Articolo estratto dal volume III del 1983 pubblicato su Google Libri.
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I riferimenti ai documenti del magistero pontificio sono stati resi interattivi e portano al sito del progetto “Chiesa e Comunicazione”, la biblioteca digitale online che prosegue l’attività iniziata da p. Baragli con le opere Cinema cattolico: documenti della Santa Sede sul cinema e Comunicazione Comunione e Chiesa.
Nella legislazione cinematografica italiana, in principio, vale a dire dopo il ventennio nero, fu il D.L.L. del 5 ottobre 1945 n. 678. I successivi tre interventi legislativi – del 16 maggio 1947 n. 379, del 29 dicembre 1949 n. 959 e del 31 luglio 1956 n. 897 – non lo modificarono sostanzialmente, ma soprattutto in materia di censura lo ridussero a un garbuglio, per sbrogliare il quale la stessa legge del ’56 stimò necessario autorizzare «il Governo della Repubblica a riunire e a coordinare in un testo unico, entro un anno, [...] le norme contenute nella legge medesima e nei decreti legislativi» già emanati.
Si trattava di adeguare ai profondi e rapidi mutamenti, intervenuti e in atto nella realtà sociale, psicologica e culturale del Paese, un ordinamento giuridico che toccava svariati e discordanti valori etici e interessi economici. La non agevole impresa comportò ben sette proposte di riforma e altrettanti anni di lavoro, per concludersi non proprio felicemente – diversamente da quanto la nostra rivista aveva proposto1 – nell’ancor oggi vigente Legge sulla censura del 21 aprile 1962 n. 161.
Si è detto «non proprio felicemente». Di fatto la legge scontentò tutti gli addetti ai lavori – dagli autori ai produttori, dai distributori agli esercenti –, i quali, soprattutto nelle «scandalose» divergenze di giudizio tra censura amministrativa esercitata dal ministero del Turismo e dello Spettacolo, e censura penale esercitata dal magistrato, denunciarono una per loro economicamente disastrosa incertezza del diritto2. E anche a maggior ragione la legge scontentò magistrati e politici, psicologi sociologi ed educatori, e anche critici e spettatori semplicemente «onesti», che nei film assistettero sconcertati a un crescendo di turpiloquio e pornografia, di violenza e dissacrazione, passato attraverso le maglie di un «buon costume» e di un «comune sentimento del pudore» ignorati e derisi, prima nei fatti e poi anche in dottrina, quali residui di una superanda, se non già superata, epoca di moralismo oscurantista.
Così andavano le cose in Italia quando in Francia, ai primi degli anni ’70, il presidente Valéry Giscard d’Estaing, mantenendo una promessa fatta nella sua campagna elettorale, sopprimeva ogni censura sui film. Ne seguiva, anche nelle prime visioni parigine, un boom di film pornografici, di violenza e di perversione. Allora il Governo tentò di ricorrere ai ripari presentando un drastico disegno di nuova censura, datato 13 maggio 1975; e, nell’attesa di discuterlo, il 24 ottobre proponeva di elevare del 33% la tassa sul valore aggiunto (IVA) sui film pornografici. Non contento, su diretto intervento dell’Eliseo, il 31 ottobre privava dei benefici previsti dalla legge in favore dei film nazionali quelli che venissero iscritti nelle liste di film a carattere pornografico, da pubblicare nel Giornale Ufficiale della Repubblica; e disponeva aggravi fiscali per i cinema che li programmassero.
Disposizioni e proposte suscitarono vespai di polemiche, ovviamente in Francia, ma anche in Italia, stanti i rapporti comunitari e di coproduzione che collegano le due industrie cinematografiche, ma soprattutto quando l’allora ministro del Turismo e dello Spettacolo on. Adolfo Sarti, avanzando a sua volta la proposta di sopprimere la censura cinematografica anche in Italia, senza mezzi termini propose, contro la produzione pornografica, provvedimenti analoghi a quelli predisposti in Francia3. Le polemiche toccarono il culmine nel dibattito promosso da Cinema d’oggi – settimanale ufficiale d’informazioni cinematografiche – tra giuristi, magistrati, docenti universitari, avvocati e personalità varie, «come contributo di riflessione per il legislatore italiano». E anche di questo dibattito riferimmo ampiamente4.
A distanza di otto anni, provocata dagli – come al solito, «scandalosi» – interventi censori contro film come Ultimo tango a Parigi, di B. Bertolucci, e Querelle, di R. W. Fassbinder, e da due ennesime recenti proposte parlamentari di riforma e di abolizione della censura5, tra il settembre ’82. e il marzo ’83 la discussione è ridivampata, coinvolgendo una dozzina tra «cinematografari» e uomini di legge, ancora sulla rivista Cinema d’oggi6, e mobilitandone un’altra dozzina nell’incontro sul tema: «Censura cinematografica e autodeterminazione individuale: il momento delle proposte», svoltosi il 15 novembre ’82 presso il romano Istituto Giuridico dello Spettacolo e dell’Informazione7. E la nostra rivista, auspicando che ciò sia per l’ultima volta, anche a proposito di questo ritorno di fiamma crede opportuno esprimere qualche rilievo e commento.
Buon costume e Costituzione
Il primo rilievo riguarda la proposta di un’abolizione pura e semplice d’ogni censura amministrativa per i film, le opere teatrali e similari destinate agli adulti. Comune a tutti senza eccezione i disegni di legge sin qui presentati, e condivisa da quasi tutti i partecipanti al dibattito: anche noi la condividiamo, non però per le ragioni addotte dai contestatori più spinti, quali Golino, Marafioti, Mazzuca...
Riteniamo, intanto, che non si possa condannare tout court come contraria alla Costituzione l’attuale legge del ’62, e magari anche ogni altro intervento censorio, così amministrativo come penale, invocando, in argomento di costituzionale libertà di pensiero il primo comma dell’art. 21: «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione»; oppure invocando, in argomento di costituzionale libertà d’iniziativa economica, il primo comma dell’art. 41: «L’iniziativa economica privata è libera»; stante l’ultimo comma dello stesso art. 11, secondo il quale: «Sono vietati [...] gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni»; e stante il secondo comma dello stesso art. 41, secondo il quale l’iniziativa economica «non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da arrecare danno [...] alla libertà e alla dignità umana».
Men che meno sollecitiamo l’abrogazione dell’odierno ordinamento censorio, e con esso di ogni censura, partendo dal presupposto di un «buon costume» e di un «comune sentimento del pudore» talmente ormai scaduti e rimossi nella condotta e nel giudizio del – finalmente adulto ed evoluto! – pubblico italiano degli anni ’80 (Marafioti), da svotare d’ogni oggetto e valore di tutela tanto il citato art. 11 della Costituzione quanto gli artt. 518 e 519 del Codice penale, avversi, appunto, «agli oggetti osceni [...] e ai pubblici spettacoli teatrali o cinematografici [...] che abbiano carattere di oscenità [...], considerando osceni gli atti e gli oggetti che, secondo il comune sentimento, offendono il pudore»; oppure partendo dall’altro presupposto, secondo il quale, ancora rispetto all’art. 529 ultimo comma, tutti i film verrebbero esentati dall’azione penale in quanto da considerare tutti «opera d’arte» o, comunque, «d’ingegno»8.
Non senza pena vediamo uomini di cultura sentenziare, a proposito di oscenità, che «quella relativa al sesso – emarginata istintivamente da chi ha tutto in regola, ormoni compresi – è riportata di continuo alla ribalta dallo scandalo di quelle frange di borghesia conservatrice, che tanto più si affannano a puntellare una facciata di perbenismo o di moralismo, quanto più inconfessabili e ignorati sono i tarli che hanno svotato ogni struttura interiore. Per il resto, la letteratura ottocentesca prima, e la saggistica psicanalitica poi, hanno sapientemente indicato come voluttà cerebrali e deviazioni sessuali si esprimono, lungo tortuosi tunnels, proprio sotto i macigni del peccato e del proibizionismo» (Mazzuca).
A proposito di pudore: «Certo non è sentimento che proviene dalla natura. È stato dimostrato, infatti, che una delle tendenze più bollate dalla censura, ovverosia la voglia incestuosa, è la componente principale della libido infantile [...]. Nel caso che effettivamente sussista il degrado morale estendentesi a macchia d’olio, lamentato a vive lacrime dai moralisti, l’intervento repressivo non potrà disattendere questa realtà. L’osceno è dunque una categoria che può esistere solo a livello filosofico: una minoranza di moralizzatori potrà pertanto imporre la sua convinzione solo in uno Stato confessionale» (Valastro).
E a proposito di turpiloquio: c’è chi cerca di giustificarlo con «i meriti del linguaggio cinematografico e televisivo, che ha contribuito per più strade all’unità linguistica del Paese», e che scrive: «La nostra letteratura, a partire da Dante, è ricca di componimenti nei quali tutte le funzioni fisiche del corpo sono espresse con termini precisi e talora volgari, che hanno disturbato i canditi [sic!], e costretto nelle scuole a silenzi e all’uso di edizioni spurgate, ma che, anche nei casi peggiori, tali descrizioni fanno parte di un modo sano di concepire la vita senza turbamenti e deviazioni» (Golino).
Censura ed evoluzione tecnologica
Per due ragioni anche noi sollecitiamo l’abolizione della censura amministrativa. La prima, contingente, si rifà alla dimostrata inefficienza e dannosità della vigente legge del ’62. S’è già detto come questa, infatti, sin dai primi anni, non ha causato che scontenti e danni. Ciò è dipeso soprattutto dalla paradossale composizione delle sue commissioni di revisione, che, su sette membri contandone tre di «cinematografari», non solo finisce con includere tra i giudici i giudicandi, ma a questi assicura un’agevole maggioranza10. Di qui, di fatto, in questi venti anni, non una tutela del buon costume e il rispetto di quanto resta di un comune sentimento del pudore, ma la difesa di corporativi business più o meno nobili. Di qui, dopo le prime concessioni al turpiloquio, all’erotismo e all’osceno, alla violenza e alla dissacrazione, la vergognosa escalation approdata, con tanto di benestare censorio, nella pornografia più conclamata delle «luci rosse». Di qui, infine, il succedersi di riparatori interventi penali su palesi ipotesi di reato in film approvati dalla censura, da parte di – per la verità: rari! – magistrati meno intorpiditi, e gli alti lamenti di violata certezza del diritto da parte dei «danneggiati», quasi che i contrasti di giudizio tra autorità amministrativa e autorità penale fossero più scandalosi di quelli così frequenti tra le diverse istanze di uno stesso potere giudiziario.
L’altra nostra ragione, meno contingente e più risolutoria, si rifà all’ormai pratica inapplicabilità di qualsiasi efficace dispositivo censorio in un mondo tecnologicamente sviluppato com’è l’odierno, e come più sarà quello prossimo futuro; in un mondo, per giunta, che purtroppo – anche mass media aiutando – risulta in gran parte mitridatizzato rispetto ai pericoli etico-sociali ai quali lo stesso dispositivo censorio dovrebbe ovviare. Si pensi al proliferare e al sempre più contenuto costo di maneggevoli apparecchi registratori-riproduttori di film in cassette, e presto anche in dischi, dal contenuto dal commercio e dal prestito sempre meno controllabili. Soprattutto per l’Italia – dato e non concesso che la stessa RAI-TV, come servizio pubblico, voglia e possa non varcare i limiti del buon costume finora più o meno rispettati –, si pensi al proliferare selvaggio delle radio e delle teletrasmittenti cosiddette private, non poche delle quali già indulgono al turpiloquio e alla pornografia, con scarsa o nulla pratica possibilità di accertamenti di reato e di procedimenti penali. E si pensi soprattutto all’ormai imminente recezione diretta di programmi via satellite, e non più attraverso il filtro discriminatorio della RAI-TV. His positis, dato anche che restasse tecnicamente possibile l’applicazione di qualche dispositivo censorio, come supporlo gradita (o almeno non odiosa) da parte dei troppi individui che, a torto o a ragione, si ritengono liberati da ogni tutela, magari scambiando per libertà la licenza anche più rischiosa?
Nella certezza del diritto la tutela dei minori
L’altro nostro rilievo sul recente dibattito di Cinema d’oggi riguarda la tutela dei minori, grazie a Dio tenuta presente da tutti gli interlocutori e in tutte le proposte di legge. Non c’è che da compiacersene; anche se, contrariamente alla (lettera della), legge ancora vigente – la quale, conforme a ovvie esigenze etico-pedagogiche, tutela i minori così sotto i 14 anni come sotto i 18 –, c’è chi propone di limitare la tutela esclusivamente a quest’ultimo più alto livello (Siveri, Baldelli), magari protestando che un film come Ultimo tango di Bertolucci «in coscienza e senza preoccupazioni di sorta [...] può avere quali spettatori anche i minori degli anni 18» (Golino 11).
Ovviamente, per i contestatori più spinti (di cui sopra) si tratta di assicurare anzitutto la sicurezza del diritto a tutela dei preminenti interessi economici degli autori, produttori, distributori ed esercenti cinematografici. Delle relative proposte, alcune ci sembrano da ricusare nettamente. Tale, per esempio, quella dell’abolizione pura e semplice d’ogni censura, così giudiziaria come amministrativa, previa una – oggi quanto mai improbabile! – soppressione del citato ultimo comma dell’art. 21 della Costituzione e degli artt. 528 e 529 del Codice penale; e tale, per le – oggi più che mai valide – ragioni, da noi già addotte una ventina d’anni fa12, quella dell’autocontrollo, mediante un codice espresso e amministrato dagli stessi interessati (Mazzuca). Mentre altre proposte le diremmo in astratto più o meno positive, ma in concreto impraticabili. Tale, per esempio, quella di un organismo di garanti, non burocratico, incaricato di semplici giudizi orientativi (Fragola 13); e tale, «a utilità di chi volontariamente la richiedesse», quella di «una giurisdizione volontaria di accertamento preventivo [...], che non potrebbe essere intaccato da una qualsiasi autorità» (Golino 14). Invece pensiamo che siano da accogliere – in quanto sufficientemente armonizzanti la certezza del diritto con la tutela del buon costume, in particolare dei minori – le seguenti proposte tra quelle presentate dai diversi disegni di legge:
- La proiezione in pubblico dei film per adulti, anche per mezzo della televisione, non soggiaccia ad alcuna forma di censura preventiva. Resti, invece, possibile per gli stessi film il perseguimento penale di eventuali reati contro il buon costume o altri beni costituzionalmente desumibili; e se ne dichiari competente il tribunale del luogo dove avvenga la prima proiezione in pubblico.
- Operino presso il ministero del Turismo e dello Spettacolo commissioni di primo e di secondo grado col compito di rilasciare il nulla osta ai film confacenti ai minori, rispettivamente, di 14 e di 18 anni.
- Le commissioni deliberino per sessioni, ciascuna delle quali – una volta eliminato ogni membro direttamente interessato nel mondo del cinema – si componga di cinque membri; tra cui: un magistrato del Tribunale dei minorenni, che la presieda, tre fra docenti di pedagogia, psicologia o sociologia, e uno rappresentante delle associazioni di telespettatori.
- Per ottenere il necessario nulla osta per la proiezione, anche per mezzo della televisione, di film confacenti ai minori, sia necessario depositarne copia presso la commissione; la quale debba concederlo o negarlo entro trenta giorni. Nel caso che ciò non avvenisse per l’assenteismo dei revisori, il nulla osta s’intenda accordato15.
- Il negato nulla osta comporti il divieto di programmazione televisiva dei film prima delle ore 22, e la segnalazione del divieto in tutto il materiale informativo e pubblicitario.
- I gestori di cinema o di teletrasmittenti che, contro queste prescrizioni, proiettassero in pubblico, a minori, film privi del necessario nulla osta, siano punibili con adeguate ammende pecuniarie e con la chiusura temporanea del loro locale, o della loro trasmittente16.
«Arte e idee sì, ma non delittuose»
Come si vede, pur augurandoci il più pronto seppellimento, dopo vent’anni d’infortuni e di danni, di quello «scheletro nell’armadio del cinema» (Golino) che è la vigente legge censoria del ’62, noi, tra i partecipanti al recente dibattito, ci troviamo schierati con la «minoranza dei moralizzatori» – quali Assumma, Ferrara Santamaria e Madia –, appartengano essi o no a uno «Stato confessionale»; e del Madia partecipiamo anche questa visione della libertà dell’arte e del delitto:
«Nella società nella quale siamo costretti a vivere: non più il culto dei grandi ideali morali intellettuali e spirituali, non l’arte come mezzo di elevazione dell’uomo; ma registrazione della cronaca e anche la più scura e squallida. L’uomo decade a livello di paganesimo e di barbarie intellettuale, com’è accaduto in altre epoche simili della storia: e tutto questo in nome di un malinteso concetto di libertà [...]. Sono d’accordo con le parole finali dell’articolo di Cianfarani: “L’asse portante di una società civile si trova nella più ampia libertà delle idee”. Debbo però precisare, anzi sottolineare: “Purché queste idee non siano delittuose”».
1 Cfr E. BARAGLI, Verso la nuova legge di revisione cinematografica, in Civ. Catt. 1961 II 372 e 518.
2 Ne rimasero traccia vistosa le 19 seguenti proposte di legge più o meno attinenti all’abolizione o riforma della legge sulla censura del ’62, proposte alla Camera dei Deputati o al Senato negli anni 1968-’76: 1. Ruffini, 9 ottobre ’68; 2. Lajolo, 16 gennaio ’69; 3. Barzini, 12 febbraio ’69; 4. Caleffi, 10 dicembre ’69; 5. e 6. Miotti Carli, 20 ottobre ’70 e 11 maggio ’72; 7. Ruffini, 30 giugno ’72; 8. Lucifredi, 14 luglio ’72; 9. Arena, 11 agosto ’72; 10. De Zan, 22 novembre ’72; 11. Malagugini, 21 marzo ’73; 12. Pieraccini, 6 aprile ’73; 13. Terracini, 6 aprile ’73; 14. Bazzei, 24 settembre ’73; 15. Badini Confalonieri, 11 ottobre ’73; 16. Matteotti, 13 febbraio ’75; 17. Marzotto Coatorta, 11 aprile ’75; 18. Tassi, 3 giugno ’75; 19. Balzamo, 14 aprile ’76. – I testi dei nn. 5-19 sono riportati integralmente nel volume Contributi alla riforma della censura, ANICA, Roma 1976 (cfr Civ. Catt. 1911 II 206).
3 La proposta è riportata integralmente nel volume Contributi alla riforma della censura, cit., 355.
4 Cfr E. BARAGLI, Dibattito sulla censura dei film pornografici e di violenza, in Civ. Catt. 1976 I 474.
5 Ambedue presentate alla Camera dei Deputati: la prima dell’on. Baldelli e di altri 6o, la seconda dell’on. Bozzi, riportata in Cinema d’oggi, 4 novembre ’82.
6 Primeggia, assoluto, l’avvocato Golino, con È in giuoco il linguaggio nel cinema e nella televisione, 14 settembre ’82; Ideologia dell’avvocato e ferri del mestiere, 28 settembre ’82.; L’inesausto problema della certezza del diritto, 12 ottobre ’82.; Il problema dei minori, 10 novembre ’82; Intolleranza, 24 novembre ’82; La censura tra cronaca e storia, 9 marzo ’83. Seguono: avv. G. Assumma, Un problema da affrontare entro i militi costituzionali, 26 ottobre ’82; C. Cianfarani, presidente dell’ANICA e direttore di Cinema d’oggi: Preoccupazioni vecchie e nuove, 14 settembre ’82; M. Ferrara Santamaria, professore di diritto civile all’Università di Roma: Non c’è schermo nella libertà dell’arte e delle manifestazioni di pensiero, 12 ottobre ’82; avv. A. Fragola, Responsabilità del censore assenteista, 14 settembre ’82; Censure cinematografiche e autodeterminazione individuale, 10 novembre ’82; avv. N. Madia, Ipocrisie e antipocrisie si equivalgono. Ben altre sono le soluzioni, 28 settembre ’82; D. Marafioti, Moderne inquisizioni, 10 novembre ’82; V. Marinucci, Per una nuova censura: autodeterminazione e minori, 24 novembre ’82; avv. T. Mazzuca, Una legge inutile e retrograda, 8 dicembre ’82; prof. L. Sideri, Sì e no per la censura, 8 dicembre ’82; M. Valastro, A proposito del concetto di oscenità, 26 gennaio ’83; N. N., Per l’abolizione della censura, 26 gennaio ’83.
7 Partecipanti: l’esperto in materie giuridiche Bafile, il presidente di sezione della Corte di Cassazione e presidente di commissioni di censura M. Barba, il primo presidente emerito della Corte di Cassazione M. Berri, il presidente dell’AGIS F. Bruno, il segretario generale dell’ACEC Cipriani, il vicepresidente dell’Unione Produttori L. De Laurentiis, l’avv. M. Ferrara Santamaria (vicepresidente), l’avv. A. Fragola (presidente), l’ex direttore dell’Ufficio della Proprietà intellettuale presso la Presidenza del Consiglio G. Galtieri, il tecnico E. Giannelli, l’avvocato E. Golino, l’avv. A. Greggi, il produttore e regista F. Maffei, il critico V. Marinucci, il docente di diritto della comunicazione sociale E. Pessina, e il presidente onorario del Consiglio di Stato G. Potenza.
8 Sorvoliamo sul «molto rilievo artistico e letterario (?!)» scoperto da Golino nei film La califfa e Le castagne sono buone, sul «capolavoro» scoperto da Mazzuca in Ultimo tango a Parigi, e sul «minimo di valore artistico e creativo» che secondo Ferrara Santamaria «sarebbe presente anche nel più modesto dei film».
9 Si riferisce alla trasmissione televisiva del programma in diretta Sotto il divano, effettuata dalla Prima Rete RAI-TV il 6 agosto 1981 alle ore 22.20, autore T. Brass, e attori A. Asti, S. Saviane, L. Betti e A. Pedini; programma fatto oggetto di denuncia da parte dell’Associazione Nazionale del Buon Costume. Ci si chiede: Perché Golino, nella sua arringa, evita di citare le «brutte parole» di Brass? Che appartenga anche lui alla frangia dei «canditi»? E maestro Dante, i suoi componimenti, li scriveva e li recitava forse alla televisione? A T. Brass, che ha giustificato il suo turpiloquio affermando che «sconvolgere e disgustare può voler dire assolvere una funzione politica» opportunamente l’avv. Madia – che si dichiara «diviso da un abisso ideologico» da Golino – ribatte: «Penso che l’eufemismo con cui i cinque avrebbero potuto esporre alla TV le parole che indicano gli organi sessuali o altre funzioni corporali non sarebbe stato attribuibile a ipocrisia. A questo punto credo che ipocrisie e antiipocrisie si equivalgono. Ben altre sono le rivoluzioni!».
10 Infatti, secondo l’art. 2. della legge, le sezioni di commissione si compongono di sette membri: un magistrato con funzione di presidente, un professore universitario di materie giuridiche, un docente di pedagogia, un docente di psicologia e tre membri scelti tra i registi, produttori e critici cinematografici. E dato che, secondo l’art. 4 della stessa legge, «le deliberazioni si prendono a maggioranza assoluta di voti» agevolmente i tre membri del cinema possono avere partita vinta su i quattro necessari e sufficienti per la validità delle deliberazioni.
11 Che però, invocando il principio di sussidiarietà dello Stato rispetto alla famiglia, propone «una fascia intermedia, almeno tra i 18 e i 16 anni, per la quale la decisione debba essere riservata ai genitori».
12 Cfr E. BARAGLI, L’autodisciplina cinematografica in Italia?, in Civ. Catt. 1961 II 157.
13 Tale la proposta «positiva, vale a dire che prescinda dai divieti e nondimeno salvaguardi il diritto dello spettatore a una scelta che sia libera, ma al tempo stesso consapevole [...]. A questo proposito immaginiamo un organismo non burocratico, non “romanizzato” e aperto; una specie di “centro” o “istituto” del cinema (e della televisione) che si serva di giurie a larghissima base rappresentativa delle varie componenti della comunità nazionale [...]. Al predetto organismo andrebbe obbligatoriamente depositata una copia del film prima della sua messa in circolazione. Spetterà a esso verificare con imparzialità e completezza di angolazione se nell’opera si riscontrino contrasti col buon costume o con altri beni costituzionalmente desumibili. In caso affermativo, il relativo giudizio [...], ampiamente motivato, andrebbe riprodotto su un certo numero di giornali indipendenti o professionali con adeguata evidenza».
14 Vale a dire «un processo previo e definitorio prima della prima presentazione dei film in pubblico». Da notare come l’Autore torna a proporla ben tre volte «senza peraltro – egli precisa – implicare un suo appagamento ideologico e politico, e tanto meno una specifica sua adesione e concordanza».
15 È la proposta del «silenzio-accoglimento» avanzata da Frangola e da Ferrara Santamaria. Da rilevare anche gli opportuni interventi contro l’assenteismo dei revisori, proposti dallo stesso Fragola e da Madia.
16 Ai fini di una pratica efficacia di tutto il dispositivo, ci sembra particolarmente a proposito quest’ultimo numero. Nota un competente presidente di commissione: «I discorsi sulla libertà di espressione contemperata dalla doverosa tutela dell’età evolutiva finiscono per essere ipocriti (e per privare surrettiziamente la prima rispetto alla seconda) se, nel contempo, si chiudono gli occhi sulla situazione di costante disapplicazione dei divieti e delle prescrizioni poste dalla legge a tutela dei minori. Non è un mistero che spessissimo i minorenni vengono fatti entrare in sala da compiacenti cassieri e commessi anche quando lo spettacolo è vietato. Sui giornali e sulle locandine non sempre è annunciato – come invece dovrebbe – l’esistenza del divieto. La programmazione di un film “per tutti” non di rado è accompagnata, negli intervalli, dalla presentazione di pellicole vietate. La televisione, pubblica e privata, trasmette film vietati ai minori, nonostante l’esplicito divieto di legge. E allora evidente che in una situazione del genere l’abolizione del visto preventivo per tutti i film, sia pure collegato al divieto generalizzato per i minori, rischia di risolversi in una beffa» (A. PACE, Cinema censura e tutela dei minori, in Il Tempo, 23 aprile ’83).