NOTE
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1 Al fine di non appesantire inutilmente questa modesta rassegna con citazioni e rimandi, per ulteriori notizie su quanto qui vado riassumendo rinvio il lettore al mio recente volume L’Inter mirifica (Roma, Studio Romano della Comunicazione Sociale, 1970, 676) ed in particolare al suo Indice dei nomi e delle cose.

2 Dato il carattere meramente informativo di queste note, non vi si danno giudizi o pareri sugli autori e sugli scritti. In proposito si rimanda alle recensioni uscitene in questa stessa rivista, delle quali perciò si forniscono i rimandi.

3 Altri autori sono: P. EVDOKIMOV, L’ortodossia (Bologna 1965, cit. dal Bini, 753), L. LACONA CASTAN, Teologia de la información (Dirección generai de la prensa, Madrid 1956); Ch. S. McCOY, Christian faith and communication: theological selection, in Study encounter, 1967 I 36; J.P. RAMSEYER, La parole et l’image (consigliato dal Beauvalet, 237, insieme con OUSPENSKY, Essai sur la théologie de l’icone); JOHN SULLIVAN, Theology and communication, in The month, ott. 1965 (che tratta piuttosto dei rapporti tra comunicazione odierna e teologia). – Cfr anche Teología del cine, in Colligite (León 1966) I, 91; Mediengepächte “Rundfunletheologie” e Theologie-studium im Messenmedien, in Communicatio Socialis (Roma 1968) II, 131; III 254. Non sappiamo che ne è dell’opera Jalons pour une thèologie de la communication sociale, iniziata dal p. EMILE GABEL, ed interrotta dalla sua tragica morte avvenuta il 5 marzo 1968.

4 Su questo particolare dei laici si ferma Il Regno (1963, n. 1), secondo il quale “Nell’ambito della società ecclesiale c’è da rispondere a questi interrogativi, che solo una teologia potrà dare; gli strumenti audiovisivi [sic] devono essere affidati alla responsabilità dei sacerdoti o dei laici? Il sacerdote, in questo settore, è l’unica garanzia d’indipendenza e dell’ortodossia?”

5 La morte ne stroncò la giovane vita e gli impedì l’evoluzione in atto dall’interesse prevalente per l’immagine a quello per la comunicazione (cfr J. GRITTI, Eglise cinéma et télévision, 1966, 68 e 152).

6 Lo schema si ritrova in Gourbillon, il quale fa rientrare anche i fatti di natura (la creazione), storici (la Provvidenza) e personali-sociali (la testimonianza cristiana) nella categoria degli audiovisivi.

7 Di opinione diversa la spagnola Concilio (aprile 1964, 8), la quale, a proposito dello stesso testo paolino, commenta: "No creemos que la frase de san Pablo fides ex auditu excluya a la comunicación de que estos medios son portadores y se reduzca a la Palabra en que Dios se nos hace presente y llama en liturgia”.

8 Che verterebbe “sul modo di inserire praticamente determinate realtà nella storia della salvezza, e insieme sul modo di inserire e armonizzare il Messaggio al presente della vicenda umana”. – A differenza, perciò, della conferenza del Mejía, dove, nonostante il titolo promettente, l’apporto dottrinale è piuttosto scarso. Infatti, rilevato il valore autonomo che alla tecnica ed all’arte riconosce la Gaudium et spes, essa si limita a richiamare la “bontà” dei media quali prolungamento della Creazione, in quanto fattori di progresso tecnico, di cultura, d’informazione e di unità nel mondo; in sintesi: di integrale “umanizzazione” personale e sociale. Per il resto, si dilunga in questioni di sociologia e di pedagogia pastorale, quali: la preferenza da concedere oggi all’informazione ed alla persuasione delle coscienze, piuttosto che alla sorpassata disciplina di condanne, proibizioni e qualifiche normative; i poteri ed i limiti dello Stato nell’odierna società pluralistica; l’aggiornamento della predicazione e della liturgia alla mentalità odierna; la questione dell’informazione nella Chiesa...

9 Il “purtroppo” è suggerito dall’incerta, limitata e contestata accezione di audiovisivi (sulla quale cfr L’inter mirifica, cit., 265); sull’incerta e discussa accezione di immagine (ivi, 266); sulla tendenza avvertibile anche del nostro A., di portare l’attenzione prevalentemente sull’immagine in quanto estetica. – Ciò vale anche per il più recente studio del Bini: Per un’etica teologica dei mezzi audiovisivi (in Aggiornamenti sociali, genn. 1970, 23 ss.), a proposito del quale lo stesso A. precisa che si tratta di “un tentativo, di spunti di riflessione, la cui dimensione morale è intimamente connessa con la loro dimensione dommatica”, perciò anche di un “saggio di analisi morale che partecipa a tutte le caratteristiche di discutibilità e di approssimazione che contraddistinguono la precedente sintesi dommatica”.

10 A conferma, nel XVII Congresso generale dell’OCIC, svoltosi a Beyrouth dal 22 ott. al 3 nov. 1968, mons. L. Metzinger rilevava: (Films, giugno 1969, 22): "Une théologie des communications sociales... a été demandée instamment par Vatican II dans sa première session [!?]; mais cet appel n’a guère été entendu des thélogiens et on ne peut signaler aucun progrès sur l’exposé... du R.P. Becker sur la théologic de l’image à Mexico 1966”,

11 È ciò che dimostra la documentatissima tesi di licenza in scienze sociali La doctrina sabra los medios de comunicación social segun el Concilio Vaticano II, presentata nel 1969 da Carlos Alberto Duhourq dell’Università Cattolica di Lovanio. Scrive egli nella Prefazione: "... la lectura de ese mismo texto a la luz de otros documentos se ilumina. Todo lo que la constitución Gaudium et spes afirma acerca del nuevo humanismo y de la cultura; el documento de la libertad religiosa; del apostolado seglar; de la Iglesia ... ofrecen un marco doctrinal que no aparece en el Decreto... El punto de partida del estudio es, por tanto, la intuición de que este documento puede encontrar en los otros el complemento doctrinal que le falta...”.

12 Continua l’A. sopra citato: “Poco a poco otra impresión gana fuerza. Su debilidad, le viene al Decreto del hecho que no se ha puesto de relieve en forma suficiente lo más importante: la comunicación. Aunque parezca contradictorio: se habló mucho de los medios y no lo suficiente de aquello por lo cual debían ser considerados. El trabajo presente busca a portar elementos para colmar esta laguna”.

13 Mentre questa nota va in macchina, possiamo precisare quanto nella nota 3 restava incerto circa l’opera Jalons pour une théologie de la communication sociale del GABEL. Tre capitoli di essa sono usciti in Opinion publique (supplemento della Vie catholique, dic. 1969.

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del 1970
pubblicato su Google Libri.

Il testo è stato corretto dai refusi di stampa e formattato in modo uniforme con gli altri documenti della collezione.

I riferimenti ai documenti del magistero pontificio sono stati resi interattivi e portano al sito del progetto “Chiesa e Comunicazione”, biblioteca digitale online che prosegue l’attività svolta da p. Baragli con le opere Cinema cattolico: documenti della Santa Sede sul cinema e Comunicazione Comunione e Chiesa.

ARTICOLO SU

Secondo il corrispondente conciliare Noël Copin, nel novembre 1963, pochi giorni prima della solenne approvazione in Aula, alcuni vescovi francesi rilevarono che l’Inter mirifica “mancava di contenuto teologico”. Quella critica1 trovò subito credito in Francia; poi anche in Belgio, Germania, Spagna, Italia; e nell’immediato postconcilio, un po’ dappertutto, si consolidò in pacifico luogo comune, le divergenze di opinioni vertendo, al più, sulla natura di quel vuoto teologico e sulle più o meno plausibili ragioni che lo spiegavano.

Alcuni autori, infatti, lo spiegarono affermando che il Concilio aveva evitato di proposito d’impegnarsi dottrinalmente in un documento pastorale, soprattutto dopo che, tra il primo ed il secondo periodo conciliare, esso era stato ridotto da costituzione a decreto; altri, invece, lo giudicarono una vera manchevolezza, ma conseguente ad una carenza dottrinale preconciliare, che il Concilio né aveva il compito, né era in grado, di colmare; altri, infine, o ribatterono senza ambagi che il magistero preconciliare, grazie soprattutto all’apporto di Pio XII, offriva in proposito una dottrina teologica sufficientemente elaborata, oppure ritennero che, in ogni caso, quel vuoto poteva e doveva venir colmato dal Decreto (o dal Concilio).

Senza entrare nel merito della controversia, questa rassegna di alcuni scritti in argomento – purtroppo raccolti occasionalmente, e non con ricerche sistematiche –, vorrebbe offrire una traccia sullo stato odierno di una teologia degli strumenti di comunicazione sociale ed individuare gli assi direzionali più sicuri per un suo auspicato sviluppo.

Gli scritti e gli autori

Ecco, in ordine alfabetico, alcuni autori che, o di passaggio o ex professo, hanno trattato l’argomento2.

Di Amédée Ayfre importa conoscere soprattutto il volume Conversion aux images? del 1964, presentato nel 1966 in italiano col titolo Contributi ad una teologia dell’immagine (Civ. Catt. 1964 IV 62; 1967 III 64). Mons. Salvatore Baldassarri, nel 1966, nel volume collettaneo Sala cinematografica impegno pastorale (Civ. Catt. 1967 III 73) pubblicava Lineamenti per una teologia pastorale nel cinema.

Claude Beauvalet offriva qualche spunto teologico in Les séminaires au temps de l’image, pubblicato nel volume-raccolta Dynamique chrétienne de la communication moderne, Parigi 1966 (Civ. Catt. 1968 III 341). Nello stesso anno, di Luigi Bini usciva in due puntate, su Aggiornamenti sociali (nn. 11 e 12), l’ampio studio Per una teologia dei mezzi audiovisivi di comunicazione sociale. In un altro volume collettaneo del 1968: Gli strumenti della comunicazione sociale, della torinese LDC (Civ. Catt. 1968 III 441), Marco Bongioanni offriva qualche spunto teologico in Il Concilio e gli strumenti della comunicazione sociale, e lo stesso poi faceva, nonostante il titolo non teologico, il volumetto di Enrico Carontini Existence humaine et communication sociale (Civ. Catt. 1969 IV 406). Nell’ottobre del 1967, Domenico-M. Chenu svolgeva la conferenza Vox Populi vox Dei: L’opinion publique dans le peuple de Dieu, poi pubblicata in italiano in Questitalia (dic. 1967). A Montréal, nel 1965, Yvon Desrosiers pubblicava il ciclostilato Essai de théologie des moyens de c.s. Nel volume in collaborazione La realtà cristiana nell’epoca degli audiovisivi (Roma 1968: Civ. Catt. 1968 IV 414), mons. Salvatore Garofalo trattava Gli aspetti teologici. Nel numero 2-3 del 1964 di Perspectives de catholicité, tutto consacrato all’argomento, toccavano in particolare l’aspetto teologico i padri Gourbillon e Hitz, rispettivamente con Moyens audio-visuels et révélation divine (p. 157) e En attente d’une théologie des moyens de c.s. (p. 214). In una lezione al suo clero in riunione prosinodale, mons. Ch.-M. Himmer, vescovo di Tournai, trattò il tema Théologie et pastorale des moyens de c.s. (ciclostilato). Nel 1968, l’attuale segretario dell’UCIP mons. Jesus Iribarren, raccogliendo nel volume El derecho a la verdad i documenti pontifici sopra la stampa la radio e la televisione (Civ. Catt. 1969 I 19), li introduceva con un’ottima panoramica, anche teologica, sull’atteggiamento della Chiesa rispetto alle “comunicazioni sociali”. Nello stesso anno Jorge Mejía riportava sulla rivista Criterio (25 luglio 1968, p. 492), da lui diretta, una sua conferenza dal titolo Reflexión teológica sobre la comunicación social. Qualche considerazione teologica offre anche John W. Mole nel suo commento al Decreto, pubblicato a puntate nel 1965 sulla rivista canadese Christian Communications, l’anno seguente raccolto in un numero unico della Social Justice Review, e finalmente nel 1969 nel volumetto francese Citoyen et chrétien face à la révolution des communications (Civ. Catt. 1970 I 203).

Da ricordare anche il volume di Vittorio Morero L’opinione pubblica nella Chiesa (Milano 1965); ma soprattutto la Meditazione teologica pubblicata da Raymond Panikkar in Studi Cattolici (1963, n. 37, 11 ss.), i due articoli di mons. Luigi Pignatiello nella raccolta Decreto Inter mirifica. Riflessioni per un’azione pastorale (Roma 1967), i due volumetti di Nazareno Taddei: La predicazione nell’epoca dell’immagine e L’immagine oggi nella vita (Civ. Catt. 1968 II 306), e finalmente il breve servizio Le décret du Vatican II pubblicato da Jean Vieujean nel numero luglio-agosto 1964 della belga La Revue nouvelle.

Motivi ricorrenti

In Aula conciliare un Padre propose di sviluppare una dottrina teologica partendo dal testo di Matteo: Docete omnes gentes. La proposta però trovò scarsi echi perché molti autori, anche in polemica col Decreto – che ne avrebbe rilevato troppo la “strumentalità pastorale” –, preferirono portare l’attenzione sui valori autonomi degli strumenti, allacciandosi ad una “teologia delle realtà terrene” poi sviluppata dal Concilio, specialmente nella Gaudium et spes. Così, per esempio, il “pioniere” J. Vieujean, secondo il quale

“le tecniche di diffusione offrivano al Concilio la prima occasione di manifestare brillantemente... simpatia e calore riguardo- ai valori umani e terrestri”. Sì, esse possono anche recar danni, “ma conviene considerarle innanzi tutto nella loro essenza, rilevandone il valore intrinseco, e proporle al rispetto, all’ammirazione ed all’industriosità degli uomini. Questa traccia avrebbe raggiunto lo sguardo di Dio sulla creazione, da Lui giudicata “buona”; avrebbe testimoniato “rispetto al genio ed all’attività dell’uomo: scienziato, artista, tecnico, operatore manuale, sociologo, politico; avrebbe scoperto entro quest’attività, anche ad insaputa dell’uomo, una sua collaborazione all’atto creatore di Dio ed allo sviluppo del mondo, connesso col suo avvenire eterno; infine, avrebbe praticato la pedagogia più efficace e sana dell’umanità... che consiste nel rilevare il valore di ogni cosa, concentrare le menti ed i cuori su questo valore e dar fiducia alle energie sane e più attive dell’umanità”. Insomma: “le tecniche di diffusione si prestavano meravigliosamente bene ad una trattazione di largo respiro; con grande piacere vi avremmo trovato una filosofia ed una teologia di queste realtà terrestri che oggi toccano in modo tanto diretto ed efficace la vita dell’uomo”.

Su questa traccia generica, già i “vescovi francesi” (di cui sopra) avevano sommariamente rilevato un aspetto particolare, osservando che “si sarebbe potuto scrivere uno splendido capitolo sull’unità del mondo voluta da Dio, la quale oggi si attua grazie alle tecniche di comunicazione”. Ovviamente, altri autori li seguono, ognuno però con riflessioni sviluppi e sfumature proprie. Leggiamo, per esempio, il Carontini.

Partendo da un’antropologia e filosofia fenomenologica (ed in parte theilhardiana) polemicamente antiscolastica, egli definisce l’essere umano come relation à; autrui, la comunicazione in quanto tale come opera della creazione, la natura come réalité communicationnelle; ed osserva: “La questione fondamentale del teologo, dalla quale dipenderà lo sviluppo dottrinale, sarà questa: come si deve concepire e vivere l’incontro tra il mondo e il Dio della rivelazione? che cosa avviene realmente nel mondo quando vi penetra la parola di Dio?”; per rispondere: “La comunicazione sociale [non parla degli strumenti] s’inserisce nel piano di Dio nella misura in cui diventa segno del mistero che Dio opera nella storia. Ora il segno fondamentale di questo mistero è il Cristo nella sua realtà ecclesiale... La salvezza cristiana è nell’unità del mondo e dell’uomo nel Cristo... La comunicazione sociale offre all’umanità nuove e formidabili possibilità di realizzare questa unità.”

Invece, meno filosofo e più sociologo e teologo (ed ancora fiducioso nel pensiero scolastico), J.W. Mole rapporta l’aspetto teologico alle virtù teologali (fede, speranza, carità), l’oggetto delle quali è il fine dell’uomo, e l’aspetto morale alle virtù morali (prudenza, giustizia, fortezza, temperanza), che riguardano i mezzi per raggiungere il fine. Quindi si domanda (e risponde) perché il Decreto abbia tenuto presente il secondo aspetto e non il primo, e passa ad esporre una sua proposta teologica sul tema “verità-carità”:

“Una teologia dei mezzi di comunicazione sociale s’impernia sulle possibilità immense e provvidenziali di perfezionamento umano connesse con lo sviluppo degli stessi. La fede è la virtù teologale per cui l’uomo crede che la sua felicità ultima è in Dio. Egli si dispone alla fede nella misura nella quale fa della ricerca della verità lo scopo principale della sua vita. Perciò, una teologia della comunicazione riguarderebbe soprattutto queste tecniche come mezzi per la ricerca della verità e, insieme, dell’unità tra gli uomini; i quali si troveranno disposti a lasciarsi permeare dallo Spirito di carità. Infatti, per sua natura la ricerca della verità unisce le menti ed i cuori. L’ideale di una società pluralistica a livello mondiale, alla quale tendono tutti gli uomini, e lo stesso anelito di unità nella vita religiosa (ecumenismo) sono indici manifesti di un cammino verso l’unità e la mutua comprensione, che oggi come non mai travaglia nel più profondo l’umanità... La virtù teologale della fede potrà regnare nella società odierna solo se i mezzi di comunicazione sociale concorrano a creare tra gli uomini un’atmosfera di sincerità e di verità”.

Tutt’altra è la proposta teologica del p. Hitz. Essa merita una menzione speciale perché, salvo sviste, non trova riscontro presso altri autori.

“Bisognerebbe – egli scrive – rilevare soprattutto che questi mezzi invitano i cristiani a realizzare... la regalità cosmica del Cristo, rifacendoci alla teologia delle Potenze”. A questo scopo egli nota che i mezzi di comunicazione sociale dipendono non dall’azione di un individuo, bensì dalla mentalità di ambienti interi: gruppi di pressione, trust, opinione pubblica, forze societarie che superano persino il potere dei governi; dunque: vere e proprie Potenze; e ragiona così: “Ora queste potenze umane e cosmiche di dimensioni mondiali sono coinvolte in uno scontro di ’Potenze spirituali’, da noi correntemente chiamate angeli e demoni. Secondo la rivelazione cristiana, si tratta di potenze spirituali che agiscono nella storia, con potere immensamente superiore a quello degli uomini... Sicché san Paolo ci ammonisce che non abbiamo da lottare contro la carne e il sangue, ma contro i prìncipi e le potestà, contro i dominanti di questo mondo tenebroso, contro gli spiriti maligni dell’aria (Ef 6,12)”; e continua (sunteggiamo): Il Cristo è il Signore di queste Potenze; solo nella potenza di Lui risuscitato in noi possiamo lottare contro di esse. Ciò vale anche per gli strumenti della comunicazione sociale; perciò “il loro uso ed il loro ordinato sviluppo... sono un servizio reso al Cristo-Signore. A Lui appartengono, e solo a Lui dobbiamo se siamo capaci di utilizzarli. Solo il Cristo li domina”. Di conseguenza, in pratica: “Per un’azione nell’ambito di questi strumenti non basta sollecitare i cristiani: bisogna ricorrere allo stesso Signore, e in quest’aspetto considerare la preghiera... E qui occorrerebbe sviluppare tutta una spiritualità del Cristo-Signore; ed in questo contesto la Chiesa dovrebbe inserire anche il suo appello ai laici, quali testimoni del Cristo-Signore per manifestare la sua regalità ad utile dell’umanità”4.

Non mancano autori che dalle grandi lince scendono a problematiche più particolareggiate. Così, per esempio, il Dcsrosicrs, il quale, su questa premessa:

“Occorre... mostrare i valori umani contenuti in questi mezzi, rilevarne la sublimazione cristiana, esporre i problemi particolari da essi posti ed, infine, chiarire come il Mistero rivelato segna così speciali “incarnazioni”, le quali chiedono dal credente speciali atteggiamenti”: distingue tre classi di problemi che si offrono all’indagine teologica. La prima: di quelli “più generali, e comuni alla teologia delle realtà terrene (sui quali perciò sorvoliamo). La seconda riguarda “i problemi particolari che non s’identificano con questi mezzi, ma assumono un rilievo tutto nuovo per l’incremento causato da essi. Tali i problemi dei rapporti tra arte e morale... , del significato umano e cristiano del tempo libero..., della società pluralistica su piano religioso e culturale... La terza riguarda questioni specifiche e nuove, quali, da una parte, la realtà globale della comunicazione di massa; dall’altra alcuni suoi aspetti particolari, tra i quali: che questi mezzi incidono nella cultura propria della società di massa e creano una civiltà audiovisiva, permettono un’informazione quasi istantanea ed universale, alimentano l’opinione pubblica nel mondo e nella Chiesa...”.

Forse a più specifico livello teologico si pongono le indicazioni particolari di Ch. Beauvalet, anche perché esposte nel contesto della formazione teologica del clero:

“Neanche la teologia dommatica resta indifferente all’ondata audiovisiva. Da molti si desidera una teologia del segno articolabile alla mentalità odierna, da integrare con una teologia dell’immagine sacra. Specialmente la parte sacramentale se ne avvantaggerebbe. Si potrebbero scrivere ottime cose sulle relazioni tra immagine e sacramentalità, e sulla civiltà dell’immagine come terreno ideale ove fare attecchire i segni della vita cristiana. Chi si è chiesto quali siano i legami tra l’uso delle immagini nella Bibbia e nel culto da una parte, e rivelazione di Dio tramite la sua Parola ed il suo Verbo dall’altra? Del resto non sarebbe inutile riflettere sull’incarnazione ed i linguaggi umani, esempio privilegiato dei quali è quello dell’immagine. Sarebbe bene anche indagare sul contributo delle tecniche moderne dell’immagine alla vita teologale, all’avvio della grazia, alla rappresentazione del sacro. Infine, il trattato della Chiesa dovrebbe fornire gli elementi base di una buona teologia dell’Informazione, d’una ’presenza’ nel mondo, di una evangelizzazione della cultura e dell’immaginario, dato che la Chiesa è insieme una realtà sociale ed un mistero di salute...”.

Il Beauvalet non è il solo che ponga l’immagine come punto di partenza per uno sviluppo teologico, anzi. Gli fanno compagnia molti autori, specialmente francesi, tributari dell’estetica “cinematografica” di L. Delluc, J. Epstein, A. Malraux, R. Bazin... , e specialmente dell’estetismo teologizzante di A. Ayfre5 ed anche autori non francesi. Tra questi ne ricordo due, con i quali chiudo questa rassegna.

R. Panikkar, denunciata l’involuzione intellettualistico-teologica del Logos nella cultura occidentale, e prospettato un recupero del suo significato più pieno della civiltà delle immagini tramite le tecniche di comunicazione di massa, passando a trattare della “teologia dell’immagine”, precisa che i suoi

“appunti sulla teologia della riproduzione possono essere chiamati piuttosto con il nome di Teoiconia, che con quello di teo-logia dell’icona, in quanto non cercano di interpretare l’immagine (l’icona) col logos (cioè da un punto di vista strettamente teo-logico), ma piu propriamente di introdurre una vera prospettiva teoiconica, accentuando non già il Logos di Dio, o il nostro logos intorno a Lui, ma l’ ’icona’ di Dio e il nostro essere come icona della Divinità”.

Quindi svolge il suo tema nei tre momenti: 1) Cristo: “icona” di Dio; 2) l’uomo: immagine di Dio; 3) Il mondo: espressione della parola divina. Su questo impianto, interessandosi alla comunicazione stessa e non ai suoi contenuti, rileva i limiti della comunicazione attuata “per tramite (tecnico)”6, rispetto a quella attuata “di presenza”, e conseguentemente impugna la validità dell’assoluzione sacramentale data per telefono e della reale partecipazione della Messa trasmessa via radio, dato che

“Mediante apparecchi tecnici posso suggerire psicologicamente, ma non comunicare ontologicamente. Si può stabilire una comunicazione, ma non una comunione. La tecnica può dunque aiutare, o ostacolare, il contatto personale divino e umano, ma la tecnica non può mai sostituirlo”.

Per le stesse ragioni pone in dubbio che la famosa frase paolina Fides ex auditu (Rm 10,17: la fede proviene dall’ascoltare la predicazione) possa applicarsi al tipo di comunicazione sociale ottenibile con questi mezzi7, notando:

“Dal punto di vista dell’annuncio del messaggio cristiano queste tecniche possono servire forse di preparazione, come un buon libro può offrire un’occasione alla grazia, ma non possono andare oltre; e se volessero sostituire l’azione personale o la testimonianza della vita e del sangue, si tradurrebbero in tecniche paralizzanti, anche se moralmente il loro contenuto, ed anche la loro intenzione, fossero incensurabili”.

Viceversa, sul versante dei valori, nota che nel campo della comunicazione umana i mezzi tecnici aiutano a superare la cristallizzazione intellettualistica della comunicazione verbale scritta, ed agevolano la visione contemplativa del mondo delle cose e delle situazioni umane come immagini di Dio.

Lo studio del Bini, salvo sviste, è il più ampio, più sistematico e documentato in argomento. Evitando di proposito un discorso morale e pastorale8, si propone “di tentare una impostazione della riflessione cristiana sui mezzi... in chiave dommatica ..., sottolineando il punto e il modo legittimo di inserzione... nella tradizionale struttura dommatica cattolica, e di indicarne le possibili linee di sviluppo”; purtroppo9, però, polarizzando la sua “riflessione sui mezzi audiovisivi, cioè su quelli che comunicano per mezzo dell’immagine e del suono..., nella loro qualità tipica di attività umana e risultante di dimensioni, per così dire, tecniche e artistiche”.

Egli inizia con lo sgombrare il terreno da eventuali pregiudiziali. Si chiede se sia legittima una teologia dei mezzi audiovisivi; e risponde: “una teologia delle realtà terrestri, e quindi dei mezzi audiovisivi di comunicazione sociale, si giustifica e precisa in quanto riflessione organica, condotta alla luce della fede, su una determinata attività umana in quanto inserita nell’economia della salvezza”; in altri termini: “come scienza che ha per oggetto il valore salvifico di tali mezzi alla luce della rivelazione”: scienza dommatica, proprio dalla quale deriva una pastoralità autentica.
Quindi svolge il suo ampio discorso provando: 1) che ogni realtà è “salvata”, cioè è creata e redenta; 2) Precisati i concetti relativi di sacro (e santo) e di profano (e di sacralizzazione e di santificazione): che ogni realtà profana è autenticamente tale; 3) Proponendo il religioso come valorizzazione del profano; 4) Proponendo il mezzo audiovisivo come realtà profana, così nella sua dimensione tecnica come in quella artistica. Ciò fatto, passando dalla loro natura generica di realtà profane alla loro specifica e tipica modalità di comunicazione – cioè di immagine audiovisiva (estetica), – analizza i mezzi audiovisivi: 1) come partecipazione alla rivelazione naturale, rilevando la bellezza della loro immagine come trasparenza del divino, le possibilità di verità e di universalità, intensiva ed estensiva; 2) e come partecipazione alla rivelazione soprannaturale, sia in quanto, in sé, elevabili, sia quali, di fatto, tramiti dell’Annuncio della Parola.

Tirando le somme

Una prima considerazione, ci pare, viene suggerita da questa sommaria rassegna; ed è che circa una teologia degli strumenti di comunicazione sociale disponiamo soltanto di desiderata, indicazioni e suggerimenti più o meno pertinenti, ma parziali e, in ogni caso, largamente opinabili: non tanto nelle generalissime premesse teologiche, quanto nella loro applicazione a quelle realtà concrete – stampa, cinema, radio-tv, ecc. – che costituiscono l’argomento specifico dell’Inter mirifica. Ciò, tra l’altro, spiega perché il Concilio, in questo Decreto o altrove, non abbia riempito il “vuoto teologico” poi denunciato da molti. Infatti, se oggi, a sei e più anni dalla promulgazione – come con ragione rilevava lo stesso Bini – “non esiste ancora nella Chiesa una riflessione teologica sufficientemente matura, che possa fornire i dati definitivi per una formulazione dommatica in questo settore”10, è da presumere che neanche fossero in grado di formularla allora i Padri conciliari.

Una seconda considerazione riguarda la possibilità stessa di una dommatica generale specifica “degli strumenti” di comunicazione sociale. Forse, a chi (invano) l’ha cercata nel Decreto sono sfuggite: e la complessità-eterogeneità dei fenomeni di cui “gli strumenti” sono insieme elementi, effetti catalizzatori ed amplificatori; e la fase di espansione “esplosiva” che essi stanno ancora attraversando, e perciò anche l’insicurezza di ogni teorizzazione, prima ancora che su piano teologico, già su quelli psico-sociologico e filosofico-antropologico; e, infine, è sfuggita la distinzione tra ciò che accomuna gli strumenti tra loro e ciò che li distingue, col pericolo di estendere a tutto l’insieme ciò che – in “segni” o in funzioni – sia caratteristica di qualcuno, o di un gruppo, di essi; per esempio: la comunicazione – o, come si dice, il linguaggio – "per immagini”.

Certo, è auspicabile che si progredisca nella "teologia dell’immagine”, e magari vi si emulino i virtuosismi ai suoi tempi raggiunti dalla Scuola di San Vittore nella “mistica simbolica”; ma essa, al più, si applicherà ad un settore dei fenomeni e degli interessi connessi con “gli strumenti”. Come pure, è auspicabile che si sviluppino, ben oltre i nuclei fissati dal Vaticano II, anche altre teologie, quali quelle “delle realtà terrene”, “della comunicazione sociale”, “del laicato”, ecc.; ma queste, viceversa, comprenderanno più o meno anche quella degli “strumenti”, coinvolgendo fenomeni ed interessi di cui questi sono da ritenere fattori più o meno rilevanti. E ciò, tra parentesi, suggerisce che la necessità di ricorrere ad altri documenti conciliari per avere una meno digiuna dottrina teologica del Vaticano II sul tema che ci tocca, non dipenda tanto da un vuoto teologico dell’Inter mirifica quanto dalla natura poliedrica dello stesso argomento11.

Sosteniamo, forse, con ciò, l’impossibilità di elaborare una teologia specifica degli strumenti di comunicazione sociale? – No davvero: purché si tratti di teologia in senso lato, comprendente cioè, non solo una dommatica, ma anche una morale-ascetica e una pastorale; e purché detta teologia si limiti ad applicare al terreno specifico degli strumenti un’elaborazione dottrinale comprendente settori più estesi. Anzi siamo convinti che è il Decreto stesso a segnarne la traccia di sviluppo nella stessa terminologia da esso proposta cd adottata: "strumenti della comunicazione sociale”. Riteniamo cioè che studi e ricerche, al contrario di quanto sinora si è tentato, specialmente per l’aspetto dommatico, debbano focalizzarsi sullo specificativo "della comunicazione12; poi, specialmente per gli aspetti morale e pastorale, debbano focalizzarsi sul qualificativo "sociale” e sul soggetto "strumenti”.

Che è poi la via battuta anche dai migliori ricercatori e teorici fuori del campo religioso e teologico13.

1 Al fine di non appesantire inutilmente questa modesta rassegna con citazioni e rimandi, per ulteriori notizie su quanto qui vado riassumendo rinvio il lettore al mio recente volume L’Inter mirifica (Roma, Studio Romano della Comunicazione Sociale, 1970, 676) ed in particolare al suo Indice dei nomi e delle cose.

2 Dato il carattere meramente informativo di queste note, non vi si danno giudizi o pareri sugli autori e sugli scritti. In proposito si rimanda alle recensioni uscitene in questa stessa rivista, delle quali perciò si forniscono i rimandi.

3 Altri autori sono: P. EVDOKIMOV, L’ortodossia (Bologna 1965, cit. dal Bini, 753), L. LACONA CASTAN, Teologia de la información (Dirección generai de la prensa, Madrid 1956); Ch. S. McCOY, Christian faith and communication: theological selection, in Study encounter, 1967 I 36; J.P. RAMSEYER, La parole et l’image (consigliato dal Beauvalet, 237, insieme con OUSPENSKY, Essai sur la théologie de l’icone); JOHN SULLIVAN, Theology and communication, in The month, ott. 1965 (che tratta piuttosto dei rapporti tra comunicazione odierna e teologia). – Cfr anche Teología del cine, in Colligite (León 1966) I, 91; Mediengepächte “Rundfunletheologie” e Theologie-studium im Messenmedien, in Communicatio Socialis (Roma 1968) II, 131; III 254. Non sappiamo che ne è dell’opera Jalons pour une thèologie de la communication sociale, iniziata dal p. EMILE GABEL, ed interrotta dalla sua tragica morte avvenuta il 5 marzo 1968.

4 Su questo particolare dei laici si ferma Il Regno (1963, n. 1), secondo il quale “Nell’ambito della società ecclesiale c’è da rispondere a questi interrogativi, che solo una teologia potrà dare; gli strumenti audiovisivi [sic] devono essere affidati alla responsabilità dei sacerdoti o dei laici? Il sacerdote, in questo settore, è l’unica garanzia d’indipendenza e dell’ortodossia?”

5 La morte ne stroncò la giovane vita e gli impedì l’evoluzione in atto dall’interesse prevalente per l’immagine a quello per la comunicazione (cfr J. GRITTI, Eglise cinéma et télévision, 1966, 68 e 152).

6 Lo schema si ritrova in Gourbillon, il quale fa rientrare anche i fatti di natura (la creazione), storici (la Provvidenza) e personali-sociali (la testimonianza cristiana) nella categoria degli audiovisivi.

7 Di opinione diversa la spagnola Concilio (aprile 1964, 8), la quale, a proposito dello stesso testo paolino, commenta: "No creemos que la frase de san Pablo fides ex auditu excluya a la comunicación de que estos medios son portadores y se reduzca a la Palabra en que Dios se nos hace presente y llama en liturgia”.

8 Che verterebbe “sul modo di inserire praticamente determinate realtà nella storia della salvezza, e insieme sul modo di inserire e armonizzare il Messaggio al presente della vicenda umana”. – A differenza, perciò, della conferenza del Mejía, dove, nonostante il titolo promettente, l’apporto dottrinale è piuttosto scarso. Infatti, rilevato il valore autonomo che alla tecnica ed all’arte riconosce la Gaudium et spes, essa si limita a richiamare la “bontà” dei media quali prolungamento della Creazione, in quanto fattori di progresso tecnico, di cultura, d’informazione e di unità nel mondo; in sintesi: di integrale “umanizzazione” personale e sociale. Per il resto, si dilunga in questioni di sociologia e di pedagogia pastorale, quali: la preferenza da concedere oggi all’informazione ed alla persuasione delle coscienze, piuttosto che alla sorpassata disciplina di condanne, proibizioni e qualifiche normative; i poteri ed i limiti dello Stato nell’odierna società pluralistica; l’aggiornamento della predicazione e della liturgia alla mentalità odierna; la questione dell’informazione nella Chiesa...

9 Il “purtroppo” è suggerito dall’incerta, limitata e contestata accezione di audiovisivi (sulla quale cfr L’inter mirifica, cit., 265); sull’incerta e discussa accezione di immagine (ivi, 266); sulla tendenza avvertibile anche del nostro A., di portare l’attenzione prevalentemente sull’immagine in quanto estetica. – Ciò vale anche per il più recente studio del Bini: Per un’etica teologica dei mezzi audiovisivi (in Aggiornamenti sociali, genn. 1970, 23 ss.), a proposito del quale lo stesso A. precisa che si tratta di “un tentativo, di spunti di riflessione, la cui dimensione morale è intimamente connessa con la loro dimensione dommatica”, perciò anche di un “saggio di analisi morale che partecipa a tutte le caratteristiche di discutibilità e di approssimazione che contraddistinguono la precedente sintesi dommatica”.

10 A conferma, nel XVII Congresso generale dell’OCIC, svoltosi a Beyrouth dal 22 ott. al 3 nov. 1968, mons. L. Metzinger rilevava: (Films, giugno 1969, 22): "Une théologie des communications sociales... a été demandée instamment par Vatican II dans sa première session [!?]; mais cet appel n’a guère été entendu des thélogiens et on ne peut signaler aucun progrès sur l’exposé... du R.P. Becker sur la théologic de l’image à Mexico 1966”,

11 È ciò che dimostra la documentatissima tesi di licenza in scienze sociali La doctrina sabra los medios de comunicación social segun el Concilio Vaticano II, presentata nel 1969 da Carlos Alberto Duhourq dell’Università Cattolica di Lovanio. Scrive egli nella Prefazione: "... la lectura de ese mismo texto a la luz de otros documentos se ilumina. Todo lo que la constitución Gaudium et spes afirma acerca del nuevo humanismo y de la cultura; el documento de la libertad religiosa; del apostolado seglar; de la Iglesia ... ofrecen un marco doctrinal que no aparece en el Decreto... El punto de partida del estudio es, por tanto, la intuición de que este documento puede encontrar en los otros el complemento doctrinal que le falta...”.

12 Continua l’A. sopra citato: “Poco a poco otra impresión gana fuerza. Su debilidad, le viene al Decreto del hecho que no se ha puesto de relieve en forma suficiente lo más importante: la comunicación. Aunque parezca contradictorio: se habló mucho de los medios y no lo suficiente de aquello por lo cual debían ser considerados. El trabajo presente busca a portar elementos para colmar esta laguna”.

13 Mentre questa nota va in macchina, possiamo precisare quanto nella nota 3 restava incerto circa l’opera Jalons pour une théologie de la communication sociale del GABEL. Tre capitoli di essa sono usciti in Opinion publique (supplemento della Vie catholique, dic. 1969.

n. 3195-3196, vol. III (1983), pp. 209-222
n. 3188, vol. II (1983), pp. 154-161
n. 3141, vol. II (1981), pp. 222-237
n. 2990, vol. I (1975), pp. 144-157
n. 2983, vol. IV (1974), pp. 36-48
n. 2979-2980, vol. III (1974), pp. 242-247
n. 2950, vol. II (1973), pp. 347-358
n. 2951, vol. II (1973), pp. 425-438
n. 2952, vol. II (1973), pp. 547-559
n. 2911, vol. IV (1971), pp. 39-48
n. 2913, vol. IV (1971), pp. 235-253
n. 2882, vol. III (1970), pp. 154-160
n. 2859-2860, vol. III (1969), pp. 219-230
n. 2847, vol. I (1969), pp. 250-253
n. 2787-2788, vol. III (1966), pp. 314-315
n. 2702-2704, vol. I (1963), pp. 105-118, 313-325
n. 2636, vol. II (1960), pp. 124-39
n. 2612, vol. II (1959), pp. 113-124
n. 2605, vol. I (1959), pp. 66-69
n. 2555, vol. IV (1956), pp. 521-532
n. 2545, vol. III (1956), pp. 30-42
n. 2532, vol. IV (1955), pp. 601-609

Massmedia

n. 3405, vol. II (1992), pp. 260-268
n. 3351, vol. I (1990), pp. 260- 269
n. 3310, vol. II (1988), pp. 351-363
n. 3218, vol. III (1984), pp. 144-151
n. 3200, vol. IV (1983), pp. 158-164
n. 3202, vol. IV (1983), pp. 362-368
n. 3195-3196, vol. III (1983), pp. 209-222
n. 3188, vol. II (1983), pp. 154-161
n. 3191, vol. II (1983), pp. 463-467
n. 3179, vol. IV (1982), pp. 464-467
n. 3141, vol. II (1981), pp. 222-237
n. 3088, vol. I (1979), pp. 351-359
n. 3075-3076, vol. III (1978), pp. 223-238
n. 3072, vol. II (1978), pp. 566-573
n. 3062, vol. I (1978), pp. 151-159
n. 3058, vol. IV (1977), pp. 349-362
n. 3055, vol. IV (1977), pp. 45-53
n. 3045, vol. II (1977), pp. 260-272
n. 3034, vol. IV (1976), pp. 336-351
n. 3036, vol. IV (1976), pp. 580-587
n. 3022, vol. II (1976), pp. 323-336
n. 3013, vol. I (1976), pp. 20-36
n. 2990, vol. I (1975), pp. 144-157
n. 2983, vol. IV (1974), pp. 36-48
n. 2973, vol. II (1974), pp. 250-256
n. 2967, vol. I (1974), pp. 258-263
n. 2961, vol. IV (1973), pp. 258-263
n. 2942, vol. I (1973), pp. 144-150
n. 2927, vol. II (1972), pp. 451-456
n. 2911, vol. IV (1971), pp. 39-48
n. 2913, vol. IV (1971), pp. 235-253
n. 2882, vol. III (1970), pp. 154-160
n. 2870, vol. I (1970), pp. 155-160
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n. 2739, vol. III (1964), pp. 246-254
n. 2729, vol. I (1964), pp. 422-435
n. 2702-2704, vol. I (1963), pp. 105-118, 313-325
n. 2636, vol. II (1960), pp. 124-39
n. 2612, vol. II (1959), pp. 113-124
n. 2548, vol. III (1956), pp. 400-408