NOTE
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* Cfr Introduzione generale, in Catt. 1971 IV 39-48; alle note di essa qui ci si riferisce nel citare gli autori ivi nominati.

1 Ignoranza del latino ha fatto tradurre ad ALDO D’ALFONSO (Rinascita, 2 luglio 1971, 6) il titolo Communio et progressio in comunicazioni sociali e progresso; mentre una lettura affrettata ha fatto scrivere a n. ANCARANI (art. cit., 15), di "Comunione, e non comunicazione” là dove, al più, si doveva scrivere: "Anche comunione, e non solo comunicazione”.

2 A differenza dell’Inter mirifica, l’Istruzione non brilla sempre per esattezza terminologica e concettuale, così ingenerando qualche incertezza anche circa i suoi contenuti. A parte, infatti – pure nell’originale latino – la frequente errata equivalenza tra medium ed instrumentum (quando è noto che, anche nella comunicazione, ogni strumento è pure mezzo, ma non viceversa), qua e là “comunicazioni sociali” viene usato ellitticamente per “strumenti della comunicazione sociale”. Tuttavia ciò qui non avviene: inesatto, perciò è il titolo di questa Prima Parte "Le comunicazioni sociali nella visione... ", nella traduzione italiana riportata dall’Osservatore Romano, e da altri che ne dipendono.

3 L’originale latino, per designare “coloro che per impegno professionale ne fanno uso”, adotta il termine communicatores, che nella traduzione italiana riportata dall’Osservatore Romano viene costantemente reso con comunicatori. Ma ritengo che il termine latino, oltre che non classico, non sia univoco – cfr il petrino "gloriae Christi communicator”, e luoghi di Tertulliano, Arnobio ed altri, ove vale per “chi è partecipe” –, e perciò evitato negli Schemi e nel Decreto conciliare. L’italiano “comunicatori’ poi non garba ai sociologi, i quali – e giustamente – ritengono che, soprattutto nella comunicazione sociale, e in quel “dialogo societario” di cui appresso – di cui gli strumenti sono mezzi privilegiati –, veri e propri comunicatori sono tanto i promotori quanto i recettori della comunicazione.

4 Come quelle, remote, inglese del 1695 americana del 1776 e francese del 1791; e quelle, recenti, dell’ONU, del 1948 (ricordata nel n. 46 dell’Istruzione), e del Conseil d’Europe, del 1950.

5 Però non si esclude che più di uno specialista in materia dissenta su qualche punto. Per esempio, circa la quasi-definizione di opinione pubblica nel n. 25, e circa la non sufficiente distinzione tra “opinioni” in senso generico ed “opinione pubblica” in senso specifico: la quale, tra l’altro, nel n. 26 porta a citare il n. 29 della Gaudium et spes non proprio ad rem.

6 Veramente nell’economia globale dei mass media, e perciò anche nella relativa pubblicistica, le espressioni artistiche riscuotono relativamente scarso spazio ed interesse. Perciò i ben cinque numeri riservati ad esse nell’Istruzione hanno tutta l’aria di un risarcimento quantitativo e qualitativo alle reticenze ed al moralismo rimproverati dai giornalisti al n. 6 dell’Inter mirifica.

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Articolo estratto dal volume IV del 1971 pubblicato su Google Libri.

Il testo è stato corretto dai refusi di stampa e formattato in modo uniforme con gli altri documenti dell’archivio.

I riferimenti ai documenti del magistero pontificio sono stati resi interattivi e portano al sito del progetto “Chiesa e Comunicazione”, la biblioteca digitale online che prosegue l’attività iniziata da p. Baragli con le opere Cinema cattolico: documenti della Santa Sede sul cinema e Comunicazione Comunione e Chiesa.

ARTICOLO SU

II. SINTESI ANTOLOGICA*

Nell’impossibilità di riprodurre integralmente l’ampio testo della Communio et progressio, ne riportiamo qui, accompagnandoli con un commento sommario, alcuni passi più notevoli per contenuto dottrinale e normativo.

L’introduzione (nn. 1-5)

Il Documento consta di tre Parti, inquadrate tra una brevissima Introduzione ed una breve Conclusione.

L’Introduzione precisa lo scopo (n. 1), le fonti dottrinali (n. 2), il carattere generale (n. 3), ed i destinatari dell’Istruzione (nn. 4-5). Degno di particolare attenzione è il primo numero:

“La comunione e il progresso della società umana costituiscono lo scopo primario della comunicazione sociale e dei suoi strumenti, quali la stampa, il cinema, la radio e la televisione. Il loro continuo perfezionamento infatti ne estende la diffusione a nuove moltitudini di persone e li rende più accessibili ai singoli, favorendo una sempre maggiore e profonda incidenza di questi menti nella mentalità e nel modo di vivere degli uomini”.

Come in altri documenti recenti del Magistero – si ricordino le encicliche Mater et Magistra, di Giovanni XXIII, Populorum progressio, di Paolo VI, e, tra i documenti del Vaticano II, la dichiarazione Dignitatis humanae, il decreto Unitatis redintegratio... –, le parole Communio et progressio, con le quali inizia, indicano l’assunto al quale tutta l’Istruzione si ispira e tende; che è questo: caratteristica sociologica dei mass media è incrementare al massimo la comunicazione tra gli uomini; ma non ogni incremento di comunicazione tra gli uomini si risolve automaticamente in comunione di cuori e di volontà, condizione prima di ogni autentico progresso umano; tocca dunque agli uomini, singoli ed associati, promotori e recettori dei mass media, fare in modo che il loro uso avvenga, di fatto, in funzione di questo loro fine primario ed ultimo1.

Parte Prima (nn. 6-18)

Alla dimostrazione di questo assunto è dedicata la Prima Parte, che appunto s’intitola Gli strumenti della comunicazione sociale nella visione cristiana: elementi dottrinali2, e che, in apertura (n. 6), così l’enuncia:

“Il più nobile scopo di queste invenzioni consiste nel richiamare l’attenzione sulle attese e sui problemi dell’umanità, per cercare di risolverli nel più breve tempo possibile, e unire tutti gli uomini in una solidarietà sempre più stretta. Su questo principio di fondo si basa la stima dei cristiani verso le ampie possibilità che gli stessi strumenti offrono al benessere umano”.

Per il progresso umano come fine dei mass media quali “recentissimi prodigi della scienza e meravigliosi ritrovati della tecnica” (n. 7), l’Istruzione si appella alla rivalutazione teologica delle realtà temporali avviata specialmente dalla Gaudium et spes, secondo la quale:

“la positiva visione cristiana dell’uomo [...] trova una risposta al comando divino dato all’uomo perché egli possieda e domini la terra, e vi scopre nello stesso tempo una partecipazione e un prolungamento dell’opera creatrice [...] di Dio. [...] Infatti, avendo Dio fatto l’uomo a sua immagine, gli diede pure la possibilità di partecipare alla sua potenza creatrice per edificare la città terrena”.

Circa "l’unione fraterna tra gli uomini, fine primario di ogni comunicazione” (n. 8), il pensiero teologico dell’Istruzione è più complesso. Essa “trova la sua fonte e quasi un modello nell’eterna comunione trinitaria del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, uniti in un’unica vita divina”; ma trova ostacoli nel “peccato, che è entrato nella storia col primo uomo” (n. 9). Infatti:

“Quando l’uomo per propria colpa volta le spalle al suo Creatore, per il disordine che ogni errore produce, viene a trovarsi in discordia con se stesso, in rotta con i suoi fratelli, inibito nella facoltà di comunicare.
“Ma l’amore di Dio verso gli uomini non ammette di essere rifiutato. Egli infatti prese per primo l’iniziativa, dando corso alla storia della salvezza, col ristabilire un dialogo con gli uomini: nella pienezza dei tempi entrò in comunione con loro [...]. Procurata la salvezza del genere umano [...] Cristo, il Figlio di Dio fatto uomo, Parola e Immagine del Dio invisibile, ci ha fatto tutti partecipi della verità e della vita stessa divina [...]. Egli, unico mediatore tra il Padre e l’umanità, ristabilisce la pace e la comunione con Dio, mentre rinsalda la fraternità fra gli uomini” (n. 10).

Qui l’Istruzione passa a presentare Cristo come “perfetto comunicatore” (n. 11) a tre titoli: 1) per il metodo didattico da lui seguito; 2) per la donazione perfetta di se stesso (nell’Eucarestia) e del suo Spirito Vivificante; 3) perdurando nella Chiesa suo Corpo mistico:

“Per mezzo della sua incarnazione egli prese la somiglianza di coloro che avrebbero ricevuto il suo messaggio, espresso dalle sue parole e da tutta l’impostazione della sua vita. Egli parlava pienamente inserito nelle reali condizioni del suo popolo, proclamando a tutti indistintamente l’annuncio divino di salvezza con forza e con perseveranza e adattandosi al loro modo di parlare e alla loro mentalità. [...] Ma la piena comunicazione comporta la vera donazione di se stessi sotto la spinta dell’amore; ora la comunicazione del Cristo è realmente spirito e vita. Con l’istituzione dell’Eucarestia, Cristo ci consegnò la più alta forma di comunione che potesse venire partecipata agli uomini. Nell’Eucarestia infatti si realizza la comunione fra Dio e l’uomo, e perciò la più intima e perfetta forma di unione fra gli uomini stessi. Cristo infine ci ha comunicato il suo Spirito vivificante, che è principio di comunità e di unità. Nella Chiesa, che è il Corpo mistico di Cristo e mistero della pienezza di Lui glorificato, gli abbraccia tutte le realtà. Perciò nella Chiesa siamo in cammino, fortificati dalla Parola e dai sacramenti, verso la speranza dell’ultimo incontro, quando ’Dio sarà tutto in tutti’”.

Alla carità, “espressione e produttrice ad un tempo di unione” (n. 12), ed al “continuo progresso umano” si ispirerà, dunque, la morale degli strumenti, vista e praticata nella luce e con “la forza particolare della fede cristiana” (n. 13). A questo proposito, il Documento rileva tre fattori oggettivi da tenere sempre presenti così nelle singole comunicazioni come nel loro giudizio d’assieme; vale a dire: le caratteristiche proprie dei singoli mezzi, i valori dell’uomo totale che con essi comunica, ed il bene comune, al quale la comunicazione sociale deve contribuire.

“I principi morali che regolano gli strumenti della comunicazione devono fondarsi su una giusta considerazione della dignità dell’uomo, poiché chi sceglie il modo di utilizzarli è l’uomo stesso, il quale è chiamato a diventare corresponsabile della comunità dei figli adottivi di Dio [...]. Ma se si vuole dare una esatta collocazione nella storia della creazione e dell’incarnazione ai mezzi di comunicazione e valutare il loro valore morale, bisogna considerare l’uomo nella sua totalità; [...]. Per altro verso, questi principi derivano dalla natura specifica della comunicazione sociale e dalle caratteristiche proprie dei singoli mezzi” (nn. 14 e 15).

Ovviamente in ogni comunicazione occorre anche, e sempre, la moralità soggettiva: “Ogni comunicazione deve possedere alcuni requisiti fondamentali, che sono la sincerità, l’onestà, la veracità”; però “la buona disposizione e la retta intenzione non bastano”:

“La validità e moralità di una comunicazione non derivano soltanto dalla bontà dell’argomento né dall’intento dottrinale di chi l’ha concepita. Sono fattori essenziali anche il modo di impostare la comunicazione, le tecniche del linguaggio e della persuasione, le circostanze concrete, la stessa grande platea umana a cui la comunicazione é diretta” (n. 17).

Ne consegue una norma pratica di massimo peso etico e pastorale: il dovere di una conoscenza adeguata, e perciò di uno studio accurato, circa la natura della comunicazione sociale, i suoi strumenti e le circostanze concrete nelle quali questi operino, da parte di tutti quelli che possono influire sulla loro qualità morale, più o meno favorendo comportamenti “che esaltino o sminuiscano i valori umani dell’individuo o di un gruppo”:

“Perciò, é dovere di coscienza per tutti i promotori3[...] procurarsi una seria competenza in materia; dovere tanto più grave quanto più grande é l’influenza del promotore, per motivo del suo ufficio, sulla qualità della comunicazione. Lo stesso a maggior ragione si deve dire per quanti hanno incombenze educative o divulgative, e quindi influiscono sui gusti e sulle inclinazioni degli altri, soprattutto dei giovani immaturi o di coloro che siano provvisti di cultura inferiore [...]. Bisogna dunque tentare ogni via perché i recettori [...] raggiungano una tale formazione che consenta loro di interpretare i diversi messaggi, di ricavarne il maggior arricchimento possibile e di assumere quindi il proprio ruolo attivo nella vita sociale. Soltanto in questo modo gli strumenti di comunicazione raggiungeranno la loro piena efficacia” (n. 15).

Così termina la Prima Parte. È agevole rilevarne il generale ottimismo, ed il punto di vista prevalentemente dei professionisti: quasi ad equilibrare il “moralismo” ed il “clericalismo” rimproverato al Decreto conciliare; e rilevarne anche la – forse, per alcuni, sorprendente – brevità: 13 numeri su 187. Bisogna tuttavia osservare che, almeno per quanto riguarda “l’approfondimento filosofico e il fondamento sociologico” reclamati da alcuni critici (francesi), non difettano sviluppi nel resto dell’Istruzione, soprattutto a proposito dell’informazione e dell’opinione pubblica.

Parte Seconda (nn. 19-100)

Nel Questionario di pre-redazione del 1965, la Pontificia Commissione aveva, tra l’altro, chiesto se nell’Istruzione convenisse dare maggior attenzione e rilievo all’umanizzazione-cristianizzazione degli stessi mass media, oppure al loro uso in funzione di predicazione-evangelizzazione. Tra le risposte, alcune stettero per la prima alternativa, rifacendosi alla natura degli strumenti, ai professionisti (presunti) destinatari del Documento, ed alla strumentalizzazione clericale dei mass media rimproverata all’Inter mirifica. Altre, invece, stettero per la seconda, arguendo dalle condizioni concrete, locali o personali, e dai “pastori”: (presunti) destinatari dell’Istruzione pastorale. Altre, infine, suggerirono di non distinguere né opporre, ma di congiungere ed integrare le due proposte. La Commissione decise di trattare i due aspetti come di uguale peso, dando però una certa precedenza al primo: e con ragione. Infatti, quale che sia stata la sua condotta circa i mass media in tempi più o meno remoti, oggi la Chiesa, antecedente al pur inelusibile problema di predicazione, vede un problema di umanizzazione, oltre tutto perché anche quello dipende da questo. In realtà, qualora i mass media, almeno di fatto, se non di loro natura (come certi “apocalittici” sostengono), causassero all’umanità un generale impoverimento in valori culturali sociali ed etici – siamo nelle ipotesi della massificazione alienante, dell’uomo condizionato da una civiltà dei consumi, e zimbello di ideologie... –, verrebbe a mancare quel minimo di terreno “umano” di cui, per attecchire, anche la semente evangelica ha bisogno.

Di qui nella Seconda Parte dell’Istruzione – Contributo degli strumenti della comunicazione sociale al progresso umano – la precedenza ai problemi ed alle condizioni di un uso umanamente retto dei mass media da parte di tutti gli uomini, rispetto ai problemi ed alle condizioni di un uso pastorale degli stessi da parte dei cattolici.

 

Si divide in due capitoli. Il Primo (nn. 19-62) tratta dell’Influsso delle comunicazioni nella società; e, precisamente, in cinque paragrafi: della opinione pubblica (nn. 24-32); del diritto all’informazione, e perciò anche dell’accesso alle fonti ed ai canali delle notizie, e della libertà di comunicazione (nn. 34-47); della educazione, della cultura e del divertimento (nn. 48-53); delle attività artistiche connesse (nn. 54-58); e, finalmente, della propaganda e pubblicità (n. 59-62).

Cinque numeri introduttori (nn. 19-23) fanno il punto sulla problematica culturale ed etica dei mass media, decisamente affermandone i vantaggi (n. 20), riconoscendo che “il tracollo delle norme morali si riscontra in diversi campi della vita di oggi, e che l’indice di questo mutamento si riscontra facilmente in tutti gli strumenti della comunicazione sociale” (n. 22), ma lasciando aperta la questione se essi, di questo tracollo, siano una o la causa, oppure ne siano il semplice rispecchiamento, e così concludendo:

“Una cosa é certa, che la nostra società é minata dal vizio: per trovare un efficace rimedio é necessaria la collaborazione dei genitori e maestri, dei pastori di anime e di quanti hanno a cuore il bene comune. In questo lodevole tentativo, gli strumenti di comunicazione possono offrire un valido aiuto, anche se non é possibile che il loro influsso prescinda dalle abitudini e dalla vita stessa della gente.
“Per approfondire la conoscenza e le possibilità di applicazione dei reali vantaggi offerti alla società dagli strumenti di comunicazione sociale, cercando di evitarne quanto più é possibile gli ostacoli, é opportuno sottoporre ad attento esame gli aspetti principali del loro influsso sui rapporti umani” (nn. 22-23).

I paragrafi sull’opinione pubblica e sull’informazione sono quelli che hanno più attirato l’interesse ed il plauso dei pubblicisti, anche non cattolici. E si comprende. Se alcune coraggiose rivendicazioni di libertà in argomento hanno trovato in altre “Carte”, laiche4, dichiarazioni più tempestive, esse qui trovano uno sviluppo maggiore, e maggiore impegno dottrinale rispetto anche ad altri documenti del Magistero5. Eccone tre passi relativi ai doveri riguardanti l’opinione pubblica; e, in particolare, quel settore della comunicazione opinionale che è la propaganda, nonché i doveri dell’“autorità”.

“La libertà di manifestare il proprio sentimento e il proprio pensiero é certamente richiesta se si vuole formare una equilibrata ’opinione pubblica’ [...]. Poiché la vita sociale si rafforza nella collaborazione, è necessario un libero confronto dei pareri che rivestano una qualche importanza. Con la libertà di espressione i pareri verranno sottoposti al vaglio; qualcuno verrà approvato o accettato, altri respinti o perfezionati, altri ancora coordinati o accolti con soluzioni di compromesso. I pareri più validi e sicuri saranno allora scelti per guidare un impegno comunitario di azione” (n. 26). Perciò “Il compito dei promotori risulta molto impegnativo. Essi esercitano una grande influenza nel far nascere, nel raccogliere e nel diffondere le idee, mentre ne facilitano il libero e critico confronto” (n. 27). Ma “Ogni cittadino deve sentirsi impegnato nella formazione dell’opinione pubblica, valendosi, se necessario, di interpreti autorizzati del suo pensiero. Coloro poi che per la loro posizione o per doti naturali o per altri fattori, hanno un posto di rilievo nella società, se manifestano il loro parere, influiscono grandemente nel formare l’opinione pubblica. La loro responsabilità è quindi tanto maggiore quanto più il loro comportamento influisce sugli altri” (n. 28).
“Le condizioni perché sia lecito dare sviluppo alla diffusione di particolari idee – ciò che avviene con le cosiddette ’campagne di propaganda’ – sono da ricercarsi nella tutela della dignità dell’uomo e nella ricerca della verità. L’intento dei promotori e le modalità della campagna devono inoltre tendere al bene comune, nel rispetto dei diritti individuali o di gruppo, come pure dei diritti della propria e delle altre nazioni del mondo” (n. 29). "È quindi del tutto inammissibile un tipo di propaganda che si opponga al bene comune, che tenda ad impedire una schietta e pubblica replica, che deliberatamente distorca la realtà delle situazioni o favorisca il sorgere di pregiudizi nella gente col diffondere notizie incomplete, tralasciando quelle più determinanti o trasmettendole secondo una selezione interessata: ciò infatti impedisce la legittima libertà di scelta da parte del popolo. La condanna dev’essere ancora più esplicita per la conferma del sempre maggior potere di suggestione da parte di simili tecniche propagandistiche, conferma data dalle scienze positive – particolarmente dalla psicologia –, che studiano il comportamento dell’uomo, e dallo stesso continuo sviluppo delle comunicazioni sociali” (n. 30).
“Le libere e comuni opinioni, per il fatto che riflettono il pensiero e la volontà del popolo, devono essere attentamente esaminate soprattutto dalle autorità, così religiose come civili” (n. 32).

“Libertà di pensiero, diritto passivo ed attivo d’informazione – cioè: diritto di accesso alle fonti ed ai canali delle notizie, e diritto di libera espressione – sono inscindibili”, afferma il n. 33.

E questi due diritti sono trattati nel paragrafo sull’informazione: Il primo diritto viene affermato non solo nella sua enunciazione teorica, ma nella sua agibilità concreta:

“L’uomo del nostro tempo non può fare a meno dell’informazione [...] perché possa approfondire la conoscenza del mondo moderno in continua evoluzione ed adattarsi alle nuove situazioni, in cui si trova implicato ogni giorno, con piena coscienza delle sue responsabilità, e possa così assumere uri ruolo attivo e responsabile nel suo gruppo sociale e sentirsi vitalmente inserito negli odierni problemi di ordine economico, politico, culturale e religioso.
“Strettamente correlativo al diritto d’informazione è il dovere della ricerca da parte dell’uomo: tale diritto infatti non può essere esercitato se l’uomo che deve essere informato non dà anche la sua collaborazione. Deve quindi esserci una larga disponibilità di mezzi efficaci, per poter scegliere quelli più adatti alle esigenze individuali e sociali. Se non c’è la possibilità di una vera scelta tra diversi strumenti della comunicazione, il diritto si riduce ad un mero enunciato teorico” (n. 34).
“Anche la società, in tutte le sue strutture, ha bisogno dell’informazione per esplicare le sue attività, come ha bisogno di cittadini bene informati; il diritto all’informazione quindi non può oggi limitarsi alla sfera individuale, ma deve essere ritenuto essenziale per il bene comune” (n. 35).

Ma l’esercizio di questo diritto-dovere comporta nei professionisti “un impegno pesante, reso difficile da continui ostacoli, spesso creati appositamente da chi ha interesse ad occultare la verità” (n. 36). L’Istruzione qui ne passa in rassegna alcuni: pericoli, anche fisici, degli inviati speciali (n. 36), difficoltà create dalla “bruciante attualità” che si cerca nelle notizie (n. 37) e dalla rapidità e fretta con cui eventi e questioni, spesso molto complessi, vanno raccolti elaborati e trasmessi (n. 38), vincendo la concorrenza, ed andando incontro alle attese di un pubblico (n. 39), spesso distratto oppure eccessivamente eccitabile (n. 40).

Specialmente i giornalisti – che non possono non andare fieri di questo lusinghiero “modello” della loro professione – sono benignamente sollecitati a “rispettare soprattutto la verità dei fatti” (n. 38), ed anche “a procedere con molto tatto e perspicacia quando debbano far posto nella cronaca a fatti di brutalità e di violenza” (n. 43), ed anche a ricordare che

“Il diritto d’informazione ha dei limiti precisi, e non può entrare in conflitto con altre forme di diritto, quali sono il diritto della verità, che tutela la fama dell’individuo e della società; il diritto del rispetto della vita privata, che difende la sfera intima delle famiglie e degli individui; il diritto del segreto, quando è richiesto dalla necessità, dal dovere professionale o dal bene comune. Quando è in giuoco il bene comune, occorre grande prudenza e discrezione nella diffusione delle notizie” (n. 42).

Un numero riguarda, in argomenti, i doveri-diritti dei recettori. Mette conto riportarlo:

“I recettori, che devono mettere insieme frammenti di informazioni, corrono il rischio di avere una visione globale dei fatti incompleta o disarmonica. Un certo equilibrio potrà essere raggiunto con l’apporto continuo di notizie da fonti molteplici e differenziate, avendo l’avvertenza di vagliarle tutte criticamente. I recettori, inoltre, devono rendersi conto della situazione di coloro che affrontano l’impegno professionale della comunicazione, e non aspettarsi da essi una perfezione che supera certamente la misura umana. Hanno tuttavia il diritto-dovere di esigere la pronta e pubblica rettifica di notizie che fossero false o lacunose; di chiedere l’integrazione di importanti particolari omessi; di reclamare ogni qualvolta i fatti siano presentati in modo distorto, collocati ad esempio fuori del loro contesto; di protestare quando i fatti sono esagerati o, viceversa, quando non hanno avuto il dovuto rilievo.
“Questo diritto deve essere riconosciuto ai recettori dalle norme di un codice deontologico accettato dai promotori. Se questo codice mancasse, la protezione del diritto di cui sopra dev’essere affidata alle leggi di ogni nazione, o alle convenzioni internazionali” (n. 41).

Il secondo diritto – di libera espressione – viene affermato come inseparabile al primo (n. 44), specialmente oggi (n. 45) nelle società pluralistiche (n. 46): ma pur esso entro certi requisiti e limiti (n. 47).

Con raro ottimismo l’Istruzione prospetta, poi, i vantaggi che gli strumenti arrecano nel campo didattico (n. 48), culturale (nn. 49-50), anche divulgativo (n. 51), nonché del divertimento (n. 52) e delle espressioni artistiche (nn. 54-58)6: ottimismo che perdura nel tono moderato dei pochi richiami:

“Si produce grave danno quando la pubblicità e la pressante persuasione commerciale si rivolgono, senza alcun discernimento, ai popoli di fragile struttura economica, soprattutto nei paesi in via di sviluppo. Questo sviluppo infatti non può consistere nel soddisfare necessità che sono state create artificialmente, con la conseguenza di dilapidare le poche risorse locali, senza tener conto delle necessità reali e dell’aumento dei beni indispensabili” (n. 61).
“La libertà degli strumenti di comunicazione sociale può essere messa in serio pericolo dalle forti spinte degli interessi economici. Poiché é chiaro che tali strumenti non possono esistere senza una solida base finanziaria, ne risulta che hanno possibilità di sopravvivere soltanto quelli che riescono a trarre un maggior utile dalla pubblicità. Si apre così la strada a concentrazioni monopolistiche, che sono un ostacolo all’esercizio del diritto di dare e ricevere informazioni e alla libera circolazione di idee nella società.
“Bisogna salvare ad ogni costo in questo campo un equilibrato pluralismo, se occorre anche con appropriati interventi legislativi, per impedire che le risorse provenienti dalla pubblicità vadano soltanto alle grosse concentrazioni degli strumenti di comunicazione” (n. 62).

* * *

Il capitolo Secondo verte su Le condizioni ideali per un’azione efficace. In tre paragrafi tratta: della formazione dei recettori e dei promotori (nn. 64-72); dei compiti e dei doveri degli stessi (nn. 73-83); della necessaria collaborazione tra cittadini ed autorità civili, fra le nazioni, fra i cristiani, i credenti e tutti gli uomini di buona volontà (nn. 84-100).

Circa la formazione ed i doveri dei recettori, soprattutto giovani, con sensibilità sociale e pedagogica l’Istruzione rileva:

“Di questa formazione hanno bisogno anzitutto i recettori, non solo per ricavare i massimi benefici dall’uso delle comunicazioni sociali per la propria utilità ma anche perché essi possano partecipare al dialogo della società e ad una mutua ed efficace collaborazione tra tutti i membri della comunità umana; nonché per trovare le vie migliori per raggiungere tutti questi fini; tra i quali eccelle l’impegno di difendere la giustizia nel mondo e di eliminare le stridenti disuguaglianze fra le nazioni opulente e quelle sottosviluppate” (n. 65).
”[...] I genitori e gli educatori indirizzeranno con opportune indicazioni i giovani a scegliere essi stessi i mezzi di comunicazione, anche se, come si renderà necessario qualche volta, dovranno riservarsi il giudizio definitivo circa tale selezione. Se ritenessero necessario, in qualche caso, formulare un giudizio negativo sulla scelta fatta dai figli, abbiano l’avvertenza di spiegare convenientemente le ragioni del loro atteggiamento. Si ottiene infatti più con la persuasione che con la proibizione, soprattutto in campo educativo. Bisogna anche ricordare che le reazioni psicologiche del fanciullo non sono uguali a quelle dell’adulto, e che può quindi accadere che certe forme di comunicazione che l’uomo maturo trova noiose e controproducenti siano invece gradite ai fanciulli e, in genere, ai giovani. È poi importante che molti adolescenti possano diventare a loro volta istruttori e formatori di coetanei. La loro stessa età li rende aperti alle nuove forme di cultura, e facilita il dialogo tra amici. La sperimentazione di queste forme si è rivelata altamente positiva” (n. 67).
“Le possibilità dei recettori sono molto ampie e, di conseguenza, le loro responsabilità sono più importanti di quello che comunemente si crede. Che si possa instaurare un vero ed autentico colloquio dipende infatti in gran parte dagli utenti. Se essi invece riceveranno in modo passivo le proposte della comunicazione, il discorso andrà in una sola direzione e resterà senza un vero interlocutore, nonostante gli sforzi dei promotori per aprire il dialogo” (n. 81).
“L’utente può ritenersi attivo quando riesce a interpretare accuratamente le notizie, giudicandole alla luce degli antefatti e del contesto generale. Così pure quando fa una selezione fra di esse con prudenza e spirito critico, quando integra una notizia che gli è giunta monca con l’apporto di particolari attinti da altre fonti, infine quando è pronto ad esporre in pubblico il suo consenso, le parziali osservazioni o il totale dissenso” (n. 82).

Tra i promotori, specialmente i critici possono trovare un fresco trattatello deontologico nei nn. 78-79:

“La presenza e l’azione dei critici è quanto mai necessaria perché le comunicazioni di qualsiasi specie raggiungano sempre i più alti livelli di serietà e di efficienza, e per aiutare i promotori stessi a perfezionarsi; i critici infatti sono quasi i censori di famiglia della professione, essendo anch’essi dei comunicatori che con i loro suggerimenti possono prevenire le stroncature dal di fuori.
“Ogni critico deve riflettere e persuadersi che è essenziale per la sua professione possedere una integrità ed incorruttibilità a tutta prova. Mossi soltanto da un senso di giustizia e dall’amore per la verità, essi devono far rimarcare con diagnosi esatta ed equilibrata gli aspetti positivi e negativi delle diverse comunicazioni. Essi sono per ciò stesso veramente utili ai recettori, poiché li aiutano a formulare un giudizio equanime su quanto ricevono. Non si deve pensare che la loro funzione, anch’essa veramente creatrice, sia di secondaria importanza: basti pensare che spesso il critico, con la sua acutezza e penetrazione, nell’opera d’arte riesce a metterne in luce significati e ricchezze che neppure l’artista ha potuto chiaramente scorgere.
“Ai critici è richiesto un particolare senso di misura perché non distraggano l’attenzione dei recettori a proprio profitto” (n. 78).
“Per superare meglio le difficoltà insite nella loro professione, i promotori si riuniscano in associazioni allo scopo di favorire l’approfondimento culturale, lo scambio di idee, la mutua cooperazione. Così collegati potranno utilmente lavorare alla composizione di un codice morale, fondato sopra salde basi dottrinali e sopra collaudate esperienze.
“In esso saranno presentate indicazioni etiche circa le prestazioni professionali dei promotori, sempre nella visione delle esigenze globali del settore della comunicazione.
“Le norme del codice deontologico si ispirino ad un criterio positivo piuttosto che negativo. Invece di rilevare i difetti da evitare, dovranno offrire direttive concrete per un sempre più efficace servizio verso la società” (n. 79).

Circa i rapporti tra cittadini ed autorità civile l’Istruzione, tra l’altro, afferma:

“Il ruolo delle autorità civili in questo campo deve esplicarsi in forma positiva più che in forma negativa. Il suo compito, infatti, non è quello di frenare o di reprimere, anche se in qualche caso è necessario ricorrere a misure correttive. Il Concilio Vaticano Il ha ribadito che la libertà umana deve essere, con tutte le forze, rispettata e difesa, e che può venire limitata solo quando lo richiede il bene comune. La censura può quindi venire applicata soltanto in casi estremi. Le stesse autorità civili devono poi riconoscere l’attualità del principio della potestà partecipata o, come si dice, della sussidiarietà: concetto richiamato più volte dal magistero della Chiesa. Secondo questo principio i pubblici poteri non devono prendere quelle iniziative che gli individui o i gruppi possono attuare altrettanto bene, e qualche volta meglio” (n. 86).
“Alla luce di questi principi si ravvisa la necessità di leggi che proteggano la libertà di comunicazione e il diritto all’informazione, perché l’una e l’altra siano tutelati da pressioni di ordine economico, politico, ideologico che ne possono impedire il libero esercizio. La legislazione deve anche garantire al cittadino il pieno diritto di critica pubblica nei riguardi di tutta la gestione degli strumenti di comunicazione, soprattutto quando la gestione assume forma di monopolio; in modo speciale poi se essa sia statale. Non si può negare che l’attività degli strumenti di comunicazione debba ai nostri giorni venire disciplinata da norme legislative, che tutelino efficacemente la pluralità dell’uso di essi di fronte alla concorrenza commerciale, che tenda ad una esagerata concentrazione. Devono essere inoltre tutelate dalla legge la fama, la dignità ed i valori culturali degli individui e dei gruppi, e garantita infine la libertà religiosa nell’uso di questi strumenti” (n. 87).
“La responsabilità dei pubblici poteri nel settore degli strumenti di comunicazione sociale ha oggi dimensioni mondiali. Siano quindi stipulate convenzioni internazionali per garantire il pieno sviluppo delle comunicazioni senza discriminazione di razze ed esclusa qualsiasi forma di monopolio. Negli accordi internazionali vengano contemplate le modalità per l’utilizzazione dei satelliti artificiali. Saranno così riconosciuti ad ogni popolo il diritto e la possibilità di far sentire la propria voce nel colloquio mondiale” (n. 91).

E circa i rapporti tra le nazioni, con chiari riferimenti alla Populorum progressio, di Paolo VI, l’Istruzione nota:

“Tra le molteplici forme di collaborazione internazionale, che viene richiesta dalla stessa natura degli strumenti di comunicazione, hanno particolare importanza gli aiuti per la creazione e il perfezionamento degli stessi strumenti presso i popoli in via di sviluppo. La mancanza infatti o la scarsezza di comunicazioni sono chiari indizi del lento sviluppo di una società: della quale lentezza sono, nello stesso tempo, effetto e causa la pochezza degli strumenti disponibili. Nessuna nazione può procurare ai propri cittadini la necessaria informazione e la conveniente educazione se non è provvista di una moderna attrezzatura tecnica di comunicazione sociale, senza la quale ne viene a sua volta messo in pericolo il progresso economico, sociale e politico” (n. 92).
”[...] Le nazioni industrializzate e progredite tecnologicamente devono dare la loro assistenza, come negli altri settori anche in quello della comunicazione, ai popoli che non sono autosufficienti a provvedervi. L’assistenza com prende la preparazione di operatori e tecnici e la fornitura delle necessarie attrezzature, poiché l’impegno di provvedere al bene comune non può considerarsi circoscritto nei propri confini territoriali, ma si estende a tutto il mondo. Questo impegno è tanto più urgente quanto è sempre più rapido e spinto il progresso tecnologico. L’aiuto ai popoli in via di sviluppo deve comprendere anche l’istituzione nei loro territori di scuole per i problemi della comunicazione, affinché gli aspiranti a tale specializzazione non siano obbligati ad emigrare, con grave danno del paese di origine, che perderebbe in questo modo elementi qualificati” (n. 93).
“Nelle nazioni in via di sviluppo, particolarmente in quelle dove l’analfabetismo impedisce un vero progresso, i mezzi audiovisivi possono compiere un’opera validissima di istruzione e di formazione nei settori dell’agricoltura, dell’organizzazione industriale e commerciale, dell’igiene e della sanità pubblica, della scuola, della preparazione familiare e delle relazioni sociali. Per finanziare questi programmi, che non possono certo consentire margini di profitto, si deve ricorrere al disinteressato contributo dei singoli cittadini, all’afflusso del denaro privato e pubblico da parte dei paesi ricchi e all’aiuto di fondazioni internazionali” (n. 95).

 

Parte Terza (nn. 101-180)

Come s’è detto, la Parte Terza – Gli strumenti della comunicazione sociale ed i cattolici – riguarda più direttamente l’impegno della Chiesa cattolica nei mass media in funzione di fermento evangelico. Consta di quattro capitoli.

Il capitolo Primo (nn. 102-113) tratta dell’apporto dei cattolici nel campo degli strumenti. Giova stralciarne quanto concerne la presenza del clero e dei religiosi:

“I vescovi e i sacerdoti, i religiosi e i laici che in qualche modo rappresentano la Chiesa, si sentano sempre più impegnati a dare il loro contributo alla stampa e a prendere parte a trasmissioni radiotelevisive e cinematografiche. È una partecipazione che può produrre dei frutti impensabili e quindi deve essere largamente incoraggiata [...]” (n. 106).
”[...] L’organizzazione scolastica cattolica deve affrontare con maggior impegno il suo gravissimo dovere in questo campo: in tutte le scuole s’impartisca agli alunni un insegnamento che non formi soltanto dei competenti lettori ascoltatori o spettatori, ma che dia anche modo di utilizzare attivamente tutte le possibilità di espressione che offrono gli strumenti della comunicazione [...]” (n. 107).
“La trattazione teorica e pratica della comunicazione sociale dovrà trovare posto nell’ambito delle discipline teologiche, particolarmente della morale e della pastorale e, almeno per gli elementi essenziali, anche nei testi catechistici. Tanto meglio questo potrà realizzarsi quanto maggiore sarà l’impegno degli stessi teologi per una ricerca più approfondita circa i principi esposti nella prima parte di questa Istruzione” (n. 108).
“Nell’ambito delle rispettive responsabilità é necessario che i vescovi e i sacerdoti, i religiosi e le religiose, come pure le associazioni di laici, s’impegnino a collaborare alla specifica formazione cristiana in questo settore, non trascurando il contesto sociale. Si tengano continuamente aggiornati, acquistando una certa confidenza anche nell’uso diretto degli stessi strumenti. Cerchino d’incontrarsi con i promotori per approfondire i problemi posti dalla comunicazione sociale e per un fecondo scambio di idee e di esperienze” (n. 110).
“Chiamati ad inserirsi nella vita moderna e ad esercitare in essa un efficace apostolato, i futuri sacerdoti, i religiosi e le religiose, nel periodo della loro formazione, nei seminari ed istituti, dovranno rendersi conto dell’enorme influsso degli strumenti della comunicazione sulla società, e nello stesso tempo conoscerne il funzionamento tecnico. Questa conoscenza deve considerarsi parte integrante della loro formazione e condizione indispensabile per un servizio pastorale efficace nella società odierna, sempre più condizionata dall’uso di questi strumenti. Inoltre, tanto i sacerdoti quanto i religiosi e le religiose dovrebbero saper seguire attentamente il sorgere della sensibilità e dell’opinione pubblica per sintonizzarsi col modo di reagire della gente di oggi, giacché l’annuncio della Parola di Dio deve essere rivolto ai nostri contemporanei, e gli strumenti della comunicazione sociale offrono un validissimo contributo a tale annuncio. Gli alunni poi che dimostrano inclinazione e doti particolari in questo campo vengano indirizzati ad una formazione superiore” (n. 111).

Il capitolo Secondo (nn. 114-134) riguarda l’uso che possono e debbono farne i cattolici, sia in funzione di opinione e di mutua comunicazione nella vita della Chiesa (nn. 114-125) – e, in particolare, del dialogo all’interno della Chiesa (nn. 115-121) e nel dialogo tra la Chiesa e il mondo (nn. 122-125) –, sia per la diffusione del Vangelo (nn. 126-134).

Anche per i motivi contingenti post-conciliari a tutti noti, questo è il capitolo che finora è stato più spesso citato ed impugnato – e presumibilmente più ancora sarà citato ed impugnato – quale arma contundente e difensiva nel mondo della pubblicistica cattolica. Perciò esso andrebbe riportato ed analizzato nella sua interezza, per poi nella sua interezza essere attuato: per affrettare l’auspicato genuino dialogo opinionale nel Popolo di Dio, ed un più fiducioso dialogo tra la Chiesa ed il mondo; sì da passare, da parte dei pubblicisti, ad una più chiara presa di coscienza delle proprie possibilità e responsabilità, e da parte dei clercs, da una politica ancien régime – in cui il segreto era la norma, e l’informazione era benigna grazia del superiore – ad una più realistica politica postconciliare, in cui la norma sia l’informazione – verace, tempestiva, completa –, e l’eccezione sia il segreto. Tuttavia, per necessità di spazio, qui ci si limita a riportarne soltanto alcune affermazioni fondamentali sulla necessità di un libero dialogo nella Chiesa, sulle sue modalità, e sull’equilibrio tra informazione e segreto nel dialogo tra la Chiesa ed il mondo.

“La Chiesa si adopera intensamente perché si moltiplichino e si rafforzino i vincoli di unione tra i suoi fedeli, ben sapendo che la comunione e il dialogo sono indispensabili per l’efficienza della vita cattolica; d’altra parte essa agisce nella stessa società umana, nella quale deve inserirsi sempre più mediante il dialogo e un rapporto sempre più vivo. Ora questi rapporti di dialogo e di comunione la Chiesa li può attuare scambiando notizie ed informazioni, dedicando particolare attenzione all’opinione pubblica dentro e fuori della comunità ecclesiale, curando un colloquio col mondo e nel mondo moderno e dar vita a un impegno di collaborazione per risolvere i gravi problemi dell’umanità” (n. 114).
“La Chiesa é un corpo vivo e ha bisogno dell’opinione pubblica, che é alimentata dal colloquio tra le diverse membra[...]” (n. 115). “Perciò é necessario che i cattolici siano pienamente coscienti di avere quella vera libertà di parola e di espressione che si fonda sul ’senso della fede’ e sulla carità [...]. Chi ha responsabilità nella Chiesa procuri d’intensificare nella comunità il libero scambio di parola e di legittime opinioni ed emani pertanto norme che favoriscano le condizioni necessarie per questo scopo” (n. 116).
“Vastissimo è lo spazio di ricerca in cui può svolgersi questo dialogo interno [...]; e questo libero dialogo certamente non nuoce alla sua saldezza ed unità; anzi, con la rapida circolazione della pubblica opinione il dialogo può favorire la concordia di intenti e di opere. Ma perché questo colloquio possa alimentarsi ed intensificarsi utilmente è sommamente importante che tutti conservino, anche nel dissenso, una carità longanime e si sentano animati dal desiderio di continuare a rafforzare l’intesa e la collaborazione. È necessario infatti agire col sincero amore di edificare e non di demolire, mossi da un grande amore verso la Chiesa e intenti a raggiungere quell’unione che Cristo ha lasciato come segno distintivo della vera Chiesa e quindi dei veri credenti in Lui” (n. 117).
”[...] Occorre fare una chiara distinzione fra il campo della ricerca scientifica e quello dell’istruzione dei fedeli. Nel primo gli studiosi devono avere la libertà necessaria alla loro attività e la possibilità di mettere a disposizione degli altri i risultati delle loro ricerche, con la pubblicazione di articoli su riviste e libri. Nel campo dell’insegnamento religioso devono essere solamente proposte come dottrine della Chiesa quelle che sono riconosciute come tali dal magistero autentico e, inoltre, quelle sentenze teologiche che possano essere affermate con certezza (n. 118).
” ...Si deve riconoscere ai singoli fedeli il diritto di ottenere tutte le informazioni indispensabili per affrontare la loro responsabilità nell’ambito della vita ecclesiale. Questo implica la più vasta disponibilità dei vari strumenti della comunicazione, che, quando le circostanze lo esigono, possono anche essere dichiaratamente cattolici, purché veramente adatti al compito che devono svolgere” (n. 119).
“Ogni volta che i casi trattati nell’ambito ecclesiale richiedano il segreto, dovranno essere osservate le norme generali che regolano questa materia nell’ambito delle istituzioni civili. D’altra parte, per le ricchezze spirituali della Chiesa nell’ampiezza della sua missione, si esige che ogni informazione circa i suoi programmi e il suo molteplice apostolato risplenda per esattezza, per verità, per sincerità [...]. Il segreto deve essere conservato soltanto nella stretta misura necessaria per tutelare la fama e la reputazione di qualcuno, o rispettare diritti di singoli o di gruppi” (n. 121).
”[...] In forza dell’esplicito precetto divino e del diritto all’informazione riconosciuto a tutto il genere umano, della cui vicenda terrena essa è solidamente partecipe, la Chiesa deve rendere nota la sua dottrina e dare informazioni sulla sua attività [...]. Deve rendersi conto delle reazioni che il mondo contemporaneo, e non soltanto il settore cattolico, prova di fronte agli avvenimenti ed alle moderne correnti di pensiero. Quanto meglio gli strumenti di comunicazione documentano ed interpretano quelle reazioni, tanto meglio giovano alla necessaria conoscenza del mondo da parte della Chiesa” (n. 122).
“Quanti hanno responsabilità pastorali nella Chiesa devono, mediante gli strumenti della comunicazione sociale, annunziare con perseveranza la verità nella sua pienezza e procurare nello stesso tempo che venga presentata un’immagine fedele della Chiesa e della sua vita [...]”. Perciò “la Chiesa, alle agenzie d’informazioni ed agli strumenti della comunicazione sociale deve offrire un’informazione completa, accurata, non reticente, in modo che possano svolgere bene il loro compito” (n. 123).
“Quanto si è detto ha pieno valore anche per quel che concerne le notizie ed i commenti dei fatti che riguardano la vita della Chiesa. Fa quindi parte della prudenza pastorale dell’autorità ecclesiastica provvedere perché non venga loro tolta da altri l’iniziativa in questo difficile campo. È opportuno infine che le consultazioni e le decisioni in materia ecclesiale vengano comunicate, richiedendo l’impegno della massima riservatezza prima della divulgazione, a persone competenti, perché queste possano in seguito offrirne al pubblico un’accurata presentazione e una approfondita analisi, e rendere così un prezioso servizio alla Chiesa stessa” (n. 124).

Circa l’uso degli strumenti per la diffusione del Vangelo, ampliando le direttive date in proposito dall’Inter mirifica (n. 13 ss.), questo capitolo insiste sulla necessità (n. 126), urgenza (n. 127), scopi specifici (nn. 128-129), modalità (nn. 130-132) e sui mezzi tecnico-economici (n. 133); terminando con questa direttiva pratica:

“Considerando la sempre crescente incidenza degli strumenti della comunicazione sociale sulla vita di tutta l’umanità e, in particolare, della Chiesa, le conferenze episcopali avranno cura di dare un posto di rilievo ai problemi pastorali connessi con essi, inserendoli nei loro programmi, e di appoggiare finanziariamente le realizzazioni del settore, utilizzando le risorse locali e ricorrendo alla cooperazione internazionale” (n. 134).

Il capitolo Terzo (nn. I35-161) verte sui doveri dei fedeli nei riguardi di ogni singolo strumento, siano essi sotto la responsabilità della Chiesa, oppure aperti ad ospitare servizi di ispirazione cattolica” (n. 135); vale a dire: sulla stampa (nn. 136-141), sul cinema (nn. 142-147), sulla radio-televisione (nn. 148-157) e, finalmente, in quanto connesso con gli strumenti propriamente detti, sul teatro (nn. 158-161). Stralciamo:

Sulla stampa cattolica – “Ai fedeli viene rivolta una pressante esortazione a leggere regolarmente la stampa di ispirazione cattolica che sia veramente degna di questa qualifica, non solo per conoscere le notizie di attualità sulla Chiesa, ma per formarsi una mentalità cristiana leggendone i commenti. Non s’intende qui interferire in nessun modo sulla libertà dell’individuo di leggere quello che gli pare conveniente, e nemmeno di misconoscere un legittimo pluralismo di organi d’informazione legati a tradizioni locali, come pure di opinioni proposte da giornalisti di estrazione diversa. È chiaro per altro che gli scrittori cattolici, per avere un largo seguito, devono dimostrare di possedere una preparazione culturale e tecnica di alto livello” (n. 140).
“Quando gli avvenimenti quotidiani suscitano problemi particolari che involgano fondamentali principi della coscienza cristiana, i giornalisti cattolici si sforzeranno di interpretarli in armonia col magistero della Chiesa. Per il resto, clero e laicato favoriranno la libertà di espressione e la terranno nel dovuto conto con la molteplice varietà di pubblicazioni e di valutazione. Questo, non solo per venire incontro alle diverse richieste e ai diversi interessi dei lettori, ma per favorire la pubblica opinione nella Chiesa e nel mondo. “Le pubblicazioni cattoliche che sono ritenute organi ufficiali di autorità e di istituzioni della Chiesa, devono sforzarsi continuamente, secondo la prassi stabilita nell’àmbito professionale, di dare esaurienti informazioni sul pensiero di quell’organismo di cui sono portavoce. Ogni periodico riservi un congruo spazio per una libera tribuna, con effettiva possibilità di partecipazione, dove sia messo bene in evidenza che l’organizzazione editoriale, non intende entrare nel merito di questioni lasciate ancora alla libera ricerca” (n. 141).
Sul mondo del cinema – “Poiché coloro che lavorano nel mondo del cinema si trovano di fronte a una complicata problematica, nell’attendere al loro compito, i cattolici, e in primo luogo le organizzazioni cattoliche che operano nel settore, devono cercare e facilitare le occasioni di dialogo con gli uomini di cinema. Questi incontri dimostreranno che la loro è stimata come una professione nobile e bella, e persuaderanno tutti che questo strumento può giovare moltissimo al progresso umano” (n. 147).
Sulla radio-televisione – “Le trasmissioni religiose [...] danno un forte incremento all’azione educativa e al colloquio. Quanto è detto sull’attività letteraria dei cattolici deve essere applicato anche a questo settore. Le norme generali sul diritto di esprimere liberamente differenti opinioni devono essere strettamente applicate, soprattutto quando gli strumenti di comunicazione sono sottoposti ad una gestione di monopolio” (n. 153).
“Il pubblico vede automaticamente in coloro che prendono parte alle trasmissioni religiose – siano essi ecclesiastici o laici – dei portavoce ufficiali della Chiesa. Essi devono quindi rendersi conto di questa situazione di fatto e compiere ogni sforzo per evitare possibili confusioni. Avranno coscienza della responsabilità del loro incarico nelle opinioni che esprimono, nel modo di esporle e in tutto il loro atteggiamento; infine chiederanno consiglio alle competenti autorità ecclesiastiche quando ci sarà il tempo per farlo” (n. 154).
“Nelle nazioni in cui alla Chiesa è impedito l’accesso agli strumenti di comunicazione sociale l’ascolto di trasmissioni religiose è l’unico mezzo per i cattolici di avere notizie sulla vita della Chiesa e di ricevere l’annuncio della parola di Dio. In forza della solidarietà cristiana, questa situazione di disagio comporta il grave obbligo per i vescovi e per tutti i fedeli delle altre nazioni di unire le loro forze per venire incontro a questi fratelli in Cristo ed aiutarli, mettendo in onda trasmissioni radiofoniche o televisive che trattino argomenti religiosi rispondenti alle loro esigenze” (n. 157).
Sul teatro – “La Chiesa segue con simpatia e attenzione il teatro, che nelle sue origini era strettamente legato a temi di carattere religioso. Questo antico interesse per i problemi del teatro deve animare anche i cristiani di oggi, per ricavarne tutto l’arricchimento possibile. Gli autori di teatro devono essere sostenuti e incoraggiati a portare sul palcoscenico la problematica religiosa moderna. Questo è spesso un efficace incentivo a una ulteriore diffusione attraverso gli altri strumenti di comunicazione sociale” (n. 160).

 

Il Quarto ed ultimo capitolo (nn. 162-180) riguarda le strutture organizzative cattoliche relative ai mass media: vescovi e commissioni episcopali, uffici diocesani, organizzazioni internazionali. Tra le direttive generali vi si dice:

”[...] È necessario che il personale addetto a questo settore sia competente e attivo; che gli organismi pastorali specifici siano bene impostati, convenientemente dotati di attrezzature, abilitati a svolgere la loro azione e provvisti di adeguati finanziamenti. Si devono infine promuovere organizzazioni che s’impegnino a realizzare queste particolari forme di apostolato” (n. 162).
“Le persone addette agli organismi e alle iniziative nel campo degli strumenti di comunicazione devono assolvere il loro compito con animo veramente pastorale. La preparazione di personale – ecclesiastico o laico – é tra i principali doveri dei responsabili di questo settore” (n. 164).
“Una aggiornata informazione sulla presenza e sullo stato delle comunicazioni sociali, un accorto piano pastorale al riguardo, un diligente coordinamento degli strumenti stessi in ogni settore dell’apostolato sono affidati, come è logico, alla cura e alla vigilanza delle autorità ecclesiastiche. Esse dovranno naturalmente riferirsi ai suggerimenti e agli indirizzi dati loro da esperti veramente competenti nei vari settori [...]” (n. 165).

La preoccupazione pubblicistica fa ritornare l’Istruzione, ancora una volta, sull’informazione nella Chiesa:

“Ogni vescovo, ogni conferenza o assemblea episcopale e la stessa Santa Sede avranno un portavoce ufficiale e permanente, che dovrà trasmettere notizie e informazioni ed anche illustrare documenti della Chiesa di imminente pubblicazione, in modo da renderne più perspicuo il significato e da offrirne una sicura interpretazione. Il portavoce cercherà di dare, nel tempo più breve possibile e con piena fedeltà, notizie sulla vita e sull’attività della Chiesa, nel settore di sua competenza. Si raccomanda anche vivamente che le più importanti organizzazioni cattoliche siano provviste di portavoce fissi e permanenti, ai quali saranno demandati compiti analoghi.
“Tutti questi incaricati, come pure quanti in qualche modo rappresentano pubblicamente la Chiesa, devono avere una sicura preparazione teorica e pratica nel campo delle pubbliche relazioni, per conoscere le esigenze del pubblico al quale, secondo le circostanze, devono rivolgersi e poter stabilire con esso degli utili contatti, fondati sulla mutua fiducia e comprensione. Ora la fiducia e comprensione reciproca possono nascere e mantenersi soltanto se gli individui si stimano e si rispettano a vicenda nel rispetto della verità” (n. 174).
“Oltre alla istituzione di un portavoce ufficiale, ci si deve preoccupare che circoli un continuo flusso e riflusso di notizie che presentino a tutti il vero volto della Chiesa e forniscano ogni utile informazione sui movimenti, correnti di pensiero e aspirazioni della pubblica opinione, perché ne siano edotte le autorità ecclesiastiche. Perciò occorre stabilire amichevoli e rispettose relazioni tra la Chiesa e gli uomini e con le loro istituzioni; così avrà inizio quel continuo scambio per cui ognuno dà e riceve” (n. 175).

Alle tre Associazioni Internazionali Cattoliche – UCIP (Union Catholique Internationale de la Presse), OCIC (Office Catholique International du Cinéma), e UNDA – vengono riconosciuti questi compiti:

“Queste Associazioni Internazionali Cattoliche per le comunicazioni sociali – ognuna nella propria sfera di competenza e nelle modalità fissate nel proprio statuto – si propongono di sostenere le associazioni cattoliche professionali del settore delle singole nazioni. Tale sostegno é molteplice: favorire la ricerca e lo sviluppo degli strumenti di comunicazione; rafforzare l’impegno di mutua comprensione e di interscambio di aiuto fra le nazioni; fare inchieste aggiornate sull’apporto dei cattolici nel campo delle comunicazioni; favorire il coordinamento e la cooperazione fra le diverse iniziative internazionali; prendere provvedimenti comuni a favore dei paesi in via di sviluppo; stimolare nuove produzioni artistiche. Si aggiunga la produzione e la distribuzione di film, di programmi radiotelevisivi, di ogni genere di materiale audiovisivo, come pure di scritti che possano giovare al progresso sociale e alla vita stessa del Popolo di Dio.
“Queste Associazioni Cattoliche Internazionali sono infine esortate ad assumere insieme e a coordinare lo studio e la ricerca per la soluzione dei loro problemi comuni” (n. 179).

Conclusione (nn. 181-187)

La breve Conclusione torna ancora una volta sull’odierno sviluppo tecnologico nelle comunicazioni (n. 181), sui relativi doveri e responsabilità del Popolo di Dio (n. 182). Rileva poi il carattere generale dell’Istruzione; perciò la necessità di aggiornarla alle concrete situazioni locali e temporali (n. 183), la necessità di continuati ed adeguati studi e ricerche (n. 184) e di programmazioni ecclesiali, anche a raggio mondiale (n. 185). E termina con l’auspicio:

[...] che la pubblicazione dell’Istruzione, più che la fine di un periodo, segni l’inizio di un rinnovato impegno” (n. 186).
” Il Popolo di Dio, stando al passo con gli avvenimenti che tessono la trama della storia, e volgendo con immensa fiducia lo sguardo al futuro, sia come promotore sia come recettore, già intravede quanto sia largamente promettente la nuova era spaziale delle comunicazioni sociali” (n. 187).

* * *

Che l’auspicio si avveri, e presto! A ciò gioverà una lettura ed uno studio della Communio et progressio meno incompleti ed affrettati di quanto permetta questa sommaria presentazione.

* Cfr Introduzione generale, in Catt. 1971 IV 39-48; alle note di essa qui ci si riferisce nel citare gli autori ivi nominati.

1 Ignoranza del latino ha fatto tradurre ad ALDO D’ALFONSO (Rinascita, 2 luglio 1971, 6) il titolo Communio et progressio in comunicazioni sociali e progresso; mentre una lettura affrettata ha fatto scrivere a n. ANCARANI (art. cit., 15), di "Comunione, e non comunicazione” là dove, al più, si doveva scrivere: "Anche comunione, e non solo comunicazione”.

2 A differenza dell’Inter mirifica, l’Istruzione non brilla sempre per esattezza terminologica e concettuale, così ingenerando qualche incertezza anche circa i suoi contenuti. A parte, infatti – pure nell’originale latino – la frequente errata equivalenza tra medium ed instrumentum (quando è noto che, anche nella comunicazione, ogni strumento è pure mezzo, ma non viceversa), qua e là “comunicazioni sociali” viene usato ellitticamente per “strumenti della comunicazione sociale”. Tuttavia ciò qui non avviene: inesatto, perciò è il titolo di questa Prima Parte "Le comunicazioni sociali nella visione... ", nella traduzione italiana riportata dall’Osservatore Romano, e da altri che ne dipendono.

3 L’originale latino, per designare “coloro che per impegno professionale ne fanno uso”, adotta il termine communicatores, che nella traduzione italiana riportata dall’Osservatore Romano viene costantemente reso con comunicatori. Ma ritengo che il termine latino, oltre che non classico, non sia univoco – cfr il petrino "gloriae Christi communicator”, e luoghi di Tertulliano, Arnobio ed altri, ove vale per “chi è partecipe” –, e perciò evitato negli Schemi e nel Decreto conciliare. L’italiano “comunicatori’ poi non garba ai sociologi, i quali – e giustamente – ritengono che, soprattutto nella comunicazione sociale, e in quel “dialogo societario” di cui appresso – di cui gli strumenti sono mezzi privilegiati –, veri e propri comunicatori sono tanto i promotori quanto i recettori della comunicazione.

4 Come quelle, remote, inglese del 1695 americana del 1776 e francese del 1791; e quelle, recenti, dell’ONU, del 1948 (ricordata nel n. 46 dell’Istruzione), e del Conseil d’Europe, del 1950.

5 Però non si esclude che più di uno specialista in materia dissenta su qualche punto. Per esempio, circa la quasi-definizione di opinione pubblica nel n. 25, e circa la non sufficiente distinzione tra “opinioni” in senso generico ed “opinione pubblica” in senso specifico: la quale, tra l’altro, nel n. 26 porta a citare il n. 29 della Gaudium et spes non proprio ad rem.

6 Veramente nell’economia globale dei mass media, e perciò anche nella relativa pubblicistica, le espressioni artistiche riscuotono relativamente scarso spazio ed interesse. Perciò i ben cinque numeri riservati ad esse nell’Istruzione hanno tutta l’aria di un risarcimento quantitativo e qualitativo alle reticenze ed al moralismo rimproverati dai giornalisti al n. 6 dell’Inter mirifica.

In argomento

Massmedia

n. 3405, vol. II (1992), pp. 260-268
n. 3351, vol. I (1990), pp. 260- 269
n. 3310, vol. II (1988), pp. 351-363
n. 3218, vol. III (1984), pp. 144-151
n. 3200, vol. IV (1983), pp. 158-164
n. 3202, vol. IV (1983), pp. 362-368
n. 3195-3196, vol. III (1983), pp. 209-222
n. 3188, vol. II (1983), pp. 154-161
n. 3191, vol. II (1983), pp. 463-467
n. 3179, vol. IV (1982), pp. 464-467
n. 3141, vol. II (1981), pp. 222-237
n. 3088, vol. I (1979), pp. 351-359
n. 3075-3076, vol. III (1978), pp. 223-238
n. 3072, vol. II (1978), pp. 566-573
n. 3062, vol. I (1978), pp. 151-159
n. 3058, vol. IV (1977), pp. 349-362
n. 3055, vol. IV (1977), pp. 45-53
n. 3045, vol. II (1977), pp. 260-272
n. 3034, vol. IV (1976), pp. 336-351
n. 3036, vol. IV (1976), pp. 580-587
n. 3022, vol. II (1976), pp. 323-336
n. 3013, vol. I (1976), pp. 20-36
n. 2990, vol. I (1975), pp. 144-157
n. 2983, vol. IV (1974), pp. 36-48
n. 2973, vol. II (1974), pp. 250-256
n. 2967, vol. I (1974), pp. 258-263
n. 2961, vol. IV (1973), pp. 258-263
n. 2942, vol. I (1973), pp. 144-150
n. 2927, vol. II (1972), pp. 451-456
n. 2911, vol. IV (1971), pp. 39-48
n. 2882, vol. III (1970), pp. 154-160
n. 2870, vol. I (1970), pp. 155-160
n. 2859-2860, vol. III (1969), pp. 219-230
n. 2739, vol. III (1964), pp. 246-254
n. 2729, vol. I (1964), pp. 422-435
n. 2702-2704, vol. I (1963), pp. 105-118, 313-325
n. 2636, vol. II (1960), pp. 124-39
n. 2612, vol. II (1959), pp. 113-124
n. 2548, vol. III (1956), pp. 400-408