NOTE
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1 Tra i “casi”, quello De Feo. Tra le dimissioni: quelle del presidente A. Sandulli, dell’amministratore delegato G. Granzotto, e di M. Elia dal consiglio di amministrazione. La Camera dei deputati ne trattò nelle sedute del 27 e 28 maggio 1969 (cfr Atti integrati in Rassegna di diritto cinematografico, teatrale e della televisione (= Rass. dir. cin.), 1969, n. 6, 186 ss.); e la Commissione Parlamentare ne trattò in febbr.-apr. 1970 (ivi, 1970, n. 3, 50 ss.).

2 Nell’editoria libraria ricordiamo specialmente: G. CESAREO, Anatomia del potere televisivo, Milano 1970 (Civ. Catt. 1970 II 517); A. LEVI, Televisione all’italiana, Milano 1969; A. BELLOTTO, La televisione inutile, Milano 1962 (Civ. Catt. 1963 II 479). Tra le riviste, specialmente Questitalia, aprile 1969; Cultura e politica, 1970, nn. 17/18.

3 Tra i più recenti: quello dell’UCSI (Unione Cattolica Stampa Italiana): Recoaro-Terme, 20-21 giugno 1970, sul tema Una riforma per la RAI-TV (Civ. Catt. 1970 III 181); quello dell’ENARS (Ente Nazionale ACLI Ricreazione Sociale): Roma, 24-25 giugno I970, sul tema Quale riforma per la Radiotelevisione?; documento base: Movimento operaio, cultura nuova e comunicazioni di massa, molto vicino alla cit. Questitalia, pubblicato in Nuova cultura, 1970, n. I; e quello dell’AIART (Associazione Italiana Ascoltatori Radio Telespettatori): Roma, 25-29 giugno I 970, sul tema La TV negli anni settanta.

4 Cfr in materia C. CANTARANO, Codice della legislazione sullo spettacolo, Roma 1968, 589 , ed in particolare la Bibliografìa essenziale a p. 594.

5 Secondo la definizione fissata dalla convenzione internazionale di Atlantic City (1964) nonché da quella di Buenos Aires (1952), con questo termine s’intende un servizio di radiocomunicazioni che effettua emissioni destinate ad essere ricevute direttamente dal pubblico”, e che può comprendere “tanto emissioni sonore quanto emissioni di televisione, di facsimile o altro genere di emissioni”.

6 E precisamente, secondo gli 9 e 10, “Il Comitato sarà costituito: da un presidente, nominato con decreto del presidente del Consiglio dei ministri, di concerto coi ministri per la Pubblica Istruzione e per le Poste e Telecomunicazioni; da un funzionario dell’Ispettorato generale del traffico telegrafico e radiotelegrafico presso il ministero delle Poste e delle Telecomunicazioni; da un membro designato dal Consiglio superiore della Pubblica Istruzione; da un rappresentante del ministero della Pubblica Istruzione; da tre scrittori, designati, uno dall’accademia dei Lincei, e due dalle organizzazioni nazionali di categoria; da tre musicisti (uno per la musica sinfonica, uno per la musica operistica e uno per la musica leggera), designati dalle organizzazioni nazionali di categoria; da un rappresentante della Società Italiana degli Autori ed Editori (SIAE); da un esperto di problemi economico-sociali, designato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, di concerto con i ministri per il Lavoro e la Previdenza Sociale e per l’Industria e il Commercio; da un rappresentante dei maestri e degli insegnanti delle scuole secondarie, designato dalle organizzazioni di categoria; da un esperto dei problemi turistici, designato dall’Ente Nazionale del Turismo; da tre privati utenti, designati dalle relative associazioni ed, in mancanza, dal ministro per le Poste e le Telecomunicazioni.
”... Alle riunioni del Comitato partecipa, senza diritto a voto, il presidente, o il direttore generale dell’Ente concessionario.”

7 Pare che, su 11.000.000 di azioni, che costituiscono oggi il capitale sociale, solo 200.000 sarebbero in mano a privati. Secondo G. CESAREO (cit. p. 23), “L’IRI e la STET, sua affiliata, detengono il 98,35% delle azioni; 34 privati ne posseggono l’1,35% il che renderebbe la privatività della RAI-TV una mera finzione, dato anche che “la Convenzione del ’52 stabiliva che i componenti del Consiglio d’amministrazione di nomina governativa passassero da 4 a 6 su 16 (con una Convenzione aggiuntiva, nel ’65, il numero dei componenti di nomina governativa è stato portato a 7 su 20). Ma nemmeno queste cifre rispecchiano la situazione reale: un altro congruo numero di componenti del Consiglio di amministrazione, infatti, sono stati sempre nominati, per tacita consuetudine dai partiti al governo; prima della sola DC, poi dalla DC, dal PSI e dal PRI, attraverso complesse trattative tra i gruppi dirigenti e le varie correnti. E in questo gruppo di uomini sono sempre stati scelti i massimi dirigenti dell’Ente (che sulla carta, ovviamente, risultano eletti dal Consiglio).”

8 Cfr R. MALASPINA-ELECTRON, Il monopolio delle trasmissioni radio televisive, Roma 1964 (Civ. Catt. 1964 III 60).

9 Cfr il testo in Rass. dir. cin. 1960, n. 5, 147; 1961, n. 5, 157; 1966, n. 1, 1; e per un commento rispetto all’Art. 43 della Costituzione: ivi, 1968, n. 5, 125.

10 L’Art. 41 recita: “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”. – E così l’Art. 43: “A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti, determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopoli, ed abbiano carattere di preminente interesse generale”.

11 Così il I comma dell’Art. 21: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. – E così il I comma dell’Art. 33: “L’arte e la scienza sono libere, e libero ne è l’insegnamento”.

12 E precisamente (salvo sviste): 1) di Albarello ed altri (PSI), alla Camera, 5 dic. 1958, che trovò accoglimento parziale con l’istituzione di Tribuna politica. – 2) di La Malfa ed altri, presentata il 12 marzo 1959, elaborata da "’Gli amici del Mondo” (Notizie in Rass. dir. cin. 1965, n. 2, 60). – 3) di Lajolo ed altri (PCI), presentata il 18 marzo 1959. – 4) di Calabrò ed altri, presentata nel dic. 1962. – 5) di Parri ed altri, al Senato, giugno 1964, ispirata dall’ARTA (Critica in Comunicazioni di massa, 1965, n. 7, 118). – 6) di Lajolo ed altri (PCI), alla Camera, 25 febb. 1965, dipendente in parte da La Malfa-1959 (testo in Rass. dir. cin. 1965, n. 2, 57): identica a quella Parri-1964. – di De Maria ed altri (DC), alla Camera, 2 apr. 1966 (testo: ivi 1966, n. 6, 162). – di Calabrò, presentata il 1º giugno 1966 (testo: ivi, 167). – 9) di Bergamasco, al Senato, 7 dic. 1967.

13 E precisamente (salvo sempre sviste):
1) di Barzini ed altri (PLI), alla Camera, 4 genn. 1969. È la stessa presentata da Veronesi ed altri (PLI), al Senato, 7 febb. 1969. (Testo in Rass. dir. cin. 1969, n. 4, 104; e in Cultura e politica 1970, nn. 17/18, I 56; critica in Questitalia, cit. p. 38;
2) di De Maria ed altri (DC), alla Camera, 6 febbr. 1969. Testo in Rass. dir. cin. cit., 116. È la stessa del 1966. Ritirata per un riesame, ne è stato pubblicato un nuovo testo in Il telespettatore, ag.-sett. 1970;
3) di Passoni (PSIUP) ed altri. È la stessa presentata da Naldini ed altri (PSIUP), al Senato, 20 mar. 1969. Testo in Cultura e politica, cit. 151;
4) di Lajolo (PCI) ed altri, alla Camera, 30 apr. 1970, elaborata dall’ARCI-ARTA. Vi ha confluito la proposta Parri-1965. Testo in Cultura e politica, cit., 147; critica in Questitalia, cit., 36.

14 Si consultano con utilità: La radiotelevisione all’estero: Linee organizzative delle legislazioni estere, Firenze, ISLE, 1970; la Relazione di Paolicchi a Recoaro, in Rass. dir. cin. 1970, n. 3, 59 ss.; La TV degli altri, Roma, UCSI, 1970; G. BRAGA, La comunicazione sociale, Torino 1969, 165 ss.; J. DE AGUILERA, Appunti per una possibile caratteriologia della televisione, in Informazioni Radio-TV, 1970, n. 5, 51 ss.

15 “La strumentalizzazione è esplicita in quei paesi africani, più di rado asiatici, ove la recente indipendenza ha portato al governo un’élite modernizzante, in contrasto con la vecchia élite tradizionalista, quando non tribale. Le comunicazioni di massa sono strumento basilare per un’azione di ammodernamento. Ma poiché le idee nuove difficilmente penetrano udienze arcaiche o tradizionaliste, esse vengono sovente associate a componenti nazionalistiche, od anche religiose. Ciò è particolarmente frequente nei paesi musulmani” (G. BRAGA, cit., 174).

16 Nonostante il suo piglio pamphletario (cfr Civ. Catt. 1970 IV 202). Si legge utilmente in materia l’informatissimo saggio critico di H.Y. SKURNIA, Television and Society, del 1965 (trad. it.: Televisione e società in USA, Torino, ERI, 1969).

17 Tuttavia, vigono disposizioni atte a tutelare la libertà di espressione, specialmente politica. Intanto, fra i sette membri della FCC non più di quattro possono appartenere allo stesso partito politico. Inoltre: è disposto che se una stazione concede l’uso ad un candidato ad una carica pubblica elettiva, deve consentire uguale possibilità a tutti gli altri candidati alla stessa; e che, nelle trasmissioni a carattere giornalistico, ogni stazione ha l’obbligo di operare nell’interesse pubblico e di consentire ragionevoli opportunità di discussione dei punti di vista opposti su questioni d’importanza pubblica. Infine, rientra nella prassi tacitamente accettata da quanti ottengono una licenza, di modificare la programmazione ordinaria quando la Casa Bianca voglia trasmettere qualche importante dichiarazione.

18 Alla radio, 299 ore settimanali sono riservate alle Associazioni della NOS, 7 ore e 30 minuti alle Chiese, 30 minuti alle università popolari, 45 minuti ai partiti politici. Alla televisione: su 65 ore e mezzo di trasmissioni settimanali: 35 ore vanno alle associazioni della NOS e 25 sono dedicate al programma comune. I partiti politici dispongono di 45 minuti alla settimana.

19 In argomento si legge con utilità l’Inchiesta condotta alla BBC, in ARATA, Il futuro è in mezzo a noi, Roma 1970, 275 ss.

20 Da ricordare anche i due organismi radiofonici governativi: DW (Deutsche Wolle) e Deutschlandfunk per i servizi in onda corta: verso i paesi estrauropei la prima, per la Germania e l’Europa la seconda.

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Articolo estratto dal volume I del 1971 pubblicato su Google Libri.

Il testo è stato corretto dai refusi di stampa e formattato in modo uniforme con gli altri documenti dell’archivio.

I riferimenti ai documenti del magistero pontificio sono stati resi interattivi e portano al sito del progetto “Chiesa e Comunicazione”, la biblioteca digitale online che prosegue l’attività iniziata da p. Baragli con le opere Cinema cattolico: documenti della Santa Sede sul cinema e Comunicazione Comunione e Chiesa.

ARTICOLO SU

L’argomento è diventato, come si dice, di palpitante attualità, e non soltanto per gli addetti ai lavori, da quando clamorosi “casi”, dimissioni, scioperi ed occupazioni simboliche di sedi dell’Ente hanno interessato le cronache dei giornali e lo stesso parlamento1. Pubblicazioni2 e numerosi convegni di studio3 ne hanno trattato, quasi tutti passando, dalle critiche e dai problemi particolari e contingenti della situazione odierna, a proposte di riforma generale, se non anche radicale: a ciò indotti anche dall’avvicinarsi del 15 dicembre 1972, data in cui scadrà la vigente ventennale convenzione monopolistica tra Stato e RAI-TV.

Rimandando un intervento di merito a quando le Camere programmeranno la discussione di qualche concreta proposta di legge, crediamo utile per il momento tracciare nelle sue grandi linee questo vigente status giuridico dell’Ente radiotelevisivo italiano, anche rispetto agli ordinamenti degli enti similari fuori d’Italia; rimandando ad un secondo articolo le proposte di riforme che sono state avanzate in sede parlamentare ed altrove, per poi rilevare alcune esigenze dr fondo che una riforma in meglio della RAITV dovrebbe, a nostro parere, rispettare.

Lungi dal volere esaurire l’argomento – complessissimo, come si vedrà, in diritto e di fatto –, queste note sommarie vogliono essere soltanto un modesto contributo d’informazione e di urgente sensibilizzazione in un problema che ci tocca tutti: legislatori, amministratori, autori, educatori, utenti.

La situazione attuale

Per trattare dell’argomento con sufficiente cognizione di causa, conviene prima di tutto conoscere le principali disposizioni legislative nelle quali esso oggi s’inquadra in Italia4, ed anzi risalirne la genesi, iniziata nel lontano 1923. In quell’anno, infatti, il R.D. Norme per il servizio delle comunicazioni senza filo (Artt. 1-3): 1) riservava “allo stato... l’impianto e l’esercizio di comunicazioni per mezzo di onde elettromagnetiche senza l’uso di fili conduttori di collegamento, oppure a onde guidate”; 2) dava facoltà “al governo di accordare a qualsiasi persona, ente o amministrazione, pubblica o privata, concessioni o licenze per l’impianto e l’esercizio dei servizi stessi; 3) e di questi affidava al ministero delle Poste la direzione e il controllo.

È evidente in queste disposizioni l’attenzione concessa all’aspetto tecnico-economico delle telecomunicazioni da parte del legislatore, che in quegli inizi non ne prevedeva ancora la potenziale portata culturale e politica. Di fatto lo Stato, nel 1924, concesse il servizio, in esclusiva, all’URI (Unione Radiofonica Italiana) – che nel 1928 divenne EIAR (Ente Italiano Audizioni Radiofoniche) -: branca della SIP (Società Idroelettrica Piemontese), la quale ne impostò la gestione con criteri prettamente aziendali. Ma le cose nell’Italia fascista cambiano presto. Come nella Russia comunista e nella Germania nazista, più che attività economica la radio diventa voce del regime, e spettacolo-imbonimento del regime si avvia a diventare la televisione, ormai alle porte. Di qui il dispositivo del Codice postale e delle telecomunicazioni, del 1936, che (Art. 261) conserva al ministero delle Poste la vigilanza e il controllo dei servizi tecnici dell’ente concessionario, ma devolve al ministero della Stampa e Propaganda la vigilanza e il controllo dei programmi; con quali risultati politici molti ricordiamo.

Caduto il regime, nel 1944 l’EIAR diventa RAI (Radio Audizioni Italia), ed a questo Ente, sempre in esclusiva, viene concesso il servizio delle radiodiffusioni circolari5. Ma, fermo restando il controllo tecnico da parte del ministero delle Poste (Art. 1), il legislatore – D.L. del 3 aprile del 1947, modificato con L. del 23 agosto 1949 – provvede a tutelare con due organismi “democratici” così la qualità culturale dei programmi come l’indipendenza ed obiettività politica delle informazioni. Al primo scopo (Art. 8) viene

“Istituito presso il ministero delle Poste e delle Telecomunicazioni un Comitato per la determinazione delle direttive di massima culturali, artistiche, educative, ecc. dei programmi di radiodiffusione circolari e per la vigilanza sulla loro attuazione.
“L’ente concessionario predispone ogni trimestre, tenendo conto delle esigenze di ordine generale e locale, il piano di massima dei programmi da svolgere durante il trimestre successivo, e i relativi orari, chiedendo su ciò l’approvazione del ministro delle Poste e delle Telecomunicazioni, il quale decide su parere del Comitato...
“Lo stesso Comitato controlla la propaganda svolta dall’ente concessionario per lo sviluppo delle radiodiffusioni”.

In questo Comitato sono rappresentate, oltre alle Amministrazioni interessate, le categorie degli scrittori, musicisti, autori drammatici, ecc., ed anche le associazioni di utenti6.

Al secondo scopo (Artt. 11-13):

”È istituita una Commissione di parlamentari avente il compito dell’alta vigilanza per assicurare l’indipendenza politica e l’obiettività informativa delle radiodiffusioni.
“La Commissione... è composta di trenta membri designati pariteticamente dai presidenti delle due Camere del parlamento, tra i rappresentanti di tutti i gruppi parlamentari.
“La Commissione... trasmette le sue deliberazioni alla presidenza del Consiglio dei ministri, che deve impartire al presidente dell’ente concessionario le disposizioni necessarie per curarne l’esecuzione, e deve informare il ministro per le Poste e le Telecomunicazioni”.

Col D.P. del 26 gennaio 1952, entrato in vigore il 15 dicembre dello stesso anno, siamo (Art. 12) alla concessione ventennale oggi in vigore, la quale – salvo il diritto di riscatto da parte dello Stato (Art. 28) – avrà termine appunto il 15 dicembre 1972. Oggetto della concessione sono, in esclusiva: “i servizi di radioaudizioni circolari e di televisione circolare, di televisione su filo, ove essa sia intesa a diffondere circolarmente programmi della stessa origine e natura di quelli diffusi per mezzo delle stazioni radiofoniche o televisive”; e, non in esclusiva: “i servizi di radiofotografia circolare”. Concessionaria ne è la RAI-Radiotelevisione Italia s.p.a.: società di diritto privato, ma a prevalente partecipazione statale, in quanto (Art. 3) “la maggioranza assoluta delle sue azioni dovrà passare in titolarità all’IRI (Istituto Ricostruzione Industriale)”7; inoltre – date le sue dimensioni ed i suoi compiti di particolare rilevanza economica e sociale –: società privata ma soggetta in qualche modo allo Stato anche nella sua gestione; infatti, deve trasmettere (Art. 27) il proprio bilancio annuale all’approvazione del ministero delle Poste ed a quello del Tesoro, ed è soggetta anche al controllo della Corte dei conti.

Non sono mancate discussioni circa la legittimità costituzionale di questa riserva allo Stato dei servizi radiotelevisivi8, perciò anche circa l’affidamento degli stessi in concessione esclusiva alla RAI-TV, data: 1) la libertà di manifestazione del pensiero da parte di tutti e con ogni mezzo di diffusione; 2) la libertà dell’arte e della scienza; 3) la libertà dell’iniziativa economica privata: garantite rispettivamente dagli Artt. 21, 33 e 41 della Costituzione; come pure non sono mancate iniziative private contrastanti col monopolio statale, quali, nel 1955-’56, quella de "Il Tempo-TV” (di Angiolillo-Lauro) per l’esercizio in concessione di una rete di trasmissioni televisive destinate principalmente a Roma e a Napoli, e quella di "TV-Libera” (del Corriere della Sera) per l’esercizio di radiodiffusione televisiva basato su proventi pubblicitari. Ma la Corte costituzionale, con sentenza del 13 luglio 1960 (relatore Sandulli, presidente Perassi), confermata dalle successive dell’11 luglio 1961 e del 6 luglio 19659, si pronunciò per la legittimità del monopolio.

Merita rilevare le tre considerazioni che motivano queste sentenze. La prima, di carattere tecnico riguarda la materiale indisponibilità di una gamma illimitata di lunghezze d’onda e di frequenze, che praticamente rende le telecomunicazioni non accessibili indiscriminatamente a chiunque; la seconda, di natura culturale-sociologica, riguarda i caratteri di preminente interesse generale delle telecomunicazioni, specialmente in funzione d’informazione; la terza, di carattere politico, riguarda la maggiore probabilità di obiettività-imparzialità di un servizio gestito dallo Stato, che non di servizi gestiti da monopoli o da oligopoli privati. Afferma, infatti, tra l’altro, la sentenza:

Rispetto agli Artt. 41 e 43 della Costituzione10: “Data l’attuale limitatezza dei ’canali’ utilizzabili, la televisione si caratterizza indubbiamente come attività predestinata, in regime di libera iniziativa, quanto meno all’oligopolio: oligopolio totale o locale a seconda che i servizi vengano realizzati su scala nazionale o su scala locale. Collocandosi, così, fra le categorie di ’imprese’ che si riferiscono a ’situazioni di monopolio’ nel senso di cui all’Art. 43 Cost., per ciò solo essa rientra fra quelle che... l’Art. stesso consente di sottrarre alla libera iniziativa. Né appare arbitrario che il legislatore ravvisi nella diffusione radiotelevisiva i caratteri di ’preminente interesse generale’ richiesti dall’Art. 43 perché ne sia consentita la sottrazione alla libera iniziativa. È fuori discussione, infatti, l’altissima importanza che, nell’attuale fase della nostra civiltà, gli interessi che la televisione tende a soddisfare (informazione, cultura, svago) assumono – e su vastissima scala –, non solo per i singoli componenti del corpo sociale, ma anche per questo nella sua unità.
“Siccome poi, a causa della limitatezza dei ’canali’ utilizzabili, i servizi radiotelevisivi, se non fossero riservati allo Stato, o a un ente statale ad hoc, cadrebbero naturalmente nella disponibilità di uno o di pochi soggetti, prevedibilmente mossi da interessi particolari, non può considerarsi arbitrario neanche il riconoscimento dell’esistenza di ragioni ’di utilità generale’ idonee a giustificare, ai sensi dell’Art. 43, l’avocazione, in esclusiva, dei servizi allo Stato, dato che questo, istituzionalmente, è in grado di esercitarli in più favorevoli condizioni di obiettività, di imparzialità, di completezza e di continuità in tutto il territorio nazionale”.
E rispetto agli Artt. 21 e 33 della Costituzione11: "È chiaro che quella particolare manifestazione della libertà di pensiero, che consiste nella possibilità di diffonderlo, riguardando ogni forma di pensiero, riguarda anche quelle più elevate espressioni di esso che sono le creazioni artistiche e scientifiche. Della diffusione di queste non si occupa l’Art. 33 Cost., il quale proclama e tutela la libertà dell’arte e della scienza, e quella del loro insegnamento. Onde la disciplina è da considerare ricompresa nel disposto del I comma dell’Art. 21.
“Anche in relazione a quest’ultimo precetto, ritiene però la Corte che la riserva allo Stato dei servizi di radiotelevisione – e la conseguente possibilità di affidamento di essi in concessione – non contrasti con la Costituzione.
”È vero che il I comma dell’Art. 21 riconosce a tutti la possibilità di diffondere il pensiero... con qualsiasi mezzo. Ma già si è visto che, per ragioni inerenti alla limitatezza di questo particolare mezzo, è escluso che chiunque lo desideri, e ne abbia la capacità finanziaria, sia senz’altro in grado di esercitare servizi di radiotelevisione: in regime di libertà di iniziativa, questi non potrebbero essere che privilegio di pochi.
“Per risolvere il quesito della corrispondenza dell’attuale disciplina legislativa all’Art. 21, I comma, Cost., non è indispensabile affrontare il problema se, in via generale, sia compatibile con questo ultimo l’avocazione allo Stato di qualsiasi mezzo di diffusione del pensiero. È sufficiente, infatti, dimostrare che non contrasta col precetto costituzionale in esame l’avocazione allo Stato di quei mezzi di diffusione del pensiero che, in regime di libertà di iniziativa, siano naturalmente destinati a dar luogo a situazioni di monopolio, o – il che è lo stesso – di oligopolio. E la dimostrazione è in re ipsa, quando si consideri che, rispetto a qualsiasi altro soggetto monopolista, lo Stato monopolista si trova istituzionalmente nelle condizioni di obiettività e imparzialità più favorevoli per conseguire il superamento delle difficoltà frapposte dalla naturale limitatezza del mezzo alla realizzazione del precetto costituzionale, vòlto ad assicurare ai singoli la possibilità di diffondere il pensiero con qualsiasi mezzo”.

L’affermazione di siffatta condizione privilegiata dello Stato nel tutelare l’obiettività e l’imparzialità dell’informazione può essere discussa; e, di fatto, è stata e viene tuttora discussa, sia in rapporto alla legislazione vigente circa il suo monopolio, sia in rapporto all’applicazione che ne viene fatta. La cosa non è sfuggita alla Corte costituzionale, la quale, pur dichiarando che, in casu, “della normazione esistente in proposito... non può occuparsi”, termina la propria sentenza avvertendo che

“in quanto precede è implicito che allo Stato monopolista di un servizio destinato alla diffusione del pensiero incombe l’obbligo di assicurare, in condizioni di imparzialità e obiettività, la possibilità potenziale di goderne – naturalmente nei limiti che si impongono per questa come per ogni altra libertà, e nei modi richiesti dalle esigenze tecniche e di funzionamento – a chi sia interessato ad avvalersene per la diffusione del pensiero nei vari modi del suo manifestarsi. Donde l’esigenza di leggi destinate a disciplinare tale possibilità potenziale e ad assicurare adeguate garanzie di imparzialità nel vaglio delle istanze di ammissione all’utilizzazione del servizio, non contrastanti con l’ordinamento, con le esigenze tecniche e con altri interessi degni di tutela (varietà e dignità dei programmi, ecc.)”.

Partendo da questa situazione di fatto, nelle passate legislature – perciò ormai decadute – sono state avanzate all’una o all’altra Camera almeno nove proposte parlamentari di leggi12 più o meno innovatrici sullo statu quo; e nella quarta legislatura, almeno quattro13. Ne rileveremo alcune caratteristiche dopo una rapida panoramica su alcuni ordinamenti adottati in materia in altri paesi, atti, forse, a fornire indicazioni, e controindicazioni, rispetto al ius condendum (oppure firmandum) italiano.

Uno sguardo all’estero

Per cominciare dalle soluzioni estreme: c’è, da una parte, quella del servizio radiotelevisivo svolto in esclusiva da un ente pubblico dipendente totalmente dall’esecutivo, o da un organismo integrato nell’amministrazione dello Stato; dall’altra, c’è quella di servizi gestiti in libera concorrenza da imprese private, con nessuna ingerenza da parte dello Stato14.

Il primo caso, com’è noto, si verifica in tutti i paesi comunisti senza eccezione – URSS e satelliti d’oltre cortina, Cina, Cuba, ecc. –; nelle dittature di destra – Spagna (in parte), Portogallo, Grecia, alcuni paesi dell’America latina –, nonché nella maggior parte dei paesi di recente indipendenza15. Il secondo caso limite, anche questo presente in alcuni paesi del Sud America, si verifica nella forma più tipica negli Stati Uniti d’America16. Lì, infatti, la FCC (Federal Communications Commission), che praticamente è l’unico organismo federale mediante il quale lo Stato interviene in questo settore, si limita a concedere autorizzazioni di carattere tecnico, e licenze, subordinate soltanto alla stabilità e capacità dei programmi17. Di fatto, la quasi totalità dei programmi è realizzata da società commerciali, che vivono con i redditi della pubblicità, e che operano in oligopolio, quasi tutte facendo capo alle tre holdings: NBC (National Broadcasting Company), CBS (Columbia Broadcasting System) e ABC (American Broadcasting Company). Accanto a queste – coordinate nella NET (National Education Television), organismo sempre privato –, operano altre televisioni con scopi esclusivamente educativo-culturali, per lo più emanazione d’istituti d’insegnamento superiore, associazioni religiose, ecc., sussidiate da fondazioni {specialmente la Ford) ed anche da qualche Stato. Inoltre, dal 1967, con finanziamenti esclusivamente governativi, opera, a carattere sperimentale, la CPB (Corporation for Public Broadcasting), col compito di promuovere e finanziare programmi educativo-culturali e di curarne la distribuzione alle stazioni non commerciali già esistenti. Altrove, tra queste due estreme, si trovano soluzioni svariatissime, più o meno conducibili alle tre seguenti: 1) Ente pubblico autonomo: vale a dire, indipendente dal governo, ma soggetto a controlli pubblici (così in Belgio, Danimarca, Germania Federale, Irlanda Norvegia); 2) Ente pubblico autonomo ma affiancato da imprese private in gestione concorrenziale (per esempio: in Australia, Canadà, Giappone, Inghilterra); 3) Società privata, cui lo Stato affida il pubblico servizio in concessione (così, oltre che in Italia: in Austria, Francia, Svezia, Svizzera).

Nell’impossibilità di descriverle tutte, merita rilevare le caratteristiche più tipiche di alcune.

In Francia i servizi radiotelevisivi fanno capo all’ORTF (Office de Radiodiffusion Télévision Française): ente commerciale di diritto pubblico in regime di monopolio. Sotto de Gaulle era controllato dal ministero dell’Informazione; ora lo è dalla presidenza del Consiglio, tramite un Controleur d’Etat: specie di organo statale distaccato, per la vigilanza su tutti gli atti suscettibili di conseguenze economico-finanziarie. Dei 24 membri del Consiglio di amministrazione: la metà rappresentano il governo, 5 il personale dipendente, 2 la stampa, 1 gli utenti, 4 sono scelti tra personalità... altamente qualificate”. Tra i compiti di questo Consiglio c’è quello di vigilare sull’obiettività ed esattezza delle informazioni e sulla libera espressione delle principali tendenze di pensiero e le grandi correnti di opinione. Affiancano il Consiglio due Comitati consultivi – uno per la radio, uno per la televisione – , costituiti da esperti nei diversi campi della cultura, che non abbiano rapporti di dipendenza o di collaborazione con l’ORTF.

Il Belgio è caratterizzato dall’esistenza di due organismi operativamente del tutto autonomi: la BRT (Belgische Radio en Televisie) di lingua fiamminga, e la RTB (Radiodiffusion Télévision Belge) di lingua francese (vallone): dipendenti, quali unico ente amministrativo, dal ministero della Cultura. L’ente, cui è preclusa la pubblicità, è finanziato dallo Stato, il quale incassa direttamente il canone versato dagli utenti.

Tutta particolare è la situazione dell’Olanda (dal maggio 1969). Lo Stato, proprietario di tutte le installazioni tecniche, ripartisce il tempo alle varie associazioni che siano in grado di rispondere ai bisogni culturali, religiosi e spirituali del popolo, le quali contino almeno 100.000 membri paganti la tassa sugli apparecchi radio-tv, e le sovvenziona col ricavato della stessa tassa e con i proventi della pubblicità. Queste associazioni devono aderire alla Fondazione Olandese Emissioni: NOS, il cui consiglio di amministrazione è composto di 25 membri: 7 nominati dalla Corona, 6 da organizzazioni culturali-sociali, 12 dalle 6 associazioni politiche o religiose che (oggi) godono dei diritti di emissione, vale a dire: l’AVRO (Allgemene Vereniging Radio Omroep) non confessionale, la KRO (Katholicke Radio Omroep) cattolica, la NCRV (Nederlandse Christelijke Radio Vereniging) calvinista, la VARA (Vereniging van Arbeiders Radio Amateurs) socialista, la VPRO (Vrijzinning Protestante Radio Omroep) protestante-liberale e la TROS neutra. A sua volta la NOS cura un programma proprio18.

In Inghilterra19 l’installazione e l’uso di radio trasmittenti sono vietati ai privati. Il servizio radiotelevisivo è affidato a due enti di diritto pubblico in piena autonomia tra loro: la BBC (British Broadcasting Corporation), che mette in onda trasmissioni radio e televisive di propria produzione, e l’ITA (Independent Television Authority), che mette in onda programmi soltanto televisivi, realizzati dalle quattordici compagnie che ne fanno parte: programmi che, secondo la legge costitutiva della stessa, devono essere “di alto livello qualitativo”. Sempre per la legge, la ITA si serve di tre Comitati consultivi: l’uno di consulenza religiosa, nel quale sono rappresentate le maggiori confessioni religiose del paese; l’altro di consulenza per la pubblicità, nel quale sono rappresentati gli enti interessati e le associazioni dei consumatori; il terzo di consulenza scolastica, costituito da esperti e da rappresentanti del settore.

La caratteristica che più ha reso nota la BBC è che, presso l’amministrazione, controllata dal Parlamento, operano: un Consiglio generale consultivo, noto come “Comitato dei garanti” (Board of Trustees), a carattere largamente rappresentativo, e tre Consigli per le trasmissioni, rispettivamente, della Scozia, del Galles e dell’Irlanda del Nord; nonché (eventuali) altri speciali Comitati di esperti per particolari tipi di programmi.

In mancanza di pubblicità, almeno fino ad oggi non concessale, la BBC si finanzia con gli introiti derivanti dal canone degli utenti, da una sovvenzione governativa e dai proventi delle numerose pubblicazioni proprie (Radio Times, The Listener, ecc.); mentre l’ITA è finanziata dalle società che le forniscono i programmi, le quali a loro volta si finanziano vendendo il tempo per le inserzioni pubblicitarie.

In Giappone la radiotelevisione si regge sull’ordinamento imposto dagli alleati dopo il 1945. Si caratterizza dall’esistenza di un’ottantina di imprese private-commerciali, (solo od anche) televisive, accanto alla compagnia statale NHK (Nippon Hoso Kyosai). Questa, che si finanzia con le tasse pagate dagli utenti sui singoli apparecchi, dedica largo spazio ai programmi culturali, educativi e d’informazione – soltanto il "Notiziario” occupa circa un terzo del tempo! –; mentre le stazioni private-commerciali, che vivono sui proventi pubblicitarii, dedicano il loro tempo prevalentemente ai programmi di ricreazione-evasione.

Finalmente, la Germania Federale si paga una ricca struttura organizzativa tipicamente tedesca. Dispone, infatti, – semplifichiamo! – di nove stazioni regionali, gestite da enti di diritto pubblico, più o meno corrispondenti ai Länder, con sedi a Baden Baden, Berlino Ovest, Bremen, Frankfurt, Hamburg, Köln, München, Saarbrucken e Stuttgart: le quali trasmettono, su una o più reti, programmi televisivi d’interesse regionale. Queste sono confederate nell’ARD (Arbeitsgemeinschaft der offentlich-rechtlichen Rundfunkanstalten Deutschlands), che mette in onda un programma nazionale realizzato con produzioni degli stessi enti. Accanto a questo, un secondo programma nazionale televisivo viene diffuso dalla ZDF (Zweites Deutsches Fernsehen): ente pubblico statale, con sede in Mainz, costituito dai nove enti regionali, ma indipendente da questi, e con produzione propria. E c’è anche un terzo programma, di contenuto culturale-educativo-formativo, realizzato dagli enti regionali, singoli o associati20.

I membri dei Consigli dei programmi degli enti regionali sono designati in parte dai parlamenti e dai governi regionali, in parte dalle Chiese, dalle organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro, dalle università, dalla stampa e da altre associazioni rappresentative. L’ARD non ha struttura organizzativa propria; la sua gestione è affidata a turno ad uno dei nove enti regionali; ed anche la direzione spetta a turno ad uno di essi.

* * *

Ad un prossimo numero, come s’è detto, l’analisi delle varie proposte legislative avanzate per l’Italia, ed i criteri di massima che un’efficace legislazione in materia dovrebbe tener presente.

1 Tra i “casi”, quello De Feo. Tra le dimissioni: quelle del presidente A. Sandulli, dell’amministratore delegato G. Granzotto, e di M. Elia dal consiglio di amministrazione. La Camera dei deputati ne trattò nelle sedute del 27 e 28 maggio 1969 (cfr Atti integrati in Rassegna di diritto cinematografico, teatrale e della televisione (= Rass. dir. cin.), 1969, n. 6, 186 ss.); e la Commissione Parlamentare ne trattò in febbr.-apr. 1970 (ivi, 1970, n. 3, 50 ss.).

2 Nell’editoria libraria ricordiamo specialmente: G. CESAREO, Anatomia del potere televisivo, Milano 1970 (Civ. Catt. 1970 II 517); A. LEVI, Televisione all’italiana, Milano 1969; A. BELLOTTO, La televisione inutile, Milano 1962 (Civ. Catt. 1963 II 479). Tra le riviste, specialmente Questitalia, aprile 1969; Cultura e politica, 1970, nn. 17/18.

3 Tra i più recenti: quello dell’UCSI (Unione Cattolica Stampa Italiana): Recoaro-Terme, 20-21 giugno 1970, sul tema Una riforma per la RAI-TV (Civ. Catt. 1970 III 181); quello dell’ENARS (Ente Nazionale ACLI Ricreazione Sociale): Roma, 24-25 giugno I970, sul tema Quale riforma per la Radiotelevisione?; documento base: Movimento operaio, cultura nuova e comunicazioni di massa, molto vicino alla cit. Questitalia, pubblicato in Nuova cultura, 1970, n. I; e quello dell’AIART (Associazione Italiana Ascoltatori Radio Telespettatori): Roma, 25-29 giugno I 970, sul tema La TV negli anni settanta.

4 Cfr in materia C. CANTARANO, Codice della legislazione sullo spettacolo, Roma 1968, 589 , ed in particolare la Bibliografìa essenziale a p. 594.

5 Secondo la definizione fissata dalla convenzione internazionale di Atlantic City (1964) nonché da quella di Buenos Aires (1952), con questo termine s’intende un servizio di radiocomunicazioni che effettua emissioni destinate ad essere ricevute direttamente dal pubblico”, e che può comprendere “tanto emissioni sonore quanto emissioni di televisione, di facsimile o altro genere di emissioni”.

6 E precisamente, secondo gli 9 e 10, “Il Comitato sarà costituito: da un presidente, nominato con decreto del presidente del Consiglio dei ministri, di concerto coi ministri per la Pubblica Istruzione e per le Poste e Telecomunicazioni; da un funzionario dell’Ispettorato generale del traffico telegrafico e radiotelegrafico presso il ministero delle Poste e delle Telecomunicazioni; da un membro designato dal Consiglio superiore della Pubblica Istruzione; da un rappresentante del ministero della Pubblica Istruzione; da tre scrittori, designati, uno dall’accademia dei Lincei, e due dalle organizzazioni nazionali di categoria; da tre musicisti (uno per la musica sinfonica, uno per la musica operistica e uno per la musica leggera), designati dalle organizzazioni nazionali di categoria; da un rappresentante della Società Italiana degli Autori ed Editori (SIAE); da un esperto di problemi economico-sociali, designato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, di concerto con i ministri per il Lavoro e la Previdenza Sociale e per l’Industria e il Commercio; da un rappresentante dei maestri e degli insegnanti delle scuole secondarie, designato dalle organizzazioni di categoria; da un esperto dei problemi turistici, designato dall’Ente Nazionale del Turismo; da tre privati utenti, designati dalle relative associazioni ed, in mancanza, dal ministro per le Poste e le Telecomunicazioni.
”... Alle riunioni del Comitato partecipa, senza diritto a voto, il presidente, o il direttore generale dell’Ente concessionario.”

7 Pare che, su 11.000.000 di azioni, che costituiscono oggi il capitale sociale, solo 200.000 sarebbero in mano a privati. Secondo G. CESAREO (cit. p. 23), “L’IRI e la STET, sua affiliata, detengono il 98,35% delle azioni; 34 privati ne posseggono l’1,35% il che renderebbe la privatività della RAI-TV una mera finzione, dato anche che “la Convenzione del ’52 stabiliva che i componenti del Consiglio d’amministrazione di nomina governativa passassero da 4 a 6 su 16 (con una Convenzione aggiuntiva, nel ’65, il numero dei componenti di nomina governativa è stato portato a 7 su 20). Ma nemmeno queste cifre rispecchiano la situazione reale: un altro congruo numero di componenti del Consiglio di amministrazione, infatti, sono stati sempre nominati, per tacita consuetudine dai partiti al governo; prima della sola DC, poi dalla DC, dal PSI e dal PRI, attraverso complesse trattative tra i gruppi dirigenti e le varie correnti. E in questo gruppo di uomini sono sempre stati scelti i massimi dirigenti dell’Ente (che sulla carta, ovviamente, risultano eletti dal Consiglio).”

8 Cfr R. MALASPINA-ELECTRON, Il monopolio delle trasmissioni radio televisive, Roma 1964 (Civ. Catt. 1964 III 60).

9 Cfr il testo in Rass. dir. cin. 1960, n. 5, 147; 1961, n. 5, 157; 1966, n. 1, 1; e per un commento rispetto all’Art. 43 della Costituzione: ivi, 1968, n. 5, 125.

10 L’Art. 41 recita: “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”. – E così l’Art. 43: “A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti, determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopoli, ed abbiano carattere di preminente interesse generale”.

11 Così il I comma dell’Art. 21: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. – E così il I comma dell’Art. 33: “L’arte e la scienza sono libere, e libero ne è l’insegnamento”.

12 E precisamente (salvo sviste): 1) di Albarello ed altri (PSI), alla Camera, 5 dic. 1958, che trovò accoglimento parziale con l’istituzione di Tribuna politica. – 2) di La Malfa ed altri, presentata il 12 marzo 1959, elaborata da "’Gli amici del Mondo” (Notizie in Rass. dir. cin. 1965, n. 2, 60). – 3) di Lajolo ed altri (PCI), presentata il 18 marzo 1959. – 4) di Calabrò ed altri, presentata nel dic. 1962. – 5) di Parri ed altri, al Senato, giugno 1964, ispirata dall’ARTA (Critica in Comunicazioni di massa, 1965, n. 7, 118). – 6) di Lajolo ed altri (PCI), alla Camera, 25 febb. 1965, dipendente in parte da La Malfa-1959 (testo in Rass. dir. cin. 1965, n. 2, 57): identica a quella Parri-1964. – di De Maria ed altri (DC), alla Camera, 2 apr. 1966 (testo: ivi 1966, n. 6, 162). – di Calabrò, presentata il 1º giugno 1966 (testo: ivi, 167). – 9) di Bergamasco, al Senato, 7 dic. 1967.

13 E precisamente (salvo sempre sviste):
1) di Barzini ed altri (PLI), alla Camera, 4 genn. 1969. È la stessa presentata da Veronesi ed altri (PLI), al Senato, 7 febb. 1969. (Testo in Rass. dir. cin. 1969, n. 4, 104; e in Cultura e politica 1970, nn. 17/18, I 56; critica in Questitalia, cit. p. 38;
2) di De Maria ed altri (DC), alla Camera, 6 febbr. 1969. Testo in Rass. dir. cin. cit., 116. È la stessa del 1966. Ritirata per un riesame, ne è stato pubblicato un nuovo testo in Il telespettatore, ag.-sett. 1970;
3) di Passoni (PSIUP) ed altri. È la stessa presentata da Naldini ed altri (PSIUP), al Senato, 20 mar. 1969. Testo in Cultura e politica, cit. 151;
4) di Lajolo (PCI) ed altri, alla Camera, 30 apr. 1970, elaborata dall’ARCI-ARTA. Vi ha confluito la proposta Parri-1965. Testo in Cultura e politica, cit., 147; critica in Questitalia, cit., 36.

14 Si consultano con utilità: La radiotelevisione all’estero: Linee organizzative delle legislazioni estere, Firenze, ISLE, 1970; la Relazione di Paolicchi a Recoaro, in Rass. dir. cin. 1970, n. 3, 59 ss.; La TV degli altri, Roma, UCSI, 1970; G. BRAGA, La comunicazione sociale, Torino 1969, 165 ss.; J. DE AGUILERA, Appunti per una possibile caratteriologia della televisione, in Informazioni Radio-TV, 1970, n. 5, 51 ss.

15 “La strumentalizzazione è esplicita in quei paesi africani, più di rado asiatici, ove la recente indipendenza ha portato al governo un’élite modernizzante, in contrasto con la vecchia élite tradizionalista, quando non tribale. Le comunicazioni di massa sono strumento basilare per un’azione di ammodernamento. Ma poiché le idee nuove difficilmente penetrano udienze arcaiche o tradizionaliste, esse vengono sovente associate a componenti nazionalistiche, od anche religiose. Ciò è particolarmente frequente nei paesi musulmani” (G. BRAGA, cit., 174).

16 Nonostante il suo piglio pamphletario (cfr Civ. Catt. 1970 IV 202). Si legge utilmente in materia l’informatissimo saggio critico di H.Y. SKURNIA, Television and Society, del 1965 (trad. it.: Televisione e società in USA, Torino, ERI, 1969).

17 Tuttavia, vigono disposizioni atte a tutelare la libertà di espressione, specialmente politica. Intanto, fra i sette membri della FCC non più di quattro possono appartenere allo stesso partito politico. Inoltre: è disposto che se una stazione concede l’uso ad un candidato ad una carica pubblica elettiva, deve consentire uguale possibilità a tutti gli altri candidati alla stessa; e che, nelle trasmissioni a carattere giornalistico, ogni stazione ha l’obbligo di operare nell’interesse pubblico e di consentire ragionevoli opportunità di discussione dei punti di vista opposti su questioni d’importanza pubblica. Infine, rientra nella prassi tacitamente accettata da quanti ottengono una licenza, di modificare la programmazione ordinaria quando la Casa Bianca voglia trasmettere qualche importante dichiarazione.

18 Alla radio, 299 ore settimanali sono riservate alle Associazioni della NOS, 7 ore e 30 minuti alle Chiese, 30 minuti alle università popolari, 45 minuti ai partiti politici. Alla televisione: su 65 ore e mezzo di trasmissioni settimanali: 35 ore vanno alle associazioni della NOS e 25 sono dedicate al programma comune. I partiti politici dispongono di 45 minuti alla settimana.

19 In argomento si legge con utilità l’Inchiesta condotta alla BBC, in ARATA, Il futuro è in mezzo a noi, Roma 1970, 275 ss.

20 Da ricordare anche i due organismi radiofonici governativi: DW (Deutsche Wolle) e Deutschlandfunk per i servizi in onda corta: verso i paesi estrauropei la prima, per la Germania e l’Europa la seconda.

In argomento

Massmedia

n. 3405, vol. II (1992), pp. 260-268
n. 3351, vol. I (1990), pp. 260- 269
n. 3310, vol. II (1988), pp. 351-363
n. 3218, vol. III (1984), pp. 144-151
n. 3200, vol. IV (1983), pp. 158-164
n. 3202, vol. IV (1983), pp. 362-368
n. 3195-3196, vol. III (1983), pp. 209-222
n. 3188, vol. II (1983), pp. 154-161
n. 3191, vol. II (1983), pp. 463-467
n. 3179, vol. IV (1982), pp. 464-467
n. 3141, vol. II (1981), pp. 222-237
n. 3088, vol. I (1979), pp. 351-359
n. 3075-3076, vol. III (1978), pp. 223-238
n. 3072, vol. II (1978), pp. 566-573
n. 3062, vol. I (1978), pp. 151-159
n. 3058, vol. IV (1977), pp. 349-362
n. 3055, vol. IV (1977), pp. 45-53
n. 3045, vol. II (1977), pp. 260-272
n. 3034, vol. IV (1976), pp. 336-351
n. 3036, vol. IV (1976), pp. 580-587
n. 3022, vol. II (1976), pp. 323-336
n. 3013, vol. I (1976), pp. 20-36
n. 2990, vol. I (1975), pp. 144-157
n. 2983, vol. IV (1974), pp. 36-48
n. 2973, vol. II (1974), pp. 250-256
n. 2967, vol. I (1974), pp. 258-263
n. 2961, vol. IV (1973), pp. 258-263
n. 2942, vol. I (1973), pp. 144-150
n. 2927, vol. II (1972), pp. 451-456
n. 2911, vol. IV (1971), pp. 39-48
n. 2913, vol. IV (1971), pp. 235-253
n. 2882, vol. III (1970), pp. 154-160
n. 2870, vol. I (1970), pp. 155-160
n. 2859-2860, vol. III (1969), pp. 219-230
n. 2739, vol. III (1964), pp. 246-254
n. 2729, vol. I (1964), pp. 422-435
n. 2702-2704, vol. I (1963), pp. 105-118, 313-325
n. 2636, vol. II (1960), pp. 124-39
n. 2612, vol. II (1959), pp. 113-124
n. 2548, vol. III (1956), pp. 400-408