NOTE
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1 Cfr E. BARAGLI, «Lo choc del futuro», in Civ. Catt. 1977 IV 349.

2 Gaudium et spes, n. 2.

3 Notificazione Post litteras apostolicas, della S. Congregazione per la Dottrina della Fede, del 14 luglio 1966, in AAS 58 (1966) 445.

4 Cfr Enchiridion Vaticanum, II, nn. 126 e 300.

5 Cfr Paolo VI, Motu proprio «Integrae servandae» (7 dicembre 1965), in AAS 57 (1965) 952.

6 Cfr Paolo VI, Costituzione apostolica «Regimini Ecclesiae Universae» (15 agosto 1967), in AAS 59 (1967) 885.

7 Cfr Pio X, Costituzione «Sapienti consilio» (19 giugno 1908), in  AAS I (1909) 9.

8 Cfr cost. Providentissima Mater Ecclesia si noti: quam volumus perpetuo valituram! – , del 27 marzo 1917, ivi, 9 (1917) II.

9 Cfr cost. ap. Sacrae disciplinae leges, del 25 gennaio 1983, AAS 75 (1983) II.

10 Cfr Giovanni Paolo II, Costituzione apostolica «Pastor Bonus» del 20 giugno 1988, AAS 80 (1988) 841.

11 Non vi rientrano gli «Uffici della buona stampa», diffusi nella Chiesa sulla fine del secolo passato e «auspicati in ogni provincia» d’Italia da Leone XIII nel 1882, «per dimostrare pubblicamente quali e quanti siano i doveri dei singoli cristiani verso la Chiesa, con frequenti pubblicazioni e, per quanto possibile, quotidiane» (Lettera enciclica «Etsi Nos»). Né vi rientrino le tre Organizzazioni Internazionali Cattoliche: della stampa (prima UIPC, poi UCIP), del cinema (OCIC) e della radio-televisione (UNDA); sorte, infatti, per iniziativa dei rispettivi operatori pastorali e di categorie professionali, in Belgio, in Olanda e in Germania negli anni 1926-28; gli statuti delle quali furono poi approvati dalla Santa Sede solo negli anni 1949-55 (cfr E. BARAGLI, Comunicazione pastorale, Roma, Studio Romano della Comunicazione Sociale, 1974, 244 ss).

12 Cfr Per un’esposizione completa sugli accresciuti compiti pastorali di detti Uffici del cinema in 10 anni di innovazioni tecnologiche; sui rapporti tra gli stessi e i sopravvenuti Uffici, diocesani e nazionali, della radio-televisione (e poi anche della stampa), e con le menzionate rispettive Organizzazioni Internazionali; e, infine, sulla loro variata dipendenza dagli Ordinari e dalle Conferenze episcopali secondo le successive disposizioni dell’enciclica Miranda prorsus di Pio XII (8 settembre 1917), della lettera apostolica Boni Pastoris di Giovanni XXIII (12 febbraio 1919), dell’Inter mirifica e della postconciliare istruzione pastorale Communio et progressio (23 maggio 1971), cfr E. BARAGLI, Comunicazione e pastorale, cit. 213 ss.

13 Cfr Pio XII, Esortazione apostolica ai vescovi italiani «I rapidi progressi» (1º gennaio 1954). Ovviamente presto ci si avvide che era troppo compromettente etichettare film come raccomandati, approvati o condannati «dal Vaticano». Il Bullettin d’information della Commissione (1911, nn. 30/31, 13) precisava: «Dato che siffatte dichiarazioni di film raccomandati, approvati, o condannati “dal Vaticano” si vanno moltiplicando nel mondo, soprattutto oltremare, sembra utile dichiarare che l’odierna Commissione Pontificia, come la precedente Commissione per la Cinematografia, non soltanto, di regola – come vuole lo Statuto – si astiene dal pubblicare giudizi circa il valore morale dei film, ma, di fatto, non ne ha mai pubblicati».

14 Cfr Segreteria di Stato, Lettera a mons. Martin J. O’Connor (4 novembre 1958). Un frutto diretto di questa Commissione fu la lettera programmatica indirizzata dal suo presidente, mons. Martin J. O’Connor, il 1° giugno 1913, all’episcopato italiano, circa le commissioni diocesane e regionali dei cinema «comunque dipendenti dall’autorità ecclesiastica», e circa i film in essi programmabili (cfr Pontificia Commissione per la Cinematografia, Lettera all’Episcopato Italiano); e altro frutto, indiretto, ma di ben maggiore portata, fu la petizione di un nuovo ed esauriente documento pontificio sul cinema. Petizione che, infatti, Pio XII nel 1955 appagò ad abundantiam con i due noti Discorsi sul film ideale: vero trattato organico in argomento, restato, nel suo genere, ancor oggi insuperato.

15 Cfr Segreteria di Stato, Statuto della Pontificia Commissione per la Cinematografia, la Radio e la Televisione (16 dicembre 1954). In particolare: sette membri di questi dicasteri vennero designati quali membri ipso iure del Consiglio di presidenza.

16 Cfr Giovanni XXIII, Lettera apostolica «Boni Pastoris» (22 febbraio 1959). Tra le novità: l’aggregazione della Commissione alla Segreteria di Stato (art. 18) e l’affidamento alla stessa «della Filmoteca Vaticana, che intendiamo istituire allo scopo di raccogliere i film che interessino la Sede Apostolica» (art. 17).

17 Cfr Segreteria di Stato, Lettera a Charles Flory, presidente delle Settimane Sociali di Francia (14 luglio 1955).

18 Cfr Pio XII, Lettera enciclica «Miranda prorsus» (8 settembre 1957).

19 È la nuova accezione di socializzazione introdotta da Giovanni XXIII nell’enc. Mater et magistra (15 maggio 1961) e nella cost. Humanae salutis (25 dicembre 1961), resa con i sintagmi latini socialium rationum incrementa, socialis vitae progressus, rationum socialium progressio; e ripresa anche dal Vaticano II, ad esempio, nella Gaudium et spes, nn. 6, 25, 42 e 75.

20 Cfr la Declaratio introduttoria al II Schema di costituzione dell’Inter mirifica, dell’11 maggio 1962, in Acta Synodalia Sacr.ti Concilii Oec.ci Vaticani II, vol. I, pars III, Typis Poliglottis Vaticanis 1971, 375-376; e anche in E. BARAGLI, L’Inter mirifica, SRCS, Roma 1969, 535. L’auspicio venne, quasi sempre correttamente, attuato in almeno sei documenti dello stesso Concilio. Vale a dire: una volta in Christus Dominus (n. 13), una volta in Optatam totius (n. 9), due volte nella Gravissimum educationis (nn. 1 e 4), una nell’Apostolicam actuositatem (n. 8), tre volte nell’Ad gentes (nn. 19, 31 e 36), tre volte nella Gaudium et spes (nn. 6, 54 e 61).

21 Tali, ad esempio, i romani Studio Paolino internazionale della Comunicazione Sociale (SPICS), il Centro interdisciplinare sulla comunicazione Sociale presso la Pontificia Università Gregoriana (PUG), l’Istituto di Scienze della Comunicazione Sociale (ISCOS) presso la Università Pontificia Salesiana (UPS), il Corso di scienze e tecniche delle comunicazioni sociali presso la Pontificia Università Lateranense (PUL); il romano-spezzino Centro Internazionale dello Spettacolo e della Comunicazione Sociale (CiSCS); la milanese Scuola di specializzazione in comunicazioni sociali (giornalismo, pubblicità, spettacolo) presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore...

22 AAS 56 (1964) 289.

23 Cfr E. BARAGLI, Massmediologia e formazione seminaristica, in Civ. Catt. 1986 IV 26; Orientamenti per i futuri sacerdoti circa gli strumenti della comunicazione sociale, in Civ. Catt. 1987 I 26.

24 Cfr E. BARAGLI, I «mass media» nel nuovo Codice di diritto canonico, in Civ. Catt. 1983 II 209.

25 Cfr introduzione e sintesi in E. BARAGLI, L’istruzione pastorale «Communio et progressio», in Civ. Catt. 1971 IV 39 e 235.

26 Vero è, infatti, che nei 187 numeri del testo (titolo compreso), ben 9 volte ricorre l’esatto «strumenti della comunicazione sociale»; e, rispettivamente, 10 e 36 volte vi appaiono sintagmi eguivalenti, oppure l’accettabile «strumenti» specificato dai dichiarativi «guesti, tali, siffatti, detti...». Ma, poi, 37 volte vi si legge il troppo vago «strumenti di (o della) comunicazione»; 25 e 11 volte i generici «aiuti» e «invenzioni» (subsidia, auxilia, inventa) «di comunicazione»; e ben 46 volte il generalizzante – poi dilagato, anche se da nessuno decifrato, nella pubblicistica ecclesiale – «le comunicazioni sociali» – Seguono, infine: due machinamenta e apparatus, tre «comunicazione» e guattro «arti» o «artifici», due «audiovisivi», un mass media e – a proposito di cassette, di dischi, di filmini e di diapositive – un multimedia.

27 Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, Criteri di collaborazione ecumenica ed interreligiosa nel campo delle comunicazioni sociali (4 ottobre 1989)

28 Per una sufficiente e aggiornata informazione in argomento, cfr A. STEFANIZZI, Le nuove tecnologia di comunicazione, La Civiltà Cattolica, Roma 1981, 176.

29 Questo vale pure per le tre Organizzazioni internazionali cattoliche dei mass media: UCIP, OCIC e UNDA, almeno per l’America Latina. Dove, infatti, «in seguito all’Assemblea continentale di Quito (1987), esse hanno deciso di attuare un piano comune per la pastorale della comunicazione; e, allo scopo, hanno organizzato un Segretariato congiunto, con tre segretari esecutivi, con sede a Quito (Ecuador)” (cfr Teoria y praxis de la Iglesia Latino-Americana en comunicaciones sociales, DECOS-CELAM, Bogotá 1988, 357); e dove non temono di qualificarsi: Del cine y del audiovisual l’OCIC-AL, e De la radiotelevisión y medios afines l’UNDA-AL.

30 Cfr la nota 10.

31 Categorico, in apertura, l’art. 169 recita: «Il Consiglio si occupa delle questioni che riguardano gli strumenti della comunicazione sociale... Alla luce del quale vanno, perciò, intesi i (soliti) approssimativi e vaghi «forme della comunicazione sociale» e «campo delle comunicazioni»: così del titolo «Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali» come del seguente art. 170. Cfr, anche, Annuario Pontificio 1989, Città del Vaticano 1989, 1.166 e 1.636.

32 U. ECO, La qualità della pubblicità televisiva, SACIS, Roma 1989, 24.

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Articolo estratto dal volume I del 1990 pubblicato su Google Libri.

Il testo è stato corretto dai refusi di stampa e formattato in modo uniforme con gli altri documenti dell’archivio.

I riferimenti ai documenti del magistero pontificio sono stati resi interattivi e portano al sito del progetto “Chiesa e Comunicazione”, la biblioteca digitale online che prosegue l’attività iniziata da p. Baragli con le opere Cinema cattolico: documenti della Santa Sede sul cinema e Comunicazione Comunione e Chiesa.

ARTICOLO SU

Già una ventina di anni fa, lo statunitense Alvin Toffler, nel suo Lo choc del futuro1, tra gli altri effetti caratteristici dell’accelerata e generalizzata odierna mutazione tecnologica, giustamente segnalava quello della rapida obsolescenza di strutture operative sociali – una volta, invece, ritenute stabili, se non anche perenni – in tutti, si può dire, i settori e i livelli delle odierne istituzioni umane. Non meraviglia, quindi, se – vivendo e operando, oggi più che mai, «intimamente solidale col genere umano e con la sua storia»2 – anche la Chiesa, in questi ultimi decenni, abbia risentito di questo fenomeno, attuando nelle proprie strutture operative non poche innovazioni, sia a livello di Chiese locali, sia di Santa Sede.

Tra le più macroscopiche basti ricordare:

  • la soppressione, nel 1966, dell’Indice dei libri proibiti, per ben quattro secoli «mantenuto dalla Chiesa per salvaguardare, secondo il mandato divino, l’integrità della fede e dei costumi»3, e ancora negli anni 1963 e ’64 fatto oggetto di facoltà e privilegi per i vescovi e per i superiori religiosi4;
  • le mutazioni, per opera di Paolo VI: prima, nel 1965, del nome e del regolamento del Sant’Uffizio5, e poi, nel 1967, di tutta la Curia Romana6, rispetto a quanto disposto, ben sessant’anni prima, da Pio X7; l’una e l’altra recepite, con pochi mutamenti, nel Codice di diritto canonico del 19178;
  • la revisione di questo Codice, attuata nel 1983 da Giovanni Paolo II9; e soprattutto la nuova riforma della Curia Romana, sancita dallo stesso Giovanni Paolo II nel 1988, ad appena quindici anni dalla precedente10.

Tra le istituzioni ecclesiali oggetto, in questi ultimi decenni, di revisioni aggiornative, spiccano quelle relative ai (comunemente detti) mass media, in rapporto, appunto, ai loro accelerati sviluppi, mutazioni e interazioni tecnologico-culturali e, di riflesso, anche etico-pastorali. Vale, dunque, la pena di ripercorrerne le vicende, per poi individuare – quanto possibile – interessi e comportamenti culturali e pastorali relativi all’inglobarsi, oggi in atto, della comunicazione massmediale in quella onnicomprensiva della computer-informatizzazione.

Cinema

Nella Chiesa, le prime istituzioni relative ai mass media hanno riguardato il cinema11. Si trattò, infatti, degli Uffici permanenti, nazionali e diocesani, di revisione dei film, che Pio XI, nell’enciclica Vigilanti cura, del 29 giugno 1936, chiese ai vescovi d’istituire nei propri Paesi e nelle singole diocesi. Quelli nazionali: con lo scopo di promuovere i film onesti e di classificare tutti gli altri nelle tre qualifiche – da notificare poi a tutti i sacerdoti e i fedeli – di: «visibili con riserva», «nocivi» e «del tutto sconvenienti»; e quelli diocesani: per eventualmente far uso di criteri più severi secondo l’indole della regione, riprovando cioè anche i film che la lista nazionale avesse fatto passare, proprio in quanto redatta tenendo presente tutta la nazione nel suo complesso12.

Anche a livello di Curia romana, primo tra i mass media a interessare uno speciale Ufficio è stato il cinema. Fu quando, nell’intento di tradurre in pratica lo spirito e la lettera della Vigilanti cura e le direttive emanate in diverse circostanze dalla Santa Sede, e anche per assecondare i voti di enti di produzione e distribuzione cinematografici, nel 1948 Pio XII istituiva una Commissione pontificia per la cinematografia didattica e religiosa, «per l’esame delle opere cinematografiche destinate alla maggiore e migliore conoscenza della dottrina cristiana e agli insegnamenti della Chiesa cattolica [...], spontaneamente sottoposti alla revisione della Santa Sede» (art. 3)13. Ma qualifica e prestazioni dovettero presto rivelarsi alquanto ingenui, e anche compromettenti. Ad esse, infatti, appena quattro anni dopo, ovviò il nuovo statuto del 1952, nel quale la Commissione - ormai qualificata più semplicemente per la cinematografia – si asteneva «normalmente dal rilasciare giudizi favorevoli o negativi a copioni o a film, rimettendosi, nello spirito della Vigilanti Cura, ai singoli Centri nazionali» (art. 10); e diventava «organo della Santa Sede per lo studio dei problemi cinematografici attinenti alla fede e alla morale» (art. 2), con la funzione di «seguire gli indirizzi ideologici e gli atteggiamenti pratici della produzione filmica, e di promuovere l’attuazione delle norme direttive della suprema autorità ecclesiastica» (art. 13)14.

Radio e televisione

Ma non per nulla, da una trentina di anni la radio, e da una decina di anni la televisione, si erano andate integrando nel mondo della comunicazione umana. Dopo meno di due anni, nel 1954 un nuovo statuto veniva ad ampliare competenze e prestazioni della detta Commissione pontificia, questa volta, infatti, qualificata per la cinematografia, la radio e la televisione, mentre ne rinforzava i legami con altri dicasteri e uffici della Santa Sede15. Competenze e legami strutturali che – sostanzialmente confermati, nel 1959, da Giovanni XXIII con la lettera apostolica Boni Pastoris16 –, tali però rimasero per soli cinque anni, sino a quando, cioè, Paolo VI, su sollecitazione del Vaticano li, nel 1964 istituiva la Pontificia Commissione (detta, in italiano) «delle comunicazioni sociali».

In questo rapido e più comprensivo interessarsi e aggiornarsi del Magistero romano alle strutture della moderna tecno-comunicazione umana, non potevano restare ignorati due vuoti, felicemente colmati soltanto nel 1963 dal decreto conciliare Inter mirifica. Il primo, e più vistoso, riguardava la non menzione, in esso, della stampa, che pur aveva operato, prima nel tempo e in peso socioculturale, tra i moderni cosiddetti mass media, e che pur era stata trattata col dovuto rilievo nella Lettera della Segreteria di Stato alla Settimana Sociale di Nancy (1955) sul tema Les techniques de diffusion dans la civilisation contemporaine17. Il secondo vuoto riguardava la carenza di una precisa terminologia, idonea a denotare e comprendere, tutte e sole, alcune attività di comunicazione, connotandone quella specifica componente tecnologica che ne condiziona e accomuna prestazioni e problemi socioculturali ed etico-pastorali.

Infatti, in tutti e quattro i più rilevanti documenti preconciliari attinenti all’argomento, la terminologia non poteva essere più fluttuante e vaga. Gli statuti della Commissione del 1954 trattavano sempre e solo di cinematografia, radio e televisione, senza mai comprenderle in un termine comune. La Lettera di Nancy (1955) qualificava la stampa, il cinema, la radio e la televisione: undici volte quali techniques de diffusion, quattro volte moyens de diffusion e una volta instruments d’informations. E maggiore era lo scompiglio concettuale-terminologico nell’enciclica di Pio XII Miranda prorsus, del 1957, elaborata dalla Commissione del tempo18. Ventisei volte vi si trattava di artes: due volte di res o di opes mirandae; due volte di instrumenta e di audiovisivi; oltre che di tecnica: inventa, disciplinae, industriae... Infine la Boni Pastoris, del 1959, trattava di «fattori della cultura moderna» (art. 1: civili cultui hac aetate invecta), di «ritrovati tecnici» (art. 2: tecnica artis inventa), di «tecniche di comunicazione audiovisive» e di «strumenti» (art. 4: artes tecnicae ad voces imaginesque communicandas..., instrumenta); infine di «strumenti audiovisivi di diffusione» (art. 9: instrumenta ad voces imaginesque propagandas).

«Mass media» e Vaticano II

Questa era la confusa situazione terminologico-concettuale in cui, negli anni 1959-’61, si ritrovarono gli addetti a elaborare sull’argomento un testo, questa volta di un solenne Magistero conciliare; ma che, tuttavia, non poteva non rifarsi, da una parte a quanto, in dottrina e in norme operative, era via via andato maturando nel Magistero ordinario e, dall’altra, a quanto la cultura non ecclesiale era andata investigando e proponendo intorno a quelli che – non sempre a proposito – essa qualificava «mezzi di massa» (mass media). Se la cavarono rilevando in quelle terminologie, diverse e approssimative, tre precisi fattori da essi ritenuti qualificanti «la stampa, il cinema, la radio, la televisione e altri dalle stesse caratteristiche», e definendoli strumenti della comunicazione sociale. Così rapportando alla più comprensiva comunicazione umana intenzionale i parziali diffusion, information, propagande ... ; con strumenti connotandone la spiccata caratteristica tecnicità (techniques, inventions, audiovisuels...), altra dai semplici «mezzi» (moyens); quindi tale da condizionare natura e peso socioculturale della loro comunicazione sociale; comunicazione, cioè, non tanto di per sé necessariamente massificante (mass media), quanto di per sé socializzante. Fattore, cioè, primario di socializzazione, intesa questa nell’accezione giovannea di «progressivo moltiplicarsi dei rapporti di convivenza, con varie forme di vita e di attività associate, e istituzionalizzazione giuridica, privata e pubblica: che è uno degli aspetti tipici caratteristici della nostra epoca»19.

Così due pregi raccomandarono questa terminologia-definizione. Il primo stava nel suo denotare, appunto tutti e soli, i caratteristici modi e veicoli tecnologici della odierna comunicazione umana, distinguendoli, quale insieme socioculturale a sé stante, da tutti gli altri modi e mezzi di comunicazione – come il linguaggio orale e scritto, le lettere e i libri, il teatro, la poesia, la pittura, la musica e, in genere, le arti figurative –; i quali, pur integrandosi nella storica globale comunicazione umana, non possono qualificarsi propriamente tecnologico-odierni. L’altro pregio era nella prevalente visuale antropologica e socioculturale della socializzazione, in cui, in ciò prevenendo l’ottica della Gaudium et spes, essa situava l’impatto dei mass media nel mondo di oggi; per quindi indirizzarne le strutture ecclesiali, in ogni caso al loro «uso retto» per «il progresso di tutta l’umanità», prima ancora che al loro uso pastorale, di predicazione e di formazione cristiana.

Purtroppo, però, benché negli Acta conciliari ne resti precisata l’accezione e la portata, e benché negli stessi se ne sia auspicato «l’uso nella normativa e nei documenti pastorali della Chiesa»20, in questi 25 anni detta terminologia è stata parecchio disattesa ed equivocata, non solo nella pubblicistica corrente, laica e cattolica, e nel formulare denominazioni e programmi di enti ecclesiali, culturali e pastorali21, ma anche in non pochi interventi dello stesso Magistero ordinario.

In proposito merita rilevare la diversa condotta dei quattro maggiori documenti emanati in argomento dalla Santa Sede in questo postconcilio.

Precede, esemplare, il motuproprio In fructibus multis, col quale Paolo VI, il 2 aprile 1964, «accogliendo il voto dei Padri conciliari di estendere funzioni e competenze dello speciale Ufficio della Santa Sede a tutti gli strumenti della comunicazione sociale, compresa la stampa» (Inter mirifica, n. 18), istituiva il Pontificium Consilium instrumemtis communicationis socialis, affidandogli «i problemi relativi al cinema, alla radio, alla televisione e anche alla stampa: quotidiana e periodica»22. Seguono, non meno esemplari, i recenti Orientamenti per la fortificazione dei futuri sacerdoti circa gli strumenti della comunicazione sociale, emanati dalla Congregazione per l’Educazione Cattolica il 19 marzo 198623. Risalta in essi – come si vede fin dal titolo – l’esatta terminologia dell’Inter Mirifica; anche se aperta ai correnti mass media e massmediologia, purché identici risultino i referenti da essi designati; e anche esplicitamente riconoscendo che oggi «le necessità pastorali richiedono che ci si interessi pure allo studio e alla pratica di altri mezzi e strumenti di espressione e di comunicazione, quali il teatro, le arti figurative e altri, anche se esorbitano dal quadro sopra tracciato» (n. 7).

Invece, qualche imprecisione terminologico-concettuale vien fatto di rilevare in un duraturo testo normativo-giuridico – dove, perciò, meno si poteva aspettare –, qual è il nuovo Codice di diritto canonico, promulgato da Giovanni Paolo II 23 gennaio 198324. Infatti, dei nove canoni che vi trattano dei mass media: cinque li qualificano esattamente «strumenti della comunicazione sociale» (cann. 761, 779, 804, 1063 e 1369: rispettivamente sul ministero della Parola, sull’istruzione catechetica, sull’istruzione cattolica, sul matrimonio nella cura pastorale e sui delitti contro la religione). Invece, due – il can. 666, sul loro uso da parte degli istituti di vita consacrata, e il can. 747, sul dovere-diritto della Chiesa di predicare – vagano in un impreciso «mezzi di comunicazione sociale»; mentre altri due (cann. 822 e 823: sul diritto-dovere di vigilanza da parte della Chiesa) sono esatti, sì, nella terminologia, ma vengono posti sotto il titolo «Gli strumenti della comunicazione sociale, e in specie dei libri»: i quali, per la verità, agli strumenti della comunicazione sociale non appartengono.

Invece, del tutto anomala in argomento risulta l’istruzione pastorale Communio et progressio, del 23 maggio 197125. Per quanto pubblicata su espresso mandato del Concilio «per l’applicazione di tutti i principi e le norme dell’Inter Mirifica circa gli strumenti della comunicazione sociale» (n. 23), di fatto essa risente non poco della provenienza – pubblicistico-giornalistica, e non conciliare – degli ultimi suoi estensori; sia nella sua imprecisione terminologica e, quindi, anche nel suo incongruo includere o escludere «strumenti» o «mezzi» più o meno «di comunicazione»: sia nel suo dilungarsi su argomenti – quali quelli dell’opinione pubblica (nn. 24-33), del dialogo e dell’opinione pubblica nella Chiesa (nn. 115-121), e del teatro (nn. 158-161) – che solo in parte attengono alla comunicazione massmediale26.

Qualche fluttuazione terminologia si rileva anche nella citata costituzione apostolica Pastor bonus, del 1988. La quale, infatti, tratta di un Consiglio delle comunicazioni sociali che, però, si occupa degli strumenti di comunicazione sociale (art. 169, 1); ma anche delle molteplici forme della comunicazione sociale (art. 170, 1), del campo delle comunicazioni e di tali strumenti (ivi, 3 e 4).

Del tutto anomala risulta, invece, la terminologia dei recenti Criteri di collaborazione editi dallo stesso Pontificio Consiglio27. Vi si parla, infatti, promiscuamente: 11 volte di media; 10 volte di le comunicazioni sociali; 8 volte di la comunicazione sociale (più 2 di massa); 3 volte di informazioni e di organismi di comunicazione; per finire – dopo non aver mai menzionato la stampa, il cinema, la radio e la televisione – con «l’uso dei nuovi media [...]: i satelliti, le banche dati, le reti cablo e generalmente, l’informatica, a cominciare dalla compatibilità dei sistemi» (nn. 14 e 23).

Dai «mass media» alla computer-informatizzazione

Infatti, nel frattempo, sia rispetto ai singoli mass media sia rispetto al loro insieme, con l’esplosione tecnotronica ancora in atto, si sono andati alterando – per dirla in termini semiologici – i rapporti tra le invariate forme «significanti» (vale a dire: le terminologie) e i mutati loro «referenti» (cioè i contenuti-significati) socioculturali. Infatti «stampa», che dai primi dell’800 valeva per il supporto cartaceo tipografico (presse), veicolo dell’informazione tendenzialmente quotidiana (giornale), oggi, intanto, rimanda anche a produzioni periodiche che, in varietà e policromia di contenuti evasivi pareggiano con i rotocalchi; inoltre – sempre più veicolata, in voce e in immagini, dalla radio e dalla televisione – tende a significare il tutt’insieme dell’informazione massmediale, ormai passata da quotidiana a quasi oraria; e anzi, col televideo, a quasi sincrona con gli eventi.

Anche del cinema tradizionale oggi poco resta. Per oltre mezzo secolo, infatti, ha perdurato incontrastato e autonomo veicolo e mezzo di spettacolo-comunicazione su grande schermo; che, approntato direttamente dalla produzione e dalla distribuzione per masse eterogenee di spettatori, veniva da queste fruito in sala pubblica con scarse varietà di scelta, ma con un’«esperienza di gruppo» caratteristica e suggestiva. Invece il teleschermo, prima l’ha menomato a diversivo familiare; poi, con l’avvento dei film in cassette e su dischi, perfino in libera fruizione solitaria; nella quale le ridotte, se non anche falsate, dimensioni e proporzioni del quadro, se più o meno salvano i nessi narrativi dei film, certo ne alterano i valori (e i disvalori): così estetici, come anche psico-etici.

Ma innovazioni anche più numerose e radicali hanno alterato, in questi anni, la televisione. Intanto rispetto ai contenuti da essa trasmessi. Se, infatti, ancora durante il Vaticano II (1962-1965) questi si riducevano quasi soltanto a un’informazione trasmessa in diretta, da operatori isolati e autonomi a masse indifferenziate e praticamente prive di libere scelte; da quando la registrazione videomagnetica (Ampex) ha consentito l’accumulo di programmi da trasmettere in differita, col moltiplicarsi concorrenziale delle teletrasmittenti, in massima parte condizionate dalle imprese pubblicitarie - e queste, a loro volta, condizionate dalle scelte determinanti di recettori-masse-, da tempo la sua informazione si è andata stemperando e farcendo in un non-stop fantasmagorico di film e di sceneggiati (serials, soap stories...), di partite, di lotterie, di varietà, di programmi a contenitore, di promo, talk show, sketch, cartoons, quiz, spot...: ulteriormente stemperati, ad libitum dei singoli utenti, col telecomando. Poi, negli anni ’70-’80, ci ha pensato il boom tecnotronico a ridurre il teleschermo a semplice display di un’onninvadente computer-informatizzazione28.

La corposa e poco efficiente elettronica della prima generazione (dei tubi a vuoto) veniva superata da quelle, via via più maneggevoli ed efficienti, della seconda (con i transistor), della terza (dei circuiti integrati miniaturizzati) e della quarta generazione (dei VLSI: Sistemi integrati a scala ridottissima); mentre il computer, da primitivo voluminoso strumento di solo calcolo – un hardware composto di tastiera numerica e di un vistoso visualizzatore (display) – passava a mini- e micro-elaboratore anche di dati alfanumerici e diagrammi, analogici e digitali. Al quale, promosso a personal e a home terminal, si affiancavano svariate interfacce d’ingresso (input) e di uscita (output): memorie su nastro (cassette) e su disco (floppy disc), magnetiche e a raggio laser, registratori e stampanti, collegabili con altri terminali, banche dati, trasmittenti radio e televisive (telex, videotel, televideo...): via etere, via cavo, via modem-telefono, (a fibre ottiche) e via satellite (ormai anche in diretta).

Nelle strutture ecclesiali

Le strutture ecclesiali postconciliari attinenti ai mass media non potevano non risentire, singole e nel loro insieme, di queste mutazioni. Così gli Uffici diocesani e nazionali del cinema: che, infatti, hanno visto ridursi la portata culturale e pastorale delle proprie qualifiche morali sui film a causa, sia della programmazione immediata e troppo celere degli stessi nelle sale pubbliche, sia della loro funzione, psicologicamente tutta differente, familiare o personale, dal teleschermo o dal videoregistratore. E così, anche gli Uffici della radiotelevisione, rispetto agli ormai imprevedibili palinsesti informativo-spettacolari di decine di trasmittenti, simultanee e plurilingui, anche in diretta, via-satellite. In ogni caso, poi, gli uni e gli altri hanno visto proporsi due scelte. Quella – sollecitata anche nel n. 169 della Communio et progressio – di operare in stretta vicendevole collaborazione, se non anche quali sezioni distinte di un unico Ufficio nazionale; e quella d’interessarsi anche di quei – diciamoli così – sottoprodotti della tecnotronica, quali i mini-, i multi-, i self-, i group-media...29; che, senz’altro ricchi di possibilità didattico-pastorali, specie nella catechesi e nell’animazione di gruppo in particolari contesti socioculturali, certamente esorbitano dalla visuale massmediale dell’Inter mirifica. Ovviamente, le mutazioni tecnologiche e socioculturali oggi in atto, coinvolgenti pure quelli che ieri erano i mass media, non possono non fare problema anche per quel Consiglio che nella Curia romana è addetto agli stessi. Infatti, se resta indubbio che – anche dopo la recente costituzione Pastor bonis di Giovanni Paolo II30 – le sue spettanze e funzioni continuano a riguardare esclusivamente gli «strumenti della comunicazione sociale»31, è anche palese quanto l’intrusione-invasione della computer-informatica abbia reso incongruo – in tutti e tre i suoi termini - questo sintagma dell’Inter mirifica rispetto alla concreta realtà odierna. In effetti, l’odierna «tecnicità» è tutt’altra da quella già connotata da «strumenti», passata com’è da meccanico-elettrica a elettronico-informatica. E la «comunicazione», intesa come intenzionale-informativa, non è certo il solo scopo e contenuto espresso e trasmesso da questa tecnicità, poiché l’informatizzazione tende a invadere, strutturare e condizionare tutti, senza eccezione, i campi e i prodotti delle attività umane, siano esse o meno, propriamente, «di comunicazione». Infine, con «sociale» non si rimanda più – come era nell’Inter mirifica – a una neutra «socializzazione» contrapposta a una degenere «massificazione»; bensì a un trapasso epocale al postmoderno, di cui per il momento non è possibile prevedere quantità e qualità degli esiti psico- e socio-culturali; se, cioè, l’onnicomprensiva computer-informatizzazione stia per favorire una genuina cultura di «persone» e di valori, oppure un impersonale agglomerato di hardware e di dati neutri.

* * *

Ad altri rilevare tutti i più ovvi aggiornamenti – didattici e pastorali, dottrinali e pratici – che siffatte mutazioni dei mass media sollecitano. Qui basti riportare una (non tanto lepida) riflessione di un esperto in materia, attento al loro embricarsi in un loro autore-potere non più personale e individuabile:

«Non uno, ma due, tre, forse più mezzi di massa agiscono su canali diversi. In tale situazione non si sa più bene chi detenga il potere. Non si sa più da dove venga il progetto; perché è un progetto, certo, ma non più intenzionale, e dunque non si può più criticarlo attraverso la critica tradizionale sulle intenzioni. Tutti i cattedratici di teoria delle comunicazioni formatisi sui testi dei primi anni ’60 (me compreso) dovrebbero andare in cassa integrazione»32.

1 Cfr E. BARAGLI, «Lo choc del futuro», in Civ. Catt. 1977 IV 349.

2 Gaudium et spes, n. 2.

3 Notificazione Post litteras apostolicas, della S. Congregazione per la Dottrina della Fede, del 14 luglio 1966, in AAS 58 (1966) 445.

4 Cfr Enchiridion Vaticanum, II, nn. 126 e 300.

5 Cfr Paolo VI, Motu proprio «Integrae servandae» (7 dicembre 1965), in AAS 57 (1965) 952.

6 Cfr Paolo VI, Costituzione apostolica «Regimini Ecclesiae Universae» (15 agosto 1967), in AAS 59 (1967) 885.

7 Cfr Pio X, Costituzione «Sapienti consilio» (19 giugno 1908), in  AAS I (1909) 9.

8 Cfr cost. Providentissima Mater Ecclesia si noti: quam volumus perpetuo valituram! – , del 27 marzo 1917, ivi, 9 (1917) II.

9 Cfr cost. ap. Sacrae disciplinae leges, del 25 gennaio 1983, AAS 75 (1983) II.

10 Cfr Giovanni Paolo II, Costituzione apostolica «Pastor Bonus» del 20 giugno 1988, AAS 80 (1988) 841.

11 Non vi rientrano gli «Uffici della buona stampa», diffusi nella Chiesa sulla fine del secolo passato e «auspicati in ogni provincia» d’Italia da Leone XIII nel 1882, «per dimostrare pubblicamente quali e quanti siano i doveri dei singoli cristiani verso la Chiesa, con frequenti pubblicazioni e, per quanto possibile, quotidiane» (Lettera enciclica «Etsi Nos»). Né vi rientrino le tre Organizzazioni Internazionali Cattoliche: della stampa (prima UIPC, poi UCIP), del cinema (OCIC) e della radio-televisione (UNDA); sorte, infatti, per iniziativa dei rispettivi operatori pastorali e di categorie professionali, in Belgio, in Olanda e in Germania negli anni 1926-28; gli statuti delle quali furono poi approvati dalla Santa Sede solo negli anni 1949-55 (cfr E. BARAGLI, Comunicazione pastorale, Roma, Studio Romano della Comunicazione Sociale, 1974, 244 ss).

12 Cfr Per un’esposizione completa sugli accresciuti compiti pastorali di detti Uffici del cinema in 10 anni di innovazioni tecnologiche; sui rapporti tra gli stessi e i sopravvenuti Uffici, diocesani e nazionali, della radio-televisione (e poi anche della stampa), e con le menzionate rispettive Organizzazioni Internazionali; e, infine, sulla loro variata dipendenza dagli Ordinari e dalle Conferenze episcopali secondo le successive disposizioni dell’enciclica Miranda prorsus di Pio XII (8 settembre 1917), della lettera apostolica Boni Pastoris di Giovanni XXIII (12 febbraio 1919), dell’Inter mirifica e della postconciliare istruzione pastorale Communio et progressio (23 maggio 1971), cfr E. BARAGLI, Comunicazione e pastorale, cit. 213 ss.

13 Cfr Pio XII, Esortazione apostolica ai vescovi italiani «I rapidi progressi» (1º gennaio 1954). Ovviamente presto ci si avvide che era troppo compromettente etichettare film come raccomandati, approvati o condannati «dal Vaticano». Il Bullettin d’information della Commissione (1911, nn. 30/31, 13) precisava: «Dato che siffatte dichiarazioni di film raccomandati, approvati, o condannati “dal Vaticano” si vanno moltiplicando nel mondo, soprattutto oltremare, sembra utile dichiarare che l’odierna Commissione Pontificia, come la precedente Commissione per la Cinematografia, non soltanto, di regola – come vuole lo Statuto – si astiene dal pubblicare giudizi circa il valore morale dei film, ma, di fatto, non ne ha mai pubblicati».

14 Cfr Segreteria di Stato, Lettera a mons. Martin J. O’Connor (4 novembre 1958). Un frutto diretto di questa Commissione fu la lettera programmatica indirizzata dal suo presidente, mons. Martin J. O’Connor, il 1° giugno 1913, all’episcopato italiano, circa le commissioni diocesane e regionali dei cinema «comunque dipendenti dall’autorità ecclesiastica», e circa i film in essi programmabili (cfr Pontificia Commissione per la Cinematografia, Lettera all’Episcopato Italiano); e altro frutto, indiretto, ma di ben maggiore portata, fu la petizione di un nuovo ed esauriente documento pontificio sul cinema. Petizione che, infatti, Pio XII nel 1955 appagò ad abundantiam con i due noti Discorsi sul film ideale: vero trattato organico in argomento, restato, nel suo genere, ancor oggi insuperato.

15 Cfr Segreteria di Stato, Statuto della Pontificia Commissione per la Cinematografia, la Radio e la Televisione (16 dicembre 1954). In particolare: sette membri di questi dicasteri vennero designati quali membri ipso iure del Consiglio di presidenza.

16 Cfr Giovanni XXIII, Lettera apostolica «Boni Pastoris» (22 febbraio 1959). Tra le novità: l’aggregazione della Commissione alla Segreteria di Stato (art. 18) e l’affidamento alla stessa «della Filmoteca Vaticana, che intendiamo istituire allo scopo di raccogliere i film che interessino la Sede Apostolica» (art. 17).

17 Cfr Segreteria di Stato, Lettera a Charles Flory, presidente delle Settimane Sociali di Francia (14 luglio 1955).

18 Cfr Pio XII, Lettera enciclica «Miranda prorsus» (8 settembre 1957).

19 È la nuova accezione di socializzazione introdotta da Giovanni XXIII nell’enc. Mater et magistra (15 maggio 1961) e nella cost. Humanae salutis (25 dicembre 1961), resa con i sintagmi latini socialium rationum incrementa, socialis vitae progressus, rationum socialium progressio; e ripresa anche dal Vaticano II, ad esempio, nella Gaudium et spes, nn. 6, 25, 42 e 75.

20 Cfr la Declaratio introduttoria al II Schema di costituzione dell’Inter mirifica, dell’11 maggio 1962, in Acta Synodalia Sacr.ti Concilii Oec.ci Vaticani II, vol. I, pars III, Typis Poliglottis Vaticanis 1971, 375-376; e anche in E. BARAGLI, L’Inter mirifica, SRCS, Roma 1969, 535. L’auspicio venne, quasi sempre correttamente, attuato in almeno sei documenti dello stesso Concilio. Vale a dire: una volta in Christus Dominus (n. 13), una volta in Optatam totius (n. 9), due volte nella Gravissimum educationis (nn. 1 e 4), una nell’Apostolicam actuositatem (n. 8), tre volte nell’Ad gentes (nn. 19, 31 e 36), tre volte nella Gaudium et spes (nn. 6, 54 e 61).

21 Tali, ad esempio, i romani Studio Paolino internazionale della Comunicazione Sociale (SPICS), il Centro interdisciplinare sulla comunicazione Sociale presso la Pontificia Università Gregoriana (PUG), l’Istituto di Scienze della Comunicazione Sociale (ISCOS) presso la Università Pontificia Salesiana (UPS), il Corso di scienze e tecniche delle comunicazioni sociali presso la Pontificia Università Lateranense (PUL); il romano-spezzino Centro Internazionale dello Spettacolo e della Comunicazione Sociale (CiSCS); la milanese Scuola di specializzazione in comunicazioni sociali (giornalismo, pubblicità, spettacolo) presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore...

22 AAS 56 (1964) 289.

23 Cfr E. BARAGLI, Massmediologia e formazione seminaristica, in Civ. Catt. 1986 IV 26; Orientamenti per i futuri sacerdoti circa gli strumenti della comunicazione sociale, in Civ. Catt. 1987 I 26.

24 Cfr E. BARAGLI, I «mass media» nel nuovo Codice di diritto canonico, in Civ. Catt. 1983 II 209.

25 Cfr introduzione e sintesi in E. BARAGLI, L’istruzione pastorale «Communio et progressio», in Civ. Catt. 1971 IV 39 e 235.

26 Vero è, infatti, che nei 187 numeri del testo (titolo compreso), ben 9 volte ricorre l’esatto «strumenti della comunicazione sociale»; e, rispettivamente, 10 e 36 volte vi appaiono sintagmi eguivalenti, oppure l’accettabile «strumenti» specificato dai dichiarativi «guesti, tali, siffatti, detti...». Ma, poi, 37 volte vi si legge il troppo vago «strumenti di (o della) comunicazione»; 25 e 11 volte i generici «aiuti» e «invenzioni» (subsidia, auxilia, inventa) «di comunicazione»; e ben 46 volte il generalizzante – poi dilagato, anche se da nessuno decifrato, nella pubblicistica ecclesiale – «le comunicazioni sociali» – Seguono, infine: due machinamenta e apparatus, tre «comunicazione» e guattro «arti» o «artifici», due «audiovisivi», un mass media e – a proposito di cassette, di dischi, di filmini e di diapositive – un multimedia.

27 Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, Criteri di collaborazione ecumenica ed interreligiosa nel campo delle comunicazioni sociali (4 ottobre 1989)

28 Per una sufficiente e aggiornata informazione in argomento, cfr A. STEFANIZZI, Le nuove tecnologia di comunicazione, La Civiltà Cattolica, Roma 1981, 176.

29 Questo vale pure per le tre Organizzazioni internazionali cattoliche dei mass media: UCIP, OCIC e UNDA, almeno per l’America Latina. Dove, infatti, «in seguito all’Assemblea continentale di Quito (1987), esse hanno deciso di attuare un piano comune per la pastorale della comunicazione; e, allo scopo, hanno organizzato un Segretariato congiunto, con tre segretari esecutivi, con sede a Quito (Ecuador)” (cfr Teoria y praxis de la Iglesia Latino-Americana en comunicaciones sociales, DECOS-CELAM, Bogotá 1988, 357); e dove non temono di qualificarsi: Del cine y del audiovisual l’OCIC-AL, e De la radiotelevisión y medios afines l’UNDA-AL.

30 Cfr la nota 10.

31 Categorico, in apertura, l’art. 169 recita: «Il Consiglio si occupa delle questioni che riguardano gli strumenti della comunicazione sociale... Alla luce del quale vanno, perciò, intesi i (soliti) approssimativi e vaghi «forme della comunicazione sociale» e «campo delle comunicazioni»: così del titolo «Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali» come del seguente art. 170. Cfr, anche, Annuario Pontificio 1989, Città del Vaticano 1989, 1.166 e 1.636.

32 U. ECO, La qualità della pubblicità televisiva, SACIS, Roma 1989, 24.

In argomento

Massmedia

n. 3405, vol. II (1992), pp. 260-268
n. 3310, vol. II (1988), pp. 351-363
n. 3218, vol. III (1984), pp. 144-151
n. 3200, vol. IV (1983), pp. 158-164
n. 3202, vol. IV (1983), pp. 362-368
n. 3195-3196, vol. III (1983), pp. 209-222
n. 3188, vol. II (1983), pp. 154-161
n. 3191, vol. II (1983), pp. 463-467
n. 3179, vol. IV (1982), pp. 464-467
n. 3141, vol. II (1981), pp. 222-237
n. 3088, vol. I (1979), pp. 351-359
n. 3075-3076, vol. III (1978), pp. 223-238
n. 3072, vol. II (1978), pp. 566-573
n. 3062, vol. I (1978), pp. 151-159
n. 3058, vol. IV (1977), pp. 349-362
n. 3055, vol. IV (1977), pp. 45-53
n. 3045, vol. II (1977), pp. 260-272
n. 3034, vol. IV (1976), pp. 336-351
n. 3036, vol. IV (1976), pp. 580-587
n. 3022, vol. II (1976), pp. 323-336
n. 3013, vol. I (1976), pp. 20-36
n. 2990, vol. I (1975), pp. 144-157
n. 2983, vol. IV (1974), pp. 36-48
n. 2973, vol. II (1974), pp. 250-256
n. 2967, vol. I (1974), pp. 258-263
n. 2961, vol. IV (1973), pp. 258-263
n. 2950, vol. II (1973), pp. 347-358
n. 2942, vol. I (1973), pp. 144-150
n. 2927, vol. II (1972), pp. 451-456
n. 2911, vol. IV (1971), pp. 39-48
n. 2913, vol. IV (1971), pp. 235-253
n. 2882, vol. III (1970), pp. 154-160
n. 2870, vol. I (1970), pp. 155-160
n. 2859-2860, vol. III (1969), pp. 219-230
n. 2847, vol. I (1969), pp. 250-253
n. 2739, vol. III (1964), pp. 246-254
n. 2729, vol. I (1964), pp. 422-435
n. 2702-2704, vol. I (1963), pp. 105-118, 313-325
n. 2636, vol. II (1960), pp. 124-39
n. 2612, vol. II (1959), pp. 113-124
n. 2548, vol. III (1956), pp. 400-408

In argomento

Magistero

n. 3195-3196, vol. III (1983), pp. 209-222
n. 3188, vol. II (1983), pp. 154-161
n. 3141, vol. II (1981), pp. 222-237
n. 2990, vol. I (1975), pp. 144-157
n. 2983, vol. IV (1974), pp. 36-48
n. 2979-2980, vol. III (1974), pp. 242-247
n. 2950, vol. II (1973), pp. 347-358
n. 2951, vol. II (1973), pp. 425-438
n. 2952, vol. II (1973), pp. 547-559
n. 2911, vol. IV (1971), pp. 39-48
n. 2913, vol. IV (1971), pp. 235-253
n. 2882, vol. III (1970), pp. 154-160
n. 2859-2860, vol. III (1969), pp. 219-230
n. 2847, vol. I (1969), pp. 250-253
n. 2787-2788, vol. III (1966), pp. 314-315
n. 2702-2704, vol. I (1963), pp. 105-118, 313-325
n. 2636, vol. II (1960), pp. 124-39
n. 2612, vol. II (1959), pp. 113-124
n. 2605, vol. I (1959), pp. 66-69
n. 2555, vol. IV (1956), pp. 521-532
n. 2545, vol. III (1956), pp. 30-42
n. 2532, vol. IV (1955), pp. 601-609