NOTE
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1 Per brevità usiamo questa terminologia corrente, invece di quella, più esatta, di “strumenti della comunicazione sociale”. La differenza non è trascurabile, perché, come s’è visto a proposito di Strumenti della comunicazione ed evangelizzazione (Civ. Catt. 1974 IV 36-48), molti pregiudizi circa l’uso pastorale di questi mezzi si eviterebbero se essi venissero considerati non “mezzi di massa”, in accezione più o meno deteriore, ma, come li considera il decreto conciliare Inter mirifica (n. 1), specifici strumenti di una odierna nuova “comunicazione sociale”.

2 La prima cautelosa risposta romana sull’uso della luce elettrica nelle chiese risale al giugno 1895 (cfr Collectio authentica decretorum Sacr. Rituum Congr., 3859). Ne seguirono altre: del 16 maggio 1902 (ivi, n. 4097), del 22 novembre 1907 (n. 4206), del 17 gennaio 1908 (n. 4210), del 21 luglio 1911 (n. 4275) e finalmente del 24 giugno 1914 (n. 4222), che le riassume tutte. Furono le ristrettezze della prima guerra mondiale a farne legittimare l’uso almeno per la lampada del SS.mo (n. 4434, del 23 febbraio 1916).

3 Cfr E. BARAGLI, Cinema cattolico, Roma 1965, nn. 1-4 e 680. – Circa la proiezione di film nelle chiese cattoliche, così G. GIRAUD (in Il cinema e l’adolescenza, Roma 1958, 54): “Nel Canadà, verso il 1900, dei sacerdoti proiettano piccoli documentari nella chiesa stessa, dopo aver tolto gli oggetti del culto per porre lo schermo”. La stessa cosa avveniva nelle chiese protestanti, secondo Yiew and Film Index (5 ottobre 1907, riportato da L. JACOBS, L’avventurosa storia del cinema americano, Torino 1952, 92): “Dobbiamo rivolgerci al lavoratore e alla sua famiglia [...]. Raccogliamoci dieci, dodici, quindicimila dollari per ricostruire e ampliare la nostra chiesa [...] in modo che il sabato sera, quando le strade, le case da giuoco, i saloons sono più affollati, si possa proiettare dei film [...] da illustrarsi e interpretarsi [...] quasi letture del Vangelo di carattere pratico”.

4 Recentemente queste proiezioni sono state fatte anche in contesti piuttosto qualificati. Il Vangelo secondo Matteo, di P. Pasolini, è stato proiettato in alcune chiese di Francia e del Canadà. Il 5 ottobre 1972 i partecipanti alle Giornate di studio dell’OCIC a Deauville (Francia) effettuarono una visita all’Abbazia di Mont Saint-Michel, durante la quale parteciparono ad una concelebrazione eucaristica, presieduta dall’abate locale, concelebranti due arcivescovi e dieci sacerdoti. La liturgia della parola si svolse in una cappella della chiesa inferiore, e la prima lettura fu effettuata con la proiezione, su di uno schermo appositamente approntato, del martirio di santo Stefano tratto dal film di R. Rossellini Gli Atti degli Apostoli.

5 Nota A. MARRANZINI: “Non mi sembra che ci siano motivi teologici che impediscano l’utilizzazione bene selezionata dei mezzi audiovisivi nello stesso ambito del tempio in occasione di azioni paraliturgiche o liturgiche, compresa la liturgia della parola nella S. Messa. Tutto ciò richiede una debita preparazione nei pastori e nei fedeli, e una regolazione da parte di coloro che hanno il dovere di tutelare la serietà e la santità del culto, prevenendo ed eliminando ogni iniziativa arbitraria ed abuso” (in AA.VV., Liturgia e strumenti di comunicazione sociale, Roma 1974, 37).

6 Essa è fissata dall’Istruzione della S. Congregazione dei Riti De Musica Sacra et Sacra Liturgia, del 1958, poi ripresa da altra Istruzione della stessa Congregazione: Musicam sacram, del 1967.

7 In questo paragrafo seguiamo specialmente l’eccellente tesi di dottorato di D. MOSSO, La Messa alla radio e alla televisione (Parigi 1973), che si è documentata a fonti dirette inedite.

8 La richiesta era stata rivolta il 26 dicembre 1926 dall’arcivescovo di Praga mons. F. Kordac, che notava come in Boemia alcuni l’avversavano come una profanazione, mentre altri la caldeggiavano dicendo che gli ammalati e gli impediti avrebbero potuto, almeno così, ascoltare la Messa. Il 24 febbraio 1928, alla risposta negativa del S. Uffizio l’arcivescovo insisteva: se, escluse le parti cantate dal celebrante o dai ministri, almeno si potessero trasmettere per radio i canti della Messa o di altre funzioni religiose, come gli constava che si praticava a Roma, a Milano, a Napoli, a Varsavia, a Riga, a Parigi e a Budapest. Ed il S. Uffizio replicava (ivi, 362) che bisognava attenersi alla risposta dell’anno precedente, aggiungendo: “Se altre chiese cattoliche dell’universo si sono permesse di diffondere, con l’aiuto della radio, i canti liturgici della Messa, il Sant’Uffizio ci tiene a dichiarare che si tratta di un abuso, che è stato praticato senza il suo consenso”.
La risposta negativa del S. Uffizio nel maggio 1929 veniva pubblicata dal settimanale cattolico di Buffalo (USA) The Echo; e il mese seguente il vescovo di Syracuse (USA) chiedeva a Roma se tale risposta poteva essere pubblicata come decisione autentica della superiore autorità. Gli fu risposto in forma privata che la risposta era diretta ad una domanda particolare: se desiderava istruzioni si rivolgesse direttamente al S. Uffizio. Ma in quello stesso mese di giugno la S. Congregazione dei Riti chiedeva al S. Uffizio se avesse emanato qualche istruzione in proposito. Pio XI consigliò di rispondere confermando la risposta negativa data a Praga, osservando, tra l’altro, che "è da tener presente che le eventuali audizioni radiofoniche penetrano naturalmente in tutti gli ambienti, e che quindi potrebbero facilmente essere oggetto, in qualche ambiente ostile, di dileggio e di scherno”.
Il 6 novembre 1935 ci fu un’altra richiesta: questa volta dall’arcivescovo di Palermo, che interpellava la Congregazione del Concilio sulla convenienza o meno di permettere che nelle chiese [...] vengano radiofonate [sic!] I le sacre funzioni, e in particolare la Messa cantata”; e il 10 giugno 1936 il S. Uffizio rispondeva "Non expedire”.

9 Il Papa, “a conforto e a vantaggio di molti fedeli, che nelle dolorose attuali circostanze non potevano in Spagna frequentare la chiesa”, concedeva la trasmissione via-radio della Messa, celebrata in una cappella della Radio Nacional di Salamanca.
Siccome in America se ne scrisse come di un “privilegio straordinario” e di “ascolto valido” della Messa, un corsivo dell’Osservatore Romano dell’11 marzo 1928 si affrettava a precisare “che tali trasmissioni non hanno nulla a che fare con la soddisfazione del precetto festivo. Chi non è in grado, per qualsiasi ragione, di assistere nel modo ordinario alla celebrazione della Santa Messa festiva, è dispensato dall’osservanza del precetto, e se ascolterà la radiotrasmissione ne potrà essere certamente edificato, senza per questo adempiere il precetto, che non può in questo modo essere soddisfatto. Ne segue che, senza gravi ragioni di dispensa, si è obbligati ad assistere alla Santa Messa festiva nel modo ordinario, e non si è assolutamente scusati da nessuna radioaudizione”.

10 D’ora in poi nei documenti del Magistero la Messa radiofonica farà tutt’uno con quella televisiva: cfr nn. 1896, 2360, 2913, 3495.

11 In questo paragrafo si segue CORECCO, Dialogo ecclesiale o diaconia sinodale?, in Communio, 1972, n. 1, 32 ss. – L’Autore è tra quelli che propongono l’abolizione del matrimonio per procura nel Codice di diritto canonico.

12 Anche l’esclusione del doppio voto del procuratore al Concilio (quando questi sia già uno dei Padri conciliari), come l’esclusione di ogni possibilità di voto dello stesso (quando non sia uno dei Padri del concilio ecumenico), e la concessione del voto solo consultivo ai procuratori nei concili minori (cann. 224, 287), traduce la persuasione della Chiesa che ogni decisione conciliare, anche solo disciplinare, ha sempre un nesso strettissimo con la professione di fede.

13 Cfr DENZ-SCHOEN., Enchiridion Symbolorum, Roma 1967, nn. 1993 ss.

14 Cfr D. MOSSO, op. cit., 290 ss.

15 Cfr. M. ZALBA, Theologiae moralis compendium, Madrid 1958 463; B.H. MERKELBACH, Summa Theologiae moralis, Bruges 1962, III, 396; J. M. JIMENEZ, Teoria de los contenidos de la televisión, Madrid 1965, 183 ss.

16 Cfr A. VILLIEN, in Dictionnaire du Droit Canonique, s.v. Absolution, I, 121 ss.

17 Così M. ZALBA (loc. cit.): Num per telephonum instauretur sufficiens praesentia non constat. Sed neque constat certo non instaurari.

18 Così B. H. MERKELBACH (loc. cit.): Nam secundum modum naturalem et ordinarium colloquendi, non sunt poenitens et confessarius ad invicem praesentes [...]: simplex communicatio nondum est praesentia. Imo neque ipsa vox loquentis auditur in telephonio, sed solum perfecte reproducitur.

19 B. HAERING, La legge di Cristo, Brescia 1964, I, 541.

20 In questo paragrafo si segue soprattutto K. RUF, Die Fernsehübertragung der heiligen Messe, Frankfurt am M. 1961, già pubblicato in tedesco, francese, inglese e spagnuolo in UNDA, 1961, nn. 2 ss.; 1962, nn. 1 ss. – È lo studio più approfondito in materia.

21 In occasione delle prime teletrasmissioni della Messa in Germania. Vi presero parte, tra gli altri: K. BECKER, Der Schlüsselloch für die Ungläubigen in Der christliche Sonntag, 2 aprile 1952; Rettung des Schleiers, in Kirche und Leben, 30 agosto 1953. A. BOHM, Mysterium im optischen Pot-pourri, in Reinischer Merkur, 26 giugno e 17 luglio 1953. P. BOLKOVAK, Die kirchliche Messe und das Fernsehen, in Die Neue Zeitung, 25 luglio e 1º agosto 1953. K. BRINGMANN, Die Diskussion um das Fernsehen, in Orientierung, 1953, 177 ss.; Fernsehmesse: ein Ruf an alle, in Rheinische Post, 27 giugno 1953. E. DOVIFAT, Das Messopfer-ferngesehen?, in Hamburger Anzeiger 12 aprile 1953. H. FROWEIN, Fernsehübertragung der heiligen Messe, in Der christliche Sonntag, 21 giugno 1953. C. MUNSTER, in Mysterium und Apparat. J. PIEPER, Zur Fernseh-Übertragung der heiligen Messe, in Weistum-Dichtung-Sakrament, 273. K. RAHNER, Die Messe und das Fernsehen, in Orientierung, 1953, n. 17, 179 ss. A.M. ROGUET, Est-il inconvenant de téléviser la Messe?, in Rev. Intern. de Télév. et Radio, 1954, 32 ss. H. SCHOMERUS, Gottesdienst von fern gesehen, in Rufer und Hörer, 1953, n. 8, 52 ss. A. SCHORN, Braucht die Kirche ein Schlüsselloch für die Ungläubigen?, in Der christliche Sonntag, 3 maggio 1953.
Con previsioni sulla Messa televisiva, anche la nostra Rivista s’era interessata a questa problematica; cfr. G. MARTEGANI, La radiofonia religiosa e il culto divino, in Civ. Catt. 1933 IV 449 ss.

22 Si tratta, appunto, di “mentalità”, non di realtà fisiche o di concetti metafisici; quanto, perciò, legata a situazioni socio-culturali, e quanto mutabile con esse? – Per H. NOLDIN (De praeceptis Dei et Ecclesiae, Innsbruck 1930, n. 261 c) era certo che “non soddisfa al precetto della Messa festiva chi la segua stando fuori della Chiesa distante da essa più di circa [?!] trenta passi, perché a questa distanza non si può più considerare moralmente unito al celebrante”. Se ciò è vero, come la mettiamo con le migliaia di fedeli che, a Piazza San Pietro o nei Congressi Eucaristici, seguono la Messa distanti anche centinaia di metri dall’altare? Anche il card. G. DE LUGO, “al quale si rifanno, di preferenza, gli autori moderni, e che rappresentava l’opinione comune e tradizionale del suo tempo” (G. MARTEGANI, art. cit., 459), insegnava (De Sacramentis, Lugduni 1670, Disp. XXII, Sectio II, n. 20, 549) che dalla stessa natura dell’assistenza implicata nelle norme canoniche si richiede la presenza fisica corporale come s’intende nel comune linguaggio degli uomini; tuttavia – aggiungeva – “si deve regolare dall’arbitrio di persona prudente, per giudicare se un uomo si possa dire moralmente presente a quella azione, sì che si possa ritenere, secondo il comun modo di intendere, che si assista”. Ma qui sta il punto: secondo il comune modo d’intendere degli uomini di oggi (e di domani), “essere moralmente presente”, “assistere”, comportano lo stesso concetto che nei tempi passati?

23 Così PIO XII (Lettera enciclica «Miranda prorsus», n. 141) “La televisione [...] permette di partecipare audiovisivamente, nello stesso istante in cui succedono, ad avvenimenti lontani, con una suggestività che si avvicina a quella di un contatto personale (ut quasi praesentes participent)”.

24 La proposta era già stata avanzata quarant’anni fa, quando la televisione era ancora di là da venire da padre H. DU PASSAGE (Mécanique et prière, in Etudes, 1931, III, 523): "Actuellement les moralists requièrent, pour une assistance valable à la Messe, que l’on soit en mesure de suivre les diverses phases du Sacrifice. Si l’on ne peut se joindre au groupe des fideles dans l’église, du moins faut-il que l’union soit “morale” et ne soit pas rompue par la télévision, la distance excessive, rendant toute perception indistincte. Dans les cas de la télévision, la distance se serait accrue bien au delà de ces limites, l’espace, à vrai dire, n’interviendrait plus. Mais aussi l’image, par hypothèse, serait restée nette et les détails de la cérémonie seraient suivis mieux que parfois dans une église ou derrière un pilier. Alors? [...] pour les cas exceptionnels, pour le pays dépourvus de tout office, nos arriére-neveux entendront et verrons peut-être validement la messe célébrée sur un autel lointain”.

25 Ad rem G. MARTEGANI (art. cit., 460): “Ripetiamo: vigenti disposizioni ecclesiastiche. Perché la legge che impone insieme e di santificare tutte le domeniche e feste comandate e di santificarle con questo determinato modo di partecipazione al S. Sacrificio, è certamente di natura ecclesiastica; e non si esclude quindi, astrattamente parlando, che possa venir mutata dalla Chiesa. Fino a qual punto in ciò possa giungere non è facile determinare: non apparendo ancor chiaro fin dove arrivi il diritto naturale e positivo divino (ai quali il Suarez afferma che è molto conforme il presente diritto ecclesiastico) e dove incominci il libero potere della Chiesa. La questione ci porterebbe troppo in lungo. Cfr SUAREZ, De Sacramentis, D. 88, s. 1; D. 77, s. 3; D. 73, s. 8; De Religione, Tr. 2, L. 1, cc 2 e 3. FAGUNDEZ, Tractatus in quinque praeceptis Ecclesiae, L. 2, c. 1, nn. 6, 11; c. 2, n. 5, nn. 1-3”.

26 E, meglio, strutturata in modo diverso dall’attuale, certamente non concepito per la radio e la televisione. Così, in proposito, T. GOFFI (in AA.VV., Liturgia e strumenti..., cit., 27): “Si deve proclamare valida l’assistenza alla Messa, trasmessa alla radio o alla televisione, non per sola devozione interiore del fedele, ma anche per reale partecipazione [...]. Forse si dovrebbe indagare se la Messa trasmessa alla televisione non debba essere liturgicamente strutturata in modo del tutto singolare. Dovrebbe apparire, non qual momento sacrale estraniato e contrastante col mondo profano, ma qual sacrificio di Cristo pienamente incarnato nella nostra cultura tecnico-scientifica”.

27 G. DUHAMEL, Message aux Princes des Prêtres, in Candide, 30 luglio 1931.

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Articolo estratto dal volume I del 1975 pubblicato su Google Libri.

Il testo è stato corretto dai refusi di stampa e formattato in modo uniforme con gli altri documenti dell’archivio.

I riferimenti ai documenti del magistero pontificio sono stati resi interattivi e portano al sito del progetto “Chiesa e Comunicazione”, la biblioteca digitale online che prosegue l’attività iniziata da p. Baragli con le opere Cinema cattolico: documenti della Santa Sede sul cinema e Comunicazione Comunione e Chiesa.

ARTICOLO SU

Chi esamini la prassi e il magistero della Chiesa circa l’uso dei mass media1 nelle azioni liturgiche, para-liturgiche e, in genere, nel culto, può ricavarne l’impressione di una sua tal quale diffidenza verso gli stessi. Queste note – non critiche né apologetiche vorrebbero appurare se e quanto siffatta impressione sia motivata. E vorrebbero anche rilevare le mutazioni concettuali psico-sociologiche subite dai termini “presenza” e “partecipazione” nella comunicazione umana attuata dai mass media; mutazioni che occorre tenere presenti nella discussione di alcuni “casi” liturgico-sacramentali ancora aperti, come pure nell’intera attività cultuale del Popolo di Dio.

Tecnica profanante?

In alcune norme cultuali si direbbe che la diffidenza sia stata per la tecnicità; del mezzo, quasi che la tecnica fosse, di sua natura, più o meno profanante. Tali, per esempio – non siamo ancora ai mass media! – le norme che in vent’anni portarono ad un uso meno cauteloso della luce elettrica nelle chiese2. Vi influì certamente il ricco simbolismo, per secolare veneranda tradizione connesso ad alcuni prodotti “naturali”, e che, ardendo, “si consumano”: quali l’olio (d’olivo) e la cera (d’api); simbolismo ancora oggi presente nel cero acceso del rito battesimale, della liturgia pasquale e in quella dei defunti. Sta tuttavia il fatto che la mentalità odierna, tecnica e, forse, prosastica, stenta a comprendere certi simbolismi; e che, se li comprende, stenta a distinguere ed a privilegiare i prodotti “naturali” rispetto a quelli tecnici. In quanto poi alle luci votive – come dimostrano le lampadine nei cimiteri, avanti alle icone delle strade e domestiche, e (purtroppo) anche avanti ai Santi nelle chiese – è più attenta al fatto che qualche cosa “sia accesa”, che non al fatto che “si consumi” o meno.

Molto più rigide sono state (e sono in vigore ancora oggi) le norme riguardanti l’uso del cinema (ed anche delle proiezioni fisse) nelle chiese, risalenti al lontano 1912 e ribadite nel 19583:

“I Padri della S. Congregazione Concistoriale, considerando che le chiese consacrate a Dio, nelle quali vengono celebrati i divini misteri e i fedeli vengono indirizzati alla vita spirituale e soprannaturale, non si debbano impiegare ad altri usi, tanto meno per tenervi spettacoli, per quanto onesti e pii, hanno deciso di assolutamente vietare nelle chiese ogni sorta di proiezioni e di spettacoli cinematografici. Sua Santità il papa Pio X ha approvato e confermato la sentenza degli eminentissimi Padri, ed ha ordinato che si promulgasse questo decreto vietante siffatti spettacoli nelle chiese.
“L’uso nelle chiese di macchine di proiezione, specialmente di quelle cinematografiche, si tratti di proiezioni mute oppure di film sonori, per qualsiasi motivo, per quanto pio, religioso o benefico, è assolutamente proibito”.

Si noti: sacralità del luogo e profanità dello spettacolo, anche a prescindere da azioni liturgiche o di culto. E la motivazione valeva senza dubbio per il cinema, che al principio del secolo era ancora considerato plebeo “spettacolo da baraccone”. Forse un po’ meno per le proiezioni fisse, per le quali, anche recentemente, ci si è chiesto se e perché se ne debba escludere sempre ed in ogni caso l’utilità, per esempio quali sussidi visivi nella liturgia della parola4. Infatti è lecito opinare che, se per secoli i fedeli, durante la Messa, i Vespri e le prediche, potevano guardare con profitto spirituale le vetrate a colori, le pareti dipinte, le sculture dei capitelli e dei pulpiti, le illustrazioni dell’Exultet; forse con frutto non minore oggi potrebbero guardare proiettati – con giusti criteri di tempi e di luoghi –, poniamo, il Giudizio della Sistina, ed altre immagini propriamente sacre; ma anche le Favelas del Brasile, gli alluvionati del Pakistan, i moribondi abbandonati nelle strade di Calcutta, uomini armenti e vegetazioni bruciati dalla siccità in Africa...5.

Alquanto diverso è il caso delle norme che riguardano l’uso di apparecchi registratori ed amplificatori, ed il suono delle campane, negli atti di culto. La normativa vigente dispone che6:

“Nelle azioni liturgiche e negli esercizi di pietà, tanto entro quanto fuori delle chiese, è assolutamente vietato usare strumenti ed apparecchiature ’automatici’, quali l’auto-organo, il grammofono, la radio, il dittafono o magnetofono e simili; e ciò anche se si tratti di trasmettere soltanto la predicazione sacra e la musica sacra, oppure di sostituire o di accompagnare il canto dei cantori o dei fedeli. Tuttavia è lecito usare queste apparecchiature, anche nelle chiese, purché fuori delle azioni liturgiche e degli esercizi di pietà, per ascoltare la voce del Papa o del vescovo locale, o di altri oratori sacri; ed anche per insegnare la dottrina cristiana, o il canto sacro, oppure canti religiosi popolari, ai fedeli; come pure per dirigere e sostenere il canto dei fedeli nelle processioni fuori della Chiesa (De Musica Sacra, n. 71).
”È lecito, invece, servirsi di amplificatori, anche nelle azioni liturgiche e negli esercizi di pietà, per rinforzare la viva voce del sacerdote celebrante, o del commentatore, o di altri che [...] abbiano facoltà di parlare in chiesa (De Musica Sacra, n. 72).
”[...] È formalmente proibito di sostituire il suono delle campane con qualsiasi macchina o apparecchiatura che imiti o amplifichi il suono delle campane [...]” (De Musica Sacra, n. 91).

Nelle cautele di questa normativa già affiora il tema della “presenza”. Alcune di esse infatti riguardano la radicale inattitudine dei mezzi tecnici a sostituirsi ai fedeli in atti di culto, che non possono non essere “umano-personali”; perciò, giuste e legittime oggi, lo resteranno domani e sempre. Le altre, invece, è lecito pensare che in avvenire possano essere ritoccate riducendone il rigore. Tale, per esempio, quella della musica registrata, che, usata con discrezione in alcune pause delle azioni liturgiche e negli esercizi di pietà, quale sottofondo – “musica di atmosfera”, come correntemente viene usata nel cinema e nella radio-televisione –, potrebbe, anche se non essere essa stessa preghiera, favorire il raccoglimento e la preghiera autentica della comunità.

Tecnicità e presenza hanno fatto problema anche nell’acquisto delle indulgenze annesse alla benedizione pontificia Urbi et Orbi ed alla recita del Rosario mariano, via radio e televisione. Il primo è stato risolto senza riserve: nel 1939 il decreto «Iam pridem multisque» della S. Penitenzieria comunicava che “il Sommo Pontefice [Pio XII], desideroso che le invenzioni [...] servano alla salute delle anime, si è degnato decretare e stabilire che, sia i presenti, sia coloro che, trovandosi a qualsiasi distanza, per mezzo della radio ricevano in modo pio e devoto la benedizione impartita dal Sommo Pontefice Urbi et Orbi, possano lucrare l’indulgenza plenaria alle solite condizioni”.

Il secondo, invece, è stato risolto con una riserva. Nel 1958, sempre alla stessa S. Penitenzieria venivano posti questi due quesiti: “1) se i fedeli potevano lucrare le indulgenze annesse al Rosario recitandolo alternativamente con un compagno ’presente’ solo attraverso la radio; 2) item, se il Rosario alla radio non sia recitato direttamente da una persona, ma sia stato registrato su disco, filo o altro simile strumento”. E la S. Penitenzieria – si noti l’ammissione di una quasi compresenza a distanza per tramite tecnico, ma il rifiuto netto di un partner tecnico – rispondeva “Sì” alla prima domanda, e “No” alla seconda (Risposta «De recitatione radiophonica sacri rosarii B.M.V.»).

Il pubblico: assente o profano?7

La ripresa e trasmissione radiofonica della Messa non trovò ostacoli nella tecnicità del mezzo, bensì, e grossi, in due considerazioni. La prima: che i fedeli potessero credere che l’ascolto della Messa per radio valesse per sodisfare il precetto festivo; l’altra fu il timore che l’Azione Sacra per eccellenza, divulgata a pubblici indiscriminati, venisse esposta all’incomprensione, se non anche al dileggio, di radio-ascoltatori non credenti.

Fatto sta che ad un primo quesito in proposito, del 19268, il Sant’Uffizio rispondeva seccamente:

“Circa l’uso e l’applicazione del Radio [sic!] nelle chiese, sia per la Messa sia per le prediche od altre cerimonie sacre, il S. Padre [Pio XI] ha espresso giudizio assolutamente contrario in modo da non permettersi per nessun motivo; ed ha aggiunto di aver dato egli stesso direttamente risposta negativa in varie occasioni, come ha sempre mantenuto il divieto per le riproduzioni cinematografiche nelle funzioni sacre nelle Chiese” (Risposta «Non expedire»).

Le successive richieste pervenute a Roma da vari episcopati non ebbero da Pio XI esito migliore, anche se, poi, ragioni pastorali – ancora una volta in occasione di una guerra (di Spagna) – nella prassi indussero il Pontefice ad una eccezione9. Soltanto dieci anni dopo la prima richiesta, il 21 dic. 1936 la S. Congregazione dei Riti – si noti come la disciplina s’è fatta meno negativa, ma astratta – comunicava che:

“Per quanto riguarda la trasmissione per radio delle cerimonie spettanti alla sacra liturgia, questa S. Congregazione crederebbe opportuno fare una distinzione:
1. In generale non sembra esserci difficoltà a permettere che vengano trasmessi al di fuori tanto i sermoni sacri quanto lo svolgimento delle cerimonie della sacra liturgia che si compiono nelle chiese, compresa la parte musicale; ciò anzi può essere in alcuni casi opportuno e proficuo sotto due condizioni: a) che non si creda con ciò soddisfatto il precetto di assistere alla Messa; b) che tali radiodiffusioni non si mescolino con soggetti frivoli e disdicevoli; sembrando sconveniente che soggetti sì alti si alternino a comunicazioni di indole troppo profana e leggera;
2. Si esclude però che dall’esterno vengano diffuse nelle chiese per radio le musiche vocali a sostituire le vive voci del popolo e dei cantori”. (Lettera al card. D.R. Sbarretti, Segretario della Congregazione del S.Uffizio)

Ancora qualche anno e, con Pio XII, la cosa diverrà pacifica. Nel 1947 egli stesso preciserà: "È vero: ascoltare una Messa per radio non è la stessa cosa che assistere personalmente al divino sacrificio. La radio non sostituisce completamente il contatto personale” (Discorso «De grand coeur», n. 9); e nella Miranda prorsus (n. 124) rileverà che “gli ammalati o altrimenti impediti attendono ansiosamente di unirsi in qualche modo alle preghiere della comunità cristiana e al Sacrificio di Cristo”10.

Invece, contro la Messa televisiva non ci furono da parte di Roma prevenzioni e remore. Salvo errori, essa ebbe luogo per la prima volta nella Notte di Natale del 1948 a Parigi. Qualche mese dopo, Pio XII plaudiva alla gioia e al beneficio immenso dei numerosi fedeli che, “trattenuti in casa per malattia o dal dovere, avevano potuto ascoltare e vedere la Messa” (Telemessaggio «Voici le jour», n. 5); e nel 1954, parlando egli stesso – per la prima volta, in diretta – in Eurovisione, tornava sull’argomento (Discorso «En vous souhaitant», n. 15), rilevando il nuovo genere di “presenza” che lo strumento attuava. La Miranda prorsus (n. 139), il Vaticano II (Costituzione «Sacrosanctum Concilium», 20) e la recente Communio et progressio (n. 151) non faranno che confermare e regolamentare una prassi ormai consolidata:

”[...] pensiamo soprattutto a quelli tra di voi che, confinati in casa dalla malattia o dall’età, cercano quella consolazione e quel conforto di cui abbisognano molto più degli altri, partecipando spiritualmente alle funzioni religiose, ed unendo le proprie preghiere a quelle della Chiesa. È un fatto che, molto più che la radio, la televisione li porta entro le chiese. Ovviamente: non si tratta di presenza personale e fisica ai riti religiosi; però giova molto a creare come un’atmosfera di rispetto e di raccoglimento propria delle celebrazioni liturgiche, che facilita all’uditorio la partecipazione alla fervida preghiera di fede e di adorazione che s’innalza al cielo da un’assemblea di fedeli” (Pio XII, Telemessaggio «Non è forse una fausta» del 6 giugno 1954, 10).
”[...] La televisione può diventare anche lo strumento provvidenziale per una più vasta partecipazione alle manifestazioni della vita religiosa per tutti coloro che non potrebbero esservi presenti. La trasmissione delle cerimonie liturgiche [...] porterà la parola di Dio nelle case, negli ospedali, nelle prigioni, negli angoli più remoti dei centri abitati [...]” (Pio XII, Discorso «En vous souhaitant» del 21 ottobre 1955, n. 15).
“Siamo a conoscenza dell’interesse con cui un vasto pubblico segue le trasmissioni cattoliche alla televisione. È ovvio che la partecipazione per televisione alla Santa Messa [...] non è la stessa cosa che l’assistenza fisica al Divin Sacrificio, richiesta per soddisfare al precetto festivo. Tuttavia i copiosi frutti che possono provenire per l’incremento della fede e la santificazione delle anime nelle trasmissioni televisive delle cerimonie liturgiche per quanti non vi potrebbero partecipare in altra maniera, ci inducono decisamente ad incoraggiare queste trasmissioni” (Lettera enciclica «Miranda prorsus», n. 139).
Dalla Sacrosanctum Concilium, n. 20: “Le trasmissioni radio e televisive di funzioni sacre, specie se si tratta della Santa Messa, si facciano con discrezione e decoro, sotto la direzione e la garanzia di persona competente, designata a tale ufficio dai vescovi”.
”È desiderabile ed opportuno che tra le trasmissioni religiose ci siano quelle della Santa Messa e di altre celebrazioni sacre: occorre che siano allestite con la massima cura, e per l’aspetto liturgico e per quello tecnico. Vi si tenga presente la non omogeneità del pubblico e, se le trasmissioni vanno oltre i limiti di una nazione, si tengano presenti anche le credenze religiose ed i costumi diffusi in altri paesi. Nella quantità e nella durata di queste trasmissioni si vada incontro ai desideri anche dei recettori” (Istruzione pastorale «Communio et progressio», n. 151).

Il caso del matrimonio

Ricapitolando: quattro fattori si scontrano in questa evoluzione della disciplina ecclesiastica, via via armonizzati in pastorali accomodamenti, ubbidienti al superiore interesse dei fedeli. Da una parte la sacralità delle azioni da trasmettere, dall’altra il pubblico necessariamente indiscriminato dei recettori potenziali; inoltre: il concetto di “presenza” dei fedeli all’azione liturgica, compromesso, sembra, dalla tecnicità del mezzo. E questi stessi fattori mantengono aperti alcuni problemi anche di prassi sacramentaria. Uno è il caso del Matrimonio11.

Circa la personale professione di fede e l’istituto della procura – cioè della non-presenza fisica – è stata notata una certa dissonanza nell’ordinamento canonico12. Infatti in esso si esclude la possibilità di fare la professione di fede per procura (can. 1407), e lo stesso principio è applicato al giuramento (can. 1316). Tuttavia, lo stesso Codice di diritto canonico (can. 1088) stabilisce che “per la validità del matrimonio occorre che i contraenti siano presenti, o essi stessi, o per un loro procuratore”.

Vero è che “a partire da Duns Scoto fino alla fine del sec. XVIII non è mai venuta meno la voce di teologi di grande valore, come quella del Caetano, del Da Vitoria, di G. Vasquez, dei Salmanticenses, dei Virceburgenses e di R. Billuart, che hanno negato la sacramentalità del matrimonio per procura, pur riconoscendogli un valore come contratto naturale”.

La questione oggi è a questo punto. Ma non si esclude che possa aprirsi su dati di fatto nuovi; quando cioè – con la matematica certezza della loro identità e di quella dei testimoni (e magari anche delle firme “autografe” sul documento negoziale) – sarà possibile ai due nubendi dare e ricevere il consenso a distanza, via teleschermo.

ll caso della Confessione sacramentale

Prima del Concilio di Trento13 la validità della confessione-assoluzione sacramentale fatta al sacerdote assente per tramite di una lettera o di altro mezzo era generalmente ammessa. San Roberto Bellarmino fa i nomi di altri che, come lui, la difendevano. In seguito la sentenza è stata sempre più impugnata, sull’autorità specialmente di san Tommaso d’Aquino. Tuttavia, nel 1586 la Ratio studiorum della Compagnia di Gesù ammetteva ancora la libertà d’insegnare “la validità del sacramento conferito ad un assente mediante un messaggero o una lettera”. Ma, con un decreto del S. Uffizio, Clemente VIII, il 20 giugno 1602, condannava e proibiva la sentenza come falsa, temeraria e scandalosa, ed ordinava che non venisse insegnata né in pubblico né in privato, e che neanche venisse difesa come probabile, od applicata nella pratica. Il famoso Suarez cercò di sminuire la portata della condanna, distinguendo tra assoluzione data da un sacerdote assente, e confessione fatta ad un sacerdote assente; ma un altro decreto del S. Uffizio, del 7 giugno 1603, dichiarò senza valore quella sottile distinzione.

Figurarsi se la questione non sarebbe riaffiorata con l’invenzione e la diffusione di un mezzo molto meno “assente” quale il telefono! Infatti14 nel 1884 venne chiesto alla S. Penitenzieria "Utrum in casu extremae necessitatis dari possit absolutio per telephonum”; e la S. Penitenzieria se la cavava con un "Nihil est respondendum ". In che senso? Alcuni autori15 hanno opinato: “Nel senso che la S. Penitenzieria si dichiarava incompetente nella questione”; altri16, forse più a proposito, vi hanno scorto un’implicita condanna. Sta il fatto che a tutti gli autori la questione – in linea di principio – pare dubbia, non essendo loro sufficientemente chiaro se la comunicazione telefonica realizzi o no il minimo di “presenza” richiesto tra il penitente e il confessore17. Qualcuno propende chiaramente per la negativa18; ma, recentemente, più possibilista si è mostrato B. Haring19: “Poiché il telefono stabilisce una certa presenza fra il confessore e il penitente – le parole percettibili dell’assoluzione dopo le parole ascoltate della confessione sono pur sempre l’elemento concreto più evidente nel segno sacramentale della Penitenza –, questa possibilità potrebbe essere presa in considerazione in casi di necessità”. Nella pratica, poi, tutti sono d’accordo nell’ammettere l’uso del telefono per la confessione e assoluzione almeno in caso di estrema necessità e sub conditione.

Ed anche questo caso sta per riaprirsi con elementi nuovi.

Infatti, la probabile prossima generalizzazione – via-antenna o via-cavo poco importa – del video-telefono attuerà una con-presenza di confessore-penitente ben diversa da quella di “voci che non si vedono” del telefono convenzionale.

Sacrificio Eucaristico e “partecipazione”20

S’è visto che per la tele-trasmissione della Messa non ci furono, da parte di Roma, le remore che ne ritardarono la trasmissione radiofonica. Vi furono, invece, negli anni ’5021, vivaci polemiche tra teologi e pastoralisti, oggi ancora non del tutto spente, circa la convenienza di dette teletrasmissioni, e circa le possibilità di "partecipazione” da esse permesse.

Contro la liceità e convenienza, molto più che non per la radio, si obiettava la sacralità dell’azione liturgica, della quale – si affermava – la vistosa intrusione tecnica era un’evidente profanazione; e alla quale, in ogni modo, conveniva più l’antica disciplina dell’arcano che non la messa in piazza fattane dalla televisione; messa in piazza – si aggiungeva – che, questa volta anche visiva, esponeva molto di più il Rito all’incomprensione di spettatori estranei ad un contesto di fede (Sancta sanctis!), e al dileggio (margaritas ante porcos!) di spettatori miscredenti.

Contro, invece, la possibilità di un’autentica partecipazione da parte di telespettatori credenti si opponevano (e si oppongono) le caratteristiche di un’Azione Sacra che di sua natura è ecclesiale-locale, e che deve comportare almeno la possibilità fisica della comunione conviviale da parte dei presenti; e, in ogni caso, si opponeva (e si oppone) l’impossibilità di attuare un’autentica “presenza”, mediante uno strumento che – anche quando trasmetta “in diretta” – comunica non “la realtà” ma la sua immagine, per giunta soggettiva, avanti alla quale il fedele, quale che sia la sua disposizione interiore, resta, non attore e con-celebrante, ma semplice spettatore.

Compete ai teologi approfondire questi problemi; ed al Magistero impartire le relative norme dottrinali e pastorali. Sembra, tuttavia, che in proposito non si possano ignorare alcune caratteristiche delle comunicazioni oggi attuate per tramite dei mass media – o, diciamo meglio, degli strumenti "della comunicazione sociale” –, come pure le variazioni psico-antropologiche da essi indotte; e, prima tra queste, la variazione del concetto di “presenza”.

In passato, quando prevaleva la comunicazione verbale-parlata (e gestuale), veniva “naturale” considerare co-presenti uomini cose ed eventi soltanto quando, allo stesso tempo, si trovassero in uno stesso luogo. “Presenti”, dunque, senz’altro, se potevano toccarsi; ma, in certa casistica morale e pastorale (assistenza alla Messa, assoluzione a naufraghi lontani, o in campi di battaglia...), “presenti” pure quando, lontani nello spazio, potessero almeno parlarsi o vedersi. Ma oggi i mass media, abolita ogni distanza spaziotemporale, realizzano di fatto una co-presenza di nuovo genere, rilevante non solo sociologicamente – tutta l’umanità ormai raccolta e solidale nell’unico “Villaggio cosmico” di McLuhan! – ma anche psicologicamente22.

Ancora una volta: salva sempre l’insostituibilità della co-presenza fisica in alcuni rapporti personali e sociali, al limite ci si può chiedere chi sia e si senta più co-presente: due fidanzati che si vedano, distanti pochi metri, in una piazza, ma che non possano comunicare per via della folla, oppure gli stessi qualora, l’uno a Roma e l’altra a Tokio, si vedano si parlino e si scambino tenerezze e prendano impegni per video-telefono, magari via-satellite23.

Altro concetto che va ulteriormente chiarito ed aggiornato è quello di ’’partecipazione” personale e sociale alle azioni di culto, ed in particolare al Banchetto Eucaristico. Potranno sembrare sottigliezze scolastiche, e la terminologia usata potrà anche non sodisfare, ma sono stati distinti almeno quattro modi e gradi di partecipazione: 1) puramente esteriore (partecipatio materialis), praticamente identificabile con una presenza soltanto fisica (per esempio: ad una conferenza, alle esequie di un personaggio..., con l’animo e la mente altrove); 2) puramente interiore (partecipatio intentionalis), per esempio: al lutto, alle preoccupazioni, alle gioie di qualcuno lontano; 3) insieme esteriore ed interiore, ma senza che essa influisca nello svolgersi e nell’esito dell’evento (partecipatio obiectiva), quale può essere quella di un padre che assista impotente ad un’operazione chirurgica del proprio figlio; 4) e finalmente, insieme esteriore ed interiore, ma (più o meno) influendo nello svolgersi e nell’esito dell’evento (partecipatio subiectiva): tale, ma parziale, quella di spettatori in uno stadio che facciano tifo per la propria squadra; e tale, e perfetta, quella dell’unione fisica e spirituale di due sposi.

Tutte e singole queste forme di partecipazione ad azioni liturgiche o paraliturgiche vanno considerate nella prassi pastorale dei mass media. Va, intanto, considerata l’ultima: unica valida possibile partecipazione dei fedeli alla Messa quale azione sacerdotale di Cristo e sacramentale della Chiesa, anche a prescindere dalle norme positive ecclesiastiche per l’adempimento del precetto festivo (cann. 1248 ss.): forma di partecipazione che certamente non può verificarsi con una “presenza” attuata per tramite di suoni ed immagini, sia pure “in diretta”; tanto meno in film, o comunque registrate. E va considerata la prima, sia in fase di trasmissione di programmi religiosi sia in fase di recezione, sì da ridurre al minimo lo scadimento di essi a mero spettacolo, offerto in situazioni oggettive (di luogo e di tempo) o soggettive (di recettori) appunto di mera spettacolarità. Ma vanno considerate soprattutto la seconda e la terza.

È indubbio, infatti, che immagini e suoni possono provocare intense partecipazioni interiori e che, inoltre, specie quelle della (radio-)televisione realizzano, come s’è detto, una “presenza” psicologicamente affine a quella fisica. Si tratta, dunque, di sfruttarne tutte le possibilità tecnico-psicologiche per favorire nei recettori una partecipazione autenticamente religiosa, personale e comunitaria, per quanto possibile simile alla quarta. Ciò vale per i riti di preghiera in genere: tale la Via crucis al Colosseo il Venerdì Santo, trasmessa in Eurovisione; e vale anche per la Liturgia della Parola. Ma non si esclude che possa anche valere per nuove forme di partecipazione all’Eucaristia, che non sostituiscano quella normale locale, ma la suppliscano quando essa sia praticamente inattuabile, come nel caso di malati, di anziani, di impediti, ed anche di comunità, oggi sempre più numerose, isolate e prive di sacerdoti24.

S’è visto che il Magistero, che approva ed incoraggia l’ascolto della Messa radio- o tele-trasmessa, esclude che così si possa sodisfare il relativo precetto. Ma si tratta, appunto, di un precetto ecclesiastico, che, assolutamente parlando, la Chiesa potrebbe modificare25, magari integrandolo con un altro precetto, richiedendo cioè l’assistenza alla Messa festiva almeno radio-teletrasmessa26 a quanti lo possano, e siano impediti o impossibilitati ad assistervi con presenza fisico-locale; e magari con la possibilità di accedere, durante la stessa, alla comunione sacramentale, distribuita in loco da un diacono o da altro ministro a ciò abilitato.

Si agevolerebbe pur sempre, così, la partecipazione effettiva di tanti fedeli, in un unico Pane e in un unico Calice, all’unico “cosmico” Sacrificio di Cristo. Certo con una presenza locale non ideale; tuttavia, in compenso, con una partecipazione psicologica forse migliore di quella normalmente possibile in comunità locali che superino di troppo (grandi cattedrali e santuari, Piazza San Pietro...) l’intimità delle piccole comunità parrocchiali e familiari.

Paradossi e pastorale

Negli anni ’30, quando la radio cominciava ad esagerare nelle sue invasioni nel sacro, in vena di paradossi liturgico-apocalittici l’incredulo Georges Duhamel27 paventava che la Chiesa cattolica arrivasse ad usare il fonografo per rispondere al sacerdote nella Messa, o per cantare il Vangelo; ad ammettere il matrimonio a domicilio su disco, ad adottare il confessionale elettrico a gettone, e le assoluzioni in serie, sempre su disco, alla radio; nonché le Messe su film, ad uso e consumo di piroscafi privi di cappellano! Perdoniamo al suo estro, pari alla sua ignoranza religiosa, queste boutades. Questo è certo: che se la Chiesa, anche nella liturgia e nel culto, conserverà, come in passato, sempre intatto ciò che il Fondatore le ha consegnato come intangibile, essa resterà altrettanto disposta a mutare il mutabile, anche nei rapporti tra la tecnica il culto e la pastorale, quando lo richieda il superiore interesse delle anime nelle mutate condizioni psico-sociologiche dell’umanità.

1 Per brevità usiamo questa terminologia corrente, invece di quella, più esatta, di “strumenti della comunicazione sociale”. La differenza non è trascurabile, perché, come s’è visto a proposito di Strumenti della comunicazione ed evangelizzazione (Civ. Catt. 1974 IV 36-48), molti pregiudizi circa l’uso pastorale di questi mezzi si eviterebbero se essi venissero considerati non “mezzi di massa”, in accezione più o meno deteriore, ma, come li considera il decreto conciliare Inter mirifica (n. 1), specifici strumenti di una odierna nuova “comunicazione sociale”.

2 La prima cautelosa risposta romana sull’uso della luce elettrica nelle chiese risale al giugno 1895 (cfr Collectio authentica decretorum Sacr. Rituum Congr., 3859). Ne seguirono altre: del 16 maggio 1902 (ivi, n. 4097), del 22 novembre 1907 (n. 4206), del 17 gennaio 1908 (n. 4210), del 21 luglio 1911 (n. 4275) e finalmente del 24 giugno 1914 (n. 4222), che le riassume tutte. Furono le ristrettezze della prima guerra mondiale a farne legittimare l’uso almeno per la lampada del SS.mo (n. 4434, del 23 febbraio 1916).

3 Cfr E. BARAGLI, Cinema cattolico, Roma 1965, nn. 1-4 e 680. – Circa la proiezione di film nelle chiese cattoliche, così G. GIRAUD (in Il cinema e l’adolescenza, Roma 1958, 54): “Nel Canadà, verso il 1900, dei sacerdoti proiettano piccoli documentari nella chiesa stessa, dopo aver tolto gli oggetti del culto per porre lo schermo”. La stessa cosa avveniva nelle chiese protestanti, secondo Yiew and Film Index (5 ottobre 1907, riportato da L. JACOBS, L’avventurosa storia del cinema americano, Torino 1952, 92): “Dobbiamo rivolgerci al lavoratore e alla sua famiglia [...]. Raccogliamoci dieci, dodici, quindicimila dollari per ricostruire e ampliare la nostra chiesa [...] in modo che il sabato sera, quando le strade, le case da giuoco, i saloons sono più affollati, si possa proiettare dei film [...] da illustrarsi e interpretarsi [...] quasi letture del Vangelo di carattere pratico”.

4 Recentemente queste proiezioni sono state fatte anche in contesti piuttosto qualificati. Il Vangelo secondo Matteo, di P. Pasolini, è stato proiettato in alcune chiese di Francia e del Canadà. Il 5 ottobre 1972 i partecipanti alle Giornate di studio dell’OCIC a Deauville (Francia) effettuarono una visita all’Abbazia di Mont Saint-Michel, durante la quale parteciparono ad una concelebrazione eucaristica, presieduta dall’abate locale, concelebranti due arcivescovi e dieci sacerdoti. La liturgia della parola si svolse in una cappella della chiesa inferiore, e la prima lettura fu effettuata con la proiezione, su di uno schermo appositamente approntato, del martirio di santo Stefano tratto dal film di R. Rossellini Gli Atti degli Apostoli.

5 Nota A. MARRANZINI: “Non mi sembra che ci siano motivi teologici che impediscano l’utilizzazione bene selezionata dei mezzi audiovisivi nello stesso ambito del tempio in occasione di azioni paraliturgiche o liturgiche, compresa la liturgia della parola nella S. Messa. Tutto ciò richiede una debita preparazione nei pastori e nei fedeli, e una regolazione da parte di coloro che hanno il dovere di tutelare la serietà e la santità del culto, prevenendo ed eliminando ogni iniziativa arbitraria ed abuso” (in AA.VV., Liturgia e strumenti di comunicazione sociale, Roma 1974, 37).

6 Essa è fissata dall’Istruzione della S. Congregazione dei Riti De Musica Sacra et Sacra Liturgia, del 1958, poi ripresa da altra Istruzione della stessa Congregazione: Musicam sacram, del 1967.

7 In questo paragrafo seguiamo specialmente l’eccellente tesi di dottorato di D. MOSSO, La Messa alla radio e alla televisione (Parigi 1973), che si è documentata a fonti dirette inedite.

8 La richiesta era stata rivolta il 26 dicembre 1926 dall’arcivescovo di Praga mons. F. Kordac, che notava come in Boemia alcuni l’avversavano come una profanazione, mentre altri la caldeggiavano dicendo che gli ammalati e gli impediti avrebbero potuto, almeno così, ascoltare la Messa. Il 24 febbraio 1928, alla risposta negativa del S. Uffizio l’arcivescovo insisteva: se, escluse le parti cantate dal celebrante o dai ministri, almeno si potessero trasmettere per radio i canti della Messa o di altre funzioni religiose, come gli constava che si praticava a Roma, a Milano, a Napoli, a Varsavia, a Riga, a Parigi e a Budapest. Ed il S. Uffizio replicava (ivi, 362) che bisognava attenersi alla risposta dell’anno precedente, aggiungendo: “Se altre chiese cattoliche dell’universo si sono permesse di diffondere, con l’aiuto della radio, i canti liturgici della Messa, il Sant’Uffizio ci tiene a dichiarare che si tratta di un abuso, che è stato praticato senza il suo consenso”.
La risposta negativa del S. Uffizio nel maggio 1929 veniva pubblicata dal settimanale cattolico di Buffalo (USA) The Echo; e il mese seguente il vescovo di Syracuse (USA) chiedeva a Roma se tale risposta poteva essere pubblicata come decisione autentica della superiore autorità. Gli fu risposto in forma privata che la risposta era diretta ad una domanda particolare: se desiderava istruzioni si rivolgesse direttamente al S. Uffizio. Ma in quello stesso mese di giugno la S. Congregazione dei Riti chiedeva al S. Uffizio se avesse emanato qualche istruzione in proposito. Pio XI consigliò di rispondere confermando la risposta negativa data a Praga, osservando, tra l’altro, che "è da tener presente che le eventuali audizioni radiofoniche penetrano naturalmente in tutti gli ambienti, e che quindi potrebbero facilmente essere oggetto, in qualche ambiente ostile, di dileggio e di scherno”.
Il 6 novembre 1935 ci fu un’altra richiesta: questa volta dall’arcivescovo di Palermo, che interpellava la Congregazione del Concilio sulla convenienza o meno di permettere che nelle chiese [...] vengano radiofonate [sic!] I le sacre funzioni, e in particolare la Messa cantata”; e il 10 giugno 1936 il S. Uffizio rispondeva "Non expedire”.

9 Il Papa, “a conforto e a vantaggio di molti fedeli, che nelle dolorose attuali circostanze non potevano in Spagna frequentare la chiesa”, concedeva la trasmissione via-radio della Messa, celebrata in una cappella della Radio Nacional di Salamanca.
Siccome in America se ne scrisse come di un “privilegio straordinario” e di “ascolto valido” della Messa, un corsivo dell’Osservatore Romano dell’11 marzo 1928 si affrettava a precisare “che tali trasmissioni non hanno nulla a che fare con la soddisfazione del precetto festivo. Chi non è in grado, per qualsiasi ragione, di assistere nel modo ordinario alla celebrazione della Santa Messa festiva, è dispensato dall’osservanza del precetto, e se ascolterà la radiotrasmissione ne potrà essere certamente edificato, senza per questo adempiere il precetto, che non può in questo modo essere soddisfatto. Ne segue che, senza gravi ragioni di dispensa, si è obbligati ad assistere alla Santa Messa festiva nel modo ordinario, e non si è assolutamente scusati da nessuna radioaudizione”.

10 D’ora in poi nei documenti del Magistero la Messa radiofonica farà tutt’uno con quella televisiva: cfr nn. 1896, 2360, 2913, 3495.

11 In questo paragrafo si segue CORECCO, Dialogo ecclesiale o diaconia sinodale?, in Communio, 1972, n. 1, 32 ss. – L’Autore è tra quelli che propongono l’abolizione del matrimonio per procura nel Codice di diritto canonico.

12 Anche l’esclusione del doppio voto del procuratore al Concilio (quando questi sia già uno dei Padri conciliari), come l’esclusione di ogni possibilità di voto dello stesso (quando non sia uno dei Padri del concilio ecumenico), e la concessione del voto solo consultivo ai procuratori nei concili minori (cann. 224, 287), traduce la persuasione della Chiesa che ogni decisione conciliare, anche solo disciplinare, ha sempre un nesso strettissimo con la professione di fede.

13 Cfr DENZ-SCHOEN., Enchiridion Symbolorum, Roma 1967, nn. 1993 ss.

14 Cfr D. MOSSO, op. cit., 290 ss.

15 Cfr. M. ZALBA, Theologiae moralis compendium, Madrid 1958 463; B.H. MERKELBACH, Summa Theologiae moralis, Bruges 1962, III, 396; J. M. JIMENEZ, Teoria de los contenidos de la televisión, Madrid 1965, 183 ss.

16 Cfr A. VILLIEN, in Dictionnaire du Droit Canonique, s.v. Absolution, I, 121 ss.

17 Così M. ZALBA (loc. cit.): Num per telephonum instauretur sufficiens praesentia non constat. Sed neque constat certo non instaurari.

18 Così B. H. MERKELBACH (loc. cit.): Nam secundum modum naturalem et ordinarium colloquendi, non sunt poenitens et confessarius ad invicem praesentes [...]: simplex communicatio nondum est praesentia. Imo neque ipsa vox loquentis auditur in telephonio, sed solum perfecte reproducitur.

19 B. HAERING, La legge di Cristo, Brescia 1964, I, 541.

20 In questo paragrafo si segue soprattutto K. RUF, Die Fernsehübertragung der heiligen Messe, Frankfurt am M. 1961, già pubblicato in tedesco, francese, inglese e spagnuolo in UNDA, 1961, nn. 2 ss.; 1962, nn. 1 ss. – È lo studio più approfondito in materia.

21 In occasione delle prime teletrasmissioni della Messa in Germania. Vi presero parte, tra gli altri: K. BECKER, Der Schlüsselloch für die Ungläubigen in Der christliche Sonntag, 2 aprile 1952; Rettung des Schleiers, in Kirche und Leben, 30 agosto 1953. A. BOHM, Mysterium im optischen Pot-pourri, in Reinischer Merkur, 26 giugno e 17 luglio 1953. P. BOLKOVAK, Die kirchliche Messe und das Fernsehen, in Die Neue Zeitung, 25 luglio e 1º agosto 1953. K. BRINGMANN, Die Diskussion um das Fernsehen, in Orientierung, 1953, 177 ss.; Fernsehmesse: ein Ruf an alle, in Rheinische Post, 27 giugno 1953. E. DOVIFAT, Das Messopfer-ferngesehen?, in Hamburger Anzeiger 12 aprile 1953. H. FROWEIN, Fernsehübertragung der heiligen Messe, in Der christliche Sonntag, 21 giugno 1953. C. MUNSTER, in Mysterium und Apparat. J. PIEPER, Zur Fernseh-Übertragung der heiligen Messe, in Weistum-Dichtung-Sakrament, 273. K. RAHNER, Die Messe und das Fernsehen, in Orientierung, 1953, n. 17, 179 ss. A.M. ROGUET, Est-il inconvenant de téléviser la Messe?, in Rev. Intern. de Télév. et Radio, 1954, 32 ss. H. SCHOMERUS, Gottesdienst von fern gesehen, in Rufer und Hörer, 1953, n. 8, 52 ss. A. SCHORN, Braucht die Kirche ein Schlüsselloch für die Ungläubigen?, in Der christliche Sonntag, 3 maggio 1953.
Con previsioni sulla Messa televisiva, anche la nostra Rivista s’era interessata a questa problematica; cfr. G. MARTEGANI, La radiofonia religiosa e il culto divino, in Civ. Catt. 1933 IV 449 ss.

22 Si tratta, appunto, di “mentalità”, non di realtà fisiche o di concetti metafisici; quanto, perciò, legata a situazioni socio-culturali, e quanto mutabile con esse? – Per H. NOLDIN (De praeceptis Dei et Ecclesiae, Innsbruck 1930, n. 261 c) era certo che “non soddisfa al precetto della Messa festiva chi la segua stando fuori della Chiesa distante da essa più di circa [?!] trenta passi, perché a questa distanza non si può più considerare moralmente unito al celebrante”. Se ciò è vero, come la mettiamo con le migliaia di fedeli che, a Piazza San Pietro o nei Congressi Eucaristici, seguono la Messa distanti anche centinaia di metri dall’altare? Anche il card. G. DE LUGO, “al quale si rifanno, di preferenza, gli autori moderni, e che rappresentava l’opinione comune e tradizionale del suo tempo” (G. MARTEGANI, art. cit., 459), insegnava (De Sacramentis, Lugduni 1670, Disp. XXII, Sectio II, n. 20, 549) che dalla stessa natura dell’assistenza implicata nelle norme canoniche si richiede la presenza fisica corporale come s’intende nel comune linguaggio degli uomini; tuttavia – aggiungeva – “si deve regolare dall’arbitrio di persona prudente, per giudicare se un uomo si possa dire moralmente presente a quella azione, sì che si possa ritenere, secondo il comun modo di intendere, che si assista”. Ma qui sta il punto: secondo il comune modo d’intendere degli uomini di oggi (e di domani), “essere moralmente presente”, “assistere”, comportano lo stesso concetto che nei tempi passati?

23 Così PIO XII (Lettera enciclica «Miranda prorsus», n. 141) “La televisione [...] permette di partecipare audiovisivamente, nello stesso istante in cui succedono, ad avvenimenti lontani, con una suggestività che si avvicina a quella di un contatto personale (ut quasi praesentes participent)”.

24 La proposta era già stata avanzata quarant’anni fa, quando la televisione era ancora di là da venire da padre H. DU PASSAGE (Mécanique et prière, in Etudes, 1931, III, 523): "Actuellement les moralists requièrent, pour une assistance valable à la Messe, que l’on soit en mesure de suivre les diverses phases du Sacrifice. Si l’on ne peut se joindre au groupe des fideles dans l’église, du moins faut-il que l’union soit “morale” et ne soit pas rompue par la télévision, la distance excessive, rendant toute perception indistincte. Dans les cas de la télévision, la distance se serait accrue bien au delà de ces limites, l’espace, à vrai dire, n’interviendrait plus. Mais aussi l’image, par hypothèse, serait restée nette et les détails de la cérémonie seraient suivis mieux que parfois dans une église ou derrière un pilier. Alors? [...] pour les cas exceptionnels, pour le pays dépourvus de tout office, nos arriére-neveux entendront et verrons peut-être validement la messe célébrée sur un autel lointain”.

25 Ad rem G. MARTEGANI (art. cit., 460): “Ripetiamo: vigenti disposizioni ecclesiastiche. Perché la legge che impone insieme e di santificare tutte le domeniche e feste comandate e di santificarle con questo determinato modo di partecipazione al S. Sacrificio, è certamente di natura ecclesiastica; e non si esclude quindi, astrattamente parlando, che possa venir mutata dalla Chiesa. Fino a qual punto in ciò possa giungere non è facile determinare: non apparendo ancor chiaro fin dove arrivi il diritto naturale e positivo divino (ai quali il Suarez afferma che è molto conforme il presente diritto ecclesiastico) e dove incominci il libero potere della Chiesa. La questione ci porterebbe troppo in lungo. Cfr SUAREZ, De Sacramentis, D. 88, s. 1; D. 77, s. 3; D. 73, s. 8; De Religione, Tr. 2, L. 1, cc 2 e 3. FAGUNDEZ, Tractatus in quinque praeceptis Ecclesiae, L. 2, c. 1, nn. 6, 11; c. 2, n. 5, nn. 1-3”.

26 E, meglio, strutturata in modo diverso dall’attuale, certamente non concepito per la radio e la televisione. Così, in proposito, T. GOFFI (in AA.VV., Liturgia e strumenti..., cit., 27): “Si deve proclamare valida l’assistenza alla Messa, trasmessa alla radio o alla televisione, non per sola devozione interiore del fedele, ma anche per reale partecipazione [...]. Forse si dovrebbe indagare se la Messa trasmessa alla televisione non debba essere liturgicamente strutturata in modo del tutto singolare. Dovrebbe apparire, non qual momento sacrale estraniato e contrastante col mondo profano, ma qual sacrificio di Cristo pienamente incarnato nella nostra cultura tecnico-scientifica”.

27 G. DUHAMEL, Message aux Princes des Prêtres, in Candide, 30 luglio 1931.

In argomento

Massmedia

n. 3405, vol. II (1992), pp. 260-268
n. 3351, vol. I (1990), pp. 260- 269
n. 3310, vol. II (1988), pp. 351-363
n. 3218, vol. III (1984), pp. 144-151
n. 3200, vol. IV (1983), pp. 158-164
n. 3202, vol. IV (1983), pp. 362-368
n. 3195-3196, vol. III (1983), pp. 209-222
n. 3188, vol. II (1983), pp. 154-161
n. 3191, vol. II (1983), pp. 463-467
n. 3179, vol. IV (1982), pp. 464-467
n. 3141, vol. II (1981), pp. 222-237
n. 3088, vol. I (1979), pp. 351-359
n. 3075-3076, vol. III (1978), pp. 223-238
n. 3072, vol. II (1978), pp. 566-573
n. 3062, vol. I (1978), pp. 151-159
n. 3058, vol. IV (1977), pp. 349-362
n. 3055, vol. IV (1977), pp. 45-53
n. 3045, vol. II (1977), pp. 260-272
n. 3034, vol. IV (1976), pp. 336-351
n. 3036, vol. IV (1976), pp. 580-587
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