NOTE
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1 Cit. in JUAN BENEYTO. La opinión pública (28 ed. Madrid 1969), 18. – Nel volumetto l’A. cerca di appurare quanto, nel mondo odierno, si possa parlare di pensiero indipendente, circuiti come siamo da ogni parte da ogni forma di propaganda: esaminando in altrettanti capitoli, il concetto, il soggetto sociale, i contenuti, la problematica, i meccanismi e la misurazione della pubblica opinione, soprattutto rispetto alla parte che vi ha l’informazione giornalistica (l’attualità) e la propaganda. Frutto di lezioni e di conferenze svolte in Spagna e nell’America Latina, il lavoro, più che di una esposizione sistematica, ha un andamento saggistico, sia pure ad alto livello, ed è commendevole per acume, equilibrio e soprattutto per erudizione. Ne sono indice probante le amplissime Bibliografie (anche se non scarse di refusi) e le numerosissime citazioni di autori nel testo: purtroppo. però, data l’indole saggistica, non corredate dai relativi precisi riferimenti.

2 JEAN STOETZEL, Psicologia sociale, Roma, 1964, 292.

3 VITALIANO ROVIGATTI, Lezioni di scienza dell’opinione pubblica, Roma, Ed. Intern. Sociali, 1971. L’A. ha svolto questo Corso anche in altri istituti universitari, entro e fuori Roma (Barcellona, Caracas, La Paz, Quito, ecc.). Ne è prossima l’ottava edizione, in cui, oltre ad un aggiornamento generale si trovano ex novo un capitolo sul processo della comunicazione ed uno sull’opinione pubblica internazionale; inoltre, in Appendice, un trattatello di doxometria, curato dal dott. A. Zanacchi noto ai nostri lettori (cfr Civ. Catt. 1970 I 199).

4 Per molti anni le ha precedute il corso di ARMANDO BENFENATI, L’opinione pubblica (ultima: Urbino, Ed. Montefeltro. 1966, 35). – L’A., docente all’Università di Urbino, cominciava col descrivere le caratteristiche dei gruppi sociali; passava quindi a studiare i fatti sociali (e la cosiddetta coscienza collettiva) e, tra essi. la tradizione, l’opinione, il costume e la moda, con la loro azione di pressione sociale. Quindi passava al concetto di “pubblico” in quanto differenziato dalla folla. Approdava così alla definizione di “opinione pubblica”, di cui descriveva le caratteristiche differenziali rispetto alla opinione privata. Più che col ragionamento e lo studio analitico dei fenomeni, l’A. procedeva allegando “autorità”, del resto di tutto rispetto. Purtroppo però gli autori piu recenti da lui citati si arrestavano al 1950. Il che spiega la problematica piuttosto teorizzante di tutto il lavoro scarsamente rapportata, non solo agli studi posteriori, ma anche alla situazione odierna.

5 Forse però la complessa macchina psico-sociologica vi risulta eccessivamente semplificata. Perciò ne abbiamo proposto uno schema ritoccato in E. BARAGLI. Elementi di sociologia pastorale sugli strumenti di comunicazione sociale, Roma 1969, 116.

6 JÜRGEN HABERMAS, Storia e critica dell’opinione pubblica, Bari, Laterza 1971, 16º, L. 3.000. – Dello stesso A., presso lo stesso editore: Conoscenza e interesse e Teoria e prassi della società tecnologica.

7 Citando S. LANDSHUT, nota: “Lo Stato moderno presuppone la sovranità popolare come principio della sua propria verità; questa, a sua volta, deve essere l’opinione pubblica. Senza questo complemento, senza l’assunzione dell’opinione pubblica come origine di ogni autorità per le decisioni che vincolano l’interno corpo sociale, manca alla democrazia moderna la sostanza della sua verità” (pp. 280-281).

8 L’A. riporta, dal saggio di Berelson Democratic Theory and Public Opinion, questi elementi dell’elettore ideale: “interesse agli affari pubblici; possesso di informazione e conoscenze; stabili principi politici o regole morali; capacità di attenta osservazione; impegno nella comunicazione e nella discussione comportamento razionale; considerazione degli interessi della comunità” (p. 252).

9 In questo senso intendiamo per opinione pubblica l’insieme dei giudizi e degli atteggiamenti di individui di un “pubblico”, riguardanti problemi o interessi rilevanti della comunità di cui essi si sentono parte, per lo più occasionati da fatti di attualità, secondo che vengano loro notificati dai mezzi e strumenti di comunicazione, e percepiti secondo proprie strutture psico-sociali; e, data occasione, anche l’insieme dei conseguenti comportamenti, verbali o operativi, diretti a conservare o a modificare situazioni di fatto della stessa comunità.

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Articolo estratto dal volume I del 1973 pubblicato su Google Libri.

Il testo è stato corretto dai refusi di stampa e formattato in modo uniforme con gli altri documenti dell’archivio.

I riferimenti ai documenti del magistero pontificio sono stati resi interattivi e portano al sito del progetto “Chiesa e Comunicazione”, la biblioteca digitale online che prosegue l’attività iniziata da p. Baragli con le opere Cinema cattolico: documenti della Santa Sede sul cinema e Comunicazione Comunione e Chiesa.

ARTICOLO SU

Dell’opinione pubblica si potrebbe affermare – cambiando il dove in che cosa – quel che si è detto dell’Araba Fenice: “Che ci sia ciascuno lo dice; dove (che cosa) sia nessun lo sa”. Infatti, tutti ne parlano come di una cosa ovvia. I giornalisti disinvoltamente scrivono: “Occorre fare appello all’opinione pubblica...; informare l’opinione pubblica; l’opinione pubblica approva, l’opinione pubblica condanna...; viva, anche nella Chiesa, l’opinione pubblica! ". Ma: a definirla ti voglio!

Dice: “L’hanno definita fior di storici e di filosofi, di psicologi, politologi, sociologi, teologi”. – È vero. Infatti i manuali allineano le definizioni di Stuart Mili, Hume, Kant, Hegel...; di Bryce, Tarde, Dicey, Bluntschli, F.H. Allport...; di Morlion, Spiazzi... Il guaio è che non ce n’è due che concordino.

Le divergenze cominciano sull’accezione di opinione: giudizio incerto (con Aristotele e san Tommaso), o fama, reputazione (come in Shakespeare e, un po’, nell’odierno public relations)? Continuano sul significato di pubblico: opposto a segreto, oppure a privato? E si moltiplicano circa la dizione intera. Infatti, per alcuni opinione pubblica vale i soggetti di essa – gli uomini, il popolo, il pubblico – in quanto distinti (e, se possibile, avversi) al potere, all’autorità; meglio se risultano “la maggioranza”; ancora meglio se si fanno sentire in manifestazioni di massa. Per altri, invece, vera opinione pubblica sarebbe quella del pubblico, sì, ma non espressa (la “maggioranza silenziosa”), anzi, propriamente parlando, sarebbe l’insieme degli habitus interiori, più o meno stabili, degli individui, che soltanto data occasione generano rilevabili giudizi-atteggiamenti-comportamenti collettivi. Altri, ricalcando la sinonimia che nei secoli XVIII e XIX la personificò nella stampa, con opinione pubblica intendono i mass media (i giornali, la radio-televisione...), suoi esponenti e potenziatori... E via di questo passo.

Aveva dunque ragione W. Albig scrivendo: “La mia opinione è che ci sono troppe opinioni sul tema controverso dell’opinione pubblica”1; e, meno in vena di giochi di parole, aveva ragione J. Stoetzel annotando: “Introdotta per rappresentare una congerie di osservazioni, di problemi pratici e di preoccupazioni normative, la nozione di opinione pubblica, anche spogliata di tutti gli elementi di valore, politici o filosofici, non riesce più oggi a raccordare un’idea viva ma confusa, di psicologia popolare, con certi sistemi di concetti scientifici”2.

Sarà questa una ragione per disertare questo campo di ricerche e questo settore dell’editoria? – Non crediamo. La stessa abbondanza di autori – e di che calibro! – ne denota la importanza culturale-generale, oltre che sociale-pratica. Mette conto, perciò, cercarvi e segnalarvi quegli autori che vi portino qualche contributo di chiarificazione. E tali ci sembrano i due che qui presentiamo.

Opinione e università

Il primo è Vitaliano Rovigatti, da molti anni docente nella romana Pro Deo, ed oggi anche nell’Università di Perugia, le cui lezioni3 hanno raggiunto la settima edizione: salvo errore, uniche nel loro genere a livello universitario4.

Descritta l’opinione pubblica come fenomeno sociale, egli comincia col chiedersi a quale ambito disciplinare se ne possa ridurre lo studio, attinente, tra l’altro, alla psicologia, alla statistica, alla sociologia, alla linguistica, alla storia ecc.; quindi se si possa e si debba riconoscerle una specifica unitarietà, sia pure a carattere interdisciplinare. Dopo aver optato per questa soluzione, egli propone di articolare la doxologia (= scienza dell’opinione) in cinque settori: teoria generale dell’opinione pubblica, psicologia, sociologia, metodologia e doxometria (o misurazione) dell’opinione pubblica; e riferisce sullo stato delle ricerche e degli studi per ogni settore.

Passando alla trattazione vera e propria, presenta molte tra le definizioni che sociologi e saggisti ne hanno proposto, e ne avanza una sua – in gran parte derivata dal Morlion –, in senso oggettivo, distinguendovi un’opinione e giudizio da un’opinione-matrice. Ne descrive i cinque elementi costitutivi (pluralità di opinanti, uniformità di giudizi, consapevolezza di gruppi, punti di resistenza, dinamismo); e poi i fattori sociologici che la formano, la funzione che vi esercitano gli strumenti di comunicazione sociale, e finalmente i temi che la alimentano: che egli distingue in temi primari-generali e temi secondari-concreti e, successivamente, in temi-motori e temi-valori, dedicando ai singoli un capitolo a parte, come fa anche con i miti e con i temi complessi (o complessi tematici).

Consapevole della natura accidentata del terreno su cui si muove, il Rovigatti è il primo a ritenere che la sua voce è una tra le tante, e che il suo tentativo di sistemazione di fatti e di concetti ha, più che altro, il valore di proposta. Personalmente riteniamo che il suo schema dell’opinione pubblica-matrice, oltre che nuovo, sia molto illuminante5; mentre ci sembra discutibile, per esempio, la sua tendenziale identificazione tra opinione pubblica ed opinione maggioritaria: tendenza, del resto, comune allo Stoetzel, al Benfenati e ad altri.

Nessun dubbio, invece, sull’abbondanza della sua informazione bibliografica, sulla chiarezza dell’esposizione e la felice scelta degli esempi concreti, che l’A. attinge specialmente dall’esperienza politica recente. Questi pregi fanno rimpiangere che l’A., esplicitamente limitandosi all’opinione pubblica oggettiva, non si sia applicato anche a quella soggettiva (il pubblico: con le relative questioni di dossometria) ed a quella strumentale (i mass media).

Meritevole anche ci sembra l’attenzione concessa al pensiero del padre Félix Morlion: un pioniere in questo come in altri campi, che, se per certi aspetti può essere discusso, per altri, anche da parte cattolica, è stato ingiustamente dimenticato.

Una tesi modello

Il secondo autore è Jürgen Habermas. Sua è la tesi di dottorato Strukturwandel der Oeffentlichkeit alla facoltà di filosofia di Marburgo, che gli valse la cattedra di filosofia di Heidelberg e poi, nel 1967, quella di sociologia di Frankfurt. Edita nel 1962, dopo nove anni ne viene finalmente pubblicata la traduzione italiana6: impeccabile nello stile, nel fittissimo apparato bibliografico e nella esecuzione tipografica.

Come meglio palesa il titolo italiano, l’approccio dell’A. al problema è insieme storico e sociologico. Egli indaga sulla famiglia e sullo Stato, sulle istituzioni giuridiche e sui mezzi di comunicazione (poste, commerci, stampa, moderni mass media): cominciando dall’oikosdespòtes e dalla polis greci, dal paterfamilias e dalla res pubblica romani, risalendo attraverso il medio evo cristiano e il rinascimento, sino al sorgere della borghesia, per indugiare a lungo sui secoli XVII e XVIII, quando – ed è questo il fuoco della sua tesi –, prima in Inghilterra e in Francia, poi anche in Germania, col sorgere degli stati nazionali – la stampa operandovi come catalizzatrice e luogo privilegiato di libertà di opinione e di espressione –, nasce la genuina opinione pubblica, col compito di svelare le decisioni dei sovrani e delle oligarchie dirigenti, e di esercitarne, sottoponendole a dibattito, un controllo diretto.

Di questa opinione pubblica l’Habermas analizza i mutamenti funzionali, collegandoli strettamente alla trasformazione della società borghese e all’evoluzione del capitalismo. La stabilizzazione parziale o totale dell’economia – egli dimostra – distrusse le basi dell’opinione pubblica, che nella società borghese partiva da una netta distinzione tra Stato e società, tra pubblico e privato. Alla dialettica degli interessi e dei poteri si sovrappone la natura repressiva di un potere unico, assommato nello Stato. Inoltre – egli continua – specialmente nel corso dell’ultimo secolo, soprattutto per opera dei mass media, essa subisce un rapido processo di dilatazione, quindi anche di progressivo svuotamento, giunto ormai a forme macroscopiche. Oggi infatti – egli rileva – l’opinione pubblica si dimostra del tutto incapace di svolgere quelle funzioni critiche che un tempo le erano proprie. Essa è diventata la sede acritica di un consenso predeterminato, che avalla le decisioni politiche ed economiche dei grandi gruppi d’interesse, fornendo così, per un verso, il sostegno di ogni potere al governo e, per altro verso, accogliendo passivamente la pubblicità di ogni nuovo modo di vivere, e quindi, anche di ogni nuovo prodotto di consumo.

Non c’è che dire: le pezze d’appoggio dell’Habermas sono molte e valide. Nel versante storico-filosofico: Burke, Locke, Rousseau, Hegel, Kant, Marx, Mili, De Tocqueville... ; su quello della pubblicistica: Dovifat, Berelson, Doob, Katz, Lazarsfeld, Lowell, Tonnies... Una certa sua ombrosità e qualche suo accento nostalgico-pessimista può anche dipendere dalla sua familiarità con gli “apocalittici” di Frankfurt – Anders, Marcuse, e soprattutto Horkheimer ed Adorno (di cui l’Habermas è stato per qualche anno assistente) –; ed anche con la tragica esperienza nazista, in cui I’A. – nato nel 1929 – ha trascorso la prima giovinezza. Resta il fatto però che le sue conclusioni, serie com’è seria la sua analisi storico-sociologica, costituiscono – pur nei limiti che subito vedremo – un punto fermo sull’evoluzione storica di “opinione”.

Analisi e proposte

Alla fine della sua indagine l’Habermas approda a questa problematica dell’opinione pubblica (pp. 279 ss.). Come s’è visto, essa può intendersi o rispetto alla pubblicità dell’esercizio del potere politico e sociale (contro i medievali arcana imperii), per un suo controllo critico da parte del pubblico, o rispetto alta pubblicità dimostrativo-manipolatrice dello stesso pubblico, a favore di persone, istituzioni, beni di consumo e programmi. Quale, in concreto, oggi sia questo pubblico destinatario di pubblicità è difficile dire. Per parte sua lo Stato democratico odierno deve conservare la finzione istituzionalizzata di una opinione pubblica7, senza tuttavia poterla identificare come grandezza reale del comportamento dei cittadini, la cui disponibilità al consenso agisce – secondo il felice paragone del Landshut – come lo spostamento del carico su una nave squassata dalle onde. His positis, secondo l’Habermas si aprono due strade per definire il concetto di opinione pubblica. La prima, che riporta alla posizione del liberalismo classico, conduce ad un pubblico che ragiona8, in seno ad un pubblico che si limita ad acclamare: e siamo, cosi, ad un’opinione pubblica in contrapposizione all’opinione comune. L’altra strada, che prescinde completamente dalla razionalità, si limita a criteri istituzionali, e porta ad un’opinione pubblica in quanto, di fatto, dominante in parlamento e vincolante il governo, attraverso la volontà dei partiti, identificata con quella dei cittadini attivi.

Criticata questa alternativa, l’Habermas segnala – col Tarde (L’opinion et la foule, del 1901) – il passaggio dall’opinione pubblica come norma nella società statale all’opinione pubblica come oggetto dell’indagine sociopsicologica: prodotto di un processo di comunicazione entro le masse, che rinvia, secondo il Doob, “agli atteggiamenti delle persone su di un problema quando esse sono membri dello stesso gruppo sociale”. E commenta l’Habermas:

“La definizione rivela chiaramente quella che un’evoluzione decennale di progresso teoretico e soprattutto empirico e metodologico doveva separare positivisticamente dal concetto storico di pubblica opinione. In un primo momento public, in quanto soggetto dell’opinione pubblica, fu equiparato a mass, poi a group, in quanto substrato socio-psicologico di un processo di comunicazione e di interazione di due o più individui. Il “gruppo” astrae dalla pienezza delle premesse sociali e storiche, e anche dagli strumenti istituzionali e dalla rete di funzioni sociali che un tempo erano stati determinanti per la funzione specifica dei privati in un pubblico politicamente critico. Non meno astratto diventa il concetto stesso di opinion. Opinion viene identificato ancora in un primo momento con l’esprimersi su un argomento controverso, poi con la manifestazione di un atteggiamento, e successivamente con l’atteggiamento stesso. Infine un’opinione non deve più nemmeno essere suscettibile di verbalizzazione; essa abbraccia non solo tutti gli usi che si estrinsecano in qualche modo in idee, quell’opinione che prende forma di religione, costumanza, abitudine e semplice “pregiudizio”, ed a cui nel XVIII secolo si contrapponeva criticamente l’opinione pubblica, ma anche i modi di comportamento non concettualizzati. L’attributo di dimensione pubblica acquista un tale significato solo in connessione con i processi di gruppo. Il tentativo di definire l’opinione pubblica come insieme di opinioni individuali è ben presto corretto dall’analisi delle relazioni di gruppo: si ha bisogno di concetti relativi a ciò che non solo è profondamente insito in un gruppo, ma che gli è anche comune. Passa per “pubblica” l’opinione di gruppo che si sia affermata oggettivamente come opinione dominante: il singolo membro del gruppo ha un’idea (eventualmente errata) del peso della sua opinione e del suo comportamento, cioè di quanti e quali altri membri del medesimo gruppo condividano o respingano le idee o le abitudini da lui rappresentate” (pp. 185-286).

A questa problematica l’Habermas fa seguire, nelle ultime sei pagine (288 ss.), un suo tentativo di chiarimento-proposta sociologica, ragionando così. Fermo restando che “la opinione pubblica è, di fatto, una finzione, occorre mantenerne il concetto in senso comparativo, poiché la realtà costituzionale dello Stato sociale va intesa come il processo nel cui corso si realizza una dimensione pubblica con funzioni politiche. Da questa dimensione dello Stato vanno dedotti i criteri con i quali misurare empiricamente le opinioni sul metro del loro carattere pubblico.

Possiamo dunque contrapporre due campi di comunicazione politicamente rilevanti. Da un lato il sistema delle opinioni informali, personali, non-pubbliche, più o meno riducibili alle opinioni di gruppo (famiglia, coetanei, lavoro, vicinato), particolarmente sensibili alla suggestione dei mass media, di preferenza mediata dagli opinion leaders: terreno ideale delle verifiche empiriche. Dall’altro lato la sfera delle opinioni formali, quasi-pubbliche, riducibili ad istituzioni ben determinate, che circolano in una cerchia relativamente ristretta al disopra della massa della popolazione (grande stampa critica, pubblicistica critica, organi che deliberano, influiscono e decidono con competenze politiche, o politicamente rilevanti). Per quanto estese, e per quanto la pubblicità dimostrativa o manipolatrice dei mass media possa loro ottenere larghe disponibilità plebiscitarie del pubblico, neanche queste sodisfano le condizioni di un dibattito pubblico secondo il modello liberale. Solo nella misura in cui i due campi di comunicazione siano mediati da quello di una pubblicità critica potrà crearsi un’opinione pubblica in senso stretto.

“Tale mediazione è oggi possibile, in un ordine di grandezza sociologicamente rilevante, solo con la partecipazione dei privati a un processo di comunicazione formale condotto attraverso gli elementi pubblici interni delle organizzazioni. Una minoranza di privati appartengono già, in qualità di membri, ai partiti e alle associazioni pubbliche. Nella misura in cui queste organizzazioni consentono una dimensione pubblica interna su tutti i piani, non solo su quello dei funzionari e dei manager, esiste anche la possibilità di una corrispondenza reciproca fra le opinioni politiche dei privati e l’opinione quasi pubblica. Questa circostanza può indicare una tendenza in un primo momento del tutto irrilevante; occorre la ricerca empirica per verificarne la misura e la reale efficacia e per stabilire se si tratta in generale di una tendenza progressiva o piuttosto regressiva. Per una teoria sociologica dell’opinione pubblica essa ha significato decisivo poiché fornisce i criteri per definire la dimensione entro cui, soltanto, l’opinione pubblica può ricostituirsi nelle condizioni della democrazia di massa dello Stato sociale” (p. 292).

Per dirla in breve, l’Habermas vuole un’opinione "del pubblico” e non "della massa”, contrapponendo cosi, seguendo C. Wright Mills, le due categorie:

Nel pubblico: Nel massa:
a) ci sono virtualmente tante persone che esprimono le loro opinioni quante sono quelle che subiscono le opinioni altrui; a) coloro che esprimono un’opinione sono di gran lunga meno numerosi di coloro che la ricevono, per cui la comunità si riduce a una grezza quantità di individui sottoposti passivamente ai mezzi d’informazione;
b) le comunicazioni pubbliche sono organizzate in modo tale che è possibile rispondere immediatamente ed efficacemente a qualsiasi opinione espressa in pubblico; b) la comunicazione di notizie e di opinioni è quasi sempre organizzata in modo tale che è difficile o impossibile all’individuo controbattere immediatamente e con efficacia;
c) l’opinione formatasi in tale discussione subito sfocia in un’azione efficace, se necessario contro l’autorità; c) il passaggio dall’opinione all’azione è controllato dalle autorità, che si preoccupano di controllare l’azione stessa;
d) gli istituti dell’esecutivo non penetrano nel pubblico, che pertanto agisce in maniera più o meno d) la massa non è ancora autonoma rispetto alle istituzioni; in essa penetrano anzi gli agenti dell’autorità, riducendo irrimediabilmente le possibilità degli individui di formarsi autonomamente un’opinione attraverso la discussione.

Qualche riserva

Per rigore di ricerca ed escussione di dati e di autori, questa tesi di dottorato dell’Habermas è un vero modello. Forse però, almeno ai fini di una definizione di opinione pubblica, l’approccio storico gli ha tirato troppo dalla sua quello sociologico. Certo giova conoscere che cosa l’opinione pubblica sia stata in passato e quale funzione abbia svolto rispetto al potere politico; ma non è detto né che essa riguardi necessariamente e soltanto l’ambito dello Stato, né che il suo modello ideale debba per forza ricalcarsi su una data situazione socio-economica-politica del passato.

Personalmente pensiamo che si possa partire da una descrizione fattuale della odierna opinione pubblica quale si manifesta entro e fuori del rapporto cittadino-Stato9; e che, per individuarne le condizioni ottimali di formazione e di funzionamento, senza rifiutare eventuali buoni modelli storici, si possa partire – come ha cercato di fare la recente Communio et progressio – dalle esigenze socio-morali dell’uomo totale, corresponsabile della comunità in cui la sua esistenza si attua.

Ma, pur con questi limiti, lo studio dell’Habermas offre ampia materia di utili considerazioni. Ai politici il dedurne le indicazioni pratiche ai fini di una sana democrazia; ma anche ai “pastori” ed agli educatori, cui incombe il compito di sensibilizzare e di addestrare i fedeli ed i cittadini, affinché – come vuole l’Inter mirifica (n. 8) – “anche mediante l’uso degli strumenti della comunicazione sociale si formino e prevalgano opinioni giuste e rette”.

1 Cit. in JUAN BENEYTO. La opinión pública (28 ed. Madrid 1969), 18. – Nel volumetto l’A. cerca di appurare quanto, nel mondo odierno, si possa parlare di pensiero indipendente, circuiti come siamo da ogni parte da ogni forma di propaganda: esaminando in altrettanti capitoli, il concetto, il soggetto sociale, i contenuti, la problematica, i meccanismi e la misurazione della pubblica opinione, soprattutto rispetto alla parte che vi ha l’informazione giornalistica (l’attualità) e la propaganda. Frutto di lezioni e di conferenze svolte in Spagna e nell’America Latina, il lavoro, più che di una esposizione sistematica, ha un andamento saggistico, sia pure ad alto livello, ed è commendevole per acume, equilibrio e soprattutto per erudizione. Ne sono indice probante le amplissime Bibliografie (anche se non scarse di refusi) e le numerosissime citazioni di autori nel testo: purtroppo. però, data l’indole saggistica, non corredate dai relativi precisi riferimenti.

2 JEAN STOETZEL, Psicologia sociale, Roma, 1964, 292.

3 VITALIANO ROVIGATTI, Lezioni di scienza dell’opinione pubblica, Roma, Ed. Intern. Sociali, 1971. L’A. ha svolto questo Corso anche in altri istituti universitari, entro e fuori Roma (Barcellona, Caracas, La Paz, Quito, ecc.). Ne è prossima l’ottava edizione, in cui, oltre ad un aggiornamento generale si trovano ex novo un capitolo sul processo della comunicazione ed uno sull’opinione pubblica internazionale; inoltre, in Appendice, un trattatello di doxometria, curato dal dott. A. Zanacchi noto ai nostri lettori (cfr Civ. Catt. 1970 I 199).

4 Per molti anni le ha precedute il corso di ARMANDO BENFENATI, L’opinione pubblica (ultima: Urbino, Ed. Montefeltro. 1966, 35). – L’A., docente all’Università di Urbino, cominciava col descrivere le caratteristiche dei gruppi sociali; passava quindi a studiare i fatti sociali (e la cosiddetta coscienza collettiva) e, tra essi. la tradizione, l’opinione, il costume e la moda, con la loro azione di pressione sociale. Quindi passava al concetto di “pubblico” in quanto differenziato dalla folla. Approdava così alla definizione di “opinione pubblica”, di cui descriveva le caratteristiche differenziali rispetto alla opinione privata. Più che col ragionamento e lo studio analitico dei fenomeni, l’A. procedeva allegando “autorità”, del resto di tutto rispetto. Purtroppo però gli autori piu recenti da lui citati si arrestavano al 1950. Il che spiega la problematica piuttosto teorizzante di tutto il lavoro scarsamente rapportata, non solo agli studi posteriori, ma anche alla situazione odierna.

5 Forse però la complessa macchina psico-sociologica vi risulta eccessivamente semplificata. Perciò ne abbiamo proposto uno schema ritoccato in E. BARAGLI. Elementi di sociologia pastorale sugli strumenti di comunicazione sociale, Roma 1969, 116.

6 JÜRGEN HABERMAS, Storia e critica dell’opinione pubblica, Bari, Laterza 1971, 16º, L. 3.000. – Dello stesso A., presso lo stesso editore: Conoscenza e interesse e Teoria e prassi della società tecnologica.

7 Citando S. LANDSHUT, nota: “Lo Stato moderno presuppone la sovranità popolare come principio della sua propria verità; questa, a sua volta, deve essere l’opinione pubblica. Senza questo complemento, senza l’assunzione dell’opinione pubblica come origine di ogni autorità per le decisioni che vincolano l’interno corpo sociale, manca alla democrazia moderna la sostanza della sua verità” (pp. 280-281).

8 L’A. riporta, dal saggio di Berelson Democratic Theory and Public Opinion, questi elementi dell’elettore ideale: “interesse agli affari pubblici; possesso di informazione e conoscenze; stabili principi politici o regole morali; capacità di attenta osservazione; impegno nella comunicazione e nella discussione comportamento razionale; considerazione degli interessi della comunità” (p. 252).

9 In questo senso intendiamo per opinione pubblica l’insieme dei giudizi e degli atteggiamenti di individui di un “pubblico”, riguardanti problemi o interessi rilevanti della comunità di cui essi si sentono parte, per lo più occasionati da fatti di attualità, secondo che vengano loro notificati dai mezzi e strumenti di comunicazione, e percepiti secondo proprie strutture psico-sociali; e, data occasione, anche l’insieme dei conseguenti comportamenti, verbali o operativi, diretti a conservare o a modificare situazioni di fatto della stessa comunità.

In argomento

Massmedia

n. 3405, vol. II (1992), pp. 260-268
n. 3351, vol. I (1990), pp. 260- 269
n. 3310, vol. II (1988), pp. 351-363
n. 3218, vol. III (1984), pp. 144-151
n. 3200, vol. IV (1983), pp. 158-164
n. 3202, vol. IV (1983), pp. 362-368
n. 3195-3196, vol. III (1983), pp. 209-222
n. 3188, vol. II (1983), pp. 154-161
n. 3191, vol. II (1983), pp. 463-467
n. 3179, vol. IV (1982), pp. 464-467
n. 3141, vol. II (1981), pp. 222-237
n. 3088, vol. I (1979), pp. 351-359
n. 3075-3076, vol. III (1978), pp. 223-238
n. 3072, vol. II (1978), pp. 566-573
n. 3062, vol. I (1978), pp. 151-159
n. 3058, vol. IV (1977), pp. 349-362
n. 3055, vol. IV (1977), pp. 45-53
n. 3045, vol. II (1977), pp. 260-272
n. 3034, vol. IV (1976), pp. 336-351
n. 3036, vol. IV (1976), pp. 580-587
n. 3022, vol. II (1976), pp. 323-336
n. 3013, vol. I (1976), pp. 20-36
n. 2990, vol. I (1975), pp. 144-157
n. 2983, vol. IV (1974), pp. 36-48
n. 2973, vol. II (1974), pp. 250-256
n. 2967, vol. I (1974), pp. 258-263
n. 2961, vol. IV (1973), pp. 258-263
n. 2927, vol. II (1972), pp. 451-456
n. 2911, vol. IV (1971), pp. 39-48
n. 2913, vol. IV (1971), pp. 235-253
n. 2882, vol. III (1970), pp. 154-160
n. 2870, vol. I (1970), pp. 155-160
n. 2859-2860, vol. III (1969), pp. 219-230
n. 2739, vol. III (1964), pp. 246-254
n. 2729, vol. I (1964), pp. 422-435
n. 2702-2704, vol. I (1963), pp. 105-118, 313-325
n. 2636, vol. II (1960), pp. 124-39
n. 2612, vol. II (1959), pp. 113-124
n. 2548, vol. III (1956), pp. 400-408