NOTE
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1 «Per rendere più efficace il multiforme apostolato della Chiesa circa gli strumenti della comunicazione sociale, ogni anno, in tutte le diocesi, a giudizio dei vescovi, si celebri una “Giornata”, nella quale s’istruiscano i fedeli sui loro doveri in questo settore, s’invitino a pregare secondo questa intenzione e ad offrire il loro danaro» (Concilio Vaticano II, Decreto «Inter mirifica», n. 18).

2 Cfr La famiglia, questa grande assente (1969 II 313), Gli strumenti della comunicazione sociale e la gioventù; (1970 II 109), Al servizio della verità (1972 II 209), Strumenti della comunicazione sociale e promozione dei valori spirituali (1973 II 313), «Ditelo nella luce...: predicatelo sui tetti»; (1974 II 313), I mass media al servizio della riconciliazione (1975 II 209), Mass Media e diritti-doveri fondamentali dell’uomo (1976 II 323), Pubblicità e mass media (1977 II 209), Mass media oggi: diritti e doveri del pubblico (1978 II 105), Gli strumenti della comunicazione sociale e i compiti della famiglia (1980 II 313).

3 GIOVANNI PAOLO II, Enciclica Redemptor hominis, n. 15.

4 «Pur senza ridurre la società, o la cultura, alla lingua, si può dar l’avvio a quella “rivoluzione copernicana” [...] che consisterà nell’interpretare la società, nel suo insieme, in funzione di una teoria della comunicazione. Il tentativo è sin d’ora possibile a tre livelli: infatti le regole della parentela e del matrimonio servono ad assicurare la comunicazione delle donne tra i gruppi, come le regole economiche servono ad assicurare la comunicazione dei beni e dei servizi, e le regole linguistiche la comunicazione dei messaggi» (C. LEVI-STRAUSS, Antropologia strutturale, Milano, Il Saggiatore, 1967, 100).

5 Cosi Pierre Chaunu, che in Histoire quantitative, historie serielle (Paris, Colin, 1978) rileva che, se a ben 2,5 miliardi di anni si fa risalire, con l’acido nucleico, l’apparire della vita sulla Terra, e se a 5 milioni di anni fa risalgono le poche decine di migliaia di preominidi del paleolitico, con l’umanità del neolitico, che già si conta in qualche milione di individui, s’instaura e si diffonde, 1,2 milioni di anni fa, la cultura dell’homo sapiens, che maneggia l’utensile, che comunica col linguaggio, che ha coscienza della morte. Il quale homo sapiens segna il primo radicale balzo di cultura-civiltà quando, circa 10 mila anni fa, nella Mezzaluna Fertile fra l’Eufrate e il Mediterraneo, si verifica la condizione ottimale di densità umana: dai 4 ai 5 abitanti per km2, realizzando cosi un cervello collettivo di almeno un milion di uomini intercomunicanti. Al passaggio dalla caccia e dalla pastorizia all’agricoltura, con le prime scritture ideografiche (circa 7 mila anni fa) e poi col miracolo dell’alfabeto (circa 3 mila anni fa), segue l’accumulo, nello spazio e nel tempo, delle acquisizioni culturali: nasce la storia, si sviluppano e si susseguono le grandi civiltà.

6 Supponiamo familiari al lettore le tre note distinzioni circa la «libertà»: 1. secondo la diversità dei vincoli (libertà ontologica, psicologica, fisica); 2. secondo la qualità dei vincoli (libertà dalla coazione, vale a dire: di operare spontaneamente, senza coercizioni esterne; e libertà dalla necessità, ossia: capacità di scelte non imposte da determinismi interni); 3. secondo il genere o il campo di operazione (libertà di pensiero, di coscienza, di parola, di associazione, di culto...; religiosa, politica, civile, giuridica, economica ...).

7 Distinguiamo gli «strumenti», mezzi tecnologicamente rilevanti, dai semplici «mezzi», che di tecnologico hanno poco o nulla, quali, ad esempio, la parola parlata, il gesto, lo stilo. In questo senso le epoche «dei mezzi» nella comunicazione umana sono iniziate verso il 4000 a.C. con le prime scritture ideografiche, evolute verso il 2000 a.C. nella scrittura alfabetica, e terminate con la stampa di Gutenberg (1410); la quale, come s’è detto, nei primi decenni del secolo scorso ha portato all’odierno primo mass medium: il giornale.

8 M. McLUHAN, La galassia Gutemberg, Nascita dell’uomo tipografico, Roma, Armando, 1976, 199.

9 M. McLUHAN, Gli strumenti del comunicare, Milano, Il Saggiatore, 1967, 171.

10 Si noti come il termine, nelle diverse discipline e ideologie, assumeva, ed assume ancor oggi, altre accezioni. Ad esempio, economisti e giuristi l’usano correntemente nel senso di nazionalizzazione (o statalizzazione) dei beni di produzione; in sociologia marxista, invece, il termine indica il processo di collettivizzazione che dovrebbe segnare la fine dell’economia capitalista a profitto del sistema socialista; quando per molti psico-sociologi moderni il termine vale il processo di acculturazione mediante il quale il bambino o l’adolescente – oppure l’adulto proveniente da un’altra cultura – s’integra ad un gruppo sociale facendone proprie le norme, i valori e comportamenti.

11 Di fatto, nella Lettera del 1960, senza darne una vera definizione, si nota come «i sopravvenuti cambiamenti segnano un’evoluzione verso una socializzazione sempre più universale e profonda. Non solo le strutture economiche e politiche, ma tutto un complesso di abitudini, di modi di vivere, di istituzioni spontanee o legali, circondano l’individuo, lo sostengono e lo guidano» (n. 9).
Nella Mater et magistra, invece, «la socializzazione, intesa come progressivo moltiplicarsi di rapporti nella convivenza, con varie forme di vita e di attività associata, ed istituzionalizzazione giuridica», viene detta «uno degli aspetti tipici che caratterizzano la nostra epoca» (n. 18). Dal canto suo la Pacem in terris (n. 129) accenna agli «esseri umani, oggi sollecitati a collaborare tra loro, ed orientati verso una convivenza unitaria a raggio mondiale. Si è, infatti, intensamente accentuata la circolazione delle idee, degli uomini, delle cose. Sicché sono aumentati enormemente e si sono infittiti i rapporti tra i cittadini, le famiglie, i corpi intermedi appartenenti a diverse comunità politiche».
Nella Gaudium et spes: al n. 6 si rileva che «senza arresto si moltiplicano i rapporti degli uomini con i propri simili e, a sua volta, questa “socializzazione” crea nuovi rapporti»; al n. 25 si nota che «in questo nostro tempo [...] si moltiplicano i rapporti e le interdipendenze dalle quali nascono associazioni e istituzioni diverse, di diritto pubblico e privato: fatto che viene detto “socializzazione”»; e al n. 63 si parla di «moltiplicazione ed intensificazione dei rapporti d’interdipendenza tra cittadini, gruppi e popoli».

12 Dispiace che nei quattro Documenti non si riconosca alla comunicazione dei mass media tutta l’efficacia socializzante che, invece, pensiamo, le va riconosciuta. Infatti, nella Lettera non v’è cenno alle cause della socializzazione. Nella Mater et magistra, tra i fattori remoti della socializzazione s’indica «la tendenza ad associarsi per il raggiungimento di obiettivi che superano la capacità e i mezzi di cui possono disporre i singoli individui [...]: tendenza naturale quasi incontenibile degli esseri umani» (n. 19); e tra i fattori prossimi s’indicano – oltre al «crescente intervento pubblico» (ivi) – «molteplici fattori storici, tra i quali: il progresso scientifico e tecnico, una maggiore efficienza produttiva e un più alto tenore di vita dei cittadini» (n. 58). La Pacem in terris ricorda soltanto «i recenti progressi delle scienze e delle tecniche» (n. 129).
Infine, la Gaudium et spes in argomento si limita ad un generico «varie cause» (n. 21). A proposito, poi, degli strumenti della comunicazione sociale non manca di notare che «favoriscono nel modo più largo e più rapido la conoscenza degli avvenimenti e la diffusione delle idee e dei sentimenti, non senza suscitare reazioni a catena» (n. 6); quindi passa a rilevare che «le condizioni di vita dell’uomo moderno, sotto l’aspetto sociale e culturale, sono profondamente cambiate, cosicché è lecito parlare di una nuova epoca della storia umana» preparata «dal progresso delle tecniche, dallo sviluppo e dall’organizzazione degli strumenti della comunicazione sociale» (n. 14).

13 Nel 1955 la Segreteria di Stato, senza nominarla, faceva dipendere la massificazione piuttosto dal «dominio smisurato degli strumenti»: «Lo sviluppo delle tecniche di diffusione nel XX secolo ha sollevato un problema nuovo e indubbiamente più gravoso. Non si tratta più dell’impiego, buono o cattivo, che l’uomo e la società possano fare di questi potenti mezzi di azione posti a loro disposizione, bensì del dominio smisurato che lo strumento, sfuggendo al controllo del suo artefice, tende ad esercitare oggidì sulla persona umana [...]. L’irruzione nella nostra società delle tecniche moderne di comunicazione minaccia l’uomo nella sua autonomia spirituale. Sotto la pressione di un dirigismo informativo, mediante la seduzione dell’immagine e mediante l’ossessione della propaganda, l’azione congiunta della stampa, della radio, del cinema e della televisione riesce ormai a foggiare la coscienza dell’individuo a sua insaputa, invade a poco a poco tutta la sua attività mentale e determina atteggiamenti che vengono ritenuti spontanei» (Lettera per la 42ª Settimana Sociale di Francia, Nancy 1955, sul tema Les techniques de diffusion dans la civilisation contemporaine, cfr E. BARAGl.l, op. cit., n. 1647).
Nel 1966, invece, la stessa Segreteria di Stato rilevava i rapporti tra opinione pubblica e socializzazione (o acculturazione?): «Nel mondo odierno l’opinione pubblica, su piano di conoscenza, di giudizio e di comportamento, risente fortemente di un’accelerata socializzazione. Nei gruppi sempre più numerosi e complessi che formano le diverse società, ogni individuo s’incontra in modi di parlare, di pensare e di agire, che, mentre l’integrano psicologicamente al gruppo, influiscono profondamente su di lui e lo condizionano. Conviene, dunque, che in siffatto rinserrarsi di opinioni comuni, che esercitano pressioni sempre maggiori, l’uomo sia in grado di conservare la propria libertà di pensiero e di decisione. Tra i problemi più gravi posti all’uomo di oggi c’è senza dubbio quello dell’avvenire della persona umana nel progredire inarrestabile della socializzazione» (Lettera per la 52ª Settimana Sociale di Francia, Nizza 9-11 luglio 1966, sul tema L’opinion publique; cfr E. BARAGLI, op. cit., Doc. 710).

14 E cosi la citata Lettera sull’opinione pubblica (Nizza 1966): «Tra i problemi posti all’uomo d’oggi c’è senza dubbio quello dell’avvenire della persona umana nel progredire inarrestabile della socializzazione. Sarà compito dell’educazione, iniziata sin dai primi anni, di formare la mente e il carattere a resistere ai pericoli propri di un’opinione pubblica di massa, quali: l’abuso di slogan, la creazione di miti, la semplificazione dei problemi, la standardizzazione delle idee, la pressione di gruppo» (n. 10).

15 Cfr A. MATTELART, Multinazionali e comunicazioni di massa, Roma, Ed. Riuniti, 1977 (cfr Civ. Catt. 1978 III 548); e Comunicazione come dominio?, Milano, Angeli, 1979. La XIX Sessione della Conferenza generale dell’UNESCO (Nairobi, 30 nov. 1976) approvava un ordine del giorno in cui si richiedeva all’UNESCO di favorire «l’affrancamento dei Paesi in via di sviluppo dallo stato di dipendenza [...] che tuttora caratterizza i loro sistemi di comunicazione e informazione»; mentre, in una Dichiarazione della Conferenza di New Delhi (8-13 luglio 1976) dei Paesi non allineati era stato detto: «I Paesi non allineati hanno notato con preoccupazione la vasta e sempre crescente frattura fra le proprie potenzialità di comunicazione e quelle dei Paesi avanzati [...]: situazione di dipendenza e di dominio nella quale la maggior pane dei Paesi sono ridotti ad essere passivi recipienti di informazioni influenzate, insufficienti e distorte».

16 Recita l’art. 19 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo dell’ONU (10 dic. 1948): «Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione [...] e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere»; e recita l’art. 2 del Patto internazionale sui diritti civili e politici dell’ONU (16 dic. 1966), applicativo della precedente: «Ogni individuo ha il diritto alla libertà di espressione; tale diritto comprende la libertà di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee di ogni genere, senza riguardo a frontiere: oralmente, per iscritto, mediante la stampa, in forma artistica o attraverso qualsiasi altro mezzo a sua scelta».
In particolare circa l’informazione, l’Atto finale della Conferenza sulla Sicurezza e Cooperazione in Europa, di Helsinki (1973-1975), reca: «Gli Stati partecipanti [...] si propongono in particolare: 1. di facilitare la diffusione dell’informazione orale [...]; 2. di facilitare il miglioramento, sul loro territorio, dei giornali e delle pubblicazioni stampate, periodiche e non periodiche, degli altri Stati partecipanti [...] e di migliorare l’accesso del pubblico a (dette) pubblicazioni [...]; 3. di promuovere il miglioramento dell’informazione filmata e radiotrasmessa [...]; (ed anche) di ampliare le possibilità dei giornalisti degli Stati partecipanti di comunicare personalmente con le loro fonti d’informazione, comprese tra queste le organizzazioni e le istituzioni ufficiali; di accordare ai giornalisti degli Stati partecipanti il diritto di importare [...] l’attrezzatura tecnica [...] necessaria per l’esercizio della loro professione» (cfr Relazioni Internazionali, 1975, nn. 32-33, 800 ss.).

17 Prima di enunciare il principio: «Appartiene, dunque, alla società umana il diritto all’informazione su quanto [...] convenga alle persone, singole ed associate», l’Inter mirifica (n. 5) precisa: «La pubblica e pronta comunicazione degli eventi e delle situazioni ne offre ai singoli uomini quella conoscenza più adeguata e continua che li mette in grado di contribuire efficacemente al bene comune e di promuovere, insieme con gli altri, un rapido progresso di tutta la società».

18 Scrive D. MacDONALD (Masscult e midcult, in L’industria della cultura, Milano, Bompiani, 1969, 52): «Le masse sono nel tempo storico ciò che la folla è nello spazio: una gran quantità di persone incapaci di esprimere le loro qualità umane perché non sono legate le une alle altre né come individui né come membri di una comunità [...]. L’uomo di massa è l’uomo solitario, uniforme, identico ai milioni di altri atomi destinati a formare "La folla solitaria” di D. Riesman. La moralità della società di massa scende al livello dei membri più primitivi [...] e il suo gusto scende al livello del meno sensibile e del più ignorante».

19 Per il Vaticano II cfr E. BARAGLI, L’Inter mirifica, Roma, La Civiltà Cattolica, 1969, 267. Tra gli autori, prima del Concilio: M. McLUHAN, in Rassegna Italiana di Sociologia, 1962, n. 3, 335; dopo il Concilio: G. TINACCI MANNELLI, Le grandi comunicazioni, Firenze, Istituto di Sociologia dell’Università, 1967, 21 ss.

20 R. E. ESPOSITO, La massificazione non esiste, Roma, Ed. Paoline, 1978 (cfr Civ. Catt. 1979 IV 96); in particolare, a p. 37, Fondamenti pretestuosi della massificazione, tra i quali l’A. annovera l’elitarismo estetico-culturale e il classismo sociologico.

21 Tale l’appariscenza delle convenzioni, la perentorietà degli slogan, le promesse illusorie, le «autorità» fasulle; e soprattutto l’abbinamento ai prodotti-servizi di modelli e simboli sempre attinenti ad una visione irreale (perenne giovinezza, salute, successo...), egoistica (potere, benessere...) ed evasiva della vita; quando non anche polarizzata sull’erotismo gratuito e volgare.

22 Pio XII, Lettera «Der Katholische Deutsche» alla sig.a Gerta Krabbel, 17 luglio 1952.

23 Pio XII, Discorso «Dans l’Encyclique», 17 luglio 1954.

24 Pio XII, Lettera a Charles Flory, presidente delle Settimane Sociali di Francia, 14 luglio 1955, n. 5.

25 Paolo VI, Lettera ad Alain Barrère, presidente delle “Settimane Sociali di Francia”, 2 luglio 1966, n. 10.

22 Ci riferiamo alla nota teoria del sociologo americano Joseph Klapper. Il quale, una ventina di anni fa, si pose il problema dell’effettiva efficacia suasoria della massa dei masss media sulle masse dei recettori; e – dopo aver analizzato e sintetizzato quanto in argomento era stato pubblicato di valido specialmente in USA e in Inghilterra – concluse che le comunicazioni dei mass media «agiscono insieme ad altri fattori [...] esterni ad esse, che ne medierebbero l’influenza in modo da renderla causa di rafforzamento piuttosto che di variazione»: e tra questi fattori pose, in primo luogo, le predisposizioni dei recettori e i relativi processi di esposizione, percezione e memorizzazione selettiva (J. T. KLAPPER, Gli effetti delle comunicazioni di massa, Milano, ETAS Compass, 1964, 53 ss., 60).

27 GIOVANNI PAOLO II, Messaggio per la quaresima, in Oss. Rom., 4 marzo 1981, 1.

28 Cfr Summa contra gentiles, l. IV, cap. 42: Quod assumption humanae naturae maxime competebat Verbo Dei. Concorda la bella preghiera della liturgia dell’Avvento: Qui de nobis suscepisti quod divinitati tuae convenire videbas: de tuo conferas quod in nos expectatus impertias (Officium horarum, 20 dic., Preces ad vesperas).

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Articolo estratto dal volume II del 1981 pubblicato su Google Libri.

Il testo è stato corretto dai refusi di stampa e formattato in modo uniforme con gli altri documenti dell’archivio.

I riferimenti ai documenti del magistero pontificio sono stati resi interattivi e portano al sito del progetto “Chiesa e Comunicazione”, la biblioteca digitale online che prosegue l’attività iniziata da p. Baragli con le opere Cinema cattolico: documenti della Santa Sede sul cinema e Comunicazione Comunione e Chiesa.

ARTICOLO SU

Da quando, secondo il disposto del decreto conciliare Inter mirifica1, si è celebrata ogni anno nella Chiesa cattolica una Giornata Mondiale dei mass media, questa rivista, con una certa regolarità, è andata presentando brevemente i temi che via via sono stati proposti, per l’occasione, dai Papi2. Ma il tema fissato da Giovanni Paolo II per la prossima XV edizione della Giornata (31 maggio 1981) – Gli strumenti della comunicazione sociale al servizio della libertà responsabile degli uomini – ci sembra di tale e tanta portata da richiedere qualcosa di più delle poche pagine consuete. Esso centra, infatti, non uno dei tanti problemi – filosofici, pedagogici, sociologici, ed anche teologici e pastorali – più o meno rilevanti posti dai mass media, o connessi con gli stessi; bensì «il problema» fra tutti fondamentale, primario ed ultimo, che tutti li comprende: quello di un’azione dei mass media che non sia di dominio sull’uomo, ma di servizio all’uomo, sicché con il loro uso «l’uomo in quanto uomo [...] non regredisca e si degradi nella sua umanità», ma «diventi veramente migliore, cioè [...] più consapevole della dignità della sua umanità, più responsabile»3.

Cercheremo, dunque, nelle pagine che seguono, di chiarire ed approfondire, nella scia del Magistero romano, i termini di questo tema pontificio, per poi rilevare come la tutela dei più fondamentali valori umani in esso richiamata solleciti, oggi più che non mai in passato, l’attenzione e l’impegno pastorale della Chiesa.

L’uomo tra natura e cultura

L’uomo è necessariamente essere sociale. Per poter evolvere e conservarsi autenticamente «uomo», egli deve poter vivere ed operare con i propri simili, non solo a contatto fisico, ma in un contesto di mutue comunicazioni e scambi.

Nota la Gaudium et spes (n. 25): «Dall’indole sociale dell’uomo appare evidente come il perfezionamento della persona umana e lo sviluppo della stessa società siano tra loro interdipendenti. Infatti, principio, soggetto e fine di tutte le istituzioni sociali è e deve essere la persona umana, come quella che di sua natura ha necessariamente bisogno della vita sociale. E, dato che la vita sociale non è qualcosa di accidentale all’uomo, l’uomo cresce in tutte le sue doti e può rispondere alla sua vocazione mediante i rapporti con gli altri, le mutue prestazioni, il colloquio con i fratelli». E così, prima, la Pacem in terris (n. 31): «Gli esseri umani, essendo persone, sono sociali per natura. Sono nati, quindi, per convivere e operare gli uni a bene degli altri».

Opportunamente il sociologo ed etnologo Lévi-Strauss ha proposto di ridurre questo umano «essere società, o cultura» a tre livelli di comunicazione: quella personale dei sessi (o della parentela), quella dei beni e dei servizi (o dell’economia) e quella dei messaggi (o del linguaggio, e degli altri campi semiologici)4. Ma, anche senza scomodare Mounier o Marcel, Kierkegaard o Heidegger, si può accertare che, tra queste comunicazioni, la più radicale esigenza dell’uomo sta nella terza, quella del linguaggio: condizione e premessa necessaria delle altre. Infatti, se dalla prima infanzia viene tagliato fuori da ogni comunicazione e linguaggio umano, l’uomo non evolve in «uomo». Da buon favoliere, Kipling ha un bel fantasticare sullo sviluppo umano del suo Mowgli, cresciuto tra gli animali della foresta. Più nel vero, raccontando quanto veramente era avvenuto nei primi del secolo scorso in Francia al «selvaggio di Aveyron», il regista Truffaut ci ha quasi dimostrato, nelle vesti del dott. ltard, che un «cucciolo d’uomo», cresciuto nella foresta fuori da ogni contatto umano, regredisce inevitabilmente ad animale selvatico; in grado di risalire ad «uomo» soltanto se, preso a tempo, venga riacculturato tra gli uomini mediante un laborioso tirocinio verbale.

Né le cose vanno molto diversamente per gli adulti singoli; come pure, in una certa misura, per la famiglia umana nel suo insieme. Per i primi, infatti, l’esperienza quotidiana accerta quanto il frequente e multiforme dialogo interpersonale ne conservi e potenzi l’umano patrimonio intellettuale ed affettivo, e quanto, invece, un loro segregarsi dai propri simili, quando già in se stesso non denoti una patologica decadenza umana, a lungo andare ne possa compromettere lo sviluppo dell’intelligenza e dell’animo. Circa, poi, l’intera famiglia umana, non sono mancati storici di valore che hanno indicato nella stessa densità della popolazione rispetto al territorio – quindi anche nella sua densità di comunicazione – una conditio sine qua non per l’iniziale avvio culturale dell’uomo5; e che, viceversa, hanno preannunciato un irreversibile regresso dell’odierna cultura-civiltà qualora detta densità scendesse sotto una soglia minimale.

In queste ed in altre storiche variazioni nella densità di comunicazione tra gli umani, quali devono essere i rapporti tra livelli di libertà e gradi di responsabilità perché sia salva la dignità della persona umana? Per rispondere, supponiamo pacifica l’accezione, in generale, di «libertà» quale capacità di autodeterminazione, ossia di operare in assenza di vincoli6; e che la libertà si presenta quale principio d’iniziativa della persona in quanto tale, sicché in generale non si possa parlare di persona là dove si neghi la libertà e, viceversa, non si possa parlare di libertà là dove si neghi la persona. Nel caso, poi, della persona-uomo supponiamo anche pacifico che i suoi atti siano a lui imputabili – cioè che egli ne sia «personalmente responsabile» – solo nella misura in cui essi risultino, di fatto, autenticamente «suoi», «umani»; vale a dire: siano ammessi da lui quale pieno «autore» degli stessi, libero cioè da ogni necessità, sia esterna, sia interna; ogni difetto, infatti, che ne riduca gli spazi di libertà – quali, ad esempio, l’ignoranza o la passione, la paura o la violenza – ne riduce l’«umanità», quindi la responsabilità.

Rileva ancora la Pacem in terris (n. 34): «La dignità di persona, propria di ogni essere umano, esige che esso operi consapevolmente e liberamente. Perciò nei rapporti della convivenza [...] le mille forme di collaborazione vanno attuate specialmente in virtù di decisioni personali; prese cioè per convinzione, di propria iniziativa, in attitudine di responsabilità, e non in forza di coercizioni o pressioni provenienti soprattutto dall’esterno».

Su queste premesse, rileviamo come, da una parte, l’uomo, nel passare, con il linguaggio, da natura a cultura, illuminandoglisi l’intelligenza è andato via via superando l’autodeterminazione originaria della spontaneità naturale, irresponsabile, propria dell’istinto a livello animale, per accedere, nelle proprie azioni, ad un’interna capacità di scelta personale dei fini, e dei mezzi rispetto agli stessi; ma che, dall’altra, aumentando i livelli di socializzazione ed i gradi d’integrazione dei singoli individui nei rispettivi gruppi sociali che, anche per tramite del linguaggio, col tempo si andavano via via attuando e manifestando, nello stesso uomo si sono andati limitando gli spazi della esterna libertà di scelta. Intanto perché glieli limitavano le norme di comportamento nelle quali gli stessi gruppi sociali – dalla famiglia al clan, alla tribù... – si riconoscevano, e che, pena il rigetto, imponevano ai propri membri; inoltre, perché glieli ha limitati l’accresciuta strutturazione societaria quando, venuta la scrittura a potenziare nello spazio e nel tempo la comunicazione verbale, le grandi masse degli analfabeti restarono alla mercé dei pochi che lo stesso oligopolio della comunicazione scritta costituiva in potere.

Abbiamo così quasi uno schema che caratterizza i rapporti tra i gradi di libertà e le crescenti responsabilità dei singoli individui negli sviluppi della comunicazione umana. Da una parte, nei detentori dei mezzi, con la libertà di usarne, c’è la facile tentazione, proporzionale all’efficienza degli stessi, di degradarne l’uso, da servizio all’uomo in funzione del bene comune, a dominio sullo stesso; dall’altra, c’è nei recettori il diritto di libero accesso e di libero uso dei mezzi di comunicazione, tuttavia nei limiti che all’esercizio di detto diritto venissero imposti dalle esigenze dello stesso bene comune; e nella comunicazione degli uni e degli altri, dunque: una crescente necessità di condotte consapevoli delle rispettive responsabilità.

Nell’odierna comunicazione socializzante

Ciò vale massimamente nell’odierna comunicazione umana, addensata ed universale, attuata dai mass media. Avviata, un secolo e mezzo fa, con la nascita della stampa-giornale (1830), primo moderno veicolo dell’informazione di attualità; incrementata, nel 1895, con l’invenzione del cinema, e dilatata oltre misura negli anni ’20, quando il cinema, di muto che era, diventava sonoro, mentre cominciava a diffondersi la radio; è addirittura esplosa negli anni ’50 con il boom della televisione, per integrarsi e potenziarsi, dopo gli anni ’60, nell’odierno globale processo informativo-tecnotronico, e nell’ormai lanciata telematica.

È l’impatto profondo ed universale di siffatta densità di comunicazione dei mass media, così negli individui come nei tessuti sociali, che ha reso la nostra epoca «degli strumenti della comunicazione sociale» radicalmente diversa da tutte le antecedenti epoche umane «dei mezzi di comunicazione»7. A questo proposito Marshall McLuhan ha parlato di un «villaggio planetario, ricreato dall’interdipendenza elettronica»8 e di un, più noto, «villaggio globale», nel quale, «grazie all’elettricità, ristabiliamo ovunque rapporti personali diretti, come nel più piccolo dei villaggi. È un rapporto di profondità e senza deleghe di funzioni e di potere. L’organico soppianta ovunque il meccanico; il dialogo subentra alla conferenza»9.

Personalmente preferiamo parlare piuttosto di «socializzazione» nell’accezione che del termine si è andata consolidando nel Magistero romano10: dalla Lettera della Segreteria di Stato per la 47ª Settimana Sociale di Francia (Grenoble: 14-17 luglio 1960) sul tema, appunto, Socialisation et personne humaine, alle encicliche di Giovanni XXIII Mater et magistra (15 maggio 1961) e Pacem in terris (11 aprile 1963), e alla Gaudium et spes (nn. 6, 25 e 63) del Vaticano II (1965)11; anche perché ci consta che lo stesso Vaticano II, nel decreto Inter mirifica (1963), qualificando «sociale» la comunicazione attuata dagli odierni «strumenti» ha inteso denotare proprio la loro funzione doppiamente socializzante; di una comunicazione, cioè, che, mentre è da ritenere fattore principale di detta socializzazione12, nello stesso tempo non può non essere praticata da complessi umani già fortemente socializzati.

Data quest’intima interdipendenza, non è agevole dire in quale misura altri grossi fenomeni sociali concernenti i valori di libertà responsabilità personale degli individui – ad esempio: la massificazione, la pressione della cosiddetta opinione pubblica... – dipendano piuttosto dai mass media che dalla socializzazione13. Crediamo, perciò, di non forzare troppo la realtà delle cose riferendo anche a quelli ciò che i quattro documenti romani, di cui sopra, notano (quasi soltanto) circa la socializzazione.

Intanto se ne rilevano i vantaggi:

«sia nell’ordine economico e sociale, sia in quello culturale. Oltre che sviluppare il senso di collaborazione e di solidarietà, essa permette di dare una soddisfazione concreta a bisogni sociali di primaria importanza» (Lettera, n. 10).
«Rende attuabile la soddisfazione di molteplici diritti della persona, specialmente quelli detti economico-sociali [...]. Inoltre, mediante la sempre più perfetta organizzazione degli strumenti moderni della diffusione del pensiero [...], si permette alle singole persone di prender parte alle vicende umane su raggio mondiale, quasi vi assistessero di presenza» (Mater et magistra, n. 60).
«Sebbene non manchi di pericoli, reca in sé molti vantaggi nel rafforzamento ed accrescimento delle qualità della persona umana e per la tutela dei suoi diritti». «Ai tempi nostri la complessità dei problemi obbliga i pubblici poteri ad intervenire più frequentemente in materia sociale, economica e culturale, per determinare le condizioni più favorevoli che permettano ai cittadini e ai gruppi di perseguire più efficacemente, nella libertà, il bene completo dell’uomo» (Gaudium et spes, nn. 25 e 75).

Quindi se ne additano gli svantaggi a (temuto) detrimento delle individue personalità umane:

«D’altra parte la socializzazione amplifica smisuratamente l’apparato burocratico; rende sempre più minuziosa la regolamentazione giuridica dei rapporti umani in tutta la vita associata; impiega metodi che comportano il grave rischio della “disumanizzazione” [...]. L’uomo di oggi vede restringersi eccessivamente, in non pochi casi, la sfera in cui può pensare da sé, agire di propria iniziativa, esercitare le proprie responsabilità, affermare ed arricchire la propria personalità» (Lettera, n. 11; e, quasi con le stesse parole, Mater et magistra, n. 61).
«Non manca di pericoli». «Crea nuovi rapporti, senza favorire sempre una corrispondente maturazione della persona, e rapporti veramente personali» (Gaudium et spes, nn. 25 e 6)14.

Ulteriormente, i documenti respingono l’ipotesi evasiva di una socializzazione che, nel bene e nel male, cresca deterministicamente, per collocarla negli spazi delle libertà e responsabilità umane, sia di quelli che ne controllino le strutture, sia degli individui che ne compongano il connettivo:

«Ne segue, forse, che il processo di socializzazione non potrà essere controllato e che, sviluppandosi sempre più in ampiezza e profondità, ridurrà fatalmente un giorno gli uomini a livello di automi? Certamente no» (Lettera, n. 12; e, quasi con le stesse parole, Mater et magistra, n. 61).
«Perché la socializzazione non è la risultante di forze naturali che agiscono secondo un immutabile determinismo. Essa è opera dell’uomo, di un essere libero e responsabile dei propri atti» (Lettera, n. 12); «di uomini, esseri consapevoli, liberi e portati per natura ad operare in attitudine di responsabilità, anche se nel loro agire sono tenuti a riconoscere e a rispettare le leggi dello sviluppo economico e del progresso sociale, e se non possono sottrarsi del tutto alla pressione dell’ambiente» (Mater et magistra, n. 62).

Infine, data l’ovvia conclusione che «dunque, occorre saper approfittare dei vantaggi della socializzazione e, insieme, saper difendere la persona dalle gravi minacce che il suo sviluppo eccessivo e disordinato farebbe pesare su di essa» (Lettera, n. 12), nei documenti si rilevano i compiti e le responsabilità delle parti, considerate non rivali né antagoniste, ma concorrenti e complementari nel conseguimento del bene comune. Da una parte, dunque, l’autolimitazione del «potere» secondo il generale principio di sussidiarietà (cfr Lettera, n. 13); dall’altra, una responsabile partecipazione dei singoli perché si lascino, sì, coinvolgere, secondo i propri diritti e doveri, dalla socializzazione e dai mass media, ma conservando intatti i propri valori personali di sempre libere scelte.

«Nelle forme organizzative proprie della società odierna, l’ordine sociale si realizza sempre più con l’equilibrio rinnovato tra due esigenze: da una parte quella di un’autonoma ed operante collaborazione di tutti, individui e gruppi; dall’altra quella di un’azione tempestiva di coordinamento e di indirizzo da parte del potere pubblico. Qualora la socializzazione si attui nell’ambito morale secondo le linee indicate, non importa, di sua natura, alcun pericolo grave di compressione ai danni dei singoli esseri umani» (Mater et magistra, nn. 65 e 66).

«Nella convivenza umana ogni diritto naturale in una persona comporta un rispettivo dovere in tutte le altre persone di riconoscere e di rispettare quel diritto [...]. Ciò domanda che la convivenza umana sia ordinata, e quindi che i vicendevoli diritti e doveri siano riconosciuti ed attuati; ma domanda pure che ognuno porti generosamente il suo contributo alla creazione di ambienti umani, in cui diritti e doveri siano sostanziati da contenuti sempre più ricchi [...]; e postula pure che gli esseri umani collaborino tra loro nelle mille forme e gradi che la civilizzazione consente, suggerisce, reclama» (Pacem in terris, nn. 30-34).
«Il rapporto tra la socializzazione e l’autonomia e il progresso della persona può essere concepito in modo differente [...] secondo l’evoluzione dei popoli. Ma dove l’esercizio dei diritti viene temporaneamente limitato a causa del bene comune, quando le circostanze cambino, si ripristini il più presto possibile la libertà [...]. Tutti i cristiani devono prendere coscienza della propria speciale vocazione nella comunità politica: devono essere d’esempio, sviluppando in se stessi il senso di responsabilità e la dedizione al bene comune, così da mostrare pure con i fatti come possano armonizzarsi l’autorità e la libertà, l’iniziativa personale e la solidarietà di tutto il corpo sociale» (Gaudium et spes, n. 75).

Manipolatori e manipolati

Questo, nel Magistero romano, il quadro d’assieme dell’odierna comunicazione dei mass media, parte sostanziale e trainante di quel globale sviluppo tecnologico col quale – come rileva ancora la Redemptor hominis – l’uomo attua «il dominio sul mondo visibile, a lui assegnato come compito dallo stesso Creatore. Il cui senso essenziale consiste nella priorità dell’etica sulla tecnica, nel primato della persona sulle cose, nella superiorità dello spirito sulla materia»; quando, tuttavia, «esiste già un reale e percettibile pericolo che [...] di questo dominio l’uomo perda i fili essenziali, e in vari modi la sua umanità venga sottomessa a quel mondo, ed egli stesso divenga oggetto di multiforme [...] manipolazione, mediante tutta l’organizzazione della vita comunitaria [...] e mediante la pressione degli strumenti di comunicazione sociale»; (Redemptor hominis, n. 16).

Effettivamente, nei mass media, poteri manipolatori dell’uomo d’oggi, palesi o dissimulati, operano irresponsabilmente a tre livelli: sopranazionali, nazionali e connessi con le singole strutture massmediali: tutti praticamente conducibili a prevaricazioni, più o meno consapevoli, di carattere economico e/o ideologico.

A livelli sopranazionali troviamo l’uso massiccio ed oligopolistico di mass media e di attività congeneri – soprattutto agenzie di stampa, ma anche programmi, tecnologie spaziali, hardware e software didattici e pedagogici, elaboratori elettronici di dati, tempo libero... – da parte di Paesi tecnologicamente egemoni, e delle loro tentacolari «multinazionali», che, in un restaurato colonialismo imperialista, operano a scapito, oltre che delle economie, anche e soprattutto delle culture native di interi Paesi tecnologicamente dipendenti, specialmente – ma non solo! – del Terzo Mondo15.

Ci sono poi, a livelli nazionali, i pubblici poteri. I quali, quando non vengano essi stessi manipolati, ed impediti nella loro legittima e doverosa libertà di movimento e di azione, da pressioni di «opinioni pubbliche» tanto incontrollabili ed irresponsabili quanto estemporanee ed anonime; troppo spesso manipolano la formazione delle opinioni e del pubblico consenso, emanando leggi censorie, o applicandone ad arbitrio, sì da ostacolare, o del tutto impedire, entro e fuori delle proprie frontiere, l’informazione veritiera e completa: prima vietando l’accesso alle fonti, poi mutilando i servizi non graditi e perseguendone gli autori, infine impedendone la circolazione; quando non soffochino tutto nel silenzio, o non impongano proprie versioni del tutto menzognere delle cose, degli eventi e delle situazioni, con battages propagandistici, veri «lavaggi di cervelli». Di fatto, in tutto il mondo, da una trentina d’anni a questa parte, tutti i Paesi vanno impegnandosi, con solenni Dichiarazioni e Convenzioni16, al rispetto e alla tutela dei diritti e libertà fondamentali dell’uomo, compreso il diritto all’informazione. Purtroppo, però, – si veda la tragicommedia giocata dai Paesi comunisti, con l’Atto di Helsinki, nel 1977 a Belgrado, ed a Madrid in questo 1981 – molto spesso tra il loro dire-firmare e il loro fare-mantenere c’è di mezzo, non il mare, ma oceani.

Ci sono, infine, i manipolatori connessi con le singole strutture mass-mediali. Uno è il potere economico degli imprenditori, dei produttori e dei promotori, che, irresponsabilmente attenti soltanto al profitto in rapporto alla recettività del mercato – si pensi, ad esempio, alla funzione sostentante (oppure asfissiante) da essi esercitabile col manovrare l’ossigeno della pubblicità! – respingono e ignorano testate, autori e programmi culturalmente ed eticamente validi che si prevedano «non redditizi», per lanciarne e sostenerne altri evasivi, sensazionali, scandalistici e in ogni caso consumistici, affaristicamente «promettenti»; così il mercato – cioè il pubblico ignaro – finisce con essere, insieme, manipolatore e manipolato. L’altro sta nella potenza espressivo-suggestiva propria dei media, che gli autori – giornalisti, registi, attori... – più o meno ossequienti agli stessi interessi economici (o ideologici) dei produttori e promotori – quindi anch’essi manipolati e manipolatori – si piegano a sfruttare al massimo, sforzando la resa fascinosa dei loro elementi espressivi: dalle immagini e dal colore al sonoro, dai materiali umani, plastici e scenografici all’impaginazione e al montaggio...

Individui-persone o masse informi?

Quali i pericoli o, diciamo pure, i guasti che siffatti irresponsabili usi ed abusi manipolatòri nei mass media arrecano agli individui ed alla collettività? Uno, e già rilevante, concerne l’informazione; la quale, infatti, se carente o, peggio, se menzognera, mina alla base ogni corretta vita democratica, rendendo impossibile quel necessario efficace contribuire al bene comune da parte dei singoli e dei gruppi che, nella società umana, è la ragione stessa del loro inalienabile diritto all’informazione17. Un altro guasto, più macroscopico e complesso – sul quale conviene soffermarci, in quanto più attinente all’intenzione papale di cui stiamo trattando – è la «massificazione», intesa quale processo di spersonalizzazione degli individui-recettori nella loro autonomia interiore, sì da farli poi agire come succubi di impulsi gregari: resi «gregge» o, appunto, «massa»; vale a dire – nell’accezione dell’apocalittico MacDonald18 – numeri, atomi, di moltitudini amorfe, inerti, che possono essere mosse soltanto dal di fuori.

Alcuni psicologi e sociologi, per lo più divulgatori, ritengono siffatta massificazione una caratteristica tanto propria dei mass media da sostenere che questi, per la loro stessa natura, non potrebbero non massificare. Noi non li seguiamo, come non li seguono il Vaticano II ed alcuni autori19: il quale e i quali, per non sembrar di avallare tale pessimistica opinione, addirittura hanno rifiutato di usare le dizioni correnti «mass media» e mezzi (o comunicazioni) «di massa». Ma non seguiamo neanche l’ottimismo mcluhaniano di chi recisamente nega che esista una massificazione20: per restare all’analisi obiettiva tecnico-strutturale degli stessi media, e all’esperienza di ogni giorno, le quali li dimostrano, in teoria, efficacissimi massificatori potenziali, ed anche, troppo spesso, nella realtà, massificatori di fatto. Si tratta, in verità, di un processo in cui molteplici fattori tendono, integrandosi a vicenda, da una parte a menomare nei recettori i valori propri di personalità umanamente adulte – intelligenza lucida e logica, volontà consapevole, apertura al dialogo sociale... –, e ad ipertrofizzare un loro psichismo infantile, di umanamente immaturi, fatto di stati emotivi, di futili interessi lusori, di un sognare solipsistico fuori delle realtà della vita vissuta...; mentre, dall’altra, tendono ad incanalarli in comportamenti gregari, prima formandone i giudizi-sentimenti e gli atteggiamenti operativi, poi, all’occasione, mobilitandoli in masse d’urto verso mete e scopi concreti.

Tra i fattori della prima specie, si pensi alla massima suggestione a-logica raggiungibile nel cinema, dato il massimo di suggestività; dei suoi stimoli espressivi (immagini schermico-sonore in montaggio) ed il massimo di suggestionabilità; dei suoi recettori (resi «pubblico» e posti «nel buio», escluso ogni controllo-ambiente). A proposito d’impegno culturale-intellettivo, e rispetto. ai problemi socio-etici dell’esistenza umana, si pensi alla mass-midcult al Kitsch diffusi nella massima parte dei programmi mass-mediali, e all’evasione ludico-agnostica commisurata alle enormi estensioni delle audience: culturalmente scadenti, e socio-eticamente eterogenee. Infine, rispetto alla carenza di dialogo sociale, si pensi alla comunicazione unidirezionale dei mass media, che, a differenza di quella interpersonale, esclude ogni colloquio o risposta da parte del recettore; il quale, per giunta, specie alla televisione, è portato ad assimilare la realtà comunicata in una conoscenza globale, spesso carente di veicolo espressivo verbale: onde una deprivazione linguistica, fattore non ultimo d’incomunicabilità.

E, tra i fattori della seconda specie, si pensi all’azione massiva trainante della pubblicità; nell’imporre come necessari, su motivi arazionali21, a masse-cavie del più avvilente consumismo, prodotti e servizi inutili o superflui, specie da quando, con norme dedotte dalla psicologia individuale dei recettori, dalla psicologia differenziale dei gruppi e delle folle, e soprattutto dalle ricerche motivazionali, essa s’è andata strutturando – con l’aiuto di colossali mezzi finanziari – dà empirica, in vera scienza. E si pensi all’a-logica azione psicologica, non meno massiva-trainante, dell’odierna onnipresente propaganda politica e/o ideologica, che ricorrendo a megafoni e titoloni, scritte e slogan, interviste tribune e referendum montati, sit-in, manifestazioni e scioperi... , manipola e solleva le masse contro «il nemico» di turno, a gloria del mitico «Capo» di turno.

Rilevava Pio XII: «Si direbbe che tutto congiuri per rendere difficile [...] all’uomo [...] di salvare la sua dignità di persona. La tecnica, i metodi della pubblicità e della propaganda [...] non lasciano un minuto di requie ai sensi, ed impediscono così ogni possibilità di raccoglimento [...]. La vita nelle grandi città condiziona in modo sempre più diretto la forma dell’esistenza umana: l’individuo è continuamente risucchiato dalla massa»22. Il mondo «penetra in voi con le sue immagini, la sua pubblicità, i suoi spettacoli, impone alle vostre menti le sue massime, al vostro gusto la sua moda [...]; l’unica brama della folla sembra essere la soddisfazione dei bisogni materiali, il benessere, il piacere [...]. Per conservare la vostra libertà di fronte alle sollecitazioni, spesso lucrose, che da tutte le parti assalgono i vostri sensi e la vostra curiosità, che chiedono la vostra attenzione, il vostro tempo, occorre costruire nel vostro interno una fortezza spirituale»23.

E notano due più recenti Lettere della Segreteria di Stato: «Lo sviluppo delle tecniche di diffusione del sec. XX ha sollevato un problema nuovo e indubbiamente più gravoso. Non si tratta più dell’impiego, buono o cattivo, che l’uomo e la società possono fare di questi potenti mezzi di azione posti a loro disposizione, bensì del dominio smisurato che lo strumento, sfuggendo al controllo del suo artefice, tende oggi ad esercitare nella persona umana [...]. L’irruzione nella nostra società delle tecniche moderne di comunicazione minaccia l’uomo nella sua autonomia spirituale. Sotto la pressione di un dirigismo informativo, mediante la seduzione dell’immagine e mediante l’ossessione della propaganda, l’azione congiunta della stampa, della radio, del cinema e della televisione riesce ormai a foggiare la coscienza dell’individuo a sua insaputa, invade a poco a poco tutta la sua attività mentale e determina atteggiamenti che vengono ritenuti spontanei»24. «Nel rinserrarsi di opinioni comuni, che esercitano pressioni sempre maggiori, l’uomo sia in grado di conservare la propria libertà di pensiero e di decisione. Tra i problemi più gravi posti all’uomo d’oggi c’è senza dubbio quello dell’avvenire della persona umana nel progredire inarrestabile della socializzazione. Sarà compito dell’educazione [...] formare la mente e il carattere a resistere ai pericoli propri di un’opinione pubblica di massa, quali l’abuso di slogan, la creazione di miti, la semplificazione dei problemi, la standardizzazione delle idee, la pressione di gruppo»25.

Salvare l’uomo

In siffatto odierno «stato di pericolo», l’intenzione della prossima Giornata Mondiale risuona opportunamente come un allarme e una esortazione. Senz’altro risuona per i relativamente pochi che si trovano in condizione d’influire sulla quantità e qualità culturale umana dei contenuti-messaggi dei mass media, affinché con consapevole responsabilità usino della libertà d’iniziativa e d’intervento che il proprio oligopolistico potere economico, politico e/o creativo, conferisce loro. Risuona, in ogni caso e soprattutto, per milioni e milioni di recettori-fruitori degli stessi mass media, affinché, nell’esorbitante e discorde produzione che, di fatto, il mercato oggi loro offre (e più domani), difendano e promuovano il loro «essere persona» applicando nelle proprie scelte e fruizioni, quasi per istinto prima ancora che per dovere consapevole, i noti criteri di esposizione-percezione-memorizzazione selettive26. E risuona, infine, per quanti sono addetti all’educazione e formazione culturale, etica e religiosa degli stessi recettori-fruitori, perché continuino pure a preoccuparsi della moralità o meno dei singoli programmi e messaggi e, là dove le circostanze ancora lo permettessero, ad invocare difese censorie esterne – che, peraltro, l’evoluzione tecnologica va rendendo sempre meno eseguibili –; ma prima e soprattutto s’interessino a rendere consapevoli i recettori-fruitori del pericolo che corrono di «perdita di umanità», di riduzione a cavie consumistiche e a masse di manovra ideologiche; e li addestrino, di contro agli artifici suasòri dei mass media, ad un continuato esercizio autonomo delle proprie facoltà d’intelligenza e di libero arbitrio.

Si tratta di una pedagogia, e di una profilassi-terapia, di liberazione e ricostruzione della persona umana che neanche può dirsi funzione sussidiaria rispetto alla crua delle anime, compito diretto della pastorale della Chiesa, se è vero – com’è vero – che l’aver compassione e fasciare le ferite dell’uomo lasciato mezzo morto sulla strada di Gerico è dovere di tutti indistintamente i prossimi «di chi è incappato nei briganti» (cfr Lc 10,30 ss.): «Il buon samaritano è ciascuno di noi. Il buon samaritano è la Chiesa»27. Opportunamente nota ancora la Redemptor hominis:

«Il Concilio Vaticano II [...] ha espresso questa fondamentale sollecitudine della Chiesa affinché “la vita nel mondo sia più conforme all’eminente dignità dell’uomo” (Gaudium et spes, n. 91) in tutti i suoi aspetti, per renderla “sempre più umana” (ivi, n. 38)». «Il progresso [...] rende la vita umana sulla Terra, in ogni suo aspetto, più umana? [...] Questa domanda ritorna ostinatamente per quanto riguarda ciò che è essenziale in sommo grado: se l’uomo, come uomo, nel contesto di questo progresso, diventi veramente migliore, cioè [...] più cosciente della dignità della sua umanità, più responsabile [...]. In questo contesto l’uomo in quanto uomo si sviluppa e progredisce, oppure regredisce e si degrada nella sua umanità» (n. 15).

Si tratta, piuttosto, di un, oggi più che in passato, impreteribile impegno almeno di pre-pastorale, per avviare a far «diventare figli di Dio» (Gv 1,12) individui e masse che si trovassero «umanamente» degradate o sinistrate, o che si avviassero a diventarlo; stante, sul modello dell’incarnazione del Verbo, l’esigenza di un preesistente «umano» nell’uomo affinché «il divino» possa liberamente operarvi. Giustamente san Tommaso notava la massima affinità del Verbo (=la Parola) con la nostra natura umana proprio perché l’uomo è uomo in quanto è razionale28: «una natura umana – rileva la Redemptor hominis –, che [perciò] è stata assunta dal Verbo senza per questo venire annientata», o diminuita.

Una natura umana – concludiamo – che, anche perché poi possa essere divinizzata, va restaurata e difesa nella sua propria libertà responsabile, quale che sia, oggi e domani, l’azione, per lo più culturalmente ed eticamente polivalente, degli strumenti della comunicazione sociale.

1 «Per rendere più efficace il multiforme apostolato della Chiesa circa gli strumenti della comunicazione sociale, ogni anno, in tutte le diocesi, a giudizio dei vescovi, si celebri una “Giornata”, nella quale s’istruiscano i fedeli sui loro doveri in questo settore, s’invitino a pregare secondo questa intenzione e ad offrire il loro danaro» (Concilio Vaticano II, Decreto «Inter mirifica», n. 18).

2 Cfr La famiglia, questa grande assente (1969 II 313), Gli strumenti della comunicazione sociale e la gioventù; (1970 II 109), Al servizio della verità (1972 II 209), Strumenti della comunicazione sociale e promozione dei valori spirituali (1973 II 313), «Ditelo nella luce...: predicatelo sui tetti»; (1974 II 313), I mass media al servizio della riconciliazione (1975 II 209), Mass Media e diritti-doveri fondamentali dell’uomo (1976 II 323), Pubblicità e mass media (1977 II 209), Mass media oggi: diritti e doveri del pubblico (1978 II 105), Gli strumenti della comunicazione sociale e i compiti della famiglia (1980 II 313).

3 GIOVANNI PAOLO II, Enciclica Redemptor hominis, n. 15.

4 «Pur senza ridurre la società, o la cultura, alla lingua, si può dar l’avvio a quella “rivoluzione copernicana” [...] che consisterà nell’interpretare la società, nel suo insieme, in funzione di una teoria della comunicazione. Il tentativo è sin d’ora possibile a tre livelli: infatti le regole della parentela e del matrimonio servono ad assicurare la comunicazione delle donne tra i gruppi, come le regole economiche servono ad assicurare la comunicazione dei beni e dei servizi, e le regole linguistiche la comunicazione dei messaggi» (C. LEVI-STRAUSS, Antropologia strutturale, Milano, Il Saggiatore, 1967, 100).

5 Cosi Pierre Chaunu, che in Histoire quantitative, historie serielle (Paris, Colin, 1978) rileva che, se a ben 2,5 miliardi di anni si fa risalire, con l’acido nucleico, l’apparire della vita sulla Terra, e se a 5 milioni di anni fa risalgono le poche decine di migliaia di preominidi del paleolitico, con l’umanità del neolitico, che già si conta in qualche milione di individui, s’instaura e si diffonde, 1,2 milioni di anni fa, la cultura dell’homo sapiens, che maneggia l’utensile, che comunica col linguaggio, che ha coscienza della morte. Il quale homo sapiens segna il primo radicale balzo di cultura-civiltà quando, circa 10 mila anni fa, nella Mezzaluna Fertile fra l’Eufrate e il Mediterraneo, si verifica la condizione ottimale di densità umana: dai 4 ai 5 abitanti per km2, realizzando cosi un cervello collettivo di almeno un milion di uomini intercomunicanti. Al passaggio dalla caccia e dalla pastorizia all’agricoltura, con le prime scritture ideografiche (circa 7 mila anni fa) e poi col miracolo dell’alfabeto (circa 3 mila anni fa), segue l’accumulo, nello spazio e nel tempo, delle acquisizioni culturali: nasce la storia, si sviluppano e si susseguono le grandi civiltà.

6 Supponiamo familiari al lettore le tre note distinzioni circa la «libertà»: 1. secondo la diversità dei vincoli (libertà ontologica, psicologica, fisica); 2. secondo la qualità dei vincoli (libertà dalla coazione, vale a dire: di operare spontaneamente, senza coercizioni esterne; e libertà dalla necessità, ossia: capacità di scelte non imposte da determinismi interni); 3. secondo il genere o il campo di operazione (libertà di pensiero, di coscienza, di parola, di associazione, di culto...; religiosa, politica, civile, giuridica, economica ...).

7 Distinguiamo gli «strumenti», mezzi tecnologicamente rilevanti, dai semplici «mezzi», che di tecnologico hanno poco o nulla, quali, ad esempio, la parola parlata, il gesto, lo stilo. In questo senso le epoche «dei mezzi» nella comunicazione umana sono iniziate verso il 4000 a.C. con le prime scritture ideografiche, evolute verso il 2000 a.C. nella scrittura alfabetica, e terminate con la stampa di Gutenberg (1410); la quale, come s’è detto, nei primi decenni del secolo scorso ha portato all’odierno primo mass medium: il giornale.

8 M. McLUHAN, La galassia Gutemberg, Nascita dell’uomo tipografico, Roma, Armando, 1976, 199.

9 M. McLUHAN, Gli strumenti del comunicare, Milano, Il Saggiatore, 1967, 171.

10 Si noti come il termine, nelle diverse discipline e ideologie, assumeva, ed assume ancor oggi, altre accezioni. Ad esempio, economisti e giuristi l’usano correntemente nel senso di nazionalizzazione (o statalizzazione) dei beni di produzione; in sociologia marxista, invece, il termine indica il processo di collettivizzazione che dovrebbe segnare la fine dell’economia capitalista a profitto del sistema socialista; quando per molti psico-sociologi moderni il termine vale il processo di acculturazione mediante il quale il bambino o l’adolescente – oppure l’adulto proveniente da un’altra cultura – s’integra ad un gruppo sociale facendone proprie le norme, i valori e comportamenti.

11 Di fatto, nella Lettera del 1960, senza darne una vera definizione, si nota come «i sopravvenuti cambiamenti segnano un’evoluzione verso una socializzazione sempre più universale e profonda. Non solo le strutture economiche e politiche, ma tutto un complesso di abitudini, di modi di vivere, di istituzioni spontanee o legali, circondano l’individuo, lo sostengono e lo guidano» (n. 9).
Nella Mater et magistra, invece, «la socializzazione, intesa come progressivo moltiplicarsi di rapporti nella convivenza, con varie forme di vita e di attività associata, ed istituzionalizzazione giuridica», viene detta «uno degli aspetti tipici che caratterizzano la nostra epoca» (n. 18). Dal canto suo la Pacem in terris (n. 129) accenna agli «esseri umani, oggi sollecitati a collaborare tra loro, ed orientati verso una convivenza unitaria a raggio mondiale. Si è, infatti, intensamente accentuata la circolazione delle idee, degli uomini, delle cose. Sicché sono aumentati enormemente e si sono infittiti i rapporti tra i cittadini, le famiglie, i corpi intermedi appartenenti a diverse comunità politiche».
Nella Gaudium et spes: al n. 6 si rileva che «senza arresto si moltiplicano i rapporti degli uomini con i propri simili e, a sua volta, questa “socializzazione” crea nuovi rapporti»; al n. 25 si nota che «in questo nostro tempo [...] si moltiplicano i rapporti e le interdipendenze dalle quali nascono associazioni e istituzioni diverse, di diritto pubblico e privato: fatto che viene detto “socializzazione”»; e al n. 63 si parla di «moltiplicazione ed intensificazione dei rapporti d’interdipendenza tra cittadini, gruppi e popoli».

12 Dispiace che nei quattro Documenti non si riconosca alla comunicazione dei mass media tutta l’efficacia socializzante che, invece, pensiamo, le va riconosciuta. Infatti, nella Lettera non v’è cenno alle cause della socializzazione. Nella Mater et magistra, tra i fattori remoti della socializzazione s’indica «la tendenza ad associarsi per il raggiungimento di obiettivi che superano la capacità e i mezzi di cui possono disporre i singoli individui [...]: tendenza naturale quasi incontenibile degli esseri umani» (n. 19); e tra i fattori prossimi s’indicano – oltre al «crescente intervento pubblico» (ivi) – «molteplici fattori storici, tra i quali: il progresso scientifico e tecnico, una maggiore efficienza produttiva e un più alto tenore di vita dei cittadini» (n. 58). La Pacem in terris ricorda soltanto «i recenti progressi delle scienze e delle tecniche» (n. 129).
Infine, la Gaudium et spes in argomento si limita ad un generico «varie cause» (n. 21). A proposito, poi, degli strumenti della comunicazione sociale non manca di notare che «favoriscono nel modo più largo e più rapido la conoscenza degli avvenimenti e la diffusione delle idee e dei sentimenti, non senza suscitare reazioni a catena» (n. 6); quindi passa a rilevare che «le condizioni di vita dell’uomo moderno, sotto l’aspetto sociale e culturale, sono profondamente cambiate, cosicché è lecito parlare di una nuova epoca della storia umana» preparata «dal progresso delle tecniche, dallo sviluppo e dall’organizzazione degli strumenti della comunicazione sociale» (n. 14).

13 Nel 1955 la Segreteria di Stato, senza nominarla, faceva dipendere la massificazione piuttosto dal «dominio smisurato degli strumenti»: «Lo sviluppo delle tecniche di diffusione nel XX secolo ha sollevato un problema nuovo e indubbiamente più gravoso. Non si tratta più dell’impiego, buono o cattivo, che l’uomo e la società possano fare di questi potenti mezzi di azione posti a loro disposizione, bensì del dominio smisurato che lo strumento, sfuggendo al controllo del suo artefice, tende ad esercitare oggidì sulla persona umana [...]. L’irruzione nella nostra società delle tecniche moderne di comunicazione minaccia l’uomo nella sua autonomia spirituale. Sotto la pressione di un dirigismo informativo, mediante la seduzione dell’immagine e mediante l’ossessione della propaganda, l’azione congiunta della stampa, della radio, del cinema e della televisione riesce ormai a foggiare la coscienza dell’individuo a sua insaputa, invade a poco a poco tutta la sua attività mentale e determina atteggiamenti che vengono ritenuti spontanei» (Lettera per la 42ª Settimana Sociale di Francia, Nancy 1955, sul tema Les techniques de diffusion dans la civilisation contemporaine, cfr E. BARAGl.l, op. cit., n. 1647).
Nel 1966, invece, la stessa Segreteria di Stato rilevava i rapporti tra opinione pubblica e socializzazione (o acculturazione?): «Nel mondo odierno l’opinione pubblica, su piano di conoscenza, di giudizio e di comportamento, risente fortemente di un’accelerata socializzazione. Nei gruppi sempre più numerosi e complessi che formano le diverse società, ogni individuo s’incontra in modi di parlare, di pensare e di agire, che, mentre l’integrano psicologicamente al gruppo, influiscono profondamente su di lui e lo condizionano. Conviene, dunque, che in siffatto rinserrarsi di opinioni comuni, che esercitano pressioni sempre maggiori, l’uomo sia in grado di conservare la propria libertà di pensiero e di decisione. Tra i problemi più gravi posti all’uomo di oggi c’è senza dubbio quello dell’avvenire della persona umana nel progredire inarrestabile della socializzazione» (Lettera per la 52ª Settimana Sociale di Francia, Nizza 9-11 luglio 1966, sul tema L’opinion publique; cfr E. BARAGLI, op. cit., Doc. 710).

14 E cosi la citata Lettera sull’opinione pubblica (Nizza 1966): «Tra i problemi posti all’uomo d’oggi c’è senza dubbio quello dell’avvenire della persona umana nel progredire inarrestabile della socializzazione. Sarà compito dell’educazione, iniziata sin dai primi anni, di formare la mente e il carattere a resistere ai pericoli propri di un’opinione pubblica di massa, quali: l’abuso di slogan, la creazione di miti, la semplificazione dei problemi, la standardizzazione delle idee, la pressione di gruppo» (n. 10).

15 Cfr A. MATTELART, Multinazionali e comunicazioni di massa, Roma, Ed. Riuniti, 1977 (cfr Civ. Catt. 1978 III 548); e Comunicazione come dominio?, Milano, Angeli, 1979. La XIX Sessione della Conferenza generale dell’UNESCO (Nairobi, 30 nov. 1976) approvava un ordine del giorno in cui si richiedeva all’UNESCO di favorire «l’affrancamento dei Paesi in via di sviluppo dallo stato di dipendenza [...] che tuttora caratterizza i loro sistemi di comunicazione e informazione»; mentre, in una Dichiarazione della Conferenza di New Delhi (8-13 luglio 1976) dei Paesi non allineati era stato detto: «I Paesi non allineati hanno notato con preoccupazione la vasta e sempre crescente frattura fra le proprie potenzialità di comunicazione e quelle dei Paesi avanzati [...]: situazione di dipendenza e di dominio nella quale la maggior pane dei Paesi sono ridotti ad essere passivi recipienti di informazioni influenzate, insufficienti e distorte».

16 Recita l’art. 19 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo dell’ONU (10 dic. 1948): «Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione [...] e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere»; e recita l’art. 2 del Patto internazionale sui diritti civili e politici dell’ONU (16 dic. 1966), applicativo della precedente: «Ogni individuo ha il diritto alla libertà di espressione; tale diritto comprende la libertà di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee di ogni genere, senza riguardo a frontiere: oralmente, per iscritto, mediante la stampa, in forma artistica o attraverso qualsiasi altro mezzo a sua scelta».
In particolare circa l’informazione, l’Atto finale della Conferenza sulla Sicurezza e Cooperazione in Europa, di Helsinki (1973-1975), reca: «Gli Stati partecipanti [...] si propongono in particolare: 1. di facilitare la diffusione dell’informazione orale [...]; 2. di facilitare il miglioramento, sul loro territorio, dei giornali e delle pubblicazioni stampate, periodiche e non periodiche, degli altri Stati partecipanti [...] e di migliorare l’accesso del pubblico a (dette) pubblicazioni [...]; 3. di promuovere il miglioramento dell’informazione filmata e radiotrasmessa [...]; (ed anche) di ampliare le possibilità dei giornalisti degli Stati partecipanti di comunicare personalmente con le loro fonti d’informazione, comprese tra queste le organizzazioni e le istituzioni ufficiali; di accordare ai giornalisti degli Stati partecipanti il diritto di importare [...] l’attrezzatura tecnica [...] necessaria per l’esercizio della loro professione» (cfr Relazioni Internazionali, 1975, nn. 32-33, 800 ss.).

17 Prima di enunciare il principio: «Appartiene, dunque, alla società umana il diritto all’informazione su quanto [...] convenga alle persone, singole ed associate», l’Inter mirifica (n. 5) precisa: «La pubblica e pronta comunicazione degli eventi e delle situazioni ne offre ai singoli uomini quella conoscenza più adeguata e continua che li mette in grado di contribuire efficacemente al bene comune e di promuovere, insieme con gli altri, un rapido progresso di tutta la società».

18 Scrive D. MacDONALD (Masscult e midcult, in L’industria della cultura, Milano, Bompiani, 1969, 52): «Le masse sono nel tempo storico ciò che la folla è nello spazio: una gran quantità di persone incapaci di esprimere le loro qualità umane perché non sono legate le une alle altre né come individui né come membri di una comunità [...]. L’uomo di massa è l’uomo solitario, uniforme, identico ai milioni di altri atomi destinati a formare "La folla solitaria” di D. Riesman. La moralità della società di massa scende al livello dei membri più primitivi [...] e il suo gusto scende al livello del meno sensibile e del più ignorante».

19 Per il Vaticano II cfr E. BARAGLI, L’Inter mirifica, Roma, La Civiltà Cattolica, 1969, 267. Tra gli autori, prima del Concilio: M. McLUHAN, in Rassegna Italiana di Sociologia, 1962, n. 3, 335; dopo il Concilio: G. TINACCI MANNELLI, Le grandi comunicazioni, Firenze, Istituto di Sociologia dell’Università, 1967, 21 ss.

20 R. E. ESPOSITO, La massificazione non esiste, Roma, Ed. Paoline, 1978 (cfr Civ. Catt. 1979 IV 96); in particolare, a p. 37, Fondamenti pretestuosi della massificazione, tra i quali l’A. annovera l’elitarismo estetico-culturale e il classismo sociologico.

21 Tale l’appariscenza delle convenzioni, la perentorietà degli slogan, le promesse illusorie, le «autorità» fasulle; e soprattutto l’abbinamento ai prodotti-servizi di modelli e simboli sempre attinenti ad una visione irreale (perenne giovinezza, salute, successo...), egoistica (potere, benessere...) ed evasiva della vita; quando non anche polarizzata sull’erotismo gratuito e volgare.

22 Pio XII, Lettera «Der Katholische Deutsche» alla sig.a Gerta Krabbel, 17 luglio 1952.

23 Pio XII, Discorso «Dans l’Encyclique», 17 luglio 1954.

24 Pio XII, Lettera a Charles Flory, presidente delle Settimane Sociali di Francia, 14 luglio 1955, n. 5.

25 Paolo VI, Lettera ad Alain Barrère, presidente delle “Settimane Sociali di Francia”, 2 luglio 1966, n. 10.

22 Ci riferiamo alla nota teoria del sociologo americano Joseph Klapper. Il quale, una ventina di anni fa, si pose il problema dell’effettiva efficacia suasoria della massa dei masss media sulle masse dei recettori; e – dopo aver analizzato e sintetizzato quanto in argomento era stato pubblicato di valido specialmente in USA e in Inghilterra – concluse che le comunicazioni dei mass media «agiscono insieme ad altri fattori [...] esterni ad esse, che ne medierebbero l’influenza in modo da renderla causa di rafforzamento piuttosto che di variazione»: e tra questi fattori pose, in primo luogo, le predisposizioni dei recettori e i relativi processi di esposizione, percezione e memorizzazione selettiva (J. T. KLAPPER, Gli effetti delle comunicazioni di massa, Milano, ETAS Compass, 1964, 53 ss., 60).

27 GIOVANNI PAOLO II, Messaggio per la quaresima, in Oss. Rom., 4 marzo 1981, 1.

28 Cfr Summa contra gentiles, l. IV, cap. 42: Quod assumption humanae naturae maxime competebat Verbo Dei. Concorda la bella preghiera della liturgia dell’Avvento: Qui de nobis suscepisti quod divinitati tuae convenire videbas: de tuo conferas quod in nos expectatus impertias (Officium horarum, 20 dic., Preces ad vesperas).

In argomento

Massmedia

n. 3405, vol. II (1992), pp. 260-268
n. 3351, vol. I (1990), pp. 260- 269
n. 3310, vol. II (1988), pp. 351-363
n. 3218, vol. III (1984), pp. 144-151
n. 3200, vol. IV (1983), pp. 158-164
n. 3202, vol. IV (1983), pp. 362-368
n. 3195-3196, vol. III (1983), pp. 209-222
n. 3188, vol. II (1983), pp. 154-161
n. 3191, vol. II (1983), pp. 463-467
n. 3179, vol. IV (1982), pp. 464-467
n. 3088, vol. I (1979), pp. 351-359
n. 3075-3076, vol. III (1978), pp. 223-238
n. 3072, vol. II (1978), pp. 566-573
n. 3062, vol. I (1978), pp. 151-159
n. 3058, vol. IV (1977), pp. 349-362
n. 3055, vol. IV (1977), pp. 45-53
n. 3045, vol. II (1977), pp. 260-272
n. 3034, vol. IV (1976), pp. 336-351
n. 3036, vol. IV (1976), pp. 580-587
n. 3022, vol. II (1976), pp. 323-336
n. 3013, vol. I (1976), pp. 20-36
n. 2990, vol. I (1975), pp. 144-157
n. 2983, vol. IV (1974), pp. 36-48
n. 2973, vol. II (1974), pp. 250-256
n. 2967, vol. I (1974), pp. 258-263
n. 2961, vol. IV (1973), pp. 258-263
n. 2950, vol. II (1973), pp. 347-358
n. 2942, vol. I (1973), pp. 144-150
n. 2927, vol. II (1972), pp. 451-456
n. 2911, vol. IV (1971), pp. 39-48
n. 2913, vol. IV (1971), pp. 235-253
n. 2882, vol. III (1970), pp. 154-160
n. 2870, vol. I (1970), pp. 155-160
n. 2859-2860, vol. III (1969), pp. 219-230
n. 2847, vol. I (1969), pp. 250-253
n. 2739, vol. III (1964), pp. 246-254
n. 2729, vol. I (1964), pp. 422-435
n. 2702-2704, vol. I (1963), pp. 105-118, 313-325
n. 2636, vol. II (1960), pp. 124-39
n. 2612, vol. II (1959), pp. 113-124
n. 2548, vol. III (1956), pp. 400-408

In argomento

Magistero

n. 3195-3196, vol. III (1983), pp. 209-222
n. 3188, vol. II (1983), pp. 154-161
n. 2990, vol. I (1975), pp. 144-157
n. 2983, vol. IV (1974), pp. 36-48
n. 2979-2980, vol. III (1974), pp. 242-247
n. 2950, vol. II (1973), pp. 347-358
n. 2951, vol. II (1973), pp. 425-438
n. 2952, vol. II (1973), pp. 547-559
n. 2911, vol. IV (1971), pp. 39-48
n. 2913, vol. IV (1971), pp. 235-253
n. 2882, vol. III (1970), pp. 154-160
n. 2859-2860, vol. III (1969), pp. 219-230
n. 2847, vol. I (1969), pp. 250-253
n. 2787-2788, vol. III (1966), pp. 314-315
n. 2702-2704, vol. I (1963), pp. 105-118, 313-325
n. 2636, vol. II (1960), pp. 124-39
n. 2612, vol. II (1959), pp. 113-124
n. 2605, vol. I (1959), pp. 66-69
n. 2555, vol. IV (1956), pp. 521-532
n. 2545, vol. III (1956), pp. 30-42
n. 2532, vol. IV (1955), pp. 601-609