NOTE
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1 GIOVANNI CALENDOLI, L’Attore. Storia di un’arte. Roma, Ediz. dell’Ateneo, 1959, in mezzo folio, pp. 700. Con 3 tavv. f.t. L. 15.000. Dello stesso autore abbiamo recensito: Film 1953-1954 (Civ. Catt. 1956, I, 674) e Cinema e teatro (ivi, 1957, III, 414).

2 Non è chi non sappia che dal 1939-1940 noi italiani possediamo l’eccellente Storia del teatro drammatico, del compianto SILVIO D’AMICO, superante, per ricordare soltanto i nomi dei due stranieri che meno lacunosamente vi si erano cimentati, l’History of theatrical Art in ancient and modern Time del danese K. MANTZIUS (1903-1909), e la Weltgeschichte des Theaters (1933) di J. GREGOR.

3 Tuttavia vogliamo sperare che in una seconda edizione si sfrondi il testo di qualche ridondanza, si eliminino alcune generalizzazioni non sufficientemente documentate nonché le frequenti ripetizioni che, qualche volta, si rivelano anche a voltar di pagina; inoltre, che il volume venga corredato di indicazioni bibliografiche essenziali, sistematiche e ragionate.

4 CARLO A. GIOVETTI, L’attore, Firenze, Vallecchi, 1959, in-16º, pp. 230. Qualcosa di simile pubblicò in Francia, nel 1950, G. GENTILHOMME, con Comment devenir vedette de cinéma (cfr Civ. Catt., 1959, II, 401).

5 Filmlexikon degli autori e delle opere. Roma, Ediz. di Bianco e Nero, 1958-1959, 3 voli. in-4º, pp. XLII – coll. 1558; 1262; 1180. L. 10.000 al volume.

6 Il volumetto fu edito dalla Casa Benziger & Co., di Einsiedeln-Zurigo.

7 Filmlexicon, Piccola Enciclopedia cinematografica, Milano, Filmeuropa, 1948, in-8º, pp. 717.

8 CHARLES REINERT, Wir von Film, Freiburg im Breisgau, Herder-Bucherei, 1960, in-16º, pp. 487. Questo il secondo della nuova opera, rifacimento della seconda parte dell’opera originaria, contenente 1.300 biografie essenziali di gente di cinema: attori, registi, produttori, soggettisti, sceneggiatori, musicisti, tecnici..., e circa 10.000 titoli di film. Veniamo informati dall’autore che il primo volumetto uscirà entro il corrente 1960.

9 Togliamo questo passo, come le altre citazioni che seguono, dalla Premessa programmatica che si trova nel primo volume, pagine IX-XXXV, nel testo italiano e nelle traduzioni francese, inglese, tedesca e spagnuola.

10 Per un esempio di spulciatura del primo volume, cfr il trafiletto che ad esso ha dedicato Francesco Savio, direttore dell’Enciclopedia dello spettacolo, in Cinema Nuovo, 1959, n. 138, pp. 131-134. Lasciando al censore la responsabilità di quanto afferma, noi non ce ne meravigliamo molto, pur augurandoci che le «dipendenze», specialmente se fedeli, vengano lealmente dichiarate da chi se le permette, e, come ovvio, le trascrizioni di dati e di nomi dalle fonti adoperate si eseguiscano il più esattamente possibile, proprio per garantire quella sicurezza d’informazione che è la dote più preziosa degli strumenti di documentazione culturale. Invece stentiamo ad ammettere le interpretazioni fantastiche di dati reali, quale quella che, secondo il Savio, si sarebbe permessa G. To., facendo morire «in un incidente aereo sull’Atlantico» l’attore A. Bassermann, il quale, in realtà, è morto sì sull’Atlantico, ma di sincope!

Per parte nostra, scorrendo a caso i tre volumi, ci siamo accorti che vi affiorano con una certa facilità quesiti e rilievi. Per esempio, l’attore Bondarciuck, proprio all’esponente vi è dato per Bondaciuck; alla voce Mary Field l’editore Longmans diventa Longmens, sotto la voce Marcel Carné, si assegna la data 1954, invece che 1952 al volumetto del Queval, mentre si ignora il volumetto di Bernard Landry; crediamo che R. Branca, che è uno dei più caldi esaltatori dell’americano Latham, resterà deluso non trovando il proprio nome nella bibliografia di questo signore; sempre in tema di bibliografie, come mai attori grossi come J. Coogan ed H. Fonda ne sono privi? Come mai quella di R. Flaherty ha una sola voce? Che cosa vale, sotto Falconetti, l’unica fonte G. Guerrasio, che poi è tutt’altro che una fonte, quando si poteva rimandare, per esempio, a A. Solmi, Tre maestri del cinema, 1956, p. 33, e a Revue Internationale du Cinéma, 1955, 22, p. 51? Dov’è la voce Fitzgerald, come soggettista e sceneggiatore? Dov’è André Hunebelle, dato, sotto la voce Gino Cervi, come regista di Les trois Mousquetaires? Perché si tace l’anno di pubblicazione del Manuale del produttore di film, di V. Brosio? Perché anche quello degli scritti di Carancini?... Ma sarebbe troppo facile continuare questa caccia agli errori, piuttosto inutile ed anche poco gloriosa, essendo più facile rilevare dieci dati mancati che provvederne uno sicuro. Perciò rinunciamo a continuarla. Ma rilievi di altro genere riteniamo che si potrebbero muovere meno gratuitamente, per esempio circa il materiale illustrativo, le bibliografie ed i doppiatori. Circa il primo, confessiamo candidamente che ce l’aspettavamo spesso di più felice scelta e di più accurata esecuzione: circa le seconde, crediamo che sarebbe stato più utile distinguere gli scritti composti dagli autori da quelli composti sugli stessi, e che, completezza per completezza, sarebbe stato meno dannoso tacere nelle filmografie i nomi degli attori piuttosto che non completare, come si è fatto sistematicamente, nelle bibliografie i rimandi alle riviste con quelli del mese e delle pagine; circa i terzi, ci domandiamo perché mai non siano stati considerati “autori” i doppiatori, per esempio, un Pino Locchi, che ci fa digerire un Maurizio Arena, e una Rosetta Calavetta, che doppia un carico di dive come A. Gardner, D. Dors, L. Turner, K. Novak e M. Monroe, quando invece si incontrano altri nominativi che hanno dato al cinema contributi molto meno sostanziali.

11 Dal punto di vista dell’obiettività si legga, per esempio, la voce Luigi Freddi, nella quale, tra tanta ricchezza di particolari sulle sue benemerenze fasciste non si dice una parola di altrettante vere sue benemerenze cinematografiche, e poi si passino ad osservare gli eloquenti silenzi mantenuti sotto le voci di altri personaggi, già caldissimi collaboratori del Freddi, e poi, a differenza di questi, tardivamente “ravvedutisi”. Si legga la voce Alicata Mario, che consiste tutta in diciassette righe di meriti comunisti, con l’unica notizia cinematografica di aver collaborato, insieme con altri quattro, alla sceneggiatura di un film! Dal punto di vista religioso, si scorrano, per esempio, le voci Federico Fellini, di Lino del Fra, John Ford e Will Hays, di Tino Ranieri; si osservi quale parte abbiano le fonti cattoliche, rispetto a quelle non cattoliche, in alcune bibliografie, per esempio delle voci Diego Fabbri e Kon lchicawa, nonché i giudizi di più o meno o appioppati a questo ed a quello, che crediamo scarsamente convenienti in testi, non di polemica politica, ma di serena cultura; per non parlare di certe espressioni ricorrenti che denotano scarsa, o tipicamente orientata conoscenza e pratica religiosa, per esempio: «religioso» reso con «mistico», l’ascetica che diventa «macerazione interiore», Maria Goretti, che viene «santificata dalla Chiesa cattolica»...

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Articolo estratto dal volume III del 1960 pubblicato su Google Libri.

Il testo è stato corretto dai refusi di stampa e formattato in modo uniforme con gli altri documenti dell’archivio.

I riferimenti ai documenti del magistero pontificio sono stati resi interattivi e portano al sito del progetto “Chiesa e Comunicazione”, la biblioteca digitale online che prosegue l’attività iniziata da p. Baragli con le opere Cinema cattolico: documenti della Santa Sede sul cinema e Comunicazione Comunione e Chiesa.

ARTICOLO SU

Presentando ai nostri lettori il volume L’Attore, di Giovanni Calendoli1, non possiamo non rilevarne, prima di tutto, la magnifica sontuosità editoriale, ben proporzionata al costo di L. 15.000. Si tratta, infatti, di un ponderoso in mezzo folio, di 700 pagine, in pesante carta patinata, rilegato in tutta tela, con risguardi in off-set, sopraccoperta illustrata e plastificata. Un secondo rilievo lodativo lo merita il criterio di completezza cui autore ed editore si sono coraggiosamente sobbarcati. L’argomento, infatti, non vi è soltanto indagato in un amplissimo saggio letterario, ma vi è documentato con un molto ricco materiale illustrativo, scelto sistematicamente ed introdotto da diffuse didascalie; inoltre è integrato da un’antologia di un centinaio di passi, desunti da un’ottantina di autori, anch’essi via via introdotti da esaurienti didascalie; e siccome le illustrazioni ed i brani non sono raccolti tutti insieme dopo il testo letterario, bensì sempre lo accompagnano intramezzandolo, resta al lettore la possibilità o di sfogliare dilettantisticamente il volume delibandovi soltanto la documentazione figurativa, o di esplorare direttamente in fonte le linee evolutive dell’arte dell’attore applicandosi alla lettura continuata dei soli brani antologici, distinti dal testo saggistico per corpo e giustezza minori o, ancora, affidarsi esclusivamente alla sintesi tentatane dal Calendoli leggendo soltanto il suo saggio letterario-sociale, o, infine, piegarsi all’impresa niente affatto leggera, ma fertile di soddisfazioni culturali, di leggere tutto il volume nell’ordine in cui la materia è data, adoperando il materiale illustrativo ed antologico a rincalzo ed a controprova di quanto l’autore-compilatore va esponendovi. Noi, a lettura terminatane appunto secondo quest’ultima maniera, abbiamo visto con gioia che l’opera, pur nei suoi limiti, costituisce nel suo genere un primato assoluto, non solo di ampiezza ma anche di originalità. E , infatti, non vuol essere un’ennesima storia del teatro, oggi superflua almeno per l’Italia2; e neanche una storia degli attori teatrali, quasi un’enciclopedia di aneddoti e di vicende personali attinti alle tradizioni di palcoscenico o alle Memorie autobiografiche, moltiplicatesi specialmente dopo il ’700; tanto meno un trattato di teoria comparata della recitazione e dell’interpretazione scenica. L’intento del Calendoli è, insieme, culturale e sociale. Rinnegando il luogo comune della labilità propria dell’arte dell’attore, in quanto non continuata da opere d’arte che gli sopravvivano, il Calendoli intende persuaderci, provandolo, che, invece,

«...dell’attore rimane altro, rimane il segno della sua partecipazione al movimento perenne della vita artistica e culturale... Per quanto riguarda le opere teatrali... essi ne sono i protagonisti nel momento culminante, che è costituito dal momento dell’incontro dell’opera con gli spettatori. Muovendo dalla poesia dell’opera e dal gusto, dalle esigenze, dai problemi del proprio tempo, gli attori compiono sulla scena una interpretazione, una mediazione ed una sintesi, che è un rivivere quella poesia e un perpetuarla. Essi, dunque, non “scrivono sull’acqua”, ma scrivono nel tempo come tutti gli artisti. E il loro segno rimane se essi sono riusciti a servire nei suoi valori positivi il movimento incessante della vita artistica e culturale. La presente storia si propone dunque di indicare i modi, attraverso i quali nelle varie epoche è stato possibile all’attore compiere quest’opera...» (p. VI).

 

Limitandosi all’ambito della cultura e della civiltà occidentale, egli svolge questo assunto in sei capitoli, sempre più vasti secondo che i periodi storici, che compongono l’arco quasi trimillenario, si presentano più ricchi di dati documentati, mano mano che ci si avvicina all’epoca nostra. Inizia con L’età classica (pp. 3-64), che presenta l’attore del teatro greco e latino; seguono L’età medievale (pp. 65-114) e La nascita delle compagnie (pp. 115-222), comprendenti la parabola che parte dagli inizi del dramma liturgico e termina con la diffusione dei comici dell’arte; continua col Cammino verso l’illuminismo (pp. 223-380), che parte dai grandi teatri di corte, passa attraverso il mondo delle lettere e termina in quello della borghesia, tutto costellato dai nomi dei grandi interpreti dei massimi drammaturghi europei, quali Shakespeare e Goethe, Molière, Racine e Corneille, Goldoni ed Alfieri... ; con Dal romanticismo al naturismo (pp. 381-558) rileva l’incidenza della rivoluzione francese sulla emancipazione civile dell’attore, allarga l’interesse anche all’America ed alla Russia e descrive la parabola del grande attore fino al suo tramonto, causato, sulla fine del secolo XIX, anche dalla nuova e determinante funzione della regia; finalmente, L’attore nello spettacolo contemporaneo (pp. 559-680) inserisce in quelle del teatro millenario, rilevando interferenze e mutue influenze, le nuove figure dell’attore causate dalle novissime tecniche cinematografica e televisiva. Fedele al suo assunto, più che ai testi letterari, il Calendoli tiene appresso agli attori che li hanno via via interpretati, ed agli artisti-psicologi che, col mutare delle circostanze storico-sociali, hanno teorizzato intorno alla loro natura e recitazione. Questi due temi si intrecciano e si integrano a vicenda: da una parte la mutevole teoria degli aedi e dei rapsodi, delle maschere greche, etrusche e romane, dei profani jongleurs e dei pii interpreti dei “misteri” e delle “moralità” medievali, i “ruoli” in costume della tragicomedia spagnuola e del teatro elisabettiano, le maschere della commedia dell’arte, che dall’Italia invadono tutta l’Europa, nomi isolati del Burlacchi, del Burbage e del Beolco..., che preludono agli altri di prima grandezza delle età più recenti, quali quelli dei francesi Baron, Lekain, Talma, Mounet-Sully, Jouvet, Barrault, Fresnay..., delle grandi attrici: Béjart, Blanchard, Neuber, Barry, Le Couvreur, Fiorilli-Pellandi, Rachel, Ristori, Duse, Bernhardt, Bertini, Falconetti, Davis..., dei più noti interpreti di Shakespeare: Garrick, Kemble, Kean, Booth, lrving, Moissi, Olivier..., dei nostri Zacconi, Modena, Salvini, Ruggeri, Benassi, Tofana, Baseggio, De Filippo, Gassman..., e di quelli che sono passati dai palcoscenici agli schermi: Barrymore, Chaplin, Brando, Welles... ; dall’altra parte la sorprendentemente folta schiera dei critici e normatori dell’arte dell’attore, che comprende, tra gli altri, Aristotele e Shakespeare, Molière, Lessing e Goethe, Diderot, Stanislawskij, Eisenstein, Brecht..., e poi ancora i due Riccoboni, Schroeder, Coquelin, Irving, Salvini, Strindberg, Copeau, Hodapp... Per dirla in termini cinematografici, è una lunga panoramica, alternata da rapide e frequenti carrellate, che via via portano in primo piano uomini e volti singoli, ma senza mai isolarli dai “campi totali” storici e sociali, in cui essi prendono tutto il loro significato, condizionati insieme e condizionanti, effetti e cause di quello che fu il loro tempo.

Siffatta ambientazione ci è parsa particolarmente felice, per esempio, nel rapporto che il Calendoli ha cura di rilevare tra condizioni societarie e forme ampollose di espressione letteraria e drammatica del ’600, come pure tra il Paradoxe du comédien di Diderot e la mutata condizione del dramma europeo del secolo XVIII. Tuttavia, che mediante questa sua diligente ed esemplare fatica egli abbia pienamente centrato il bersaglio non oseremmo affermarlo. Opiniamo infatti che da una parte manchi storicamente alla materia de qua, cioè all’attore, quella sufficiente omogeneità che parrebbe richiesta dall’intento del volume (si considerino, per esempio, le differenze esistenti tra il mimo e l’interprete testuale, il mattatore prepotente regista di se stesso e le maschere-automi, puro elemento di scenografie espressionistiche, tra il vero attore teatrale, consapevole agente di un linguaggio immediato col pubblico, e lo pseudo attore cinematografico, materiale umano di un linguaggio mediato...), e che, dall’altro, il termine di «vita artistica e culturale», a cui la presenza dell’attore è riferita, se non venga ulteriormente definito nella sua comprensione ed estensione concettuale e storica, resta pericolosamente vago. Quale parte, ci si domanda, ha in esso il fattore sociale? Quale quello politico? Quale quello di costume moralmente inteso? E quale quello religioso? Quest’ultimo elemento, per esempio, ci sembra piuttosto ignorato, sia in alcuni giudizi alquanto frettolosi ed approssimativi, sia in alcune imprecisazioni terminologiche, che farebbero sospettare nell’autore tanto scarsa familiarità con esso quanto maggiore sembra che sia la sua simpatia verso ideali sociali illuministici.

Ma il difetto, se difetto c’è3, non sminuisce affatto i meriti reali del volume, strutturato di salda e vasta cultura e di giudizi equilibrati, ancorato su rigorosa documentazione e privo di ogni inutile lenocinio di forma letteraria. Ne accetti o meno integralmente la tesi, il lettore non specialista vi troverà una fonte di nozioni varie, sicure e gradevoli; lo studioso di problemi drammatici, e dello spettacolo in genere, vi troverà ben inquadrati molti problemi classici e, particolare che molto dà da pensare sulla instancabile ed inappagabile ricerca umana, il carattere ciclico e di ritorno di molti di essi. Si pensi, per ricordarne soltanto alcuni a caso, a quello della tenda-schené; con cui inizia il teatro greco e che si ritrova in quello umanistico, ed ancora in alcuni tentativi di estenuazione scenica moderni; allo spingersi dell’attore in mezzo al pubblico, comune ai saltimbanchi, al teatro shakespeariano ed al palco circolare moderno; ai punti d’incontro circa l’attore-ragione esistenti tra l’Jone di Socrate ed il Paradoxe di Diderot, contrastanti con la teoria dell’attore-emozione di Stanislawskij, suoi anticipatori e discepoli; al concetto di “naturalezza”, costantemente richiamato in tutti i tempi nonostante il continuo pendolare dell’interpretazione dal rispetto storico e psicologico verso il testo scritto al sopravvalere della visione personale dell’interprete, o delle convenzioni del pubblico... È, veramente, tutta una serie di problemi del più ampio interesse, che dànno piena ragione al Calendoli, quando termina con queste parole la sua prefazione: «La storia dell’attore, in conclusione, è una pagina della storia dell’UOMO. E forse per questo meritava di essere riscritta ancora una volta» (p. VIII). – D’accordo, ed anche senza il «forse».

* * *

Ad utile complemento della monumentale opera del Calendoli si può leggere l’omonimo volumetto L’attore, di Carlo A. Giovetti, terzo della collana di saggi ed inchieste sulle professioni: Il Bersaglio4: contributo alla conoscenza della società italiana odierna ed all’orientamento di quella di domani, nello stile della moderna inchiesta giornalistica. L’autore, che si dimostra bene addentro al mondo che descrive, premesso un rapido esame della figura dell’attore e della sua posizione nella società dall’antichità ad oggi, scende ad analizzare partitamente i diversi aspetti della professione in ogni settore: dal cinema al teatro cd alla televisione, dal fotoromanzo al doppiaggio. Cosi l’attore non ci appare sotto l’aspetto distaccato e mitizzato che tende ad assumere nelle trattazioni culturali e storiche, bensì nei suoi aspetti più quotidiani e concreti: in casa e fuori, mentre trova o cerca lavoro, dal momento in cui comincia la sua carriera agli anni in cui si tirano le somme, raramente nel nimbo della gloria divistica, più spesso nelle “locande per artisti” e nelle case di riposo, con le sue grandezze, i suoi esibizionismi ed i suoi frequenti compromessi morali, di fronte ai problemi artistici come a quelli finanziari e sindacali. Il linguaggio facile del Giovetti, una sua fondamentale onestà e pulizia morale, nonché i molti aneddoti di prima mano di cui dispone, raccomandano dunque il volumetto, se non proprio su piano di cultura, su intenti più modesti e pratici: da una parte mostrare ogni angolazione della professione con la maggiore completezza, obiettività e spregiudicatezza, dall’altra aiutare a chiarificare la portata di certe vere od illusorie “vocazioni” artistiche, orientandone i veri o presunti eletti in modo da far loro evitare tragiche delusioni.

* * *

Un altro invidiabile primato culturale è stato segnato in Italia dal Filmlexicon degli autori e delle opere, di cui in due anni sono usciti tre volumi5.

Chi si applica a ricerche e a studi di cultura cinematografica sa quanto spesso sia difficile cerziorarsi di notizie e di dati riferentesi a film ed ai loro autori, sia perché le fonti, per quanto abbondanti – libri, annuari, almanacchi, materiale pubblicitario, rotocalchi... – sono quanto mai disperse, sia anche perché non è facile distinguere tra esse quelle attendibili da quelle più o meno fantasiose, se non addirittura scandalistiche. Ad ovviare, in parte, a siffatte necessità, il padre gesuita Carlo Reinert, coadiuvato da un discreto gruppo di specialisti, nel 1946 compilò un noto Kleines Filmlexicon6 Appena due anni dopo, nel 1948, questo volumetto veniva rifuso, ampliato ed adattato per l’Italia da Francesco Pasinetti, a sua volta coadiuvato da altri numerosi specialisti, in maggioranza italiani7. Tuttavia, per quanto questo segnasse un enorme sviluppo rispetto al nucleo originario – basti dire che le voci biografiche vi erano passate da 973 a 3.200 – e si potesse giustamente considerare come «la prima sistemazione enciclopedica della filologia cinematografica», il ritmo velocissimo con cui si evolve la produzione filmistica, sì da contare ogni anno decine di nuovi “autori” e migliaia di titoli di nuovi film, in pochi anni la invecchiò sì da renderla praticamente inutilizzabile. Lodevolmente perciò tanto il padre Reinert quanto gli studiosi italiani hanno proceduto ai desiderati aggiornamenti; il primo, sempre fedele alla sua formala manualistica tascabile, rifondendo l’opera originaria in due densissimi volumetti intitolati Wir von Film8, i secondi impegnandosi in un’impresa decisamente monumentale, merito e vanto indiscutibili di un ardito piano culturale elaborato nel 1956 dal Centro Sperimentale di Cinematografia sotto la direzione del prof. Michele Lacalamita. Eccone le linee programmatiche:

fornire ai cultori di cinema un repertorio il più possibile ricco degli elementi indispensabili non soltanto alla informazione ma anche allo studio storico; contribuire allo sviluppo di una concezione scientifica della filologia cinematografica, anzitutto attraverso un’opera di organizzazione e di affinamento delle sparse iniziative in corso; individuare e valorizzare gli sforzi isolati di molti ricercatori in ogni parte del mondo, imponendo ai singoli una disciplina unitaria e diffondendo un abito mentale che avesse più il carattere del rigore scientifico che non quello (sinora inevitabile, o quasi, per circostanze esterne) della volenterosa improvvisazione9.

In pratica fu elaborato un piano di Filmlexicon da attuarsi in due tempi; fu riservato al primo la raccolta delle “voci” biografiche degli autori del cinema mondiale – Filmlexicon degli autori - (intendendo come autori i registi, i soggettisti, gli sceneggiatori, i produttori, gli attori, gli operatori, i musicisti, gli scenografi e i costumisti), quindi un repertorio dei film di maggiore interesse nella storia del cinema – Filmlexicon delle opere -, scelti sulla base del valore artistico, tecnico, sociologico; e fu rimandato al secondo: un dizionario culturale e un dizionario tecnico (riprendendo ed ampliando la sezione «voci generali e tecniche» del Filmlexicon Reinert-Pasinetti), con un piccolo dizionario biografico degli storiografi e dei saggisti cinematografici, ed infine un indice generale di tutti i film citati nelle “voci” del Filmlexicon degli autori. I tre volumi che stiamo presentando, di complessive 4.000 pagine, rappresentano, pienamente realizzata, appena la metà della prima opera del primo tempo. Ogni “voce” biografica comprende, quando la sua importanza ed i dati reperiti lo permettono, una biografia vera e propria, una filmografia quanto più è possibile completa, ed una bibliografia.

Trattandosi di un lessico e non di un saggio o di un romanzo, vale a dire di un’opera di consultazione e non di lettura continuata, la sua validità funzionale si potrà controllare soltanto con l’uso continuato. Tuttavia i compilatori, con lodevole lealtà e modestia, ci manifestano le condizioni concrete nelle quali si è svolto e si svolge il loro lavoro, incidenti sulle tre qualità che fanno il pregio culturale e funzionale di siffatti strumenti di ricerca: l’abbondanza, l’aggiornatezza e la sicurezza delle notizie. Di filmologicamente accertato ed ordinato – essi notano - circa i fatti cinematografici oggi nel mondo ancora si trova poco e frammentario tra il molto di impreciso e di dilettantistico; inoltre, scarsissime sono le fonti sicure di fatti e di elementi di un mondo che ancora è abbandonato quasi interamente al commercio ed alla pubblicità; d’altra parte fuori dell’Italia, dove almeno operano gruppi abbastanza numerosi di schedatori, potenziali filologi, la ricerca sistematica è ancora più scarsa. Pretendere, dunque, dì reperire tutte le fonti e di revisionarne tutti i dati su scala mondiale prima di passare alla realizzazione dell’opera sarebbe stato un condannarsi a non fare nulla per amore di un “ottimo” tanto splendido quanto irraggiungibile. Si è saggiamente e coraggiosamente preferito, perciò, «affrontare una buona volta il tentativo filologico, accettando i rischi relativi, in ciò confortati dalla convinzione che solo dopo aver gettato le basi di una concreta attività si sarebbe potuto sperare di uscire dalla situazione attuale. Il Filmlexicon vuole perciò offrire il primo, imperfetto elemento per porre la filologia cinematografica sui binari che si addicono ad una disciplina del sapere». Su questa premessa, mentre anche ad un superficiale sfogliare di pagine si manifesta pienamente mantenuto il criterio della massima larghezza nella ricerca dei dati e nella registrazione dei risultati, eventuali lacune ed inesattezze, come anche l’opinabilità di alcuni criteri e delle loro applicazioni, restano del tutto scontate. È stato notato, per esempio, ed in parte anche dai compilatori, il prevalere di redattori italiani rispetto allo scarso numero degli stranieri, la relativa poca consistenza di molte voci riguardanti gli operatori, i musicisti, gli scenografi ed i costumisti, rispetto alla relativa completezza di quelle dei produttori e sceneggiatori e, soprattutto, dei registi e degli attori; la povertà di molte bibliografie e la scarsa utilità di alcune voci in esse... e così di seguito, nonché i quiproquo ed i refusi, in qualche maniera umanamente inevitabili in lavori, come il presente, irti di cifre e di nomi propri10. Per parte nostra, piuttosto che insistere su questi, ne notiamo uno che riteniamo di maggior rilievo, in quanto crediamo che incida non tanto sulla pura e semplice informazione, quanto nella formazione vera e propria del lettore.

I redattori, come ovvio, sono stati reclutati tra appartenenti alle correnti ideologiche e religiose le più diverse e contrastanti. Che tra esse i cattolici brillino per numero e per quantità e qualità di collaborazione non oseremmo affermarlo, anzi ci è parso che piuttosto scarseggino, non sappiamo dire se perché non si siano voluti, o potuti, trovare, oppure se perché, invitati, non abbiano risposto all’appello. Certo si è che, per quanto nella Premessa programmatica lodevolmente si professi il massimo rispetto per l’obiettività, per forza di cose le interpretazioni politiche e religiose affiorano, o per quel che si dice, o per come lo si dice o, più spesso, per quel che si tace11. Francamente ce ne dispiace, perché strumenti di consultazione come questo valgono più che altri a fissare, in Italia e fuori, polarizzazioni di giudizi e radicamenti di luoghi comuni, che poi difficilmente si riesce ad eliminare; perciò ci auguriamo che, almeno nel futuro Filmlexicon delle opere, siffatto inconveniente diminuisca o si elimini del tutto, vale a dire che il giudizio dei film, soprattutto di quelli che importano particolari problemi morali, sociali e religiosi, venga formulato il più obiettivamente possibile e, se del caso, anche cattolicamente; in ogni modo venga accompagnato da indicazioni bibliografiche non unicamente, o prevalentemente, laiche, laiciste o marxiste, ma anche spiritualistiche e cattoliche.

Formuliamo questo voto soprattutto a tutela di quei valori religiosi e cristiani che per noi sono i massimi assoluti, ma anche perché questo Filmlexicon, che già adesso riteniamo che costituisca motivo di legittimo vanto per la cultura italiana, lo diventi più pienamente ad opera compiuta.

1 GIOVANNI CALENDOLI, L’Attore. Storia di un’arte. Roma, Ediz. dell’Ateneo, 1959, in mezzo folio, pp. 700. Con 3 tavv. f.t. L. 15.000. Dello stesso autore abbiamo recensito: Film 1953-1954 (Civ. Catt. 1956, I, 674) e Cinema e teatro (ivi, 1957, III, 414).

2 Non è chi non sappia che dal 1939-1940 noi italiani possediamo l’eccellente Storia del teatro drammatico, del compianto SILVIO D’AMICO, superante, per ricordare soltanto i nomi dei due stranieri che meno lacunosamente vi si erano cimentati, l’History of theatrical Art in ancient and modern Time del danese K. MANTZIUS (1903-1909), e la Weltgeschichte des Theaters (1933) di J. GREGOR.

3 Tuttavia vogliamo sperare che in una seconda edizione si sfrondi il testo di qualche ridondanza, si eliminino alcune generalizzazioni non sufficientemente documentate nonché le frequenti ripetizioni che, qualche volta, si rivelano anche a voltar di pagina; inoltre, che il volume venga corredato di indicazioni bibliografiche essenziali, sistematiche e ragionate.

4 CARLO A. GIOVETTI, L’attore, Firenze, Vallecchi, 1959, in-16º, pp. 230. Qualcosa di simile pubblicò in Francia, nel 1950, G. GENTILHOMME, con Comment devenir vedette de cinéma (cfr Civ. Catt., 1959, II, 401).

5 Filmlexikon degli autori e delle opere. Roma, Ediz. di Bianco e Nero, 1958-1959, 3 voli. in-4º, pp. XLII – coll. 1558; 1262; 1180. L. 10.000 al volume.

6 Il volumetto fu edito dalla Casa Benziger & Co., di Einsiedeln-Zurigo.

7 Filmlexicon, Piccola Enciclopedia cinematografica, Milano, Filmeuropa, 1948, in-8º, pp. 717.

8 CHARLES REINERT, Wir von Film, Freiburg im Breisgau, Herder-Bucherei, 1960, in-16º, pp. 487. Questo il secondo della nuova opera, rifacimento della seconda parte dell’opera originaria, contenente 1.300 biografie essenziali di gente di cinema: attori, registi, produttori, soggettisti, sceneggiatori, musicisti, tecnici..., e circa 10.000 titoli di film. Veniamo informati dall’autore che il primo volumetto uscirà entro il corrente 1960.

9 Togliamo questo passo, come le altre citazioni che seguono, dalla Premessa programmatica che si trova nel primo volume, pagine IX-XXXV, nel testo italiano e nelle traduzioni francese, inglese, tedesca e spagnuola.

10 Per un esempio di spulciatura del primo volume, cfr il trafiletto che ad esso ha dedicato Francesco Savio, direttore dell’Enciclopedia dello spettacolo, in Cinema Nuovo, 1959, n. 138, pp. 131-134. Lasciando al censore la responsabilità di quanto afferma, noi non ce ne meravigliamo molto, pur augurandoci che le «dipendenze», specialmente se fedeli, vengano lealmente dichiarate da chi se le permette, e, come ovvio, le trascrizioni di dati e di nomi dalle fonti adoperate si eseguiscano il più esattamente possibile, proprio per garantire quella sicurezza d’informazione che è la dote più preziosa degli strumenti di documentazione culturale. Invece stentiamo ad ammettere le interpretazioni fantastiche di dati reali, quale quella che, secondo il Savio, si sarebbe permessa G. To., facendo morire «in un incidente aereo sull’Atlantico» l’attore A. Bassermann, il quale, in realtà, è morto sì sull’Atlantico, ma di sincope!

Per parte nostra, scorrendo a caso i tre volumi, ci siamo accorti che vi affiorano con una certa facilità quesiti e rilievi. Per esempio, l’attore Bondarciuck, proprio all’esponente vi è dato per Bondaciuck; alla voce Mary Field l’editore Longmans diventa Longmens, sotto la voce Marcel Carné, si assegna la data 1954, invece che 1952 al volumetto del Queval, mentre si ignora il volumetto di Bernard Landry; crediamo che R. Branca, che è uno dei più caldi esaltatori dell’americano Latham, resterà deluso non trovando il proprio nome nella bibliografia di questo signore; sempre in tema di bibliografie, come mai attori grossi come J. Coogan ed H. Fonda ne sono privi? Come mai quella di R. Flaherty ha una sola voce? Che cosa vale, sotto Falconetti, l’unica fonte G. Guerrasio, che poi è tutt’altro che una fonte, quando si poteva rimandare, per esempio, a A. Solmi, Tre maestri del cinema, 1956, p. 33, e a Revue Internationale du Cinéma, 1955, 22, p. 51? Dov’è la voce Fitzgerald, come soggettista e sceneggiatore? Dov’è André Hunebelle, dato, sotto la voce Gino Cervi, come regista di Les trois Mousquetaires? Perché si tace l’anno di pubblicazione del Manuale del produttore di film, di V. Brosio? Perché anche quello degli scritti di Carancini?... Ma sarebbe troppo facile continuare questa caccia agli errori, piuttosto inutile ed anche poco gloriosa, essendo più facile rilevare dieci dati mancati che provvederne uno sicuro. Perciò rinunciamo a continuarla. Ma rilievi di altro genere riteniamo che si potrebbero muovere meno gratuitamente, per esempio circa il materiale illustrativo, le bibliografie ed i doppiatori. Circa il primo, confessiamo candidamente che ce l’aspettavamo spesso di più felice scelta e di più accurata esecuzione: circa le seconde, crediamo che sarebbe stato più utile distinguere gli scritti composti dagli autori da quelli composti sugli stessi, e che, completezza per completezza, sarebbe stato meno dannoso tacere nelle filmografie i nomi degli attori piuttosto che non completare, come si è fatto sistematicamente, nelle bibliografie i rimandi alle riviste con quelli del mese e delle pagine; circa i terzi, ci domandiamo perché mai non siano stati considerati “autori” i doppiatori, per esempio, un Pino Locchi, che ci fa digerire un Maurizio Arena, e una Rosetta Calavetta, che doppia un carico di dive come A. Gardner, D. Dors, L. Turner, K. Novak e M. Monroe, quando invece si incontrano altri nominativi che hanno dato al cinema contributi molto meno sostanziali.

11 Dal punto di vista dell’obiettività si legga, per esempio, la voce Luigi Freddi, nella quale, tra tanta ricchezza di particolari sulle sue benemerenze fasciste non si dice una parola di altrettante vere sue benemerenze cinematografiche, e poi si passino ad osservare gli eloquenti silenzi mantenuti sotto le voci di altri personaggi, già caldissimi collaboratori del Freddi, e poi, a differenza di questi, tardivamente “ravvedutisi”. Si legga la voce Alicata Mario, che consiste tutta in diciassette righe di meriti comunisti, con l’unica notizia cinematografica di aver collaborato, insieme con altri quattro, alla sceneggiatura di un film! Dal punto di vista religioso, si scorrano, per esempio, le voci Federico Fellini, di Lino del Fra, John Ford e Will Hays, di Tino Ranieri; si osservi quale parte abbiano le fonti cattoliche, rispetto a quelle non cattoliche, in alcune bibliografie, per esempio delle voci Diego Fabbri e Kon lchicawa, nonché i giudizi di più o meno o appioppati a questo ed a quello, che crediamo scarsamente convenienti in testi, non di polemica politica, ma di serena cultura; per non parlare di certe espressioni ricorrenti che denotano scarsa, o tipicamente orientata conoscenza e pratica religiosa, per esempio: «religioso» reso con «mistico», l’ascetica che diventa «macerazione interiore», Maria Goretti, che viene «santificata dalla Chiesa cattolica»...

In argomento

Mostre

n. 2830, vol. II (1968), pp. 358-364
n. 2815, vol. IV (1967), pp. 55-58
n. 2793, vol. IV (1966), pp. 263-268
vol. IV (1964), pp. 213-226
vol. III (1964), pp. 551-562
n. 2721, vol. IV (1963), pp. 234-247
n. 2691, vol. III (1962), pp. 232-245
n. 2576, vol. IV (1957), pp. 152-166
n. 2570, vol. III (1957), pp. 166-180
n. 2551, vol. IV (1956), pp. 49-62
n. 2528, vol. IV (1955), pp. 148-162
n. 2432, vol. IV (1951), pp. 141-151

In argomento

Cinema-arte

n. 2808, vol. II (1967), pp. 573-576
n. 2672, vol. IV (1961), pp. 165-169
n. 2667, vol. III (1961), pp. 306-311
n. 2567, vol. II (1957), pp. 504-515, 619-627
n. 2559, vol. I (1957), pp. 288-302
n. 2562, vol. I (1957), pp. 610-619
n. 2524, vol. III (1955), pp. 396-407