NOTE
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1 Cfr Inter mirifica, n. 18.

2 Sulla famiglia: Civ. Catt. 1969 II 313; sulla gioventù: 1970 II 209; sul servizio della verità: 1972 II 209; sui valori spirituali: 1973 II 313; sull’evangelizzazione: 1974 II 313; sulla riconciliazione: 1975 II 209.

3 Utilizziamo largamente l’eccellente Documento di lavoro 1, La Chiesa e i diritti dell’uomo (Città del Vaticano, 1975), curato dal Segretariato della Pontificia Commissione Justitia et Pax, in occasione del XXV anniversario della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo (1948-1973).

4 In argomento sono particolarmente utili: F. BATTAGLIA, Le carte dei diritti, Firenze, Sansoni, 1946; Id., La Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, antecedenti storici e prospettive giuridiche, Roma, Accademia Nazionale dei Lincei, 1969; E. GALLINA, La Chiesa cattolica con le organizzazioni internazionali per i diritti umani, Roma, U.E.C.I., 1968.

5 F. BATTAGLIA, Le carte dei diritti, cit., XIX.

6 Tipica, fra tutte, l’eccellente Costituzione di Weimar (1919), che, per quanto spiccatamente borghese, si pose tra i due estremi: individualistico – rappresentato dalle Dichiarazioni americane e francesi –, e statualistico – rappresentato dalla Dichiarazione russa, e poi anche da quelle fascista e nazista.
Nota il BATTAGLIA (op. cit. 222, che poi ne riporta il testo integrale): «Se consideriamo la Costituzione di Weimar, vedremo che non solo si elencano nominativamente i diritti, ma si specificano correlativamente i doveri; e non tanto con riferimento all’individuo, quanto con riferimento agli enti molteplici che costituiscono il tessuto sociale: la famiglia, le associazioni religiose, gli aggruppamenti economici, insomma le varie collettività che per un fine o per un altro, pedagogico o di lavoro etico o religioso, sono chiamate ad esplicare l’opera loro nello Stato. L’uomo non è genericamente tale, e neppure solo cittadino; ma figlio e padre, lavoratore e soggetto morale, intellettuale e fedele, in tante sue espressioni sempre garantito, poiché di fronte a lui sono precisi doveri pubblici dello Stato a renderle possibili. Certo, la estensione delle sue possibilità trova un limite, i suoi diritti comportano delle restrizioni, anche per ciò che l’ideologia della rivoluzione francese riteneva affatto inviolabile: la libertà e la proprietà; ma è pur certo che alla limitazione dei diritti per ciò che concerne la sfera di estensione corrisponde una loro moltiplicazione, nel senso che essi, divenuti sociali, toccano materie dianzi affatto ignote [...]. Un siffatto testo [...] non poteva non essere imitato da altri Stati. A parte la Costituzione della Città libera di Danzica, troviamo consacrate le stesse tendenze in ordine ai diritti fondamentali nella Costituzione jugoslava, abrogata il 6 genn. 1929, nelle costituzioni polacca, cecosolvacca, spagnuola, e in altre ancora. L’intervenuta reazione nazista interruppe un sì promettente avviamento costituzionale del popolo tedesco [...], e lo restituì ad una condizione affatto precostituzionale, in cui [...], non solo si rifiutano i diritti fondamentali, ma addirittura la stessa possibilità dei diritti pubblici soggettivi, divenuti oggettive posizioni e funzioni dell’ordinamento giuridico, incentrato tutto in una volontà dispotica, o espresso dalla vaghissima voce del sangue, di cui il preteso legislatore e l’effimero giudice dovrebbero essere gli interpreti. Nell’organismo del Volk, unificato dal vincolo razziale, si risolve l’autonomia dell’individuo, muoiono i diritti soggettivi pubblici, i diritti fondamentali alla cui costruzione [...] il genio giuridico tedesco tanto pare avere contribuito». (p. 223 ss.).

7 Commenta ancora il BATTAGLIA, cit., XXIII: «Non sono soltanto diritti del lavoratore, ma altresì diritti che l’uomo ha in quanto tale e in quanto cittadino, proprio come nelle Dichiarazioni occidentali. Sennonché, per apprezzarli nel loro giusto significato, occorre ricordare due cose. Posto che nel sistema russo l’esercizio dei diritti è subordinato all’essere lavoratore, è evidente che gli stessi diritti dell’uomo e del cittadino non precedono quelli del lavoratore, ma vi conseguono, di modo che dipendono da una condizione di fatto, il lavoro, che li svuota di assolutezza e di universalità: chi non lavora, chi non sia lavoratore, invano si appella a Dio o alla natura, invano rivendica la sua essenza umana: egli non ha diritti. E poi tutti i diritti si esercitano secondo un limite dichiarato: l’interesse della collettività socialista. Nel momento in cui si avverte un contrasto tra il diritto dell’individuo, anche se possa sembrare altissimo ed inerente alla sua dignità di persona, e quello della collettività, sia la ragion di Stato di machiavellica memoria, sia il vantaggio della produzione collettivistica, prevale quest’ultimo: il diritto della collettività. Un articolo della Costituzione non lascia adito a discussioni [...]. Ci si può chiedere: ma chi è che decide se davvero è leso un interesse dello Stato, se davvero sono lesi gli interessi rivoluzionari e collettivistici? [...] Nessuno, evidentemente, può lo stesso Stato, il solo interprete autorizzato del suo interesse e degli interessi rivoluzionari e collettivistici. Vengono così meno tutte quelle garanzie e quelle tutele che costituiscono la ragion d’essere del diritto costituzionale, per cui sono sorte le dichiarazioni dei diritti».

8 Per queste Dichiarazione e Convenzione, come pure il seguente Trattalo di Roma, oltre agli AA. citt., cfr A. MESSINEO, La dichiarazione internazionazionale dei diritti dell’uomo (Civ. Catt. 1949 II 380), I diritti dell’uomo nell’ordinamento internazionale (ivi, 1949 III 33), La persona umana e l’ordinamento internazionale (ivi, 1949 III 493), Il diritto alla vita (ivi, 1960 II 449).

9 Per la Dichiarazione dell’ONU affermiamo che «ci è riuscita in qualche modo» perché, dei 58 Stati allora suoi membri, 8 non la votarono, tra i quali – pour cause! – tutti i Paesi comunisti; inoltre perché, «dichiarazione» appunto, e non «convenzione» si limitava ad enunciare principi generali, senza imporre obblighi agli Stati firmatari. Vera e propria convenzione è, invece, il relativo Patto Internazionale; ma purtroppo esso resta lettera morta finché gli Stati contraenti non lo rendano norma interna, formalmente ratificandolo. Invece è convenzione giuridicamente operante il Trattato di Roma, affiancato com’è da una Commissione e da una Corte Europea, abilitate a ricevere e risolvere denunzie, anche da parte di privati, di eventuali sue violazioni. Esso è divenuto norma, interna dello Stato italiano con la Legge n. 848, del 4 agosto 1955.

10 Cfr il testo integrale in Relazioni internazionali, 32/33, 9 agosto 1975, 800 ss. Per informazioni in argomento cfr Civ. Catt. 1973 IV 527-537; 1974 II 319-331; 1975 III 527.

11 In merito si ricordano specialmente: di Pio VI la lettera Quod aliquantum e l’enciclica Adeo nota, del 10 marzo e del 23 aprile 1791; di Pio VII, la lettera a Luigi XVIII Post tam diuturnas, del 29 aprile 1814; di Gregorio XVI l’enciclica Mirari vos, del 15 agosto 1832; e, finalmente, di Pio IX, le encicliche Nostis et nobiscum e Quanta cura (con annesso il «famigerato» Syllabus) dell’8 dicembre 1849 e 8 dicembre 1864.

12 Nota il Documento di lavoro, cit., 11: «Nei loro scritti non troviamo nessun catalogo dei diritti dell’uomo, ma in cambio incontriamo ampiamente sviluppato e difeso il contenuto di quasi tutti i diritti fond mentali che appaiono nelle moderne dichiarazioni: dal diritto alla vita e all’integrità corporale al diritto al matrimonio e alla famiglia; dal diritto alla libertà sociale e politica, che implica un condizionamento del potere pubblico al servizio della libertà del cittadino, al diritto all’uguaglianza e alla sicurezza giuridica; dal diritto di proprietà al diritto di libera associazione; dal diritto di emigrare al diritto di domiciliarsi in qualsiasi parte del mondo».
Cfr, in proposito, E. ROSA, Concetto cattolico e fondatori del diritto internazionale (Civ. Catt. 1935 II 391); A. MESSINEO, Annessione territoriale nella tradizione cattolica (ivi, 1936 I 291), Il diritto naturale nella dottrina di Francesco Suárez, Francesco Suárez internazionalista, La Società delle genti nel pensiero di Suárez (ivi, 1949 I 270; II 372; IV 472). Inoltre la recensione: Vitoria et Suárez. Contribution des théologiens au droit international moderne (ivi, 1940 II 140).

13 Cfr GIOVANNI XXIII, Mater et Magistra, 18 e 28; ed anche PIO XI, Quadragesimo anno, AAS, 23 (1931), 189; GIOVANNI XXIII, Ai coltivatori diretti, 20 apr. 1961; PAOLO VI, Octogesima adveniens, n. 1.

14 Nel primo, Pio XII chiese che venissero rispettati i seguenti «fondamentali diritti della persona: il diritto a mantenere e sviluppare la vita corporale, intellettuale e morale, e particolarmente il diritto ad una formazione ed educazione religiosa; il diritto al culto di Dio, privato e pubblico, compresa l’azione caritativa religiosa; il diritto, in massima, al matrimonio e al conseguimento del suo scopo; il diritto alla società coniugale e domestica; il diritto di lavorare come mezzo indispensabile al mantenimento della vita familiare; il diritto alla libera scelta dello stato, quindi anche dello stato sacerdotale e religioso; il diritto ad un uso dei beni materiali, cosciente dei suoi doveri e delle limitazioni sociali» (cfr AAS 35 [1943], 19). In quello del 1944 difese specialmente il diritto per ogni cittadino a partecipare alla vita pubblica e all’amministrazione dello Stato (cfr Ivi, 37 [1945], 13 ss.).

15 Per il documento finale su La giustizia nel mondo e la Dichiarazione sui diritti dell’uomo, cfr CAPRILE, Il Sinodo dei Vescovi - 1971, Roma 1972, 1191; Il Sinodo dei Vescovi - 1974, Roma s.d., 705.

16 Discorso all’udienza generale del 4 sett. 1968, in Insegnamenti di Paolo VI, 6 (1968), Tip. Poliglotta Vaticana, 1968, 886.

17 Documento di lavoro n. 1: La Chiesa e i diritti dell’uomo, cit., 22 ss., con citazione di tutte le relative fonti magisteriali, che qui per brevità omettiamo.

18 Dato l’interesse di una codificazione così completa dei diritti dell’uomo, ci pare utile riportare integralmente anche il paragrafo seguente dello stesso Documento di lavoro n. 1:
«Diritti civili, politici, economici, sociali e culturali
Anche nell’ambito dei diritti civili, politici, economici, sociali e culturali, il Magistero della Chiesa ha posto in luce alcune libertà e diritti fondamentali, che hanno come oggetto l’associazione, il matrimonio, la famiglia, la partecipazione alla vita politica, il lavoro, la proprietà privata, la cultura, lo sviluppo dei popoli, i quali costituiscono i settori chiave di ogni attività individuale e collettiva. Secondo tale Magistero:

  1. Tutti gli uomini hanno il diritto di libera riunione e associazione, come pure il diritto di conferire alle associazioni la struttura che ritengono idonea a perseguirne gli obiettivi, e il diritto di agire per realizzarne il concreto perseguimento.
  2. Tutti hanno diritto alla libertà di movimento e di dimora nell’interno dello Stato di cui l’uomo è cittadino, ad immigrare in altre comunità politiche ed a stabilirsi in esse. Particolari attenzioni ed aiuti si devono usare verso i rifugiati, nello spirito umanitario del diritto d’asilo.
  3. Tutti hanno il diritto alla libertà nella scelta del proprio stato e quindi il diritto di creare una famiglia in parità di diritti e doveri fra uomo e donna, e di seguire la vocazione al sacerdozio e alla vita religiosa.
  4. Verso la famiglia, nucleo naturale ed essenziale della società, fondata sul matrimonio, contratto liberamente, unitario e indissolubile, vanno usati i riguardi di natura economica, sociale, culturale e morale che ne consolidino la stabilità, facilitino l’adempimento della sua specifica missione e le assicurino condizioni di un sano sviluppo.
  5. I genitori hanno il diritto di generare la prole e il diritto di priorità nel mantenimento dei figli e nella loro educazione in seno alla famiglia.
  6. Soprattutto i fanciulli ed i giovani hanno diritto ad una istruzione, ad un ambiente di vita e a mezzi di comunicazione moralmente sani.
  7. Alla donna, per il rispetto dovuto alla sua dignità di persona umana, si riconosce l’uguaglianza con l’uomo nei diritti ordinati alla partecipazione alla vita culturale, economica, sociale e politica dello Stato.
  8. Per i vecchi, gli orfani, gli ammalati ed ogni genere di derelitti si afferma il diritto alla cura ed assistenza conveniente.
  9. Dalla dignità della persona umana scaturiscono per ogni uomo il diritto di prendere parte attiva alla vita pubblica, il diritto di contribuire con un apporto personale all’attuazione del bene comune, il diritto al voto e il diritto di partecipare alle decisioni sociali.
  10. Ogni uomo ha diritto al lavoro, a sviluppare le proprie qualità e la propria personalità nell’esercizio della professione e, in attitudine di responsabilità, ha diritto alla libera iniziativa in campo economico. Tali diritti implicano condizioni di lavoro non lesive della sanità fisica e del buon costume, e non intralcianti lo sviluppo integrale dei giovani. Per quanto concerne le donne, il diritto al lavoro esige condizioni di lavoro conciliabili con le loro esigenze ed i loro doveri di spose e di madri. A tutti deve essere riconosciuto il diritto a un riposo conveniente e alla dovuta ricreazione.
  11. Tutti coloro che esercitano attività di lavoro materiale o intellettuale hanno diritto ad una retribuzione determinata secondo giustizia ed equità, e quindi sufficiente, nelle proporzioni rispondenti alla ricchezza disponibile, a permettere al lavoratore ed alla sua famiglia un tenore di vita conforme alla dignità umana.
  12. Per gli operai si afferma il diritto allo sciopero come ultimo mezzo di difesa.
  13. A tutti gli uomini spetta il diritto di avere una parte di beni sufficienti a sé e alla propria famiglia. Tale proprietà privata perciò, in quanto assicura ad ogni uomo una zona indispensabile di autonomia personale e familiare, deve considerarsi un prolungamento necessario della libertà umana ed un diritto non incondizionato ed assoluto, ma limitato [...].
  14. A tutti gli uomini e popoli si riconosce il diritto allo sviluppo, considerato nella reciproca compenetrazione dinamica di tutti quei diritti umani fondamentali sui quali si basano le aspirazioni degli individui e delle nazioni; il diritto ad uguale accesso alla vita economica e culturale, civica e sociale, ed ad una equa ripartizione della ricchezza nazionale.
  15. A tutti si riconosce il diritto naturale di partecipare ai beni della cultura, e quindi ad una istruzione di base, ad una formazione tecnico-professionale adeguata al grado di sviluppo della propria comunità politica e all’accesso ai gradi superiori dell’istruzione sulla base del merito, affinché gli individui assumano responsabilità e cariche conformi alle loro attitudini naturali e capacità acquisite.
  16. Alle collettività, ai gruppi ed alle minoranze, si riconosce il diritto alla vita, alla dignità sociale, all’organizzazione e allo sviluppo in un ambiente protetto e migliorato, e all’equa ripartizione delle risorse della natura e dei frutti della civiltà. Soprattutto per le minoranze il Magistero afferma la necessità che i pubblici poteri contribuiscano a promuovere il loro sviluppo umano con misure efficaci, a favore della loro lingua, della loro cultura, del loro costume, delle loro risorse ed iniziative economiche.
  17. Per tutti i popoli si afferma e riconosce il diritto a conservare la propria identità».

19 Messaggio del 10 dicembre 1973, in AAS 65 (1973), 677.

20 Associazione Italiana Ascoltatori Radio Telespettatori, con sede in Roma (00193): Via Federico Cesi, 44. Pubblica il mensile Il Telespettatore.

21 Gaudium et spes, n. 45.

22 Inter mirifica, n. 5.

23 La Pontificia Commissione delle Comunicazioni Sociali, che per la celebrazione liturgica della Giornata Mondiale suggerisce ogni anno una Preghiera dei fedeli in armonia col terna, quest’anno fa pregare:

  1. «Perché la Chiesa possa utilizzare gli strumenti della comunicazione sociale per presentare, con fedeltà e coraggio, l’insegnamento del Vangelo sui diritti e doveri fondamentali dell’uomo;
  2. Perché chi governa i popoli riconosca ai propri sudditi il libero accesso alla informazione e la libertà di espressione, e perché queste libertà non siano conculcate ad opera degli stessi individui o dei responsabili dei mass media;
  3. Perché i poveri e gli affamati siano sostenuti dagli strumenti della comunicazione sociale nella loro aspirazione ad un’equa giustizia sociale, a giusti prezzi e a congrui mezzi di sostentamento;
  4. Perché gli operatori delle comunicazioni sociali uniscano i loro sforzi nella difesa del diritto fondamentale alla vita e si oppongano ad ogni forma di violenza, come l’aborto, l’eutanasia, la tortura, i soprusi contro gli innocenti, la guerra, il razzismo;
  5. Perché editori, giornalisti e professionisti della radiotelevisione sappiano convenientemente illustrare e difendere il diritto dell’uomo alla libertà religiosa ed alla educazione dei propri figli secondo sani principi di fede e di coscienza».
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Articolo estratto dal volume II del 1976 pubblicato su Google Libri.

Il testo è stato corretto dai refusi di stampa e formattato in modo uniforme con gli altri documenti dell’archivio.

I riferimenti ai documenti del magistero pontificio sono stati resi interattivi e portano al sito del progetto “Chiesa e Comunicazione”, la biblioteca digitale online che prosegue l’attività iniziata da p. Baragli con le opere Cinema cattolico: documenti della Santa Sede sul cinema e Comunicazione Comunione e Chiesa.

ARTICOLO SU

Una delle disposizioni più concrete prese dal Vaticano II circa la presenza della Chiesa negli strumenti della comunicazione sociale, senza dubbio è stata l’istituzione di una «Giornata Mondiale», nella quale ritornare ogni anno a sensibilizzare tutto il mondo cattolico ai propri doveri in questo settore, ed a sollecitarne le preghiere e le offerte per il sostentamento e l’incremento delle relative istituzioni ed attività ecclesiali1.

Consapevole della sua potenziale efficacia, appena chiuso il Concilio Paolo VI si affrettò a fissarne la data alla Domenica tra l’Ascensione e la Pentecoste. Poi, fin dalla sua prima celebrazione – 7 maggio 1967 –, ogni anno l’ha ricordata e promossa con messaggi personali, dedicati, dal 1968, a temi particolari connessi con i mass media, quali il progresso dei popoli, la famiglia, la gioventù, l’unità degli uomini, il servizio della verità, i valori spirituali, l’evangelizzazione e la riconciliazione. E la nostra Rivista non ha mancato di fargli eco, anno dopo anno, presentando gli stessi temi in brevi editoriali2. Ma, per il suo particolare peso sociale e morale-pastorale, quello della prossima Giornata Mondiale (30 maggio) – «Gli strumenti della comunicazione sociale di fronte ai diritti e ai doveri fondamentali dell’uomo» – ci sembra sollecitare una presentazione meno succinta. La tenteremo, prima rilevando la storica presa di coscienza dei detti diritti da parte dell’uomo d’oggi, tanto su piano civile quanto su quello ecclesiale; quindi verificando l’inscindibile necessaria relazione di essi con i rispettivi doveri; infine esaminando compiti e responsabilità degli operatori e dei recettori dei mass media, così nel proclamare e tutelare i primi, come nell’affermare ed inculcare i secondi3.

Dalla Magna Charta inglese alla Conferenza di Helsinki

Che l’uomo – ogni uomo: quale ne sia il sesso e l’età, la condizione o la religione, la razza o il Paese – sia soggetto di diritti personali e sociali, e che lo sia, non per concessione di qualche potere terreno, competente, quindi, anche ad abrogarli o a limitarglieli, ma perché molti di essi ineriscono alla sua stessa natura di uomo-persona, e in quanto tali sono irrevocabili ed inalienabili, è una verità che – anche rispetto ai pochi millenni in cui l’avventura umana s’è fatta storia – è stata riconosciuta piuttosto tardivamente: strappata, e formulata per approcci parziali, non prima del tardo Medio Evo, acquisita e consolidata soltanto, si può dire, ai nostri giorni4.

Alle prime origini si suole porre la Magna Charta libertatum di Giovanni Senzaterra e di Enrico III (1215-1225). Di fatto, benché ancora oggi sia riconosciuta come la base delle libertà britanniche, non diversamente dagli altri testi che in cinque secoli la seguirono – quali la Charta confirmationis regis Edwardi I e lo Statutum de tallagio non concedendo del 1297, la Petition of rights del 1628 e il Bill of rights del 1689, fino all’Act of settlement del 1701 –, essa era, più che altro, un contratto, si direbbe, patrimoniale, in cui il sovrano, non senza un’onerosa contropartita dei sudditi, rinunciava ad alcune sue prerogative; e non una concessione di diritto pubblico, tanto meno una base costituzionale secondo la quale lo Stato riconoscesse, enunciasse formalmente ed assicurasse la tutela di eminenti libertà dei cittadini contro le esorbitanze del potere.

Le cose cambiarono negli Stati Uniti d’America nel 1776 per l’influsso del senso delle libertà personali che, pur non codificate, da secoli erano state vissute nella tradizione giuridica inglese; ed anche per influsso del pensiero sociale-politico di J. Locke (Two Treatises on Government, del 1690), che, al dire di W. Windelband, «fu alla testa dei movimenti di idee che riempirono il secolo successivo al suo». Prima nel Bill of rights della Virginia, poi nelle costituzioni degli altri Stati e nella stessa Dichiarazione d’indipendenza americana

«si vuole che l’individuo sia libero nella coscienza e nelle manifestazioni di culto; libero nel pensiero e nei modi di renderlo noto: la parola e la stampa; libero nella persona e nella proprietà, in tutto il suo patrimonio interiore e in quello esteriore: cosicché in una comunità di esseri liberi [...] egli possa esplicare tutte le facoltà sue. L’individuo vi è veduto [...] tale da portare ovunque le sue insopprimibili esigenze, i suoi inviolabili attributi, gli imprescrittibili diritti che il Creatore ha in lui segnato: vere e proprie leggi della sua essenziale natura [...]. Gli atti americani, interpreti di un’essenza profonda che lega le cose e le vicende degli uomini a Dio, costituiscono le universali libertà, rivendicano per il popolo americano quanto di diritti tutti i popoli debbono avere, leggi immutabili dell’uomo. Dunque, come le leggi della natura cui si ispirano, leggi sempre tali; che, divenute vere e proprie massime costituzionali, il legislatore debba ricollegarvisi se vuole essere giusto, come il giudice deve aver dinanzi e garantire, annullando nella stessa legislazione quanto è ad esse contrario».5

Una dozzina di anni dopo (1789) le dichiarazioni americane passavano l’Atlantico e, consonando con le dottrine di L’Esprit des lois di Montesquieu (1748) e del Contrat social di Rousseau (1762), risonavano nella Déclaration des droits de l’homme et du citoyen della Costituente francese, poi recepita nelle Costituzioni del 1791 e del 1793. Purtroppo vi veniva ignorata ogni relazione dell’uomo con Dio, quindi anche la radice prima dei suoi diritti di persona. In compenso, gli «immortali principi» – oggettivamente inerenti ad una visione religiosa e cristiana della vita –, attraverso le conquiste rivoluzionarie e napoleoniche, poi rielaborati nelle Costituzioni di Cadice (1812) e Belga (1831), diventavano il fondamento di tutti gli assetti costituzionali europei e non europei6. Lo stesso marxismo russo, – che, coerente alla sua metafisica, cercò di scostarsi dal modello «borghese» riconoscendo veri diritti solo al lavoro e ai lavoratori, da conquistarsi nella rivoluzione sociale –: soprattutto nella Costituzione del 1936 si è indotto – sia pure nell’accezione che gli è propria7 – a riconoscere notevoli diritti inerenti all’uomo e al cittadino, che ricalcano in parte le dichiarazioni occidentali.

Per assicurare un concreto rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo così riconosciuti mancava ancora un passo. Occorreva allargarsi dal diritto interno delle singole nazioni a quello internazionale, riconoscendo che anche gli Stati sono astretti da reciproci diritti e doveri e, escluso il dogma della loro sovranità assoluta, unendoli in un unitario ed universale sistema giuridico. Dopo la prima Guerra Mondiale s’illuse di poterlo fare la Società delle Nazioni (1919-1939). C’è riuscita, invece, dopo la seconda Guerra Mondiale, in qualche modo, l’ONU con la Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, del 10 dicembre 1948, e con la relativa Convenzione Internazionale del 16 dicembre 19668; e molto meglio, per l’Europa, la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentaliTrattato di Roma»), del 4 novembre 1950, entrata in vigore il 3 settembre 19539.

Viceversa, la recente laboriosa Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione europea (Helsinki: 1973-1975) non è andata più in là di generiche altisonanti proclamazioni. Sotto il titolo Questioni relative alla sicurezza in Europa, nel capitolo A) Dichiarazione sui principi che reggono le relazioni tra gli Stati partecipanti, al paragrafo VI, che tratta del Rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali inclusa la libertà di pensiero, coscienza, religione e credo, essa reca10:

«Gli Stati partecipanti rispettano i diritti dell’uomo e le libertà fondamentali, inclusa la libertà di pensiero, coscienza, religione o credo, per tutti senza distinzione di razza, sesso, lingua o religione. Essi promuovono ed incoraggiano l’esercizio effettivo delle libertà e dei diritti civili, politici, economici, sociali, culturali ed altri, che derivano tutti dalla dignità inerente alla persona umana e sono essenziali al suo libero e pieno sviluppo.
«In questo contesto gli Stati partecipanti riconoscono e rispettano la libertà dell’individuo di professare e praticare, solo o in comune con altri, una religione o un credo agendo secondo i dettami della propria coscienza. Gli Stati partecipanti nel cui territorio esistono minoranze nazionali rispettano i diritti delle persone appartenenti a tali minoranze all’uguaglianza di fronte alla legge, offrono loro la piena possibilità di godere effettivamente dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e, in tal modo, proteggono i loro legittimi interessi in questo campo.
«Gli Stati partecipanti riconoscono il significato universale dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, il cui rispetto è un fattore essenziale della pace, della giustizia e del benessere necessari ad assicurare lo sviluppo di relazioni amichevoli e della cooperazione fra loro, come fra tutti gli Stati. Essi rispettano costantemente tali diritti e libertà nei loro reciproci rapporti e si adoperano congiuntamente e separatamente, nonché in cooperazione con le Nazioni Unite, per promuoverne il rispetto universale ed effettivo. Essi confermano il diritto dell’individuo di conoscere i propri diritti e doveri in questo campo e di agire in conseguenza.
«Nel campo dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, gli Stati partecipanti agiscono conformemente ai fini e ai principi dello Statuto delle Nazioni Unite e alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Inoltre, adempiono i loro obblighi quali sono enunciati nelle dichiarazioni e negli accordi internazionali pertinenti, ivi compresi fra l’altro i patti internazionali sui diritti dell’uomo, da cui siano vincolati».

Conversione, utopia, oppure tattica per nascondere interessi – almeno ad Helsinki – non confessabili? Quanto vorremmo optare per la prima ipotesi! E quanto ci auguriamo che la verifica, fissata a Belgrado per il 1977, possa accertare la stessa! Ma il troppo che, in molti Paesi partecipanti, da quella data si è continuato a perpetrare proprio contro i più elementari diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali non fa molto sperare!

La Chiesa madre e maestra

Quale l’atteggiamento della Chiesa – si vuol dire: del suo Magistero, delle sue istituzioni, dei suoi uomini – in questa laboriosa secolare presa di coscienza dei propri diritti da parte di un’umanità via via più adulta, e nel relativo affermarsi di ordinamenti giuridici più umani?

Soprattutto riferendosi agli ultimi due secoli, un luogo comune incolpa la Chiesa, non solo di disinteresse e di riserve, ma senz’altro di tenace ostilità e di oscurantistiche condanne. E bisogna riconoscere che molti documenti del tempo11, quando si dimentichi l’aspro clima di agnosticismo e di laicismo che li andava provocando –, liberale, sì, nelle sue concessioni, ma aggressivo contro la Chiesa e contro ogni forma religiosa –, leggendoli oggi, sembrano legittimare fin troppo l’accusa. Ma sarebbe ingiusto dimenticare i suoi contributi in merito, primo tra tutti quello di aver proclamato e praticato, fin dalle sue prime origini, una fondamentale uguaglianza tra gli uomini, abolendo ogni disparità tra giudeo e greco, tra schiavo e libero, tra uomo e donna (cfr Gal 3,28); e di avere, fin dai primi secoli, difeso la libertà di coscienza e religiosa, nella quale era implicita la conquista delle libertà di pensiero, di parola e di riunione sancite nelle legislazioni moderne.

Soprattutto non è da dimenticare una delle affermazioni tipiche del pensiero sociale e politico del cristianesimo: il valore eminente dell’uomo come persona – di cui la coscienza è la manifestazione e l’espressione –, con la sua sfera di libertà e di diritti fondamentali anteriori e, in alcuni casi, superiori al mondo sociale e politico. Su di essa, infatti, il pensiero cristiano patristico e medievale, assimilando molte acquisizioni della speculazione filosofica e giuridica greca e romana, costruì il solido edificio intellettuale che negli scritti di sant’Agostino e di san Tommaso d’Aquino toccò le sue espressioni più alte, in funzione del quale concepire tutta la vita sociale e politica dell’uomo. Così è da ricordare il completamento che di quell’edificio, particolarmente dal secolo XVI, fecero i pensatori cristiani – si pensi a Vitoria, Suárez, Las Casas e a tutta la scuola giuridica spagnola di quel periodo12 –, sollecitati dai molteplici problemi giuridici, politici e sociali derivati dalla scoperta dell’America e poi dalla prima apparizione dello Stato moderno.

In ogni modo, pur se tardiva, un’aura nuova, sulla fine del secolo scorso, comincia a spirare nel Magistero cattolico, condotto, dalla storia e dallo sviluppo del genere umano, ad allargare la sua azione di difesa dal campo della Christianitas – vale a dire: dei suoi diritti e di quelli dei suoi membri –, al campo della Societas hominum: vale a dire, dei diritti di tutti gli uomini, sul fondamento della comune natura umana e del diritto naturale.

Infatti Leone XIII, con le sue grandi encicliche Immortale Dei (1885), Sapientiae christianae (1890) – e soprattutto Libertas (1888) e Rerum novarum (1891): «la Magna Charta della ricostruzione economico-sociale dell’epoca moderna»13 –, inizia e porta avanti un’azione di depurazione e di assimilazione delle idee cristiane contenute nelle aspirazioni fondamentali delle moderne democrazie laiche. Lo segue Pio XI, che, specialmente nelle encicliche Divini illius Magistri (1929), Quadragesimo anno e Non abbiamo bisogno (1931), Mit brennender Sorge e Divini Redemptoris (1937), sintetizza il pensiero della Chiesa sui diritti della persona, rivendicandoli dagli arbìtri dei totalitarismi del tempo: soprattutto fascista, nazista e comunista-sovietico.

Ancora più orientativi e costruttivi circa i diritti dell’uomo, specialmente politici, sociali e culturali, e nel proclamare la persona umana come soggetto, oggetto e fondamento della ricostruzione delle comunità nazionali ed internazionale dalle rovine del secondo conflitto mondiale, i discorsi, e soprattutto i Radiomessaggi natalizi del 1942 e del 1944, di Pio XII14; come pure le grandi encicliche di Giovanni XXIII Mater et Magistra (1961) e Pacem in terris (1963): compiute sintesi ormai, che approfondiscono e perfezionano, e qualche volta superano, le Dichiarazioni e le Convenzioni laiche dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali; sintesi poi recepite dal Vaticano II nelle costituzioni Dignitatis humanae e Gaudium et spes (1965).

A completare il quadro seguiranno, durante il pontificato di Paolo VI, la Populorum progressio (1967), l’Octogesima adveniens e la Communio et progressio (1971); ed anche i due Sinodi dei Vescovi del 1971 e del 1974 su La giustizia nel mondo e su Evangelizzazione e mondo contemporaneo15.

Dai diritti ai doveri

Anche prima di questi più recenti complementi del Magistero, Paolo VI affermava che «si potrebbe mettere insieme un codice dei diritti che la Chiesa riconosce all’uomo in quanto tale»; codice che proverebbe come «nessuna antropologia eguaglia quella della Chiesa sulla persona umana»16. Ebbene, detto codice recentemente, nei suoi punti più importanti, è stato redatto in questi termini17:

Libertà e diritti fondamentali

«Premesso che l’ordine sociale è orientato al bene della persona, che ogni uomo è persona dotata di intelligenza e libertà, e che la persona umana è e deve essere il principio, il soggetto ed il fine di tutte le istituzioni sociali, il Magistero afferma:

  1. Tutti gli uomini sono uguali per nobiltà, dignità e natura, senza distinzione proveniente da razza, sesso e religione.
  2. Tutti hanno perciò i medesimi diritti e doveri fondamentali.
  3. I diritti della persona umana sono inviolabili, inalienabili e universali.
  4. Ogni uomo ha diritto all’esistenza, all’integrità fisica, ai mezzi indispensabili e sufficienti per un dignitoso tenore di vita, specialmente per quanto riguarda l’alimentazione, l’abitazione, i mezzi di sussistenza e gli altri servizi indispensabili alla sicurezza.
  5. Tutti hanno diritto al buon nome e al rispetto della propria persona, alla salvaguardia della propria vita privata, all’intimità e ad una immagine oggettiva.
  6. Tutti hanno diritto di agire secondo il retto dettame della loro coscienza e di cercare liberamente la verità secondo le vie ed i mezzi propri dell’uomo. Questo può arrivare, sotto determinate condizioni, fino al diritto di dissentire, per motivi di coscienza, da certe regole della società.
  7. Tutti hanno diritto di manifestare liberamente le proprie opinioni ed idee, e all’obiettività dell’informazione.
  8. Tutti hanno diritto di venerare Dio secondo il retto dettame della loro coscienza, di professare la religione in pubblico e in privato, e di godere della giusta libertà
  9. Fondamentale diritto della persona è pure la tutela giuridica dei propri diritti, tutela efficace, imparziale, informata a criteri obiettivi di giustizia. Per questo tutti sono uguali dinanzi alla legge, ed hanno diritto nella procedura giudiziaria di conoscere l’accusatore e di avere una difesa.
  10. Infine, il Magistero fa notare che i diritti fondamentali dell’uomo sono indissolubilmente congiunti nella stessa persona che ne è il soggetto con altrettanti rispettivi doveri, e hanno entrambi nella legge naturale che li conferisce o che li impone la loro radice, il loro alimento, la loro forza indistruttibile»18.

In tutto il mondo, grazie anche a questo Magistero della Chiesa, da parte dei singoli e delle comunità si va prendendo una conoscenza ed una coscienza ogni giorno più vasta e viva di questi diritti fondamentali dell’uomo. Ne sono prova, tra l’altro, le pubbliche denunce e le violente contestazioni che, un po’ dappertutto, ne impugnano le violazioni, palesi o presunte. Troppo spesso però si continua ad ignorare la correlazione inscindibile tra diritti e doveri, sia quando soggetti dei doveri siano gli stessi titolari dei diritti, sia quando i diritti di individui o gruppi richiedano di essere riconosciuti e rispettati da parte di altri.

Per i primi diritti-doveri, nota la Pacem in terris (nn. 26-27): «I diritti naturali testé ricordati sono indissolubilmente congiunti, nella stessa persona che ne è il soggetto, con altrettanti rispettivi doveri; e hanno entrambi nella legge naturale, che li conferisce o che li impone, la loro radice, il loro alimento, la loro forza indistruttibile. Il diritto, ad esempio, di ogni essere umano all’esistenza è connesso con il suo dovere di conservarsi in vita; il diritto ad un dignitoso tenore di vita con il dovere di vivere dignitosamente; e il diritto alla libertà nella ricerca del vero congiunto con il dovere di cercare la verità, in vista di una conoscenza sempre più vasta e profonda della medesima».

E rispetto ai secondi la stessa Enciclica continua (n. 28): «Nella convivenza umana ogni diritto naturale in una persona comporta un rispettivo dovere in tutte le altre persone: il dovere di riconoscere e rispettare quel diritto. Infatti ogni diritto fondamentale della persona trae la sua forza morale insopprimibile dalla legge naturale che lo conferisce, e impone un rispettivo dovere. Coloro pertanto che, mentre rivendicano i propri diritti, dimenticano o non mettono nel debito rilievo i rispettivi doveri, corrono il pericolo di costruire con una mano e distruggere con l’altra».

In altri termini: se si vuole che la convivenza umana si svolga nella tranquillità dell’ordine e non in conflitti permanenti o nel caos, non c’è diritto che possa essere assolutizzato a beneficio di interessi egoistici: personali o di categoria, corporativi o di classe, nazionali, di razza o ideologici. Al contrario: ogni individuo o gruppo sociale deve sentirsi chiamato ad operare in vista del bene comune delle comunità umane in cui via via si inserisce, e ad accettare quindi i limiti che all’esercizio dei suoi propri diritti e libertà pongono i diritti e le libertà degli altri: dai casi più ovvi e quotidiani – quali quelli della vita matrimoniale e domestica, del silenzio notturno, o della circolazione stradale – a quelli della scuola, dell’ambiente di lavoro o professionale, del mondo dell’economia e della politica, nazionale ed internazionale.

Affermava Paolo VI in occasione del XXV anniversario della Dichiarazione Universale dell’ONU: «Se i diritti fondamentali dell’uomo rappresentano un bene comune di tutti gli uomini, nel prendere sempre maggiore coscienza di tale realtà, siano consapevoli che, in questo campo, parlare di diritti è come enunciare dei doveri»19.

Per una deontologia dell’informazione

Quali, nella tutela e nell’osservanza di questi diritti e doveri fondamentali, le responsabilità ed i compiti degli strumenti della comunicazione sociale? – Dato che questi ormai operano nel vivo di tutte, si può dire, le attività, individuali e sociali, dell’uomo d’oggi, non è possibile dare in poche pagine una risposta esauriente. Limiteremo perciò la nostra attenzione all’informazione, capitolo cardinale in una deontologia dei mass media, per rilevarvi due compiti precipui dei promotori, ed un compito, non meno importante, dei recettori.

Dai promotori – vale a dire: dall’insieme delle strutture tecniche ed economiche, politiche, giuridiche e amministrative (locali, nazionali ed internazionali), e di quanti, più o meno direttamente, qualificano i contenuti e le udienze dei mass media: giornalisti, scrittori, attori, registi, editori e produttori, programmisti, distributori, esercenti, venditori, critici... –, innanzi tutto ci si attende che si organizzino ed operino in modo da soddisfare in ogni caso il diritto fondamentale dei recettori ad essere informati, secondo verità, in quanto li riguardi nei loro legittimi interessi, personali e sociali.

Compito, in verità, non facile. Perché, da una parte, suppone nei promotori le capacità tecnico-professionali necessarie per dominare e contenere il prepotere di comunicazione-suggestione proprio di strumenti che non per nulla vengono detti «di massa»; dall’altra richiede negli stessi promotori – singoli, gruppi professionali e organi legislativi e amministrativi – ferma volontà di superare, nell’osservanza di giuste norme, ogni egoismo individuale o di gruppo, per armonizzare i propri interessi economici o artistici, ideologici o politici, con le esigenze superiori del bene comune. In difetto, infatti, o nell’inosservanza calcolata di normative giuste e cogenti, professionali o giuridiche, le dichiarazioni di diritti, anche le più solenni, sono destinate a restare lettera morta. Sopraffatta dalla pubblicità o da più lucrosi programmi evasivi, l’informazione viene a mancare, oppure scade a manipolazione di cervelli e a colonizzazione di popoli-cavia, da parte di gruppi economici-ideologici, o di nazioni, che di diritto o di fatto si assicurino l’ingiusto monopolio dei mass media.

Ma i mass media sono anche la cattedra, la tribuna e il pulpito dell’umanità di oggi, da essi ormai ridotta ad un’unica udienza; e di tutta l’umanità essi sono il dialogo e la coscienza, modellandola nei valori e nei disvalori e, insieme, mostrandola a se stessa quale è. Ne segue che, se una voce – e, spesso, di chi non ha voce – oggi deve farsi sentire per proclamare ed inculcare i diritti e doveri fondamentali dell’uomo, e per denunciarne le violazioni e le inosservanze, questa è la voce dei mass media.

In realtà, questo secondo compito informativo i mass media spesso sembrano adempirlo anche con troppo zelo. Quante volte, infatti, non abbiamo visto stampa e cinema, radio e televisione, reclamare l’affrancamento dalla miseria e dallo sfruttamento, dalla fame e dall’ignoranza, dalle discriminazioni razziali ed etniche, e richiamare ai loro doveri i responsabili di tante situazioni inumane? E quante volte non li abbiamo visti e sentiti, gli stessi mass media, denunciare le torture fisiche e morali subite da individui e gruppi, rei soltanto di pensarla, di credere e di esprimersi secondo la loro testa e la loro coscienza, e stigmatizzare i negatori e gli oppressori di altri elementari e fondamentali diritti individuali e sociali? Tuttavia, a ben vedere, si tratta per lo più di diritti in qualche modo propri, o del proprio gruppo sociale, e di doveri quasi sempre di altri: a rivendicare e a denunciare i quali occorre ben poco eroismo. Eroismo – ed, anzi, elementare onestà – che, invece, troppo spesso manca non appena dichiarazioni o denunce minaccino di intaccare i propri interessi – personali, corporativi o nazionali –, oppure implichino limiti all’esercizio dei propri diritti o uno scomodo richiamo ai propri doveri.

Ovviamente, un’informazione dei mass media che continuasse ad essere così amministrata condurrebbe le collettività umane, non all’auspicata tranquillità dell’ordine, fondata sulla giustizia, ma alla conflittualità permanente tra diritti inconciliabili, ed alla sopraffazione di chi non ha voce da parte di chi, con i mass media, ne gestisca l’inumano monopolio.

Ma nell’uso dei mass media in funzione d’informazione anche i recettori hanno le loro proprie responsabilità nell’affermazione dei diritti fondamentali dell’uomo e nella denuncia delle loro violazioni. All’affermazione dei diritti si presta specialmente la stampa. L’Inter mirifica (n. 14) ne indica due vie tra loro. complementari: «Innanzi tutto incrementare», leggendola ed acquistandola, «la stampa onesta»: vale a dire quella che cerca di dare un’informazione «sempre vera e [...] completa». Inoltre, almeno i cattolici, «leggere e diffondere la stampa specificamente cattolica», quella cioè che «è edita col preciso scopo di formare, rafforzare e promuovere opinioni pubbliche in armonia con la legge naturale e la morale cristiana». Vie, tutte e due, necessarie perché – per il feed back operante nelle economie di mercato –, non leggendo e non acquistando la stampa onesta, che non li ignora, e la stampa cattolica, che apertamente proclama, col Magistero, i diritti e doveri fondamentali dell’uomo, automaticamente i recettori darebbero ossigeno e voce ad altra stampa, ideologica o di consumo, che gli stessi diritti e doveri umani sistematicamente ignora, quando sistematicamente non ne proclami e difenda la violazione e la trasgressione.

Alla denuncia, sempre da parte dei recettori, delle violazioni di questi diritti, con l’evoluzione tecnologico-giuridica oggi in atto si vanno sempre più prestando anche altri media. Oltre alle classiche Lettere al direttore su giornali e riviste, alle meno sfruttate lettere e telefonate alle redazioni radio-televisive, ed alle anche meno utilizzate associazioni rappresentative di radio-teleutenti [per l’Italia: l’AIART20], basti ricordare le possibilità ormai largamente offerte dai sempre più diffusi impianti radio-televisivi «liberi» e via-cavo e, in Italia, il diritto di rettifica riconosciuto con la recente riforma della RAI-TV.

Ma in tema di diritti-doveri, ancora prima di mobilitarci in questi interventi diretti, occorre che noi recettori ci sensibilizziamo «al dovere di apportare alla cosa pubblica le prestazioni richieste dal bene comune, al quale ogni cittadino è tenuto»21; quindi anche al dovere di informarci, come conditio sine qua non «per contribuire efficacemente al bene comune e per promuovere, solidalmente con gli altri, un più rapido progresso della società»22. Addestrarci, perciò, ad esporsi selettivamente ai mass media: non privilegiando stampa, film e programmi di evasione, ma piuttosto quelli d’informazione; e a discernere con maturità critica e senso cristiano quelli più attendibili da quelli più o meno faziosamente manipolati.

Questo richiamo della prossima Giornata Mondiale23 ai nostri diritti-doveri sembra particolarmente attuale in Italia. La vita pubblica e sindacale, professionale e culturale, morale ed ecclesiale non andrebbe, infatti, come purtroppo va se non fossimo tra i popoli più colpevolmente disinformati del mondo; insomma: se invece di detenere umilianti primati nei quotidiani sportivi e nei rotocalchi, nei film di consumo e negli indici di ascolto e di gradimento di programmi-quiz, canzonettistici e di varietà, leggessimo e ci informassimo di più, e cercassimo di più quanto ci apre ai reali problemi dell’esistenza umana, alle nostre responsabilità, ed ai valori assoluti che le nostre scelte e le nostre assenze pongono in giuoco.

1 Cfr Inter mirifica, n. 18.

2 Sulla famiglia: Civ. Catt. 1969 II 313; sulla gioventù: 1970 II 209; sul servizio della verità: 1972 II 209; sui valori spirituali: 1973 II 313; sull’evangelizzazione: 1974 II 313; sulla riconciliazione: 1975 II 209.

3 Utilizziamo largamente l’eccellente Documento di lavoro 1, La Chiesa e i diritti dell’uomo (Città del Vaticano, 1975), curato dal Segretariato della Pontificia Commissione Justitia et Pax, in occasione del XXV anniversario della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo (1948-1973).

4 In argomento sono particolarmente utili: F. BATTAGLIA, Le carte dei diritti, Firenze, Sansoni, 1946; Id., La Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, antecedenti storici e prospettive giuridiche, Roma, Accademia Nazionale dei Lincei, 1969; E. GALLINA, La Chiesa cattolica con le organizzazioni internazionali per i diritti umani, Roma, U.E.C.I., 1968.

5 F. BATTAGLIA, Le carte dei diritti, cit., XIX.

6 Tipica, fra tutte, l’eccellente Costituzione di Weimar (1919), che, per quanto spiccatamente borghese, si pose tra i due estremi: individualistico – rappresentato dalle Dichiarazioni americane e francesi –, e statualistico – rappresentato dalla Dichiarazione russa, e poi anche da quelle fascista e nazista.
Nota il BATTAGLIA (op. cit. 222, che poi ne riporta il testo integrale): «Se consideriamo la Costituzione di Weimar, vedremo che non solo si elencano nominativamente i diritti, ma si specificano correlativamente i doveri; e non tanto con riferimento all’individuo, quanto con riferimento agli enti molteplici che costituiscono il tessuto sociale: la famiglia, le associazioni religiose, gli aggruppamenti economici, insomma le varie collettività che per un fine o per un altro, pedagogico o di lavoro etico o religioso, sono chiamate ad esplicare l’opera loro nello Stato. L’uomo non è genericamente tale, e neppure solo cittadino; ma figlio e padre, lavoratore e soggetto morale, intellettuale e fedele, in tante sue espressioni sempre garantito, poiché di fronte a lui sono precisi doveri pubblici dello Stato a renderle possibili. Certo, la estensione delle sue possibilità trova un limite, i suoi diritti comportano delle restrizioni, anche per ciò che l’ideologia della rivoluzione francese riteneva affatto inviolabile: la libertà e la proprietà; ma è pur certo che alla limitazione dei diritti per ciò che concerne la sfera di estensione corrisponde una loro moltiplicazione, nel senso che essi, divenuti sociali, toccano materie dianzi affatto ignote [...]. Un siffatto testo [...] non poteva non essere imitato da altri Stati. A parte la Costituzione della Città libera di Danzica, troviamo consacrate le stesse tendenze in ordine ai diritti fondamentali nella Costituzione jugoslava, abrogata il 6 genn. 1929, nelle costituzioni polacca, cecosolvacca, spagnuola, e in altre ancora. L’intervenuta reazione nazista interruppe un sì promettente avviamento costituzionale del popolo tedesco [...], e lo restituì ad una condizione affatto precostituzionale, in cui [...], non solo si rifiutano i diritti fondamentali, ma addirittura la stessa possibilità dei diritti pubblici soggettivi, divenuti oggettive posizioni e funzioni dell’ordinamento giuridico, incentrato tutto in una volontà dispotica, o espresso dalla vaghissima voce del sangue, di cui il preteso legislatore e l’effimero giudice dovrebbero essere gli interpreti. Nell’organismo del Volk, unificato dal vincolo razziale, si risolve l’autonomia dell’individuo, muoiono i diritti soggettivi pubblici, i diritti fondamentali alla cui costruzione [...] il genio giuridico tedesco tanto pare avere contribuito». (p. 223 ss.).

7 Commenta ancora il BATTAGLIA, cit., XXIII: «Non sono soltanto diritti del lavoratore, ma altresì diritti che l’uomo ha in quanto tale e in quanto cittadino, proprio come nelle Dichiarazioni occidentali. Sennonché, per apprezzarli nel loro giusto significato, occorre ricordare due cose. Posto che nel sistema russo l’esercizio dei diritti è subordinato all’essere lavoratore, è evidente che gli stessi diritti dell’uomo e del cittadino non precedono quelli del lavoratore, ma vi conseguono, di modo che dipendono da una condizione di fatto, il lavoro, che li svuota di assolutezza e di universalità: chi non lavora, chi non sia lavoratore, invano si appella a Dio o alla natura, invano rivendica la sua essenza umana: egli non ha diritti. E poi tutti i diritti si esercitano secondo un limite dichiarato: l’interesse della collettività socialista. Nel momento in cui si avverte un contrasto tra il diritto dell’individuo, anche se possa sembrare altissimo ed inerente alla sua dignità di persona, e quello della collettività, sia la ragion di Stato di machiavellica memoria, sia il vantaggio della produzione collettivistica, prevale quest’ultimo: il diritto della collettività. Un articolo della Costituzione non lascia adito a discussioni [...]. Ci si può chiedere: ma chi è che decide se davvero è leso un interesse dello Stato, se davvero sono lesi gli interessi rivoluzionari e collettivistici? [...] Nessuno, evidentemente, può lo stesso Stato, il solo interprete autorizzato del suo interesse e degli interessi rivoluzionari e collettivistici. Vengono così meno tutte quelle garanzie e quelle tutele che costituiscono la ragion d’essere del diritto costituzionale, per cui sono sorte le dichiarazioni dei diritti».

8 Per queste Dichiarazione e Convenzione, come pure il seguente Trattalo di Roma, oltre agli AA. citt., cfr A. MESSINEO, La dichiarazione internazionazionale dei diritti dell’uomo (Civ. Catt. 1949 II 380), I diritti dell’uomo nell’ordinamento internazionale (ivi, 1949 III 33), La persona umana e l’ordinamento internazionale (ivi, 1949 III 493), Il diritto alla vita (ivi, 1960 II 449).

9 Per la Dichiarazione dell’ONU affermiamo che «ci è riuscita in qualche modo» perché, dei 58 Stati allora suoi membri, 8 non la votarono, tra i quali – pour cause! – tutti i Paesi comunisti; inoltre perché, «dichiarazione» appunto, e non «convenzione» si limitava ad enunciare principi generali, senza imporre obblighi agli Stati firmatari. Vera e propria convenzione è, invece, il relativo Patto Internazionale; ma purtroppo esso resta lettera morta finché gli Stati contraenti non lo rendano norma interna, formalmente ratificandolo. Invece è convenzione giuridicamente operante il Trattato di Roma, affiancato com’è da una Commissione e da una Corte Europea, abilitate a ricevere e risolvere denunzie, anche da parte di privati, di eventuali sue violazioni. Esso è divenuto norma, interna dello Stato italiano con la Legge n. 848, del 4 agosto 1955.

10 Cfr il testo integrale in Relazioni internazionali, 32/33, 9 agosto 1975, 800 ss. Per informazioni in argomento cfr Civ. Catt. 1973 IV 527-537; 1974 II 319-331; 1975 III 527.

11 In merito si ricordano specialmente: di Pio VI la lettera Quod aliquantum e l’enciclica Adeo nota, del 10 marzo e del 23 aprile 1791; di Pio VII, la lettera a Luigi XVIII Post tam diuturnas, del 29 aprile 1814; di Gregorio XVI l’enciclica Mirari vos, del 15 agosto 1832; e, finalmente, di Pio IX, le encicliche Nostis et nobiscum e Quanta cura (con annesso il «famigerato» Syllabus) dell’8 dicembre 1849 e 8 dicembre 1864.

12 Nota il Documento di lavoro, cit., 11: «Nei loro scritti non troviamo nessun catalogo dei diritti dell’uomo, ma in cambio incontriamo ampiamente sviluppato e difeso il contenuto di quasi tutti i diritti fond mentali che appaiono nelle moderne dichiarazioni: dal diritto alla vita e all’integrità corporale al diritto al matrimonio e alla famiglia; dal diritto alla libertà sociale e politica, che implica un condizionamento del potere pubblico al servizio della libertà del cittadino, al diritto all’uguaglianza e alla sicurezza giuridica; dal diritto di proprietà al diritto di libera associazione; dal diritto di emigrare al diritto di domiciliarsi in qualsiasi parte del mondo».
Cfr, in proposito, E. ROSA, Concetto cattolico e fondatori del diritto internazionale (Civ. Catt. 1935 II 391); A. MESSINEO, Annessione territoriale nella tradizione cattolica (ivi, 1936 I 291), Il diritto naturale nella dottrina di Francesco Suárez, Francesco Suárez internazionalista, La Società delle genti nel pensiero di Suárez (ivi, 1949 I 270; II 372; IV 472). Inoltre la recensione: Vitoria et Suárez. Contribution des théologiens au droit international moderne (ivi, 1940 II 140).

13 Cfr GIOVANNI XXIII, Mater et Magistra, 18 e 28; ed anche PIO XI, Quadragesimo anno, AAS, 23 (1931), 189; GIOVANNI XXIII, Ai coltivatori diretti, 20 apr. 1961; PAOLO VI, Octogesima adveniens, n. 1.

14 Nel primo, Pio XII chiese che venissero rispettati i seguenti «fondamentali diritti della persona: il diritto a mantenere e sviluppare la vita corporale, intellettuale e morale, e particolarmente il diritto ad una formazione ed educazione religiosa; il diritto al culto di Dio, privato e pubblico, compresa l’azione caritativa religiosa; il diritto, in massima, al matrimonio e al conseguimento del suo scopo; il diritto alla società coniugale e domestica; il diritto di lavorare come mezzo indispensabile al mantenimento della vita familiare; il diritto alla libera scelta dello stato, quindi anche dello stato sacerdotale e religioso; il diritto ad un uso dei beni materiali, cosciente dei suoi doveri e delle limitazioni sociali» (cfr AAS 35 [1943], 19). In quello del 1944 difese specialmente il diritto per ogni cittadino a partecipare alla vita pubblica e all’amministrazione dello Stato (cfr Ivi, 37 [1945], 13 ss.).

15 Per il documento finale su La giustizia nel mondo e la Dichiarazione sui diritti dell’uomo, cfr CAPRILE, Il Sinodo dei Vescovi - 1971, Roma 1972, 1191; Il Sinodo dei Vescovi - 1974, Roma s.d., 705.

16 Discorso all’udienza generale del 4 sett. 1968, in Insegnamenti di Paolo VI, 6 (1968), Tip. Poliglotta Vaticana, 1968, 886.

17 Documento di lavoro n. 1: La Chiesa e i diritti dell’uomo, cit., 22 ss., con citazione di tutte le relative fonti magisteriali, che qui per brevità omettiamo.

18 Dato l’interesse di una codificazione così completa dei diritti dell’uomo, ci pare utile riportare integralmente anche il paragrafo seguente dello stesso Documento di lavoro n. 1:
«Diritti civili, politici, economici, sociali e culturali
Anche nell’ambito dei diritti civili, politici, economici, sociali e culturali, il Magistero della Chiesa ha posto in luce alcune libertà e diritti fondamentali, che hanno come oggetto l’associazione, il matrimonio, la famiglia, la partecipazione alla vita politica, il lavoro, la proprietà privata, la cultura, lo sviluppo dei popoli, i quali costituiscono i settori chiave di ogni attività individuale e collettiva. Secondo tale Magistero:

  1. Tutti gli uomini hanno il diritto di libera riunione e associazione, come pure il diritto di conferire alle associazioni la struttura che ritengono idonea a perseguirne gli obiettivi, e il diritto di agire per realizzarne il concreto perseguimento.
  2. Tutti hanno diritto alla libertà di movimento e di dimora nell’interno dello Stato di cui l’uomo è cittadino, ad immigrare in altre comunità politiche ed a stabilirsi in esse. Particolari attenzioni ed aiuti si devono usare verso i rifugiati, nello spirito umanitario del diritto d’asilo.
  3. Tutti hanno il diritto alla libertà nella scelta del proprio stato e quindi il diritto di creare una famiglia in parità di diritti e doveri fra uomo e donna, e di seguire la vocazione al sacerdozio e alla vita religiosa.
  4. Verso la famiglia, nucleo naturale ed essenziale della società, fondata sul matrimonio, contratto liberamente, unitario e indissolubile, vanno usati i riguardi di natura economica, sociale, culturale e morale che ne consolidino la stabilità, facilitino l’adempimento della sua specifica missione e le assicurino condizioni di un sano sviluppo.
  5. I genitori hanno il diritto di generare la prole e il diritto di priorità nel mantenimento dei figli e nella loro educazione in seno alla famiglia.
  6. Soprattutto i fanciulli ed i giovani hanno diritto ad una istruzione, ad un ambiente di vita e a mezzi di comunicazione moralmente sani.
  7. Alla donna, per il rispetto dovuto alla sua dignità di persona umana, si riconosce l’uguaglianza con l’uomo nei diritti ordinati alla partecipazione alla vita culturale, economica, sociale e politica dello Stato.
  8. Per i vecchi, gli orfani, gli ammalati ed ogni genere di derelitti si afferma il diritto alla cura ed assistenza conveniente.
  9. Dalla dignità della persona umana scaturiscono per ogni uomo il diritto di prendere parte attiva alla vita pubblica, il diritto di contribuire con un apporto personale all’attuazione del bene comune, il diritto al voto e il diritto di partecipare alle decisioni sociali.
  10. Ogni uomo ha diritto al lavoro, a sviluppare le proprie qualità e la propria personalità nell’esercizio della professione e, in attitudine di responsabilità, ha diritto alla libera iniziativa in campo economico. Tali diritti implicano condizioni di lavoro non lesive della sanità fisica e del buon costume, e non intralcianti lo sviluppo integrale dei giovani. Per quanto concerne le donne, il diritto al lavoro esige condizioni di lavoro conciliabili con le loro esigenze ed i loro doveri di spose e di madri. A tutti deve essere riconosciuto il diritto a un riposo conveniente e alla dovuta ricreazione.
  11. Tutti coloro che esercitano attività di lavoro materiale o intellettuale hanno diritto ad una retribuzione determinata secondo giustizia ed equità, e quindi sufficiente, nelle proporzioni rispondenti alla ricchezza disponibile, a permettere al lavoratore ed alla sua famiglia un tenore di vita conforme alla dignità umana.
  12. Per gli operai si afferma il diritto allo sciopero come ultimo mezzo di difesa.
  13. A tutti gli uomini spetta il diritto di avere una parte di beni sufficienti a sé e alla propria famiglia. Tale proprietà privata perciò, in quanto assicura ad ogni uomo una zona indispensabile di autonomia personale e familiare, deve considerarsi un prolungamento necessario della libertà umana ed un diritto non incondizionato ed assoluto, ma limitato [...].
  14. A tutti gli uomini e popoli si riconosce il diritto allo sviluppo, considerato nella reciproca compenetrazione dinamica di tutti quei diritti umani fondamentali sui quali si basano le aspirazioni degli individui e delle nazioni; il diritto ad uguale accesso alla vita economica e culturale, civica e sociale, ed ad una equa ripartizione della ricchezza nazionale.
  15. A tutti si riconosce il diritto naturale di partecipare ai beni della cultura, e quindi ad una istruzione di base, ad una formazione tecnico-professionale adeguata al grado di sviluppo della propria comunità politica e all’accesso ai gradi superiori dell’istruzione sulla base del merito, affinché gli individui assumano responsabilità e cariche conformi alle loro attitudini naturali e capacità acquisite.
  16. Alle collettività, ai gruppi ed alle minoranze, si riconosce il diritto alla vita, alla dignità sociale, all’organizzazione e allo sviluppo in un ambiente protetto e migliorato, e all’equa ripartizione delle risorse della natura e dei frutti della civiltà. Soprattutto per le minoranze il Magistero afferma la necessità che i pubblici poteri contribuiscano a promuovere il loro sviluppo umano con misure efficaci, a favore della loro lingua, della loro cultura, del loro costume, delle loro risorse ed iniziative economiche.
  17. Per tutti i popoli si afferma e riconosce il diritto a conservare la propria identità».

19 Messaggio del 10 dicembre 1973, in AAS 65 (1973), 677.

20 Associazione Italiana Ascoltatori Radio Telespettatori, con sede in Roma (00193): Via Federico Cesi, 44. Pubblica il mensile Il Telespettatore.

21 Gaudium et spes, n. 45.

22 Inter mirifica, n. 5.

23 La Pontificia Commissione delle Comunicazioni Sociali, che per la celebrazione liturgica della Giornata Mondiale suggerisce ogni anno una Preghiera dei fedeli in armonia col terna, quest’anno fa pregare:

  1. «Perché la Chiesa possa utilizzare gli strumenti della comunicazione sociale per presentare, con fedeltà e coraggio, l’insegnamento del Vangelo sui diritti e doveri fondamentali dell’uomo;
  2. Perché chi governa i popoli riconosca ai propri sudditi il libero accesso alla informazione e la libertà di espressione, e perché queste libertà non siano conculcate ad opera degli stessi individui o dei responsabili dei mass media;
  3. Perché i poveri e gli affamati siano sostenuti dagli strumenti della comunicazione sociale nella loro aspirazione ad un’equa giustizia sociale, a giusti prezzi e a congrui mezzi di sostentamento;
  4. Perché gli operatori delle comunicazioni sociali uniscano i loro sforzi nella difesa del diritto fondamentale alla vita e si oppongano ad ogni forma di violenza, come l’aborto, l’eutanasia, la tortura, i soprusi contro gli innocenti, la guerra, il razzismo;
  5. Perché editori, giornalisti e professionisti della radiotelevisione sappiano convenientemente illustrare e difendere il diritto dell’uomo alla libertà religiosa ed alla educazione dei propri figli secondo sani principi di fede e di coscienza».

In argomento

Massmedia

n. 3405, vol. II (1992), pp. 260-268
n. 3351, vol. I (1990), pp. 260- 269
n. 3310, vol. II (1988), pp. 351-363
n. 3218, vol. III (1984), pp. 144-151
n. 3200, vol. IV (1983), pp. 158-164
n. 3202, vol. IV (1983), pp. 362-368
n. 3195-3196, vol. III (1983), pp. 209-222
n. 3188, vol. II (1983), pp. 154-161
n. 3191, vol. II (1983), pp. 463-467
n. 3179, vol. IV (1982), pp. 464-467
n. 3141, vol. II (1981), pp. 222-237
n. 3088, vol. I (1979), pp. 351-359
n. 3075-3076, vol. III (1978), pp. 223-238
n. 3072, vol. II (1978), pp. 566-573
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