NOTE
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1 Una mancata adeguata informazione e formazione del clero e dei fedeli – e un po’ anche i termini qua e là usati («escluso», «à proscrire»...) per le «Qualifiche cinematografiche» (in Italia, poi, meglio dette «Valutazioni pastorali») – in pratica spesso le hanno fatte ritenere vere e proprie prescrizioni, e addirittura «censura cinematografica della Chiesa». In realtà non si è mai trattato di vere leggi, ma d’indicazioni prudenziali, volte ad aiutare il pubblico a fare le proprie scelte culturali e morali.

2 In AAS 28 (1936) 249.

3 Sulle vicende, non sempre liete ma pastoralmente rilevantissime, che precedettero e seguirono tanto buoni e solenni impegni, cfr E. BARAGLI, Morale e censure nel cinema americano (in Civ. Catt. 1960 IV 483); ID., Il «Production Code» di autodisciplina cinematografica (ivi, 1961 I 148); lD., La «Legion of decency» dei cattolici americani (ivi, 382 ss e 592 ss): tutti raccolti e completati in lD, Codice Hays-Legion of Decency, Studio Romano della Comunicazione Sociale, Roma 1968.

4 Pio XII, Discorso «Il film ideale», (21 giugno 1917), n. 20.

5 Pio XII, Lettera enciclica «Miranda prorsus» (8 settembre 1957), n. 40. Dello stesso Pio XII cfr anche il Discorso «En vous souhaitant» del 11 ottobre 1918, ai concessionari delle librerie delle stazioni.

6 Concilio Vaticano II, Decreto «Inter mirifica», n. 2.

7 Pontificia Commissione per le Comunicazioni Sociali, Istruzione pastorale «Communio et progressio», ivi, 65 (1971) 593.

8 L’Osservatore Romano, 22 novembre 1974.

9 A. PORFIRIO BARROSO, Códigos éticos de la profesión periodistica: análisis comparativa, Universidad Complutense, Madrid 1980, 2 voll., 887 e 297.

10 Sono: 1) Codice morale dell’Associazione Interamericana della stampa (Washington, 1926 – New York 1910); 2) Progetto di codice di onore professionale dell’ONU (New York, 1952); 3) Dichiarazione dei membri della Federazione Internazionale della Stampa (Bordeaux: 21/28 aprile 1954); 4) Dichiarazione sui doveri e diritti del giornalista (Munich, 1971); 5) Codice morale del giornalista europeo (Roma, marzo 1972); 6) Principi di etica professionale giornalistica (UNESCO, Parigi 12/13 nov. 1973).

11 Da notare, però, che almeno per l’Italia si tratta di un «decalogo» proposto dall’on. G. Gonella, e non maturato in legge; cfr, in proposito: G. DE ROSA, Per un codice di deontologia giornalistica, in Civ. Catt. 1968 I 281.

12 Sono: uno, rispettivamente, della Francia, dell’Italia e della Spagna, più due degli USA.

13 Quali, per esempio, l’americano Cheris Kramer, che nel 1967, in National Codes of Ethics in International Journalism (Ohio University), poté operare su 16 codici; l’inglese Press Councils and Press Code, che, pubblicato nel 1966 dall’International Press Institute di Londra, ne raccolse, più o meno completi, 20; infine Clement Jones, che in Déontoloie de l’information. Codes ti Conseils de Presse, UNESCO, Paris 1981 (cfr Civ. Catt. 1983 IV 515), poté collezionarne appena 13.

14 Si vede che la tecnica di pubblicazione «reprografica» comporta, purtroppo, non poche sviste nel testo. Ovviamente a una di queste sviste si deve la stupefacente data «2.400 anni avanti Cristo» (p. 23) assegnata a Ippocrate, autore del primo codice deontologico professionale; data che, invece, va corretta in «2.400 anni fa».

15 A. PORFIRIO BARROSO, Códigos deontológicos de los medios de communicatión, Ed. Paulinas Verbo Divino, Madrid – Navarra 1984, 428.

16 È da prevedere che, con l’estendersi e l’imporsi dell’informatica e della telematica, altri campi si andranno aprendo ai codici di autocontrollo. (cfr, in proposito, per l’America, il Code of Privacy della Warner Amex Cable Communicationi(in G. ALPA e M. BESSONE, Banche dati, telematica e diritti della persona, Padova 1984, 299); per la Francia il Codice deontologicoidel Sindacato Marketing Téléphonique (in J. P. LEHNISCH, Come vendere con il telefono, Pomezia 1981, p. 135); e, per l’Italia, il Codice di comportamento dell’ANFoV (Associazione Nazionale Fornitori di Videoinformazione), in N. CATANIA, Dossier privacy, Sarin, Roma – Pomezia 1983 (cfr E. BARAGLI, A tutela della «privacy» in Civ. Catt. 1986 I 252).

17 «I codici etici sul giornalismo raccolti in questo volume si possono considerare, oggi come oggi, i più recenti e ancora in vigore nei rispettivi Paesi» (Nota 10, p. 15).

18 Ai molti usati, presentati e descritti dall’Autore nel volume primo dell’opera precedente (p. 37 ss), si possono aggiungere quelli di LÖFFLER-HEBARRE, Les organismes d’autocontróle de la presse à le monde (Münich 1968), e J. FERRlER, Lo stampa quotidiana nel mondo (Milano 1973).

19 Così, ad esempio, si poteva precisare che il Codice italiano della p. 122 risulta concordato, nel 1957, tra la FNSI (Federazione Nazionale Stampa Italiana) e la FNEG (Federazione Nazionale Editori Giornali); cfr J. FERRIER, Lo stampa quotidiana nel mondo, cit., 193; che a p. 171 si poteva riportare il Codice di autodisciplina dell’austriaca ORT, del 1º luglio 1971 (testo e commento in Il diritto delle radiodiffusioni e delle telecomunicazioni, 1971, n. 3, 556 e 559); che il Codice argentino di p. 213 si riferisce soltanto agli inserti pubblicitari, e che è stato superato, nel 1968, dal Código de ética para lor programas de televisión (riportato in Oss. Rom., 30 luglio 1969, e commentato in Il diritto..., cit., 1970, n. 2, 451). A p. 214 s’ignora, per la Danimarca, il Codice di autocontrollo della Danmarks Radio, del 7 aprile 1964, poi adottato, dal 1966, dagli Enti Radiotelevisivi Nordici (cfr Lo Spettacolo, 1978, n. 1, 96). Ancora: a proposito della Gran Bretagna, c’è da notare (p. 244 ss): 1) che del Codice A, che è del 1963 e consta di soli 31 numeri, esiste un aggiornamento, del 1978, di 36 numeri; e, 2) che non vengono ricordati i due Codici contro la violenza in Tv della BBC/1960 e dell’ITA/1964 (riportati in G. GUARDA, La televisione come violenza, Bologna 1970, 177 e 180).
A p. 239, per l’Italia, si poteva ricordare il Codice RAI, riportato da A. GISMONDI, La radiotelevisione italiana, Roma 1918, 157, mentre, invece, a p. 249 si poteva ricordare, per il Brasile, il Codice ABERT del 1961, presentato e commentato in Il diritto..., cit., 1970, 2, 451. A proposito, poi, di codici italiani, da notare che quello di p. 211, sulla televisione, è fermo al 1961, quando il divorzio non era ancora legale; e che quello sulla lealtà pubblicitaria, a p. 371, è fermo al 1966 (cfr Civ. Catt. 1966 III 121), ignorandovisi, come subito vedremo, gli aggiornamenti del ’71, del ’78, dell’82 e dell’85. A p. 277 si poteva ricordare il Codice sulla pubblicità televisiva dell’UNAA (Union Internationale du Associations d’Annonceurs), del 1961 (cfr R. P. HASQUIN, La presse belge face à la pubblicité, Bruxelles 1969, 69); a p. 293 il Codice adottato dal Consiglio d’Europa il 20 febb. 1984, e reso esecutivo per tutti i membri della CEE il 10 sett. 1984 (cfr Communiqué de Presse du Conseil d’Europe, I [84] 7, del 23 febb. 1984, e Il diritto..., cit., 1984, n. 1, 92). Infine, sulla pubblicità in Francia, entro e fuori della radiotelevisione, alla p. 310 si poteva ricordare quanto riportato m PUBLICIS, Principes et pratiques de la publicité, Paris 1968, U2ss.

20 Cfr E. BARAGLI, Codice Hays – Legion of Decency, cit., 130, e Il Giornale dello Spettacolo, 20 sett. 1966.

21 Suoi interventi sulla pubblicità sono nella Octogesima adveniens (14 magg. 1971) (AAS 63 [1971] 401); nei Discorsi del 15 maggio 1971 al Top European Advertising Media (ivi 64 [1972] 370); del 28 aprile 1976 all’Association Européenne des Agences de Pubblicité (Oss. Rom., 29 aprile 1976); del 21 maggio 1977 al Convegno dell’l’nionc Cattolica Pubblicità (Insegnamenti 1977, 509); e nel Messaggio del 12 maggio 1977, per la XI Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, sul tema «La pubblicità attuata dai mass media» (Oss. Rom., 13 maggio 1977).

22 Cfr E. BARAGLI, Il Codice di autodisciplina pubblicitaria, in Civ. Catt. 1976 I 34 s. – Come ivi si precisava, la prima edizione risaliva al 1966, mentre la decima e undecima – di cui subito – sono rispettivamente del 1982 e del 1985.

23 M. FUSI – P. TESTA, L’autodisciplina pubblicitaria in Italia, Giuffrè, Milano 1981, XI-104, L. 11.000.

24 M. FUSI, Il nuovo Codice di lealtà pubblicitaria nella griurisprudenza del Giurì, ivi, 1971 (cfr Civ. Catt. 1973 I 407).

25 Giurisprudenza completa del giurì di autodisciplina pubblicitaria, a cura di L. C. UBERTAZZI, IPSOA, Roma 1986, L. 68.000.

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Articolo estratto dal volume III del 1987 pubblicato su Google Libri.

Il testo è stato corretto dai refusi di stampa e formattato in modo uniforme con gli altri documenti dell’archivio.

I riferimenti ai documenti del magistero pontificio sono stati resi interattivi e portano al sito del progetto “Chiesa e Comunicazione”, la biblioteca digitale online che prosegue l’attività iniziata da p. Baragli con le opere Cinema cattolico: documenti della Santa Sede sul cinema e Comunicazione Comunione e Chiesa.

ARTICOLO SU

La secolare attività censoria promossa dal Magistero Romano, prima sugli scritti, poi e soprattutto sui libri e sui giornali, è più che nota. Per essa, infatti, la Chiesa da molti è ancora tacciata di oscurantismo, di essere avversaria di ogni democratica libertà di pensiero, di espressione e di comunicazione. Sfugge, invece, agli stessi il suo recente costante auspicare un autocontrollo da parte degli operatori culturali e commerciali, che, prevenendo ogni intervento censorio civile o ecclesiale, impedisca, o limiti, il diffondersi di opere di pensiero e di arte – magari, in sé, non scarse di autentici valori umani –, di più o meno grave rischio etico-morale o fisico per utenze – per età o per cultura – non preparate.

Le preferenze del Magistero

La prima prova di questa preferenza ecclesiale per attività di autocontrollo risale al lontano 1936, quando proprio il «rigido» Pio XI, rispetto al cinema – sul quale, del resto, contrariamente a quanto i più credono, la Chiesa non ha mai instaurato strutture e controlli censori1 –, nella lettera enciclica Vigilanti cura2 riconosceva «saggia la determinazione» dei dirigenti dell’industria cinematografica degli Stati Uniti: «i quali avevano pubblicamente confessato la propria responsabilità, non solo rispetto ai singoli, bensì anche rispetto alla società intera; e che nel marzo 1930, con un libero accordo, sancito dalle loro firme e promulgato sulla stampa, s’erano impegnati a tutelare nell’avvenire l’onestà dei frequentatori del cinema; particolarmente, poi, con lo stesso accordo, avevano promesso di non produrre più nessun film capace di abbassare il livello morale degli spettatori, o di porre in discredito la legge naturale ed umana, o da indurre alla violazione della stessa»3.

A riscontro di questo si potrebbero facilmente citare parecchi altri testi magisteriali dello stesso taglio liberale. Tra quelli preconciliari ne spiccano due di Pio XII, del 1957; il primo riguardante il mondo del cinema, l’altro riguardante anche la radio e la televisione; vale a dire i tre mass media trattati nell’enciclica Miranda prorsus. Nel primo, rivolgendosi ai rappresentanti dell’industria cinematografica italiana, egli osservava: «Non sarebbe forse opportuno che la onesta valutazione ed il rigetto di ciò che è indegno o scadente fosse già da principio ed in modo particolare nelle vostre mani?» (n. 20)4.

E nell’Enciclica precisava: «L’intervento in forma di autocontrollo esercitato dagli stessi gruppi professionali interessati, se può lodevolmente prevenire quello del pubblico potere e impedire in radice eventuali danni morali, non può assolutamente avversare il gravissimo dovere di vigilanza che ad esso compete» (n. 40)5.

La dottrina viene ripresa nei due più rilevanti documenti, conciliare il primo e postconciliare l’altro, in materia. Vale a dire nel decreto Inter mirifica (1963) e nell’istruzione pastorale, applicativa dello stesso, Communio et progressio (1971). Infatti il Decreto, prima di giustificare ancora una volta l’intervento del pubblico potere, «soprattutto quando mancassero sufficienti garanzie da parte delle categorie professionali che operano nei rispettivi settori» (n. 12), raccomanda a tutti i promotori dei mass media, e a quanti in qualsiasi modo partecipino alla preparazione e alle trasmissioni delle comunicazioni, che «regolino i propri interessi economici, politici ed artistici in modo da non andare mai contro il bene comune». E aggiunge: «Per conseguire più facilmente questo intento è auspicabile che diano la loro adesione alle associazioni professionali i membri delle quali s’impongano – se necessario anche impegnandosi ad un codice morale – il rispetto di norme morali nelle proprie attività e doveri professionali»6.

E, nella sua nota indulgenza – alcuni l’hanno detta «parzialità» – verso le categorie professionali, l’Istruzione pastorale, dopo aver sfumato quanto possibile nel generico i compiti dei poteri pubblici, così rivendica il più ampio campo all’iniziativa privata, sprona le associazioni dei promotori a imporsi opportuni codici di autocontrollo e sollecita le pubbliche autorità ad agevolarne la messa in opera:

«Innanzi tutto si riconosca a tutti gli uomini, singoli ed associati, la libertà d’iniziativa, sicché [...] si governino e si regolino con i loro propri mezzi. Sarà bene, e spesso anche necessario, creare associazioni con questo programma» (n. 85).
«Le associazioni dei promotori supereranno più agevolmente e meglio le difficoltà inerenti al loro lavoro [...] se, partendo da saldi principi e dalla loro esperienza, elaboreranno una dottrina, o codice deontologico, sulle prestazioni ed iniziative professionali nel rispetto integrale delle esigenze della comunicazione sociale. Le norme e le disposizioni pratiche di tali codici siano piuttosto positive che negative, e non si limitino a rilevare quel che va evitato, ma indichino quel che va fatto per meglio giovare al pubblico» (n. 79).
«Ai professionisti delle comunicazioni e alle associazioni che s’interessano a queste attività si raccomanda di istituire comitati con propri statuti, allo scopo di interessarsi a tutto questo settore, chiamando a collaborarvi delegati dei vari gruppi e categorie sociali di tutta la nazione. Ciò varrà, da una parte, a respingere l’indebita ingerenza dell’autorità e la pressione del padronato economico; dall’altra a promuovere la collaborazione tra i promotori per una migliore resa di tutta l’attività degli strumenti della comunicazione sociale al bene comune. Anzi non si esclude che in qualche luogo sia la stessa autorità ad istituire siffatti comitati di vigilanza: in questo caso si assicuri giuridicamente la rappresentanza di tutte le opinioni e di tutte le voci della comunità» (n. 88)7.

Per concludere, occorre segnalare almeno uno dei tanti interventi del magistero di Paolo VI in argomento, in quanto questo riguarda l’autocontrollo nella stampa su piano internazionale. Così, infatti, il 17 novembre 1974, il Segretario di Stato scriveva al presidente dell’Union Catholique Internationale de la Presse (UCIP) Jean Gélamur, in occasione del X Congresso mondiale della stessa (Buenos Aires: 18-22 novembre), sul tema L’etica del giornalismo:

«Certo, converrebbe che leggi nazionali e convenzioni internazionali (cfr Communio et progressio, n. 41), oltre che agevolarlo, tutelassero i giornalisti nel compimento di questa loro difficile missione. Ma una forza morale molto più efficace ci si deve attendere dai Codici Deontologici formulati ed accettati dalle loro stesse Associazioni professionali (Inter mirifica, n. 11; Communio et progressio, nn. 60, 79), nazionali ed internazionali. Perciò il Santo Padre – che ebbe a lodare l’ottimo contributo dato da un ente radiotelevisivo cattolico “per l’enucleazione di un saggio ed equilibrato Codice morale, poi approvato da tutte le trasmissioni televisive” di un’intera Nazione (Radiomessaggio «Ci è assai gradito» ai cattolici di Olanda, del 15 nov. 1965) – oggi plaude all’intento dell’UNESCO d’includere nel suo programma di lavoro per il 1973-74 lo Studio di un Codice Dentologico Mondiale, ed insieme è fiducioso che i lavori di questo Congresso vi riscuoteranno larga e benefica risonanza»8.

Dall’autocontrollo nella stampa...

Quale, di fatto, la condotta del mondo professionale dei mass media rispetto a queste preferenze liberali del Magistero romano? Sulla condotta del mondo della stampa, una risposta più che esauriente per inquadratura dottrinale e per ricchezza di documentazione e di bibliografia, l’ha fornita A. Porfirio Barroso con la sua tesi di dottorato Códigos éticos... 9 da lui sostenuta nel 1979.

Nel primo volume, dopo un’Introduzione sull’importanza e la crisi dell’etica quale normativa della professione giornalistica, il primo capitolo notifica le fonti di ricerca reperite e utilizzate dall’Autore. Il secondo tratta dei 6 codici noti in ambito soprannazionale e del loro influsso su gli altri di minore apertura. Il terzo – che è il centrale e il più importante del volume – estrae, raffronta e commenta, in ordine decrescente di frequenza, i 36 concetti e valori-base che strutturano 50 codici di altrettante Nazioni. Il quarto capitolo ripresenta gli stessi concetti-valori, comparandoli distinti in questi 4 paragrafi: Principi generali dell’etica, Diritti umani, Deontologia specifica e Doveri dell’impresa giornalistica. Seguono, nei capitoli V, VI e VII: un’analisi comparativa dei codici per zone geografiche e linguistiche, un confronto tra concetti e codici dei Paesi capitalisti e di quelli comunisti; infine, uno studio sul tipo e grado di obbligatorietà – per legge naturale, o per diritto positivo? – degli stessi codici. Il volume si chiude con un Progetto di codice di etica professionale del giornalista che l’Autore propone quale summa di quanto di meglio egli stima sia contenuto in tutti i codici da lui presentati e vagliati.

In annesso viene un secondo volume, che raccoglie i testi completi dei 6 codici soprannazionali10, dei 54 codici nazionali11 e, in appendice, i 5 codici speciali per l’infanzia e la gioventù12.

I cinque anni che l’Autore ha speso – viaggiando, visitando e sollecitando ambasciate, rovistando biblioteche e istituti di cultura un po’ dappertutto nel mondo – per portare a termine quest’impresa, gli hanno bene fruttato, tanto da battere, in numero di codici raccolti, ogni autore e raccolta che l’avevano preceduto13, e da costituire così, per un buon numero di anni, una fonte imprescindibile per quanti vogliano avventurarsi in questo terreno. Anche perché alla completezza si accompagna la visuale etico-morale cui il Barroso ha espressamente ispirato il suo lavoro, riferendosi, tra l’altro, anche a san Tommaso d’Aquino (p. 702 ss), al decreto conciliare Inter mirifica (pp. 19 e 26) e all’istruzione pastorale Communio et progressio (p. 18), nell’intento «di estrarre un ethos della professione, passando attraverso i primi principi, decaloghi e credi del giornalista, per approdare in codici di etica professionale capaci di guidare le Associazioni della stampa, i Consigli e i Collegi di giornalisti a formulare rette normative con cognizione di causa» (p. 28)14.

Promosso, ormai, da laureando a docente di etica e deontologia giornalistica nella stessa Università Complutense di Madrid, il Barroso quattro anni dopo riprendeva l’impresa pubblicando Códigos deontológicos de los medios de comunicación15; un volume che dipende, sì, dall’opera precedente, ma se ne distingue, oltre che per un’esemplare nuova presentazione editoriale, soprattutto perché – ridottane la parte espositivo-dottrinale – estende interessi e ricerche a un’altra quarantina di codici, questa volta degli altri mass media, sulla pubblicità e sulle pubbliche relazioni16.

Si tratta di un inventario copioso, che, almeno per i codici giornalistici, come lo stesso Autore pensa17, si può ritenere praticamente completo e in tutto vigente; e che, in ogni caso, supera di molto quelli precedenti, più o meno già noti18. Rispetto, invece, ai codici riguardanti gli altri media e le loro prassi pubblicitarie, data la vastità e la complessità dei campi d’indagine, non fa meraviglia rilevarvi numerose carenze di fonti e di datazione dei singoli codici, o addirittura lacune di testi reperibili altrove19.

Un esempio della completezza di cui ulteriori appropriate ricerche potevano arricchire più di una voce si ha alla pagina 259, dove l’Autore, a proposito di autocontrollo cinematografico in USA, si limita a riportare l’originale – famoso e famigerato – Hays Code del 1930, non solo ignorandone gli aggiornamenti del 1956 e del 196620, ma anche alcune sue curiose filiazioni, che, tra l’altro, dimostrano come alcuni autocontrolli categoriali si dovrebbero considerare auto fino a un certo punto.

...all’autodisciplina pubblicitaria in Italia

Nel ricco Magistero romano che preferisce l’autocontrollo della categoria a interventi censori esterni, con Paolo VI21 si moltiplicano anche le normative etiche su quell’irruzione pubblicitaria che ormai va sempre più condizionando, con tutto il mondo delle comunicazioni, tutto, si può dire, anche il comportamento umano. Le riepiloga così la Communio et progressio:

«I pubblicitari che reclamizzano prodotti e servizi nocivi o del tutto inutili, che vantino false qualità delle merci in vendita, o che sfruttano le tendenze più basse dell’uomo, danneggiano la società umana e finiscono col perdere essi stessi in credibilità e reputazione. Ma recano pregiudizio alle persone e alle famiglie anche i pubblicitari che creino bisogni fittizi, o che insistano a inculcare l’acquisto di beni voluttuari, privando così gli acquirenti dei mezzi per provvedere alle loro necessità primarie. Inoltre, occorre che essi evitino gli annunci pubblicitari che spudoratamente sfruttano, a scopo di lucro, richiami erotico-sessuali, o che ricorrano alle tecniche dell’inconscio che attentano alla libertà degli acquirenti. Perciò bisogna che i pubblicitari s’impongano alcune norme limitative, atte a impedire alla prassi commerciale di ledere la dignità umana e d’invilire la società» (n. 60).

Dopo aver presentato, a suo tempo, quanto in Italia lodevolmente si era programmato in proposito sino alla terza edizione del Codice (1975) allora in vigore22, non senza soddisfazione presentiamo oggi due raccolte di «casi» e di «pronunce» che documentano il molto che da allora da noi si è attuato nell’applicazione di codici di autocontrollo pubblicitari, giunti nel frattempo alla loro decima edizione.

Prima viene quella di M. Fusi e P. Testa: L’autodisciplina pubblicitaria in Italia23, la quale – seguendo lo stesso schema seguito dal Fusi in una sua precedente, personale e meno ampia, raccolta24 – presenta, come precisa il sottotitolo, una «Rassegna completa delle decisioni del Giurì con un’introduzione all’ordinamento autodisciplinare».

Nella I sezione della parte I – Genesi e sviluppo dell’autodisciplina pubblicitaria – l’Autore rileva i problemi giuridici ed etici posti dall’odierno onninvadente fenomeno pubblicitario, e descrive inizi e sviluppi dell’autodisciplina nel mondo, nella CEE e in Italia. Nella II Sezione – Contenuto e natura dell’ordinamento autodisciplinare – di particolare interesse è quanto vi riguarda le regole di comportamento, gli organi di controllo (Consiglio di accertamento, Giurì), i rapporti – critiche e opposizioni, ipotesi e prospettive – tra autodisciplina e legge statuale.

Della II parte, il I titolo – Regole di comportamento – interessa particolarmente noi, destinatari-cavie dell’attività pubblicitaria; mentre gli altri due titoli – Norme particolari; Giurì e Comitato di accertamento – toccano piuttosto gli interessi economici e giuridici delle tre categorie-agenti della pubblicità; vale a dire: gli imprenditori utenti attivi della stessa, le agenzie di pubblicità e i loro «pubblicitari», infine i veicoli (soprattutto i mass media) che ne vivono.

L’altra raccolta, notevolmente più completa, a degna commemorazione del ventennale dell’autodisciplina italiana in materia (1966-1986), è La giurisprudenza completa... , curata dall’Ordinario di diritto industriale nell’Università di Ferrara, L. C. Ubertazzi, per il romano IPSOA (Istituto per lo Studio dell’Organizzazione Aziendale)25.

Precede una breve Introduzione, necessaria per comprendere – e per apprezzare come bene meritano – i criteri di completezza e di rigore documentario seguiti dal redattore e dai suoi 4 collaboratori: F. Leonini, C. Mayr, G. Salvaneschi e D. Sarti. Segue – prima di quella delle composizioni delle Giurie e dei Collegi giudicanti – una preziosa Tavola sinottica degli articoli degli 8 Codici di autodisciplina che in Italia si sono susseguiti dal 1977 al 1985: ambito preciso, questo, di tutti gli integrali materiali giurisprudenziali – decisioni, ordinanze, decreti cd estratti delle decisioni destinate alla pubblicazione – che, in ordine cronologico, e corredati di date, di Giurì, di argomenti e di avvocati di parte – occupano le ben 8 lo fitte pagine della Raccolta. Infine analizzano tutto l’enorme materiale raccolto i preziosi Repertori sistematici; il primo: delle Pronunce, ordinate secondo i 42 articoli del Codice 1981, e l’altro, delle stesse Pronunce ordinate secondo i 17 argomenti principali. Chiudono la Raccolta gli Indici: quello numerico, anno per anno, delle Pronunce dei vari Giurì, e quello alfabetico delle circa 660 «parti» implicate nelle stesse.

Come non auspicare che tante norme codificate di autocontrollo valgano almeno a rendere culturalmente e moralmente meno degradante l’invasione degli spot pubblicitari nei familiari programmi televisivi anche di livello non volgare?

1 Una mancata adeguata informazione e formazione del clero e dei fedeli – e un po’ anche i termini qua e là usati («escluso», «à proscrire»...) per le «Qualifiche cinematografiche» (in Italia, poi, meglio dette «Valutazioni pastorali») – in pratica spesso le hanno fatte ritenere vere e proprie prescrizioni, e addirittura «censura cinematografica della Chiesa». In realtà non si è mai trattato di vere leggi, ma d’indicazioni prudenziali, volte ad aiutare il pubblico a fare le proprie scelte culturali e morali.

2 In AAS 28 (1936) 249.

3 Sulle vicende, non sempre liete ma pastoralmente rilevantissime, che precedettero e seguirono tanto buoni e solenni impegni, cfr E. BARAGLI, Morale e censure nel cinema americano (in Civ. Catt. 1960 IV 483); ID., Il «Production Code» di autodisciplina cinematografica (ivi, 1961 I 148); lD., La «Legion of decency» dei cattolici americani (ivi, 382 ss e 592 ss): tutti raccolti e completati in lD, Codice Hays-Legion of Decency, Studio Romano della Comunicazione Sociale, Roma 1968.

4 Pio XII, Discorso «Il film ideale», (21 giugno 1917), n. 20.

5 Pio XII, Lettera enciclica «Miranda prorsus» (8 settembre 1957), n. 40. Dello stesso Pio XII cfr anche il Discorso «En vous souhaitant» del 11 ottobre 1918, ai concessionari delle librerie delle stazioni.

6 Concilio Vaticano II, Decreto «Inter mirifica», n. 2.

7 Pontificia Commissione per le Comunicazioni Sociali, Istruzione pastorale «Communio et progressio», ivi, 65 (1971) 593.

8 L’Osservatore Romano, 22 novembre 1974.

9 A. PORFIRIO BARROSO, Códigos éticos de la profesión periodistica: análisis comparativa, Universidad Complutense, Madrid 1980, 2 voll., 887 e 297.

10 Sono: 1) Codice morale dell’Associazione Interamericana della stampa (Washington, 1926 – New York 1910); 2) Progetto di codice di onore professionale dell’ONU (New York, 1952); 3) Dichiarazione dei membri della Federazione Internazionale della Stampa (Bordeaux: 21/28 aprile 1954); 4) Dichiarazione sui doveri e diritti del giornalista (Munich, 1971); 5) Codice morale del giornalista europeo (Roma, marzo 1972); 6) Principi di etica professionale giornalistica (UNESCO, Parigi 12/13 nov. 1973).

11 Da notare, però, che almeno per l’Italia si tratta di un «decalogo» proposto dall’on. G. Gonella, e non maturato in legge; cfr, in proposito: G. DE ROSA, Per un codice di deontologia giornalistica, in Civ. Catt. 1968 I 281.

12 Sono: uno, rispettivamente, della Francia, dell’Italia e della Spagna, più due degli USA.

13 Quali, per esempio, l’americano Cheris Kramer, che nel 1967, in National Codes of Ethics in International Journalism (Ohio University), poté operare su 16 codici; l’inglese Press Councils and Press Code, che, pubblicato nel 1966 dall’International Press Institute di Londra, ne raccolse, più o meno completi, 20; infine Clement Jones, che in Déontoloie de l’information. Codes ti Conseils de Presse, UNESCO, Paris 1981 (cfr Civ. Catt. 1983 IV 515), poté collezionarne appena 13.

14 Si vede che la tecnica di pubblicazione «reprografica» comporta, purtroppo, non poche sviste nel testo. Ovviamente a una di queste sviste si deve la stupefacente data «2.400 anni avanti Cristo» (p. 23) assegnata a Ippocrate, autore del primo codice deontologico professionale; data che, invece, va corretta in «2.400 anni fa».

15 A. PORFIRIO BARROSO, Códigos deontológicos de los medios de communicatión, Ed. Paulinas Verbo Divino, Madrid – Navarra 1984, 428.

16 È da prevedere che, con l’estendersi e l’imporsi dell’informatica e della telematica, altri campi si andranno aprendo ai codici di autocontrollo. (cfr, in proposito, per l’America, il Code of Privacy della Warner Amex Cable Communicationi(in G. ALPA e M. BESSONE, Banche dati, telematica e diritti della persona, Padova 1984, 299); per la Francia il Codice deontologicoidel Sindacato Marketing Téléphonique (in J. P. LEHNISCH, Come vendere con il telefono, Pomezia 1981, p. 135); e, per l’Italia, il Codice di comportamento dell’ANFoV (Associazione Nazionale Fornitori di Videoinformazione), in N. CATANIA, Dossier privacy, Sarin, Roma – Pomezia 1983 (cfr E. BARAGLI, A tutela della «privacy» in Civ. Catt. 1986 I 252).

17 «I codici etici sul giornalismo raccolti in questo volume si possono considerare, oggi come oggi, i più recenti e ancora in vigore nei rispettivi Paesi» (Nota 10, p. 15).

18 Ai molti usati, presentati e descritti dall’Autore nel volume primo dell’opera precedente (p. 37 ss), si possono aggiungere quelli di LÖFFLER-HEBARRE, Les organismes d’autocontróle de la presse à le monde (Münich 1968), e J. FERRlER, Lo stampa quotidiana nel mondo (Milano 1973).

19 Così, ad esempio, si poteva precisare che il Codice italiano della p. 122 risulta concordato, nel 1957, tra la FNSI (Federazione Nazionale Stampa Italiana) e la FNEG (Federazione Nazionale Editori Giornali); cfr J. FERRIER, Lo stampa quotidiana nel mondo, cit., 193; che a p. 171 si poteva riportare il Codice di autodisciplina dell’austriaca ORT, del 1º luglio 1971 (testo e commento in Il diritto delle radiodiffusioni e delle telecomunicazioni, 1971, n. 3, 556 e 559); che il Codice argentino di p. 213 si riferisce soltanto agli inserti pubblicitari, e che è stato superato, nel 1968, dal Código de ética para lor programas de televisión (riportato in Oss. Rom., 30 luglio 1969, e commentato in Il diritto..., cit., 1970, n. 2, 451). A p. 214 s’ignora, per la Danimarca, il Codice di autocontrollo della Danmarks Radio, del 7 aprile 1964, poi adottato, dal 1966, dagli Enti Radiotelevisivi Nordici (cfr Lo Spettacolo, 1978, n. 1, 96). Ancora: a proposito della Gran Bretagna, c’è da notare (p. 244 ss): 1) che del Codice A, che è del 1963 e consta di soli 31 numeri, esiste un aggiornamento, del 1978, di 36 numeri; e, 2) che non vengono ricordati i due Codici contro la violenza in Tv della BBC/1960 e dell’ITA/1964 (riportati in G. GUARDA, La televisione come violenza, Bologna 1970, 177 e 180).
A p. 239, per l’Italia, si poteva ricordare il Codice RAI, riportato da A. GISMONDI, La radiotelevisione italiana, Roma 1918, 157, mentre, invece, a p. 249 si poteva ricordare, per il Brasile, il Codice ABERT del 1961, presentato e commentato in Il diritto..., cit., 1970, 2, 451. A proposito, poi, di codici italiani, da notare che quello di p. 211, sulla televisione, è fermo al 1961, quando il divorzio non era ancora legale; e che quello sulla lealtà pubblicitaria, a p. 371, è fermo al 1966 (cfr Civ. Catt. 1966 III 121), ignorandovisi, come subito vedremo, gli aggiornamenti del ’71, del ’78, dell’82 e dell’85. A p. 277 si poteva ricordare il Codice sulla pubblicità televisiva dell’UNAA (Union Internationale du Associations d’Annonceurs), del 1961 (cfr R. P. HASQUIN, La presse belge face à la pubblicité, Bruxelles 1969, 69); a p. 293 il Codice adottato dal Consiglio d’Europa il 20 febb. 1984, e reso esecutivo per tutti i membri della CEE il 10 sett. 1984 (cfr Communiqué de Presse du Conseil d’Europe, I [84] 7, del 23 febb. 1984, e Il diritto..., cit., 1984, n. 1, 92). Infine, sulla pubblicità in Francia, entro e fuori della radiotelevisione, alla p. 310 si poteva ricordare quanto riportato m PUBLICIS, Principes et pratiques de la publicité, Paris 1968, U2ss.

20 Cfr E. BARAGLI, Codice Hays – Legion of Decency, cit., 130, e Il Giornale dello Spettacolo, 20 sett. 1966.

21 Suoi interventi sulla pubblicità sono nella Octogesima adveniens (14 magg. 1971) (AAS 63 [1971] 401); nei Discorsi del 15 maggio 1971 al Top European Advertising Media (ivi 64 [1972] 370); del 28 aprile 1976 all’Association Européenne des Agences de Pubblicité (Oss. Rom., 29 aprile 1976); del 21 maggio 1977 al Convegno dell’l’nionc Cattolica Pubblicità (Insegnamenti 1977, 509); e nel Messaggio del 12 maggio 1977, per la XI Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, sul tema «La pubblicità attuata dai mass media» (Oss. Rom., 13 maggio 1977).

22 Cfr E. BARAGLI, Il Codice di autodisciplina pubblicitaria, in Civ. Catt. 1976 I 34 s. – Come ivi si precisava, la prima edizione risaliva al 1966, mentre la decima e undecima – di cui subito – sono rispettivamente del 1982 e del 1985.

23 M. FUSI – P. TESTA, L’autodisciplina pubblicitaria in Italia, Giuffrè, Milano 1981, XI-104, L. 11.000.

24 M. FUSI, Il nuovo Codice di lealtà pubblicitaria nella griurisprudenza del Giurì, ivi, 1971 (cfr Civ. Catt. 1973 I 407).

25 Giurisprudenza completa del giurì di autodisciplina pubblicitaria, a cura di L. C. UBERTAZZI, IPSOA, Roma 1986, L. 68.000.

In argomento

Massmedia

n. 3405, vol. II (1992), pp. 260-268
n. 3351, vol. I (1990), pp. 260- 269
n. 3310, vol. II (1988), pp. 351-363
n. 3218, vol. III (1984), pp. 144-151
n. 3200, vol. IV (1983), pp. 158-164
n. 3202, vol. IV (1983), pp. 362-368
n. 3195-3196, vol. III (1983), pp. 209-222
n. 3188, vol. II (1983), pp. 154-161
n. 3191, vol. II (1983), pp. 463-467
n. 3179, vol. IV (1982), pp. 464-467
n. 3141, vol. II (1981), pp. 222-237
n. 3088, vol. I (1979), pp. 351-359
n. 3075-3076, vol. III (1978), pp. 223-238
n. 3072, vol. II (1978), pp. 566-573
n. 3062, vol. I (1978), pp. 151-159
n. 3058, vol. IV (1977), pp. 349-362
n. 3055, vol. IV (1977), pp. 45-53
n. 3045, vol. II (1977), pp. 260-272
n. 3034, vol. IV (1976), pp. 336-351
n. 3036, vol. IV (1976), pp. 580-587
n. 3022, vol. II (1976), pp. 323-336
n. 3013, vol. I (1976), pp. 20-36
n. 2990, vol. I (1975), pp. 144-157
n. 2983, vol. IV (1974), pp. 36-48
n. 2973, vol. II (1974), pp. 250-256
n. 2967, vol. I (1974), pp. 258-263
n. 2961, vol. IV (1973), pp. 258-263
n. 2942, vol. I (1973), pp. 144-150
n. 2927, vol. II (1972), pp. 451-456
n. 2911, vol. IV (1971), pp. 39-48
n. 2913, vol. IV (1971), pp. 235-253
n. 2882, vol. III (1970), pp. 154-160
n. 2870, vol. I (1970), pp. 155-160
n. 2859-2860, vol. III (1969), pp. 219-230
n. 2739, vol. III (1964), pp. 246-254
n. 2729, vol. I (1964), pp. 422-435
n. 2702-2704, vol. I (1963), pp. 105-118, 313-325
n. 2636, vol. II (1960), pp. 124-39
n. 2612, vol. II (1959), pp. 113-124
n. 2548, vol. III (1956), pp. 400-408