Articolo estratto dal volume II del 1970 pubblicato su Google Libri.
Il testo è stato corretto dai refusi di stampa e formattato in modo uniforme con gli altri documenti dell’archivio.
I riferimenti ai documenti del magistero pontificio sono stati resi interattivi e portano al sito del progetto “Chiesa e Comunicazione”, la biblioteca digitale online che prosegue l’attività iniziata da p. Baragli con le opere Cinema cattolico: documenti della Santa Sede sul cinema e Comunicazione Comunione e Chiesa.
A settantacinque anni di età, il cinema ricorda due grandi crisi-mutazioni tecniche1.
La prima la subì sulla trentina (anni 1926-’28), quando, da muto che era, diventò sonoro. E fu una mutazione che sul piano espressivoe-estetico sconvolse tutti gli schemi dei teorici e pose in crisi creatori come Chaplin e Clair; su piano economico trasformò il cinema in pesante industria, manovrata dal capitale bancario; e su piano sociologico, lo impose, per un buon quarto di secolo, come spettacolo di massa e modellatore del costume, specialmente tramite i mostri sacri di un divismo da laboratorio.
L’altra crisi-mutazione tecnica l’ha subìta dopo la seconda guerra mondiale, quando, nello svigorimento, per dir così, da climaterio, si trovò a difendere il suo monopolio di spettacolo di massa specialmente contro la concorrenza della giovane e gagliarda televisione. Allora, infatti, fece ricorso a tutti gli ormoni delle innovazioni tecnologiche: schermi dilatati, drive-in, sgargianza di colori, suono stereofonico, scenografie monstre...; con risultati, nell’insieme, assai discutibili, non solo sotto il profilo estetico, ma, a conti fatti, anche sotto quello economico, di mercato. Infatti, negli anni ’50-’60, dopo qualche ristagno, ha accusato un po’ dappertutto rovinose emorragie di spettatori2, e non è riuscito a tamponarle neanche rimpinzandosi di eccitanti, di estrogeni e di allucinogeni, cioè affidandosi ad una disperata escalation sadico-anarchico-porno-psichedelica, ovviamente preclusa alla televisione.
Nel lungo “braccio di ferro” l’industria cinematografica ha mostrato cedimenti sempre più vistosi sotto il premere della televisione, nel frattempo diventata a colori, a gettone, portatile. Grosse case di produzione hanno chiuso i battenti. Di quelle rimaste, molte sono scese a patti con la concorrente cedendole tutti gli stock di film giacenti nei loro magazzini e magari passando a produrre direttamente per essa. Quelle che ancora resistono cercano di salvare il salvabile ma, da qualche anno a questa parte, con speranze sempre più deboli di riuscirvi: da quando cioè è apparsa incombente una terza crisi-mutazione del cinema, questa volta tanto radicale da mettere in forse lo stesso sussistere del cinema struttura-spettacolo tradizionale.
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Tutto cominciò con i magnetofoni: quei rispettabili apparecchi che vent’anni fa – oh meraviglia! – -cominciarono a registrare ed a riprodurre suoni su filo; i quali, poi, transistorizzati e miniaturizzati, sostituito il filo con nastri di plastica ad ossido di ferro, sono diventati quei gioielli tascabili ed i popolari mangianastri che tutti conosciamo.
I tecnici elettronici si chiesero: perché solo i suoni e non anche le immagini? Il passo, piuttosto laborioso, lo compì una decina di anni fa l’americana Ampex, con prototipi piuttosto ingombranti, costo un centinaio di milioni. Solo gli studi televisivi se li pagarono, e il cinema non ebbe motivo di preoccuparsene. Ma la cosa cambiò aspetto l’anno scorso, quando la olandese Philips, prima alla Fiera di Hannover e poi alla Mostra della radio-televisione di Milano, presentò il primo videoregistratore (teleplayer, videorecorder) domestico: un soprammobile poco più grande di una valigetta (cm. 42 x 34 x 20), semplice (tre manopole e cinque tasti), capace di registrare e ritrasmettere dal e nel televisore, mediante semplice collegamento di una spina, qualsiasi programma radio-televisivo, usando nastri al biossido di cromo, dalla durata di 45 minuti, cancellabili e riregistrabili a volontà come quelli dei comuni magnetofoni: costo circa 400.000 lire, più 25.000 per il nastro registratore.
Per il momento, sia pure con gli aumenti arrecati dall’autunno caldo, verosimilmente non saranno molti gli spettatori cinematografici ed i teleutenti a disporre di questa bella somma; ma è lecito prevedere che progresso tecnologico, concorrenza e produzione in serie presto la ridurranno notevolmente. Allora il cinema accuserà il doppio tiro giocatogli dalla televisione; primo, perché il videoregistratore svincolerà i teleutenti dalla necessità di seguire i programmi nell’ora in cui vengono trasmessi, quindi maggiore sarà il tempo che essi potranno consacrare alla televisione (sia pure differita), sottraendolo al cinema; ma soprattutto perché, mediante acquisto, prestito o interscambio di nastri registrati anche senza i videoregistratori3, i teleutenti potranno alimentare proprie videoteche, e perciò scegliersi e godersi quando e dove vorranno anche i film, liberi dalla programmazione, dagli orari e dalle torture pubblicitarie dei cinema pubblici.
Ma i sorci verdi, con i teleplayers, per il cinema tradizionale sono appena cominciati. I guai maggiori se li aspetta dalle video cassette4, cioè da quei contenitori sigillati, di modeste dimensioni5 (ed anche da semplici dischi), che permetteranno la visione tecnicamente perfetta di programmi, in bianco e nero ed a colori, tramite il televisore, oppure mediante un casalingo proiettore, senz’altra operazione che introdurli in un astuccio e spingere un bottone, magari con la possibilità di arrestare la proiezione-visione su immagini singole.
Infatti, una buona dozzina di laboratori e di industrie, di cui 7 USA e 3 giapponesi, hanno messo già più o meno a punto altrettanti brevetti6, e già all’edizione e distribuzione delle video-cassette s’interessano grossi editori. In America, per esempio, la catena Time-Life, in Inghilterra la Hutchinson. Solo per l’Europa si prevedono nei prossimi quattro anni investimenti per 50 miliardi di lire da parte di Mondadori (Italia), Hachette (Francia), Recontres (Francia-Svizzera), Videotheque (Germania), Elsevier (Olanda), Bonnier (Svezia) ... Insomma, ancora qualche mese e potremo non solo immagazzinare in casa, tramite o meno il nostro televisore, film spettacolari e documentari, opere liriche e di prosa, spettacoli sportivi e varietà, ma ce li potremo procurare con poche centinaia di lire – soprattutto se ci si mette la propaganda e la pubblicità a sfruttarli – nei grandi magazzini, nelle librerie, nelle edicole, oppure affittarli presso apposite “banche”7, magari collegando direttamente con esse (nastri a scelta, come per i dischi nei juke-box) il nostro televisore.
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Quale sarà la sorte del cinema tradizionale: grande spettacolo pubblico? Soppravvivrà solo il cinerama, naturalmente nelle grandi città, come il teatro? Alcuni lo pensano8. Quel che sembra certo è che l’elettronica, come per la stampa sta chiudendo l’era di Gutenberg, così per il cinema – produzione, distribuzione, esercizio – sta chiudendo quella dei Lumière. Molti, perciò, a Sparta, piangeranno? È probabile. Ma, forse, potranno consolarsi costatando che neanche ad Atene (la televisione) resterà molto da ridere. Infatti, tutto fa prevedere che le video-cassette daranno man forte ai satelliti artificiali per smantellarne i monopoli, di diritto o di fatto che siano (e non è escluso che turberanno i sonni anche della stampa quotidiana e della editoria classica9. Personalmente, mi sia permesso opinare che gli strumenti della comunicazione sociale stanno tutti passando dall’età, diciamo, della pietra a quella del ferro, dal tempo della distinzione-divisione concorrenziale a quello della mutua integrazione; e che il lamentarsene, oltre tutto, è inutile, dato che il progresso tecnologico non per ciò si arresterà. Quel che conta è che esso finisca col contribuire ad un autentico progresso umano. Ciò si otterrà soltanto se all’intelligenza e bravura degli inventori e dei tecnici farà riscontro pari maturità umana e senso di responsabilità di scelte negli utenti degli strumenti da essi offerti.
In particolare, una cosa sembra certa; ed è che interventi censòri, divieti ed altre disposizioni giuridiche a tutela dei valori riconosciuti nella comunità saranno resi sempre più inagibili dal progresso tecnologico, e che perciò l’impegno maggiore di chi quei valori vuole tutelati dovrà volgersi piuttosto alla sensibilizzazione e formazione generale e specifica dei recettori10.
C’è dunque da augurarsi che famiglia e scuola prendano coscienza di questo loro compito primario, e che gli stessi strumenti – in primo luogo la televisione – le aiutino nell’assolverli11.
1 Cfr Rivoluzione nel cinema, in Civ. Catt. 1956 II 485 ss., e, per i riflessi industriali-economici, Sull’oligopolio delle industrie cinematografiche, ivi, 1959 I 403 ss.
2 Ecco un dato indicativo della situazione. Nei seguenti dieci Paesi: Austria (1958), Belgio (1956), Francia (1957), Germania (1956), Giappone (1958), Inghilterra (1946), Italia (1955), Olanda (1956), Svezia (1955) e Stati Uniti (1948), negli anni di punta massima (indicati in parentesi) si vendettero complessivamente 9.686 milioni di biglietti; nel 1968 invece se ne vendettero solo 945 milioni, con una riduzione del 60% in tredici anni.
3 Perché il videoregistratore non serve soltanto come ripetitore televisivo. Collegato con una telecamera, permette la registrazione di immagini e di suoni dal vivo, e la loro riproduzione diretta, senza operazioni di sviluppo e stampa, sul video casalingo. La stessa Philips, per esempio, offre una minitelecamera maneggiabilissima (peso tre chilogrammi), a prezzo di L. 300.000.
4 Dette anche cine-cassette, mangiafilm, cinematoscope, movie-box e movie-books... Tra gli altri, in termini divulgativi ne hanno scritto La rivista del cinematografo 1969, 11, 525; Cinema nuovo, 1969, n. 202, 410; Il Giorno, 6, 7 e 8 genn. 1970; Il Tempo, 10 genn. 1970; Science et vie, genn. 1970, 122; Cinema d’oggi, 1970, n. 8, 3; Il telespettatore, febb. 1970... In termini piu tecnici: Radio-Electronics, dic. 1969, 4 ss.; Phisics Today, dic. 1969, 29 ss.; Camera, genn. 1970. In particolare sull’EVR: Giornale dello spettacolo, 25 ott. 1969; Fotografare, febb. 1970...; sull’XXX SelectaVision: La technique de l’exploitation cinématographique, n. 313; Electronics, nov. 1969, 108 ss.; Giornale dello spettacolo, 21 febb. 1970.
5 La Philips olandese, la Grundig tedesca e le due giapponesi Sony e Matsushita hanno concordato le misure standard: 2 x 12 x 20 (circa quelle di un libro in 16.mo), durata un’ora e mezzo di spettacolo.
6 Il Farchild, il Technicolor 1000, la Braun Praximat, la Panacolor (con due ore di spettacolo), la Bolex Paillard Multimate (con pluricassette a spettacolo continuato)... Tra le più avanzate citiamo:
L’EVR (Electronic Video Recording), dell’americana CBS Lab. – Usa nastri magnetici larghi mm. 8,75, con due piste-immagini e due piste sonore parallele, per un massimo di un’ora e mezzo di spettacolo (30 minuti per pista). Il contenitore viene introdotto in una cassetta di circa cm. 50 x 45 x 20, che, collegata con un semplice filo all’antenna, permette la visione su normali televisori a 625 linee (la “definizione” italiana), sino su 12 televisori contemporaneamente. Se ne prevede la diffusione in bianco e nero entro il 1970, a colori entro il 1971. I prezzi dei teleplayers si aggireranno sulle 350.000 lire (in bianco e nero) e sulle 450.000 lire (a colori); per i contenitori: sulle 15.000 lire (in bianco e nero) e sulle 30.000 lire (a colori). Pare che per l’Italia la fabbricazione sia stata assunta dalla Zanussi.
La XXX SelectaVision, dell’americana RCA (Radio Corporation of America). – Usa contenitori con nastri vinilici (i noti involucri trasparenti delle sigarette e delle cibarie). La rilevazione degli “ologrammi” avviene mediante un mini-laser a debole pressione ed una mini-camera elettronica, che trasmette il segnale al televisore per mezzo della presa d’antenna. La commercializzazione si prevede per la metà del 1971. Pare che sul precedente EVR avrà il vantaggio del minor costo: circa 250.000 lire per il rilevatore, e circa 6.000 lire per il contenitore di un’ora.
Il Videoscope, della giapponese Sony. – A differenza dell’EVR e della XXX SelectaVision, oltre alla proiezione, permette la registrazione di programmi, sia in bianco e nero sia a colori. Usa nastri magnetici in contenitori da un ’ora e mezzo. Se ne prevede il lancio in Giappone per il 1972. Prezzi probabili: del rilevatore L. 350.000, dei contenitori L. 12.000.
Il Vidicord, inglese. – Per il momento sembra il meno caro: L. 150.000; ma consente solo la visione di programmi già registrati su nastro. I contenitori verranno distribuiti, come i suoi “tascabili”, dal gruppo editoriale Hutchinson.
Il Video Sheet Recorder, della giapponese Matsushita Electric, detto anche Occhio di Leonardo. – Ha la particolarità di usare dischi simili a quelli correnti della musica. Registra e riproduce subito, dal e sul televisore, tanto suoni quanto immagini.
7 Un’industria prevede di poterli affittare a 2.500 la settimana.
8 Scrive un autorevole giornalista belga: “Il cinerama può offrire al pubblico dei film che la televisione non potrà mai offrire. La televisione non potrà mai uguagliare, per quanti sforzi faccia, gli spettacoli in cinerama, per forza di cose... Il cinema potrà così ritrovare un proprio volto, che nessun altro mezzo di espressione potrà contestargli” (Film Spettacolo, 1970, n. 16, p. 4).
9 Mi comunica l’avv. G. Lanzillo, segretario dell’A.I.MI. (Associazione Italiana Microfilm), che alcune case editrici di enciclopedie stanno studiando la possibilità di porre in commercio enciclopedie microfilmate; e che il risparmio sui prezzi di ogni copia sarebbe veramente sensibile.
10 Cfr Per una iniziazione cinematografica del pubblico, in Civ. Catt. 1959 III 17 ss.
11 Mentre si licenzia alla stampa questa Nota, altre riviste trattano l’argomento. Cfr La quarta età dell’immagine in movimento, in Cinema nuovo, genn.-febb. 1970, 35 ss., col parere delle società che in Italia sono più interessate: Mondadori, Zanussi, Philips, Kodak; Alcune notizie sulle video-cassette, ivi, 40 ss.: relazione letta alla Quinta mostra del cinema libero, Porretta Terme, 1969; La video cassetta sarà la fine del cinema d’oggi, in L’Europeo, 26 marzo 1970: inchiesta sulla giapponese Sony.