enc. Qui pluribus, 9 nov. 1846). E, parlando a giornalisti cattolici, così Leone XIII: «Conseguita quella sfrenata libertà, che meglio si direbbe licenza, di pubblicare per le stampe tutto ciò che talenta, gli uomini amanti di novità si diedero tosto a spargere una moltitudine quasi infinita di giornali che avessero per compito [...] di calunniare e di rendere invisa la Chiesa, e di istillare negli animi le più perniciose dottrine [...]. Non s’ingannerebbe molto chi volesse attribuire specialmente alla stampa malvagia la colluvie dei mali e la deplorevolissima condizione di tempi e di cose alla quale oggi siamo giunti» (Discorso Ingenti sane laetitia, 22 febb. 1879). E san Pio X, dopo aver lodato Leone XI perché «durante il suo pontificato non si lasciò mai sfuggire occasione di raccomandare di opporre stampa a stampa, in un aperto duello tra il bene e il male» (Lettera Quem catholici, 27 genn. 1906), esortava l’episcopato brasiliano: «Si faccia in modo di diffondere la stampa cattolica dappertutto e a tutti, soprattutto tra quelli che la carità cristiana deve strappare alle fonti inquinate dei giornali cattivi (Lettera Paulopolin nuper, 18 dic. 1910).

20 II giornale viene individuato per la prima volta come quotidiana scripta da Gregorio XVI nella lettera al Vescovo di Liegi Quum ex pastorali, del 25 apr. 1845. Per l’attualità; quale oggetto proprio dell’informazione giornalistica (recentiorum factorum narratio), e per il giornale diventato di fatto una necessità sociale (edendarum ephemeridum veluti inducta necessitas), cfr Leone XIII, discorso cit., del 22 febb. 1879. Lo stesso Leone XIII, 4 anni dopo (Lettera Saepe numero considerantes, del 18 ag. 1883), diffidente nomina le instabili opinioni (opinionum laevitati) contro le certezze provate. Per sentire qualificare «quarto potere» – l’opinione pubblica occorrerà attendere il pontificato di Paolo VI (Lettera della Segr. di Stato alla 53.ma Settimana Sociale di Francia del 2 lug. 1966). Il dovere-diritto all’informazione verrà esplicitamente enunciata solo nel decreto del Vaticano II Inter mirifica, del 4 dic. 1963. Infine. l’ultimo ricorso per la censura al braccio secolare si trova, salvo errori, nel Concordato tra Pio IX e l’imperatore d’Austria Francesco Giuseppe, del 18 ag. 1855.

21 E sono: la Lettera della Segreteria di Stato al can. Abel Brohée, presidente dell’OCIC, del 27 apr. 1934; l’enciclica di Pio XI Vigilanti cura, del 29 giu. 1936; i due Discorsi sul film ideale di Pio XII , del 21 giu. e 28 ott. 1955; per la parte dedicata al cinema, l’enciclica di Pio XII Miranda prorsus, dell’8 set. 1957.

22 La Lettera della Segreteria di Stato del 1934 rileva che «il cinema sta diventando il più grande e più efficace mezzo d’influenza, ancora più efficace della stampa, giacché non è raro il caso di film visti da più milioni di spettatori» (n. 31), ma – sorvolando sugli slogan tardivi di Goebbels per il nazismo: «Il cinema è uno dei mezzi più efficaci per costruire un [nostro] mondo migliore»; e di Mussolini per il fascismo: «Il cinema è l’arma più forte» –. va ricordata, per il marxismo, l’asserzione di Lenin (nel 1921!): «Per la Russia, di tutte le arti la più importante è il cinema»; e quella di Stalin (nel 1924!): «Il cinema è un grande strumento di agitazione delle masse. Si tratta quindi di prendere la cosa con le nostre mani».

23 «Non si dà oggi mezzo più potente del cinema ad esercitare influsso sulle moltitudini, sia per la natura stessa delle immagini luminose, sia per la popolarità dello spettacolo cinematografico, sia infine per le circostanze che l’accompagnano» (Vigilanti cura, 20).

24 Il cinema, nato come registrazione di fenomeni di moto, può essere usato come semplice mezzo di trasporto di altre forme di comunicazione umana, quali il linguaggio propriamente detto, il teatro, il ballo...; ma anche come forma specifica di comunicazione, che usa come segni espressivo-comunicativi le immagini visive. In argomento, e per l’annosa questione sullo «specifico filmico», rimando al mio E. BARAGLI, Corso elementare di filmologia, 3ª ed., Roma 1971, 47-50.

25 Cfr Vigilanti cura, nn. 63 e 65.

26 «Il problema morale della produzione dei film sarebbe risolto alla radice se ci fosse modo di avere una produzione cinematografiche informata pienamente ai principi della morale cristiana» (Vigilanti cura, n. 35).

27 Cfr E. BARAGLI, Codice Hays-Legion of Decency, Roma, La Civiltà Cattolica, 1968.

28 Con questa si aprono i due maggiori documenti magistrali in argomento: la enciclica Miranda prorsus, e il decreto conciliare Inter mirifica.

29 Cfr Miranda prorsus, n. 137.

30 Cfr PIO XII: Messaggio «I rapidi progressi» del 1° gennaio 1954; Discorso «En vous souhaitant» del 21 ottobre 1955; Miranda prorsus, n. 144.

31 Ad esempio, viene rilevata la «contemporaneità» quale caratteristica del medium televisivo (in diretta): cfr PIO XII, Telemessaggio «Non è forse una fausta» (6 giugno 1954), n. 5.

32 Cfr Miranda prorsus, n. 141.

33 Cfr Miranda prorsus, n. 115.

34 Cfr Pio XII, Radiomessaggio «Con la più viva soddisfazione» (11 ottobre 1955) n. 9; Radiomessaggio «Attendite populi» (27 ottobre 1957), n. 4.

35 I Infatti ogni comunicazione tende proprio a «rendere comune» al recettore destinatario un contenuto di coscienza che il promotore della comunicazione a questo scopo esprime in un «messaggio», codificandolo in segni sensorialmente percepibili e – così almeno egli si attende – correttamente decodificabili dal recettore. Di qui, da parte del promotore, il ricorso ad altri mezzi e codici per assicurare la recezione e la comprensione del messaggio qualora l’una o l’altra non si realizzi, o per carenza sensoriale del recettore, o per difetto del medio-ambiente, o per più o meno scarsa comunanza di codici.

36 Si pensi, ad esempio, per il primo caso, alla comunicazione verbale-scritta attuata per mezzo di un impersonale dattiloscritto o per telegramma, rispetto a quella attuata con un autografo, che partecipi, invece, al recettore le note caratteriali e lo stato d’animo dello scrivente. E, per il secondo caso, si pensi, ad esempio, ai suoni nella musica e ai simboli algebrici nella matematica... Intanto perché, in questo caso, sono proprio i mezzi, a costituire i codici comunicativi più o meno aperti a dati contenuti-significati: contenuti solo logico-quantitativi, ad esempio, quelli algebrici, e solo a-logico-emotivi quelli musicali. Ma soprattutto perché l’uso esclusivo o prevalente di questi mezzi a preferenza di altri – in ciò occorre concordare con McLuhan! – non può non incidere sui settori sensoriali interessati (o non interessati) dei comunicanti, con intuibili (e dimostrati) riflessi sulla psicologia e sui comportamenti sociali degli stessi.

37 Tra gli esempi più ovvi: il caso degli strumenti musicali, che il compositore presceglie per comunicare «una sua» espressione; la quale, viceversa, si muta o si altera se, nell’esecuzione, quelli vengono in tutto o in parte sostituiti; ed è il caso delle tecniche pittoriche: i modi e le possibilità espressive, ad esempio, dell’affresco diversificandosi così nell’esecuzione: come nella resa espressiva, da quelli della tempera o dell’olio.

38 Di cui, infatti, la costituzione dogmatica del Vaticano II Dei Verbum così ha rilevato l’essenziale natura comunicativo-saIvifica, dalle prime origini dell’uomo sino alla fine dei tempi: «Dio, il quale crea e conserva tutte le cose per mezzo del Verbo (cfr Gv 1.3)» non solo «offre agli uomini nelle cose create una perenne testimonianza di sé (cfr 1Rm, 19-20), ma, volendo aprire la via della soprannaturale salvezza, sin dal principio manifestò Se stesso ai progenitori [...]. A suo tempo chiamò; Abramo [...], ammaestrò; Mosè [...]; e, dopo avere a più riprese e in più modi parlato per mezzo dei Profeti [...], ha parlato a noi per mezzo del Figlio (Eb 1,1-2)». Inoltre «Dio [...] dispose che quanto Egli aveva rivelato per la salvezza di tutte le genti rimanesse per sempre integro e venisse trasmesso a tutte le generazioni. Perciò Cristo ordinò agli Apostoli [...] di predicare a tutti il Vangelo. Ciò venne eseguito tanto dagli Apostoli, i quali nella predicazione orale, con gli esempi e le istituzioni trasmisero ciò che avevano ricevuto dalle labbra, dalla frequentazione e dalle opere di Cristo [...], quanto da quegli Apostoli e da uomini della loro cerchia, i quali [...] misero in scritto l’annuncio della salvezza. Gli Apostoli poi, affinché il Vangelo si conservasse sempre integro e vivo nella Chiesa, lasciarono come successori i vescovi, ad essi affidando il loro proprio compito di magistero» (nn. 1-7).

39 Di Platone, cfr il noto apologo del dio Theuth e Thamous, re di Tebe, in Fedro, 724c-725-b. Cap. 59; e, per la catechesi odierna, così Giovanni Paolo II nella Catechesi tradendae, del 16 ott. 1979: «Gli inizi della catechesi cristiana, che coincisero con una civiltà soprattutto orale, hanno fatto il più ampio ricorso alla memorizzazione. In seguito la catechesi ha conosciuto una lunga tradizione di apprendimento mnemonico delle principali verità. Sappiamo tutti che questo metodo può presentare certi inconvenienti [...]. Nondimeno voci molto autorevoli si sono fatte sentire [...] per riequilibrare assennatamente la funzione della riflessione e della spontaneità, del dialogo e del silenzio, dei lavori scritti e della memoria. Del resto, alcune culture tengono tuttora in gran conto la memorizzazione» (n. 55).

40 «Gli scribi avevano nell’ebraismo una posizione di autorità e di guida che era di gran lunga sproporzionata alla loro primaria funzione d’interpreti della Legge; di fatto erano dittatori morali [...]. Essi basavano la propria autorità sulla fedeltà al testo dell’Antico Testamento, al di là del quale erano consapevoli di non poter andare. A quel tempo, di fatto, erano andati molto al di là del testo; però la teoria dell’insegnamento degli scribi era che esso non proponeva nient’altro che non fosse già contenuto in qualche modo nella Legge» (J. McKENZIE, L’autorità nella Chiesa, Torino. Gribaudi, 1969, 104).

41 Per limitarci a due casi tra i più correnti, basti pensare, su piano civile-politico, all’efficienza dell’informazione giornalistica e della propaganda-pubblicità sulle opinioni e sul comportamento dei singoli e delle masse ; e ciò, non soltanto nei regimi dittatoriali, ai quali l’informazione, mutilata e manipolata, è condizione prima ed assoluta per sopravvivere; ma anche nelle (più o meno) libere democrazie, dove, a condurre la cosa pubblica, è il «consenso» mobilitato dall’informazione e dalla propaganda, e dove la pubblicità è, tutt’altro che metaforicamente, l’anima del commercio... e di moltissime altre cose. Non per nulla, nell’un campo e nell’altro, da tempo vengono messe al punto ed applicate costose ricerche motivazionali e sofisticate content analysis. E, su piano etico, basti rilevare che, se qualche psicologo magari li nega ai contenuti erotico-pornografici, quasi tutti concordano nel denunciare almeno gli effetti malsani dei contenuti-messaggi di violenza e di odio nel cinema e nella televisione, e l’infausta funzione strumentale-consumistica esercitata dai loro divi e personaggi.

42 Cfr anche Gaudium et spes, n. 62; Gravissimum educationis, lntr.; Communio et progressio, 1, 49, 53, 127, 181 e 187.

43 Cfr E. BARAGLI, Il caso McLuhan - L’uomo, le opere, il pensiero, in Civ. Catt. 1980 II 443.

44 E così la circolare Nella sua sollecitudine della Pont. Comm. per la pastorale della migrazione e del turismo, del 26 magg. 1978, n. 2 (AAS LXX [1978], 357): «La mobilità invita ad un’appropriata comprensione del mondo in cui viviamo, e di cui vediamo evolversi sotto i nostri occhi le strutture. L’economia è diventata planetaria; la politica, per essere realistica, assume dimensioni mondiali [...] .Ormai è impossibile essere indifferenti all’interpenetrazione di razze, civilizzazioni, culture, ideologie. Il mondo è diventato piccolo, le frontiere tendono a cadere, lo spazio è ridimensionato, le distanze svaniscono [...]: viviamo tutti in un solo villaggio».

45 Cfr E. BARAGLI, L’Inter mirifica, Roma, La Civiltà Cattolica, 1969, 261 ss.. 273 ss., 299 ss.; Comunicazione e pastorale, ivi, 1974, 38 ss.

46 Cfr Gaudium et spes, nn. 6, 25 e 63.

47 Ad esempio, nella Communio et progressio, l’espressione strumenti della comunicazione sociale viene adoperata in senso proprio (come nell’Inter mirifica) 31 volte (nn. 2, 4, 6, 7, 13, 21, 41, 46, 48 e 49, 62 e 63, 64 e 65, 71, 73 e 74, 90, 96, 100, 102, 122, 125 e 126, 134, 157, 160, 162, 165, 182 e 184). Per il resto – a parte gli pseudo-sinonimi latini di media, apparatus e reperta; artes e machinamenta (2 volte), inventa (7 volte) e subsidia (17 volte) –, 33 volte vi si tratta di generici strumenti di comunicazione (nn . 9, 12 e 13, 16, 20, 22, 38, 40, 44, 51, 53, 62, 67, 70, 76, 80, 84, 87 e 88, 91 e 92, 97, 99, 100, 103, 106 e 107, 118 e 119, 131, 163, 183 e 184); 7 volte si parla di una anche più generica comunicazione (nn. 2, 17, 80, 134, 168, 169 e 170), mentre per ben 39 volte vi si tratta, al singolare e al plurale, di [leggi proprie di] una mai da nessuno definita (né definibile) comunicazione sociale (nn. 1, 5, 8, 12, 14 e 15, 18, 23, 71, 73, 79, 83, 100 e 101, 102 e 103, 107 e 108, 109 e 110, 113, 127, 130 e 131, 133, 164, 166, 167 e 168, 171, 172 e 173, 17 , 179, 181 ,183 e 184, 186 e 187) .

48 Ad esempio nella stessa Communio et progressio, dove s’è fatto socialis equivalente a generalis (n. 76) e ad universalis (n. 79); e, più recentemente, quando a socialis, s’è attribuita un’accezione di valore positivo, e non semplicemente fattuale, eticamente neutra; cfr Discorso di Giovanni Paolo II all’UNESCO, 2 giu. 1980, n. 16 (Oss Rom., 23 giu. 1980), ripreso nel Discorso al Congresso UCIP, del 25 sett. 1980, n. 10 (ivi, 26 sett. 1980).

49 I. TOFFLER, Lo choc del futuro, Torino, Einaudi, 1972 (cfr Civ. Catt. 1977 IV 349).

50 Di cui è ancora la Gaudium et spes a notare che, «sebbene essa non manchi di pericoli, tuttavia reca in sé molti vantaggi nel rafforzamento ed accrescimento delle qualità della persona umana e per la tutela dei suoi diritti» (n. 25); e della quale Giovanni XXIII , nella citata Mater et magistra, rileva realisticamente i vantaggi, i costi e l’evitabile determinismo.

51 Cfr Mass media e predicazione, in E. BARAGLI, Comunicazione e pastorale, cit. 179 ss.

52 Questione che si pone, ad esempio, per i nubendi nel sacramento del matrimonio, tra confessore e penitente nel sacramento della penitenza, tra fedele e il celebrante nella messa (televisiva); cfr Mass media e liturgia, ivi, 195 ss.

53 Cfr Teologia dei mass media, ivi, 133 ss. e J. HEREDIA, Teologia de los strumentos de comunicación social y Magistero Romano (tesi di laurea), Toma, PUG, 1978.

54 A. BOURDIS, Marshall McLuhan: profeta o mistificatore?, Torino, SEI, 1974, 174.

In argomento

Massmedia

n. 3405, vol. II (1992), pp. 260-268
n. 3351, vol. I (1990), pp. 260- 269
n. 3310, vol. II (1988), pp. 351-363
n. 3218, vol. III (1984), pp. 144-151
n. 3200, vol. IV (1983), pp. 158-164
n. 3202, vol. IV (1983), pp. 362-368
n. 3195-3196, vol. III (1983), pp. 209-222
n. 3188, vol. II (1983), pp. 154-161
n. 3191, vol. II (1983), pp. 463-467
n. 3179, vol. IV (1982), pp. 464-467
n. 3141, vol. II (1981), pp. 222-237
n. 3088, vol. I (1979), pp. 351-359
n. 3075-3076, vol. III (1978), pp. 223-238
n. 3072, vol. II (1978), pp. 566-573
n. 3062, vol. I (1978), pp. 151-159
n. 3058, vol. IV (1977), pp. 349-362
n. 3055, vol. IV (1977), pp. 45-53
n. 3045, vol. II (1977), pp. 260-272
n. 3034, vol. IV (1976), pp. 336-351
n. 3036, vol. IV (1976), pp. 580-587
n. 3022, vol. II (1976), pp. 323-336
n. 3013, vol. I (1976), pp. 20-36
n. 2990, vol. I (1975), pp. 144-157
n. 2983, vol. IV (1974), pp. 36-48
n. 2973, vol. II (1974), pp. 250-256
n. 2967, vol. I (1974), pp. 258-263
n. 2961, vol. IV (1973), pp. 258-263
n. 2942, vol. I (1973), pp. 144-150
n. 2927, vol. II (1972), pp. 451-456
n. 2911, vol. IV (1971), pp. 39-48
n. 2913, vol. IV (1971), pp. 235-253
n. 2882, vol. III (1970), pp. 154-160
n. 2870, vol. I (1970), pp. 155-160
n. 2859-2860, vol. III (1969), pp. 219-230
n. 2739, vol. III (1964), pp. 246-254
n. 2729, vol. I (1964), pp. 422-435
n. 2702-2704, vol. I (1963), pp. 105-118, 313-325
n. 2636, vol. II (1960), pp. 124-39
n. 2612, vol. II (1959), pp. 113-124
n. 2548, vol. III (1956), pp. 400-408