NOTE
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1 A prescindere dal molto che è stato pubblicato sull’uso degli audiovisivi propriamente detti quali veicoli e sussidi nell’insegnamento, nell’educazione e nell’animazione culturale in genere, ricordiamo, tra gli altri, i volumi di AA.VV., L’audiovisivo e la fede, Torino-Leumann, LDC, 1971, e Catechesi e pastorale attraverso i mass media, Roma, Ed. Paoline, 1973 (cfr Civ. Catt. 1971 IV 201 e 1974 I 412); il Documento DECOS-CELAM: Evangelización: Perspectiva del comunicador social, in Communicatio Socialis, 1974, n. 2, 170 ss. (cfr ivi 1974 IV 36); i fascicoli che dal 1971 Multimedia International di Roma (Borgo S. Spirito, 5) va pubblicando, ed il recente articolo del presidente della stessa S. BAMBERGER: Reflexiones sobre el aspecto eclesiológico de los medios grupales, in Boletín Informativo MCS, 1978, n. 81, 21 ss. Ad essi sembra riferirsi anche Giovanni Paolo II nel Messaggio del 25 ottobre 1978 al Presidente dell’UNDA per il cinquantesimo dell’Associazione, scrivendo: «Strumento di questa evangelizzazione deve essere un uso estremamente competente e professionale della radio, della televisione e dei mezzi audiovisivi» (Oss. Rom., 28 ottobre 1978).

2 In queste pagine i rimandi si riferiscono a questo numero. Il quale riporta quattro relazioni fondamentali del Congresso: Évangélisation et communication audiovisuelle, di B. BARTOLINI, direttore del Centro Catechistico Salesiano di Torino Leumann; Audio-visuel et pastorale, di J. MONTERO TIRADO, direttore dell’Istituto de Cine para Infancia y Juventud di Asunción (Paraguay); Audio-visuel et pédagogie, di P. BABIN, direttore del Centre Recherche et Communication (CREC) di Lyon (Francia), e Techniques audio-visuelles, di W. CAPPEL, direttore dell’Institut für Film und Bild in Wissenschaft und Unterricht, di Monaco di Baviera.
Le quattro relazioni sono precedute dal breve commento Audio-visuel et évangélisation, di mons. L. M. METZINGER, segretario generale della Conferenza Episcopale del Perù, e dall’introduzione teorico-pratica Approche des problèmes de communication, di J.-P. DUBOIS-DUMÉE, direttore delle pubblicazioni La Vie Catholique (Paris); e sono seguite da tre interventi su Les groups media dans una nouvelle ère d’évangélisation, di A. SCANNELL, presidente dell’UNDA-USA e del Franciscan Communications Center di Los Angeles (California); su Pastorale des moyens de communication sociale, di G. MARTINOT, e su Laniage nouveau, formation nouvelle, di G. e J.-M. FERRERAS-OLEFFE, tutti e tre professori al Lumen vitae di Bruxelles.

3 Vi si compendia un Etude des moyens légers, del M. OLIVERA, attuale segretario dell’International Jesuit Center for Social Communication (JESCOM), pubblicato in Multimedia International, 1976, n. 34.

4 Tale, ad esempio, la discutibile affermazione secondo la quale «propriamente parlando non si tratta di un nuovo mezzo di evangelizzazione», dato che «la maggior parte dell’arte cristiana, così nelle catacombe come nene cattedrali, sono forme di group media» (pp. 86-87); ridimensionata dall’altra, a dir poco sibillina, secondo la quale oggi «la Chiesa scopre con piacere questi mezzi gruppali [...], e probabilmente saranno essi a permettere alla teologia di “com-prendere” la comunicazione sociale» (p. 104).

5 Vero è che qualcuno cerca di ridimensionare alcune di queste esorbitanze; notando, ad esempio, che «non è davvero il caso di opporre l’audiovisivo al libro. Il buon audiovisivo non può fare a meno del libro, e viceversa. Ma bisogna evitare di maneggiare l’audiovisivo come si maneggiano i sillogismi» (p. 105); e precisando che e interiorità comporta gusto spirituale, occhio interiore [...]: un pensiero ed un’azione regolati dal centro autonomo e svincolato di una persona umane» (p. 55).

6 È il caso, ad esempio, della varianza in atto dei concetti di presenza-efficacia-partecipazione nella sacramentaria e nella liturgia, sulla quale, non senza forzature, J. M. Tirado nota (p. 64): «I group media ci portano verso un’esperienza nuova di ciò che significa presenza, distanza, partecipazione; di ciò che è segno e sensibile; di ciò che è efficacia e influsso. Sicché, per chi pratica i group media questi termini hanno una portata molto diversa da quella che gli stessi termini avevano, per esempio, nelle definizioni dei sacramenti al Concilio di Trento. Quando l’uomo dei group media le legge o le ascolta non percepisce né pensa quello che intendevano i Padri conciliari. La teologia, anche dommatica, deve persuadersi che le sue scoperte e conquiste passate sono riposte in discussione nelle loro formulazioni concettuali; alcune di esse essendosi svuotate di valore sotto l’aspetto linguistico e culturale [...]. L’operatore pastorale deve sentire il polso teologico dei credenti e presentare allo studio del teologo la massa di nuovi concetti ed esperienze fornita dalla comunicazione audiovisive di gruppo. Occorre tener conto delle nuove maniere di pensare familiari ai group media. Se, ad esempio, i destinatari della pastorale concepiscono e vivono in tutt’altra maniera il significato dei termini presenza, partecipazione, segno sensibile, efficacia, influsso, ecc., il moralista e il liturgista devono rivedere la maniera in cui sono presentati e amministrati i sacramenti. Si devono chiedere se le norme tradizionali sono irreformabili, oppure modificabili, ai fini della validità sacramentale. Quale differenza ci sia, ad esempio, tre ascoltare una confessione nell’oscurità di un confessionale e l’ascoltarla al telefono o al video-telefono [...]; perché resterebbe valida una messa ascoltata dietro una colonna della cattedrale, e sarebbe invece invalida una messa vista e seguita con devozione davanti al televisore».

7 L’argomento, a proposito del citato Documento DECOS-CELAM: Evangelización: del comunicador social, è stato trattato in E. BARAGLI, Mass media e annuncio evangelico (in Il nostro cinema, 1974, n. 4, 1) e Strumenti della comunicazione sociale ed evangelizzazione (Civ. Catt. 1974 IV 36); e da R.F. ESPOSITO, Mass media e annuncio evangelico (in Vita Pastorale, 1974, n. 2, 50 ss., e n. 3, 44 ss.).

8 Cfr G. CAPRILE, Il Sinodo dei Vescovi, 1977, Roma, La Civiltà Cattolica, 1978, passim, e specialmente le pp. 365-370. Mons. A. Deskur, presidente della Pont. Commissione per le Comunicazioni Sociali, a proposito dei mass media, precisava che «la catechesi [...] deve trovare naturalmente il suo posto e la sua importanza nel giusto e libero uso degli strumenti della comunicazione sociale. In realtà c’è spesso una vera intenzione catechistica nell’attività dei giornalisti cattolici e nelle trasmissioni radiofoniche o televisive fatte per incarico o col benestare della Chiesa» (p. 367). Ed a proposito dei group media notava: «I group media sono le videocassette, le audiocassette, i dischi, le filmine, ecc., che servono ad aiutare lo studio di gruppo [...]. Questi sussidi sono largamente accessibili, ed hanno molto successo tra i giovani; così i programmi dei mass media, attraverso questi sussidi, possono passare a diffondersi più capillarmente anche in seno a gruppi particolari. Il problema dei mass media e quello dei group media sono strettamente legati, anche se la tecnica psicologicamente e sociologicamente è diversa» (p. 368).

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Articolo estratto dal volume I del 1979 pubblicato su Google Libri.

Il testo è stato corretto dai refusi di stampa e formattato in modo uniforme con gli altri documenti dell’archivio.

I riferimenti ai documenti del magistero pontificio sono stati resi interattivi e portano al sito del progetto “Chiesa e Comunicazione”, la biblioteca digitale online che prosegue l’attività iniziata da p. Baragli con le opere Cinema cattolico: documenti della Santa Sede sul cinema e Comunicazione Comunione e Chiesa.

ARTICOLO SU

Più o meno in relazione o in opposizione a quelli che vengono detti i grandi, o i ricchi, media di massa – vale a dire: la stampa, il cinema, la radio e la televisione –, da qualche anno a questa parte in campo cattolico si scrive molto di group media o medios grupales, ed anche, in accezione più o meno sinonima, di media leggeri o poveri, di multimedia, di mezzi audiovisivi (e audio-visuels), di moyens audio-visuels de communication de groupe ...1. Anzi, su di essi si è svolto il primo Congresso mondiale: AV-EV (Audio-visuel et Evangélisation) – Monaco di Baviera, 6-11 novembre 1977 –, preparato dall’Organisation Catholique Internationale du Cinéma (OCIC), con la cooperazione dell’Association Catholique Internationale pour la Radio et la Télévision (UNDA) e dell’Union Catholique Internationale de la Presse (UCIP). Quanto – anticipando i prossimi Atti – ne ha pubblicato il primo numero dello scorso anno 1978 della rivista belga Lumen Vitae2 ci offre l’opportunità di precisare di che cosa si tratta e di toccare alcune questioni socio-pastorali connesse con l’argomento.

Realtà, termini e scopi

Intanto è da rilevare come gli autori non forniscano un elenco esauriente dei group media, o come si voglia chiamarli; né indichino le condizioni o qualità necessarie e sufficienti perché un medium possa considerarsi della categoria. Parlano, infatti (pp. 53, 73, 81-83), di cartelloni, di manifesti (posters) e di lavagne luminose (rétro-projecteurs), di fotografie (photo-language), di stampi e matrici per policopiare, di diapositive, di filmine e di diaporami (cioè montaggi audiovisivi), di magnetofoni (e relativi nastri, in cassette o non), di proiettori cinematografici a passo ridotto (mm. 16, 8 e Super-8) e di cortometraggi, di mini-videotape (in cassette e non), di video-dischi e di relativi mini-registratori e visori... Anzi, un Annesso3 nota (p. 82):

«Col termine "media leggeri” intendiamo: film proiettati in film-forum, programmi radio registrati su dischi e su nastri, atti a stimolare la discussione di gruppo; rappresentazioni teatrali su problemi attuali e che sollecitino l’uditorio a cercarne la soluzione; canti che trattino di certe visioni della vita e stimolino la discussione e il dialogo. Questo nuovo tipo di comunicazione sociale viene sempre, più praticato sotto termini diversi, quali, ad esempio: mezzi gruppali, animation media, media leggeri, produzioni per forum...; ma vengono indicati anche riferendosi all’uso ed impiego particolare che se ne faccia, come: cine-forum, teatro-forum, disco-forum, diapo-montaggi, psicodrammi...».

Come si vede, una terminologia fluttuante e generica connota un insieme eterogeneo di mezzi, in quanto mancanti di una nota qualificante comune – canzoni, giuochi e psicodrammi, infatti, possono benissimo prescindere dalla tecnicità, presente negli altri –, tranne la nota, del tutto estrinseca, dell’uso «gruppale» che se ne faccia. È ciò che rileva A. Scannell, così descrivendo sommariamente l’evoluzione didattico-pastorale degli audiovisivi e così tentandone una definizione:

«Una volta si vedeva nell’audiovisivo un sussidio all’insegnamento esclusivamente verbale, quando, del resto, anche molti audiovisivi erano prevalentemente verbosi e dottrinali. Poi gli educatori si sono accorti che l’audiovisivo ha un suo proprio linguaggio e una sua propria grammatica, anche non verbale, e che poteva servire da “materiale” sussidiario alla comunicazione verbale-dottrinale. Ma oggi siamo approdati ad una nuova visione: che, cioè, i mezzi audiovisivi devono integrarsi nel processo designato con group media, comprendendo con esso i mezzi audiovisivi realizzati da un gruppo come espressione della propria fede, ed anche i prodotti già disponibili sul mercato ma usati come esperienza di gruppo, nella quale i membri esprimono la propria fede, le proprie intuizioni e le proprie proposte operative» (p. 86).

Ed è ciò che precisa l’autore del già citato Annesso, indicando «le quattro caratteristiche principali di questi media», notando che, «anche se non si verificano sempre in grado ideale, esse specificano bene il carattere proprio del sistema»:

  1. Questi mezzi sono agiti dai gruppi. Per lo più i gruppi comprendono un numero limitato di partecipanti, il che permette ad ogni individuo di apportare un contributo personale all’argomento trattato. I media leggeri non sono destinati, né ad uditòri eterogenei, né ad individui isolati.
  2. Questi mezzi stimolano il dialogo. Vengono usati per favorire scambi d’idee e di esperienze tra i partecipanti del gruppo, onde il termine animation media. Va rilevata la partecipazione attiva dei membri, che devono passare da uditóri passivi a costruttori attivi della propria esistenza.
  3. Questi mezzi cercano di sviscerare i temi trattati. Da una parte, infatti, gli autori – sia pure nei limiti del mezzo-prodotto scelto – hanno tutte le possibilità di presentare il problema; dall’altra gli uditóri, nel corso della discussione, vengono indotti a svilupparlo.
  4. Questi mezzi agevolano lo sviluppo della personalità. Nella società odierna la tendenza a vivere in gruppo induce all’uniformità del pensiero, dei valori e dei comportamenti, e porta l’individuo ad affidare ad altri le proprie scelte. Invece l’attenzione alla persona favorisce il senso di responsabilità cosciente di ogni individuo in quanto membro di una comunità. Di qui la qualifica usata dal CELAM di «media che non sono di massa».

Nessuna meraviglia se, partendo da queste premesse, e forti anche delle esperienze da essi condotte, gli Autori, entro e fuori il Congresso di Monaco, esaltano e raccomandano i group media; né c’è motivo di porre in dubbio i buoni risultati da essi ottenuti, o promessi. Ma sia lecito opinare che non giovano al loro meritorio intento le molte incongruenze che ne accompagnano l’esposizione; le quali, oltretutto, giustificano il pressappochismo di certa presenza cattolica nella massmediologia a ragione deplorato dal Dubois-Dumée (p. 14).

Nella logicità o nell’emotività l’uomo totale?

Sorvoliamo sulla ricorrente ambiguità terminologica – cui l’Inter mirifica ha cercato (ma, sembra, invano) di ovviare –, per la quale, ad esempio, non si distingue tra mezzi generici e strumenti tecnologici, tra mezzi e strumenti capaci anche di un proprio «linguaggio», e canali (o veicoli) semplici trasmettitori di dati; ed ambiguità, soprattutto, per la quale, o si degrada l’accezione di comunicazione a impersonale trasmissione di dati, ignorando il vitale processo di codifica-decodifica proprio di ogni autentica comunicazione intenzionale; oppure, da fatto sociale eticamente neutro, la si esalta a valore etico-morale, facendola sinonima di comunione; con, tra gli altri, il sorprendente risultato di una «stampa, diventata strumento di comunicazione soltanto con la diffusione del ciclostile e delle fotocopiatrici» (p. 36). E sorvoliamo anche su alcune affermazioni, diciamo, iperboliche, poi più o meno ridimensionate da altre4; per rilevare, invece, alcune incongrue ragioni addotte in favore del «nuovo sistema».

A dire il vero, c’è chi onestamente ammette che anche i group media qualche pericolo lo comportano; ad esempio: «che la dottrina venga trascurata, o mai chiarita; che venga favorita la promozione umana a scapito della trascendenza; che troppe questioni siano sollevate, senza approdare a risposte; che la tradizione venga ritenuta ingombrante, e solo si giudichino interessanti gli eventi di attualità» (p. 87). Inoltre, c’è chi ammette che, sì, il loro ruolo nella Chiesa è importante (p. 86), ma che almeno certi frutti possano ottenersi anche per altre vie (p. 60), magari complementari (p. 11). In particolare, qualcuno riconosce che

«il nuovo processo dei group media non deve affatto comportare la svalorizzazione dei mass media e dei media stampati, dato che i group media non possono davvero raggiungere, ad esempio, i milioni e milioni di asiatici, mentre i mass media audiovisivi offrono le migliori possibilità per raggiungere le masse, ed i media stampati sono più atti a chiarire, approfondire, precisare, analizzare e delucidare i contenuti» (p. 87).

Inoltre: nulla da obiettare quando si rileva che essi possono offrire un’efficace reazione contro la manipolazione ed il mutismo imposto dai mass media (pp. 52 e 86) e quando, anzi, si prospetta la possibilità di influire sui mass media non cristiani proprio partendo dai group media (p. 97).

I dubbi, invece, cominciano, quando si leggono forzature come queste: «I mezzi audiovisivi di comunicazione di gruppo operano nell’educazione e nello sviluppo dall’affettività tanto da diventare insostituibili» (p. 67), «La creazione audiovisiva di gruppo è oggi la formula migliore per una formazione religiosa» (p. 55); e soprattutto nel leggere le ragioni psicodidattico-teologiche con le quali gli Autori cercano di convalidarle. Sostengono, infatti, tra l’altro, che:

«Comporre in audiovisivo un canto di ringraziamento in un gruppo di ricerca spirituale è un’esperienza religiosa ed un modo di vivere la presenza di Dio che supera di molto la semplice preghiera individuale. Un gruppo che in estensione e profondità vede e ascolta di più è più atto a scoprire le tracce di Dio, è capace di maggiore contemplazione, di maggiore vita interiore e di una più profonda comunicazione con Dio. Inoltre è più aperto al servizio fraterno» (p. 65).
«Nei group media opera una particolare teologia dell’evangelizzazione, fondata sulla verità che Dio si rivela costantemente e più particolarmente nelle esperienze di vita. Infatti un’esperienza audiovisiva – e i buoni media audiovisivi diventano un’esperienza! – pone i membri dei gruppi in contatto con le loro esperienze di vita, che essi mettono in comune, approfondiscono e fanno proprie nella preghiera, al fine di scoprire ciò che Dio dice loro adesso negli eventi da essi vissuti» (p. 86).
«La comunicazione audiovisiva è certamente, di sua natura, un mezzo molto efficace. Può parlare all’uomo tutto intero, afferrandolo non con freddi ragionamenti, ma suscitandogli emozioni e toccandolo nel più profondo della sua personalità [...]; il suo potere si direbbe magico» (p. 33). «I mezzi audiovisivi ci offrono la possibilità, non tanto di trasmettere con precisione il pensiero, ma piuttosto di comunicare un’esperienza globale. Diversamente dallo scritto, ed anche più del linguaggio parlato, il linguaggio audiovisivo ha la capacità di trasmettere quel che potremmo dire l’essenza di una cosa. Esso ci comunica, non tanto una dottrina o delle idee, quanto le vibrazioni che emanano da una persona [...]; per sua natura l’immagine audiovisiva ha la potenza di parlare nell’intimità a tutti gli uomini» (pp. 40-41). «Gli uomini dei group media amano questo nuovo linguaggio, capace di colpire tutta la persona; non soltanto la “testa cerebrale”, ma i sensi, l’affettività e la fantasia. Essi sono in cerca di un linguaggio che esprima l’esperienza, piuttosto che l’astrazione». (p. 46).
«Quando parlo audiovisivo lo faccio non per esprimere idee ma per comunicare un’esperienza personale. Non faccio pura e semplice informazione, ma apporto un’informazione carica della mia affettività. In san Giovanni troviamo la migliore definizione del catechismo audiovisivo: “Ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato..., noi ve lo annunziamo” (1Gv 1,1-3). Lo scopo di questa catechesi non è la conoscenza intellettuale, ma la comunione col gruppo di credenti nel Cristo. Ancora san Giovanni: “Noi lo annunciamo anche a voi perché anche voi siate in comunione con noi... col Padre e col Figlio suo”» (pp. 40 e 50). «In una parola, l’audiovisivo è fatto per esprimere la fede come esperienza e non come una dottrina. Per trasmettere la fede come dottrina [...] ricorriamo al libro e al discorso didattico. Ma per trasmettere lo slancio della fede, la potenza di libertà e di amore propria della fede, parliamo audiovisivo» (p. 49).

In siffatta euforica apologia c’è da notare, intanto, che non si distingue tra quanto si possa o si debba ritenere specifico dell’uso degli audiovisivi e quanto può ritenersi comune ad altre buone tecniche e metodi di animazione di gruppo. C’è da notare, inoltre, che – a parte l’incongruenza di attribuire al linguaggio audiovisivo la capacità di trasmettere «l’essenza di una cosa» – i group media vi si propongono quale alternativa inversa all’indottrinamento, orale o scritto, eccessivamente astratto-cerebrale. Ora riteniamo che questo sia senz’altro da lamentare e da riformare là dove sia stato praticato o continui, ma che certamente esso non sia imputabile a tutta o alla maggior parte della predicazione e catechesi tradizionale, sia omiletico-liturgica, sia oratoria da pulpito, e sia esortatoria, diciamo così, privata; come non è imputabile a tutta o alla maggior parte dell’editoria dottrinale-catechetica e, in genere, religioso-ascetica. Infine, dato e non concesso che i mezzi audiovisivi siano proprio insostituibili per lo sviluppo dell’affettività, notiamo che si equivoca tra affettività-emotività-«vibrazioni» ed autentica intimità-profondità de «l’uomo tutto intero», quasi che questo non fosse costituito anche dai processi razionali-logici; e che si equivoca riducendo ogni religiosa «esperienza di vita» a quelle realizzate nei group media in relazione agli eventi del momento, come se la storia passata e presente della Chiesa e dei suoi «santi» non sovrabbondi di almeno altrettali autentiche religiose «esperienze di vita», individuali e di gruppo, di intima unione de «l’uomo tutto intero» con Dio, e di totale eroico servizio fraterno, indipendentemente dal ricorso agli odierni audiovisivi. Davvero vogliamo sostenere che nella millenaria attività pastorale e ascetica, orale e scritta, della Chiesa sprovvista della tecnica dei group media non si sia attuato il giovanneo «Noi vi annunciamo ciò che abbiamo veduto con i nostri occhi e ciò che le nostre mani hanno toccato»?5.

Dall’«Inter mirifica» alla «Evangelii nuntiandi»

A parte queste, ed altre minori ambiguità e confusioni, a nostro parere l’argomento group media ne crea altre maggiori se proposto come s’identificasse o rientrasse in quello di quei media che il Vaticano II ha specificamente qualificati «strumenti della comunicazione sociale»; come fanno, tra gli altri, i due Ferreras-Oleffe sentenziando: «Il Congresso mondiale AV-EV di Monaco è l’ultimo passo sulla via del dialogo tra la Chiesa e i mezzi di comunicazione sociale, dopo i tre maggiori, che erano: il decreto conciliare Inter mirifica, l’istruzione pastorale Communio et progressio e l’esortazione apostolica Evangelii nuntiandi» (p. 99).

Sta, intanto, il fatto – a rigore, riformabile – che le istituzioni ecclesiali per i mass media – dalla Commissione della Santa Sede alle tre Organizzazioni Internazionali, dagli Uffici nazionali a quelli diocesani – sono competenti in tutti e soli, appunto, i mass media propriamente detti, e nei macro-fenomeni e problemi socio-culturali-pastorali agli stessi strettamente connessi; e non nelle utilizzazioni didattico-pedagogiche e catechistico-pastorali alle quali gli stampati, le pellicole e le diapositive, i nastri, i dischi e i visori in genere si prestino. Inoltre, competenza a parte, sono da rilevare almeno tre possibili inconvenienti o pericoli.

Il primo, su piano teorico-dottrinale, è quello di attribuire in proprio ai group media fenomeni socio-culturali e problemi pastorali liturgici innescati o incrementati soltanto o soprattutto dai mass media6. L’altro, su piano operativo culturale e pastorale, è quello – per interessarsi troppo ai group media – di trascurare o rimandare i problemi e le iniziative, di peso e vastità ben più; rilevanti, attinenti ai mass media, che i tre sopra citati documenti della Santa Sede prevalentemente richiamano e trattano. Il terzo, e maggiore, su piano eminentemente pastorale, è quello di proporre, almeno di fatto, un’alternativa tra un’inefficace evangelizzazione vocale, ed anche tramite i mass media, e una privilegiata evangelizzazione tout court con i group media e i media leggeri, in tal modo negando, ignorando o sminuendo le possibilità tutte proprie dei mass media nel mutato mondo socio-culturale e religioso odierno7.

In favore della Proposta AV-EV si è fatto frequente ricorso alla esortazione apostolica Evangelii nuntiandi (pp. 10 ss., 27 ss., 33, 35, 37-43, 90, 99); ma, forse, una lettura più attenta di essa indurrebbe i caldi patrocinatori dei group media a ridimensionarne l’apologia, senza con ciò nulla detrarre alla loro reale utilità psico-pastorale. Infatti, nell’intento di esporre «quali siano i metodi da seguire nel proclamare il Vangelo affinché la sua potenza possa raggiungere i suoi effetti» (n. 4), l’Esortazione apostolica torna più volte sulla necessità di adottare «un linguaggio adatto ai tempi e alle persone» (n. .54), di «cercare costantemente i mezzi e il linguaggio adeguati per proporre o riproporre [ai due mondi del secolarismo ateo e dell’assenza della pratica religiosa] la rivelazione di Dio e la fede in Gesù Cristo» (n. 56). In particolare insegna che

«variano i modi di evangelizzare secondo le circostanze di tempo, di luogo, di cultura, che pertanto lanciano una certa sfida alla nostra capacità di scoperta e di adattamento»; sicché «specialmente ai Pastori della Chiesa incombe la cura di ricreare [...] i modi più adatti ed efficaci per comunicare il messaggio evangelico agli uomini del nostro tempo» (n. 40). «Le Chiese particolari hanno il compito [...] di trasfondere il messaggio evangelico [...] nel linguaggio compreso da questi uomini, e quindi di annunciarlo nel medesimo linguaggio [...]. La trasposizione deve essere fatta [...] nel campo della catechesi [...]; e il termine “linguaggio” dev’essere qui inteso, non tanto nel senso semantico e letterario, quanto in quello che si può dire antropologico e culturale [...]. L’evangelizzazione perde molto della sua forza e della sua efficacia se non tiene in considerazione il popolo concreto al quale si rivolge, se non utilizza la sua lingua, i suoi segni e simboli, se non risponde ai problemi da esso posti, se non interessa la sua vita reale» (n. 63).

Come si vede, si tratta dell’istanza fondamentale comune anche ai group media. Ed, anzi, l’Evangelii nuntiandi gliene affianca altre due: quella, cioè, dell’inderogabile testimonianza della vita (nn. 41 e 76) e quella della validità dei contatti «da persona a persona [...] per trasmettere ad altri la propria esperienza di fede» (n. 46). Tuttavia l’Esortazione apostolica, che pur fa menzione di realtà ed iniziative similari – quali le «comunità di base» (n. 58), le famiglie come «Chiese domestiche» (n. 71) e gli «animatori della preghiera e del canto» (n. 73) – non fa menzione dei group media; né, tanto meno, identifica il necessario aggiornamento nel linguaggio dell’evangelizzazione col ricorso ai media leggeri, ai multimedia, ecc. Ma, pur riconoscendo la necessità di un ricorso anche ai «mezzi della civiltà dell’immagine», ribadisce la perdurante necessità – tanto nell’omelia liturgica (n. 43) quanto nella catechesi (n. 44) – della tradizionale insostituibile predicazione parlata:

«Sì, è sempre indispensabile questa proclamazione verbale di un messaggio. Sappiamo bene che l’uomo moderno, sazio di discorsi, si mostra spesso stanco di ascoltare; e, peggio ancora, immunizzato contro la parola. Conosciamo anche le idee di numerosi psicologi e sociologi, i quali affermano che l’uomo moderno ha superato la civiltà della parola, ormai inefficace ed inutile, e vive oggi nella civiltà dell’immagine. Questi fatti dovrebbero spingerci, certo, a mettere in opera nella trasmissione del messaggio evangelico i mezzi moderni escogitati da tale civiltà. Tentativi molto validi, del resto, sono stati già compiuti in tal senso. Noi non possiamo che lodarli ed incoraggiarli perché si sviluppino ancora di più. La fatica che provocano al giorno d’oggi tanti discorsi vuoti e l’attualità di molte altre forme di comunicazione non debbono, tuttavia, diminuire la forza permanente della parola, né far perdere fiducia in essa. La parola resta sempre attuale, soprattutto quando è portatrice della potenza di Dio. Per questo resta ancora attuale l’assioma di san Paolo: “La fede dipende dalla predicazione”: è appunto fa Parola ascoltata che porta a credere» (n. 42).

Circa, poi, il ricorso ai mass media nell’evangelizzazione, l’Esortazione non è meno esplicita. Tiene, sì, presenti le obiezioni del Documento DECOS-CELAM:

«L’uso degli strumenti della comunicazione sociale per l’evangelizzazione presenta una sfida: il messaggio evangelico dovrebbe, per loro tramite, giungere a folle di uomini, ma con la capacità di penetrare nella coscienza di ciascuno, di depositarsi nel cuore di ciascuno come se questi fosse l’unico, con tutto ciò che egli ha di singolare e personale, e di ottenere a proprio favore un’adesione e un impegno del tutto personale» (n. 45);

ma non ha dubbi nell’affermarne la necessità, non solo in funzione di pre-evangelizzazione, ma anche di catechesi vera e propria:

«Nel nostro secolo, contrassegnato dagli strumenti della comunicazione sociale, il primo annuncio, la catechesi o l’approfondimento ulteriore della fede, non possono fare a meno di questi mezzi [...]. Posti al servizio del Vangelo, essi sono capaci di estendere quasi all’infinito il campo di ascolto della Parola di Dio, e fanno giungere la Buona Novella a milioni di persone. La Chiesa si sentirebbe colpevole di fronte al suo Signore se non adoperasse questi potenti mezzi, che l’intelligenza umana rende ogni giorno più perfezionati; servendosi di essi la Chiesa “predica sui tetti” il messaggio di cui è depositaria; in loro essa trova una versione moderna ed efficace del pulpito» (ivi).

Né mancano, nell’Esortazione apostolica, rilievi attinenti al nuovo tipo di «evangelizzazione globale», forse più connaturale e praticabile dai mass media che non una predicazione esplicita, da pulpito; vale a dire: l’evangelizzazione di una presentazione continuata ed omogenea di valori evangelici vissuti e proposti, magari implicitamente, nell’attualità quotidiana, per la formazione e l’orientamento delle opinioni correnti, private e pubbliche, e per la offerta di umani modelli di vita. Vi si legge, tra l’altro:

«Per la Chiesa, evangelizzare è portare la Buona Novella in tutti gli strati dell’umanità [...] per rendere nuova l’umanità stessa [...]; essa cerca di convertire la coscienza personale ed insieme collettiva degli uomini, l’attività nella quale essi sono impegnati, la vita e l’ambiente concreto loro propri» (n. 18). «Per la Chiesa si tratta [...] di raggiungere e quasi sconvolgere, mediante la forza del Vangelo, i criteri di giudizio, i valori determinanti, i punti d’interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita dell’umanità che sono in contrasto con la Parola di Dio e col disegno della salvezza» (n. 19). «Occorre evangelizzare [...] la cultura e le culture dell’uomo» (n. 20).

L’argomento group media è spesso giustamente affiorato nel Sinodo dei Vescovi 1977, sulla Catechesi nel nostro tempo8; ma la distinzione tra essi e i mass media risulta abbastanza netta nel Messaggio al popolo di Dio inviato dallo stesso il 28 ottobre. In esso, infatti, rispetto alla catechesi propriamente detta si rileva che:

«Le nuove tecniche danno origine a diversi valori e li propongono indisçriminatamente, toccando e trasformando in profondità i rapporti tra gli uomini. Influiscono nella compenetrazione delle culture e divulgano i nuovi modi di comportamento e di mentalità. Di conseguenza, mutano le forme espressive, come pure il linguaggio e il rapporto umano [...]. La catechesi mancherebbe di efficacia di fronte a queste trasformazioni se non trasmettesse il messaggio che le è affidato con i mezzi espressivi degli uomini del nostro tempo».

Dopo di che, riferendosi (sembra) anche ai group media, si nota:

«Sorgono oggi molti altri tipi di comunità, tra le quali vi sono le piccole comunità ecclesiali, le associazioni giovanili, ecc. Queste comunità offrono nuove possibilità alla Chiesa [...]. La catechesi può trovare in esse nuovi luoghi dove realizzarsi, dal momento che ivi i membri della comunità si annunciano reciprocamente il mistero di Cristo».

È troppo auspicare che i pastoralisti e i cattolici in genere, nonché le organizzazioni internazionali ecclesiali dei mass media, concedano a questo più vasto, importante ed urgente aspetto dell’evangelizzazione almeno lo stesso caldo interesse di studi, di pubblicazioni e di congressi col quale hanno caldeggiato il ricorso ai group media?

1 A prescindere dal molto che è stato pubblicato sull’uso degli audiovisivi propriamente detti quali veicoli e sussidi nell’insegnamento, nell’educazione e nell’animazione culturale in genere, ricordiamo, tra gli altri, i volumi di AA.VV., L’audiovisivo e la fede, Torino-Leumann, LDC, 1971, e Catechesi e pastorale attraverso i mass media, Roma, Ed. Paoline, 1973 (cfr Civ. Catt. 1971 IV 201 e 1974 I 412); il Documento DECOS-CELAM: Evangelización: Perspectiva del comunicador social, in Communicatio Socialis, 1974, n. 2, 170 ss. (cfr ivi 1974 IV 36); i fascicoli che dal 1971 Multimedia International di Roma (Borgo S. Spirito, 5) va pubblicando, ed il recente articolo del presidente della stessa S. BAMBERGER: Reflexiones sobre el aspecto eclesiológico de los medios grupales, in Boletín Informativo MCS, 1978, n. 81, 21 ss. Ad essi sembra riferirsi anche Giovanni Paolo II nel Messaggio del 25 ottobre 1978 al Presidente dell’UNDA per il cinquantesimo dell’Associazione, scrivendo: «Strumento di questa evangelizzazione deve essere un uso estremamente competente e professionale della radio, della televisione e dei mezzi audiovisivi» (Oss. Rom., 28 ottobre 1978).

2 In queste pagine i rimandi si riferiscono a questo numero. Il quale riporta quattro relazioni fondamentali del Congresso: Évangélisation et communication audiovisuelle, di B. BARTOLINI, direttore del Centro Catechistico Salesiano di Torino Leumann; Audio-visuel et pastorale, di J. MONTERO TIRADO, direttore dell’Istituto de Cine para Infancia y Juventud di Asunción (Paraguay); Audio-visuel et pédagogie, di P. BABIN, direttore del Centre Recherche et Communication (CREC) di Lyon (Francia), e Techniques audio-visuelles, di W. CAPPEL, direttore dell’Institut für Film und Bild in Wissenschaft und Unterricht, di Monaco di Baviera.
Le quattro relazioni sono precedute dal breve commento Audio-visuel et évangélisation, di mons. L. M. METZINGER, segretario generale della Conferenza Episcopale del Perù, e dall’introduzione teorico-pratica Approche des problèmes de communication, di J.-P. DUBOIS-DUMÉE, direttore delle pubblicazioni La Vie Catholique (Paris); e sono seguite da tre interventi su Les groups media dans una nouvelle ère d’évangélisation, di A. SCANNELL, presidente dell’UNDA-USA e del Franciscan Communications Center di Los Angeles (California); su Pastorale des moyens de communication sociale, di G. MARTINOT, e su Laniage nouveau, formation nouvelle, di G. e J.-M. FERRERAS-OLEFFE, tutti e tre professori al Lumen vitae di Bruxelles.

3 Vi si compendia un Etude des moyens légers, del M. OLIVERA, attuale segretario dell’International Jesuit Center for Social Communication (JESCOM), pubblicato in Multimedia International, 1976, n. 34.

4 Tale, ad esempio, la discutibile affermazione secondo la quale «propriamente parlando non si tratta di un nuovo mezzo di evangelizzazione», dato che «la maggior parte dell’arte cristiana, così nelle catacombe come nene cattedrali, sono forme di group media» (pp. 86-87); ridimensionata dall’altra, a dir poco sibillina, secondo la quale oggi «la Chiesa scopre con piacere questi mezzi gruppali [...], e probabilmente saranno essi a permettere alla teologia di “com-prendere” la comunicazione sociale» (p. 104).

5 Vero è che qualcuno cerca di ridimensionare alcune di queste esorbitanze; notando, ad esempio, che «non è davvero il caso di opporre l’audiovisivo al libro. Il buon audiovisivo non può fare a meno del libro, e viceversa. Ma bisogna evitare di maneggiare l’audiovisivo come si maneggiano i sillogismi» (p. 105); e precisando che e interiorità comporta gusto spirituale, occhio interiore [...]: un pensiero ed un’azione regolati dal centro autonomo e svincolato di una persona umane» (p. 55).

6 È il caso, ad esempio, della varianza in atto dei concetti di presenza-efficacia-partecipazione nella sacramentaria e nella liturgia, sulla quale, non senza forzature, J. M. Tirado nota (p. 64): «I group media ci portano verso un’esperienza nuova di ciò che significa presenza, distanza, partecipazione; di ciò che è segno e sensibile; di ciò che è efficacia e influsso. Sicché, per chi pratica i group media questi termini hanno una portata molto diversa da quella che gli stessi termini avevano, per esempio, nelle definizioni dei sacramenti al Concilio di Trento. Quando l’uomo dei group media le legge o le ascolta non percepisce né pensa quello che intendevano i Padri conciliari. La teologia, anche dommatica, deve persuadersi che le sue scoperte e conquiste passate sono riposte in discussione nelle loro formulazioni concettuali; alcune di esse essendosi svuotate di valore sotto l’aspetto linguistico e culturale [...]. L’operatore pastorale deve sentire il polso teologico dei credenti e presentare allo studio del teologo la massa di nuovi concetti ed esperienze fornita dalla comunicazione audiovisive di gruppo. Occorre tener conto delle nuove maniere di pensare familiari ai group media. Se, ad esempio, i destinatari della pastorale concepiscono e vivono in tutt’altra maniera il significato dei termini presenza, partecipazione, segno sensibile, efficacia, influsso, ecc., il moralista e il liturgista devono rivedere la maniera in cui sono presentati e amministrati i sacramenti. Si devono chiedere se le norme tradizionali sono irreformabili, oppure modificabili, ai fini della validità sacramentale. Quale differenza ci sia, ad esempio, tre ascoltare una confessione nell’oscurità di un confessionale e l’ascoltarla al telefono o al video-telefono [...]; perché resterebbe valida una messa ascoltata dietro una colonna della cattedrale, e sarebbe invece invalida una messa vista e seguita con devozione davanti al televisore».

7 L’argomento, a proposito del citato Documento DECOS-CELAM: Evangelización: del comunicador social, è stato trattato in E. BARAGLI, Mass media e annuncio evangelico (in Il nostro cinema, 1974, n. 4, 1) e Strumenti della comunicazione sociale ed evangelizzazione (Civ. Catt. 1974 IV 36); e da R.F. ESPOSITO, Mass media e annuncio evangelico (in Vita Pastorale, 1974, n. 2, 50 ss., e n. 3, 44 ss.).

8 Cfr G. CAPRILE, Il Sinodo dei Vescovi, 1977, Roma, La Civiltà Cattolica, 1978, passim, e specialmente le pp. 365-370. Mons. A. Deskur, presidente della Pont. Commissione per le Comunicazioni Sociali, a proposito dei mass media, precisava che «la catechesi [...] deve trovare naturalmente il suo posto e la sua importanza nel giusto e libero uso degli strumenti della comunicazione sociale. In realtà c’è spesso una vera intenzione catechistica nell’attività dei giornalisti cattolici e nelle trasmissioni radiofoniche o televisive fatte per incarico o col benestare della Chiesa» (p. 367). Ed a proposito dei group media notava: «I group media sono le videocassette, le audiocassette, i dischi, le filmine, ecc., che servono ad aiutare lo studio di gruppo [...]. Questi sussidi sono largamente accessibili, ed hanno molto successo tra i giovani; così i programmi dei mass media, attraverso questi sussidi, possono passare a diffondersi più capillarmente anche in seno a gruppi particolari. Il problema dei mass media e quello dei group media sono strettamente legati, anche se la tecnica psicologicamente e sociologicamente è diversa» (p. 368).

In argomento

Massmedia

n. 3405, vol. II (1992), pp. 260-268
n. 3351, vol. I (1990), pp. 260- 269
n. 3310, vol. II (1988), pp. 351-363
n. 3218, vol. III (1984), pp. 144-151
n. 3200, vol. IV (1983), pp. 158-164
n. 3202, vol. IV (1983), pp. 362-368
n. 3195-3196, vol. III (1983), pp. 209-222
n. 3188, vol. II (1983), pp. 154-161
n. 3191, vol. II (1983), pp. 463-467
n. 3179, vol. IV (1982), pp. 464-467
n. 3141, vol. II (1981), pp. 222-237
n. 3075-3076, vol. III (1978), pp. 223-238
n. 3072, vol. II (1978), pp. 566-573
n. 3062, vol. I (1978), pp. 151-159
n. 3058, vol. IV (1977), pp. 349-362
n. 3055, vol. IV (1977), pp. 45-53
n. 3045, vol. II (1977), pp. 260-272
n. 3034, vol. IV (1976), pp. 336-351
n. 3036, vol. IV (1976), pp. 580-587
n. 3022, vol. II (1976), pp. 323-336
n. 3013, vol. I (1976), pp. 20-36
n. 2990, vol. I (1975), pp. 144-157
n. 2983, vol. IV (1974), pp. 36-48
n. 2973, vol. II (1974), pp. 250-256
n. 2967, vol. I (1974), pp. 258-263
n. 2961, vol. IV (1973), pp. 258-263
n. 2942, vol. I (1973), pp. 144-150
n. 2927, vol. II (1972), pp. 451-456
n. 2911, vol. IV (1971), pp. 39-48
n. 2913, vol. IV (1971), pp. 235-253
n. 2882, vol. III (1970), pp. 154-160
n. 2870, vol. I (1970), pp. 155-160
n. 2859-2860, vol. III (1969), pp. 219-230
n. 2739, vol. III (1964), pp. 246-254
n. 2729, vol. I (1964), pp. 422-435
n. 2702-2704, vol. I (1963), pp. 105-118, 313-325
n. 2636, vol. II (1960), pp. 124-39
n. 2612, vol. II (1959), pp. 113-124
n. 2548, vol. III (1956), pp. 400-408