NOTE
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1 John Patrick CARROLL-ABBING, Il grido di Rachele. Storia dei ragazzi vittime della guerra, Corbaccio, Milano 1952, in-16º, pp. 256, con 4 ill. Prefazione di G. GOZZER.

2 La città dei ragazzi di P. Flanagan, Roma, A.V.E., 1951, in-16º, pp. 206. Libro molto interessante e in se stesso e per spiegare molte delle idee e delle attuazioni che sono argomento del Grido di Rachele. Dopo quattro capitoli, che tratteggiano gli anni dell’infanzia e della giovinezza e la stentata coraggiosa ascesa del Padre Flanagan al sacerdozio, il lettore non stenta a trovarvi la linea di sviluppo della sua «città dei ragazzi» (Boys’ Town di Omaha) sorprendentemente parallela a quella della «repubblica dei ragazzi» di S. Marinella. Le condizioni sociali e ambientali come occasione e causa della deformazione sociale e morale dei ragazzi in America, i principi pedagogici morali e religiosi del Flanagan (in gran parte riportati in brani tradotti dai suoi scritti), le sue prime esperienze sporadiche e quelle definitive coronate dal più lusinghiero successo, i primi tentativi e il successivo sviluppo del metodo dell’autogoverno, la sfida a tutte le pessimistiche previsioni dei benpensanti e la fiducia più illimitata nella Provvidenza...: altrettante tappe di un’opera colossale che l’autore descrive non solo con l’occhio dell’ammiratore, ma anche con l’affetto e la trepidazione dell’amico e dell’audace imitatore.

3 I tribunali dei minorenni negli Stati Uniti d’America, Roma, Pontificium Institutum Utriusque luris, 1951, in-8º, pp. 362. L. 1.800. A differenza degli altri due, questo non è un libro di narrativa ma di stretta ricerca scientifica, una prova della serietà con la quale l’indagine è stata condotta essendone l’amplissima bibliografia comprendente 442 voci. Nella prima parte tratta delle Origini del tribunale dai minorenni negli Stati Uniti d’America; nella seconda delle Leggi dei tribunali dei minorenni negli Stati Uniti d’America, il cui testo viene riportato nelle appendici. È molto utile la 100 lettura, tra l’altro, per ben lumeggiare l’ambiente morale e storico in cui visse e fece sentire il suo influsso il Padre Flanagan.

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Articolo estratto dal volume IV del 1952 pubblicato su Google Libri.

Il testo è stato corretto dai refusi di stampa e formattato in modo uniforme con gli altri documenti dell’archivio.

I riferimenti ai documenti del magistero pontificio sono stati resi interattivi e portano al sito del progetto “Chiesa e Comunicazione”, la biblioteca digitale online che prosegue l’attività iniziata da p. Baragli con le opere Cinema cattolico: documenti della Santa Sede sul cinema e Comunicazione Comunione e Chiesa.

ARTICOLO SU

Sarebbe interessante appurare se l’ultima guerra mondiale abbia arrecato più danni o più guadagni agli editori e ai librai; ché, se in conto perdita ci sono le voci: occupazione di tipografie, distruzioni di macchine e di depositi di carta, in conto guadagni andrebbero calcolate sia la vendita tanto rapida quanto imprevista di vecchie giacenze al pubblico, a ciò indotto dall’impossibilità d’investire altrove una moneta che rapidamente inviliva e dalla maggior disponibilità di tempo in una vita ridotta, si direbbe, all’essenziale, sia la valanga dì pubblicazioni, che, rifacendosi alla guerra come motivo, come sfondo o come pretesto, precipitò sul mondo dei lettori, ed oggi, dopo ormai un sessennio da quei tristissimi avvenimenti, continua ad inondarlo con flusso si direbbe ancora non stanco. Gli avvenimenti che abbiamo vissuti, un po’ tutti, in quell’interminabile tregenda d’incubo, furono tanto eccezionali in se stessi e rispetto al ritmo relativamente quieto del ventennio tra le due guerre, che a migliaia, uomini e donne, colti o no, si scoprirono, la vocazione di scrittori; i più fortunati, che lo poterono fare per i posti da loro occupati, pubblicarono cucendo insieme in grossi volumi migliaia di documenti e centinaia d’illustrazioni; i più sprovvisti tentarono il successo pubblicando addirittura i loro appunti di taccuino, nella fiducia che i lettori prendessero come pennellate impressionistiche le loro smozzicate sgrammaticature; molti si buttarono alla via più facile coraggiosamente svelando pettegolezzi intorno ai «grandi», che la bufera aveva troncato, o all’orrido e al sensuale scatenato da questa come da tutte le guerre.

Leggendola, quest’enorme produzione guerresca, resti insieme soddisfatto e scontento accorgendoti di aver si presto dimenticato tante cose, ma poi, a lettura terminata, rimani con un senso d’insoddisfazione: quel che fu per te una notte d’incubo, la distruzione della tua famiglia e della tua carriera, il gorgo buio che inghiottì i tuoi figli, spesso, in questa letteratura affaristica, te lo ritrovi come una fredda operazione strategica studiata da un tecnico dell’arte della guerra, o come un pretesto per stilare pagine di colore a buon mercato, o, peggio, come incosciente rigurgito d’istinti bassi, allora più che mai sfrenati; e ti lasciano, molti di quei libri, un senso di amaro, di dispetto e di vergogna, o solo per una parte dell’umanità «nemica», o per tutta l’umanità, dipinta come incorreggibilmente debole o depravata, sempre in ogni modo afferrata e tormentata da passioni più forti di essa.

Tra i rari libri che fanno eccezione in questa letteratura bellica mettiamo la recentissima storia dei ragazzi vittime della guerra scritta da mons. John Patrick Carroll-Abbing1. Leggendola, provi lo stesso senso di misto stupore sopraricordato; rivivi gli stessi tragici avvenimenti che furono la tua quotidiana sofferenza pochi anni fa, le stesse storie d’infamia e di dolore, di miseria e di crudeltà, gli stessi nomi che da soli erano tanto carichi di strazi o sofferti o immaginati: Cassino, Pontecorvo, Cisterna, Anzio, Linea Gotica; e ti meravigli che siano bastati tanto pochi anni per far cadere l’oblio su ricordi già vividi, per livellare in un grigio indistinto visioni che ebbero colori foschissimi e luci accecanti: e ne resti come stupito; non sapendo se più dolerti dell’instabile consistenza d’ogni ricordo umano, o rallegrarti della vita che si afferma, e che nella cura di costruire un avvenire non trova sufficiente agio per riandare il passato. Ma subito, su questo stato d’animo, affiora come una luce mattutina, fresca e riposante: e in essa, un’aurea di ottimismo che schiude la mente e il cuore alla fiducia e alla speranza.

L’autore, che non è alle prime armi, avendo già pubblicato Città dei ragazzi di padre Flanagan2, e I tribunali dei minorenni negli Stati Uniti d’America3, maneggia la lingua italiana con facilità, sorprendente in un irlandese, sia pure da vent’anni trapiantato in Italia: ma non fa dell’arte propriamente parlando; anzi qua e là il suo raccontare s’inflette nel tono dimesso della relazione d’ufficio o delle confidenze tra amici; né il lettore se l’ha a male, preso com’è e dalle vicende raccontate vivamente e come ancora di presenza, e soprattutto dall’afflato di bontà che accompagna la narrazione dalla prima all’ultima pagina; sicché egli vi ritrova non l’artista – l’autore non lo è né posa ad esserlo – ma l’uomo d’azione e di carità, il sacerdote e l’organizzatore.

Abbondano, naturalmente, i ricordi personali, sicché ne viene fuori un’involontaria biografia apologetica dell’autore, in azione prima nell’ospedale romano dell’Ordine di Malta, poi nel bel mezzo della battaglia di Anzio, indi nella febbrile ricerca per trovare rifugio a perseguitati politici, alimento e conforto a profughi in campi di concentramento; e, nell’immediato dopo guerra, nell’organizzare la prima campagna antimalarica nel Cassinate, e nel raccogliere in America e nel distribuire in Italia i soccorsi dell’A.R.I. (American Relief for Italy) e nel raggruppare a Roma i primi nuclei degli sciuscià; e finalmente nel dar vita ai Villaggi del fanciullo di Palermo, di Pozzuoli, di Roma, e specialmente di Santa Marinella, sede della sua Repubblica dei ragazzi, ov’egli risiede non più monsignore degli sciuscià, bensì ardimentosa e fiduciosa provvidenza per i «cittadini» da lui raccolti e curati. Ma nell’insieme i dati e gli episodi personali restano in una luce del tutto secondaria, tutto il risalto essendo riservato ai suoi ragazzi e all’opera per loro fondata.

* * *

Pessimismo ed ottimismo sono due visioni della vita, false ambedue perché l’una e l’altra parziali; ma se tra falsità e falsità si dove scegliere, senza incertezze la nostra preferenza andrebbe alla seconda. Nel pessimismo nulla si edifica: si resta nei mali lamentati, non certo diminuiti dalle lamentele, fondate o meno; l’ottimismo dà le ali all’ardimento: costruisce. Quest’ottimismo di buona lega vena tutto il libro e n’è il pregio più bello. L’autore lascia ad altri l’indulgere sugli elementi orripilanti e «veristi» della guerra: la sua ansia è tutta nella ricerca degli elementi di bontà e di sacrificio. Profondamente buono è il Papa nella sua inesauribile carità; buoni gli industriali d’Italia e d’America, e molto più buona la povera gente, che dà senza contare il suo obolo piccolo o grande per sollevare la miseria dei fanciulli d’Italia; angelicamente buone le suore e le signorine volontarie infermiere negli ospedali di guerra; buoni i chirurghi nel loro ufficio spesso in apparenza spietato tra le migliaia di congelati, e buoni i soldati che non si lamentano e perdonano a quanti hanno fatto loro del male; buoni i tedeschi, pur dietro quella loro inumana corazza di disciplina, che lasciano le sigarette per disseppellire una bambina, che si rimangiano, anche se senza farsi accorgere, gli ordini di sgombero già dati, che diminuiscono volontariamente la loro porzione di vitto per assicurare il cibo ad un ricovero di vecchi e di bambini; buono il soldato maomettano che, lontano dai suoi, muore rassegnato e riconciliato, con la mano tra le mani del sacerdote; buoni i soldati americani, che accarezzano e stringono al petto i bambini italiani come per ritrovare il caldo della loro famiglia lontana e desiderata; buone le religiose e i religiosi che, noncuranti di sé, si fanno e mamme e babbi e figli ai bambini orfani e randagi, ai vecchi, restati come tronchi fulminati in campi deserti; buoni soprattutto i ragazzi: sì, quegli stessi ragazzi che sono una delle pagine più tristi della guerra, ed una delle incancellabili vergogne degli uomini che la vollero.

A proposito dei ragazzi, dei suoi sciuscià, l’autore sfata una delle più ingiuste leggende, riducendo a valore episodico alcuni fatti da autori e da registi interessati portati a valore di regola e di consuetudine; distinguendo tra naturale (e per gli scugnizzi di Napoli: straordinaria) vivacità d’indole e prontezza d’ingegno, e malvagità d’animo; tra inesperienza di ragazzi, dalla fame spinti al guadagno, e la losca corruzione dei grandi, che li sfruttavano in nauseabondi ma molto redditizi mestieri; tra rozzezza in loro causata dall’ambiente originario fatto di sporcizia e di miseria, e poi dalla strada ove la guerra li gettò, e gentilezza d’animo e profondo senso di bontà, capace dei sacrifici più fini ed impensati. L’autore dimostra la fondatezza di questa sua visione ottimistica, non solo col fatto isolato, ma con l’esperimento cruciale dei suoi Villaggi, ove studio, pietà, industria, autogoverno danno miracolosamente i loro frutti, appena l’animo dell’ex sciuscià; trova un minimo di condizioni di vita umana ed un cuore tutto per sé: un cuore che tenga per lui il posto del papà e della mamma, dei fratelli e delle sorelle che la guerra crudele gli ha ucciso o disperso e ne trovi tutte le affettuose delicatezze: un cuore di sacerdote.

Se il pianto inumidisce gli occhi quando alcune pagine evocano i dolori e le gioie più semplici e più pure, più alte e più profonde di questa povera e pur bella umanità, con un dono di speranza si chiude la lettura di questo libro: c’è ancora posto per la fiducia quando tra le macerie della guerra spuntano tanto numerosi i fiori: c’è ancora un posto perché la bontà dia i suoi frutti in un mondo che, nonostante tutto, ancora conserva profonda l’orma e il richiamo di Gesù.

1 John Patrick CARROLL-ABBING, Il grido di Rachele. Storia dei ragazzi vittime della guerra, Corbaccio, Milano 1952, in-16º, pp. 256, con 4 ill. Prefazione di G. GOZZER.

2 La città dei ragazzi di P. Flanagan, Roma, A.V.E., 1951, in-16º, pp. 206. Libro molto interessante e in se stesso e per spiegare molte delle idee e delle attuazioni che sono argomento del Grido di Rachele. Dopo quattro capitoli, che tratteggiano gli anni dell’infanzia e della giovinezza e la stentata coraggiosa ascesa del Padre Flanagan al sacerdozio, il lettore non stenta a trovarvi la linea di sviluppo della sua «città dei ragazzi» (Boys’ Town di Omaha) sorprendentemente parallela a quella della «repubblica dei ragazzi» di S. Marinella. Le condizioni sociali e ambientali come occasione e causa della deformazione sociale e morale dei ragazzi in America, i principi pedagogici morali e religiosi del Flanagan (in gran parte riportati in brani tradotti dai suoi scritti), le sue prime esperienze sporadiche e quelle definitive coronate dal più lusinghiero successo, i primi tentativi e il successivo sviluppo del metodo dell’autogoverno, la sfida a tutte le pessimistiche previsioni dei benpensanti e la fiducia più illimitata nella Provvidenza...: altrettante tappe di un’opera colossale che l’autore descrive non solo con l’occhio dell’ammiratore, ma anche con l’affetto e la trepidazione dell’amico e dell’audace imitatore.

3 I tribunali dei minorenni negli Stati Uniti d’America, Roma, Pontificium Institutum Utriusque luris, 1951, in-8º, pp. 362. L. 1.800. A differenza degli altri due, questo non è un libro di narrativa ma di stretta ricerca scientifica, una prova della serietà con la quale l’indagine è stata condotta essendone l’amplissima bibliografia comprendente 442 voci. Nella prima parte tratta delle Origini del tribunale dai minorenni negli Stati Uniti d’America; nella seconda delle Leggi dei tribunali dei minorenni negli Stati Uniti d’America, il cui testo viene riportato nelle appendici. È molto utile la 100 lettura, tra l’altro, per ben lumeggiare l’ambiente morale e storico in cui visse e fece sentire il suo influsso il Padre Flanagan.

In argomento

Opere

n. 3068, vol. II (1978), pp. 154-158
n. 2985, vol. IV (1974), pp. 263-267
n. 2964, vol. IV (1973), pp. 564-569
n. 2916, vol. IV (1971), pp. 569-580
n. 2909, vol. III (1971), pp. 381-390
n. 2874, vol. I (1970), pp. 583-587
n. 2871, vol. I (1970), pp. 269-723
n. 2872, vol. I (1970), pp. 372-76
n. 2755, vol. II (1965), pp. 21-34
n. 2675, vol. IV (1961), pp. 449-463
n. 2674, vol. IV (1961), pp. 383-395
n. 2648, vol. IV (1960), pp. 159-176
n. 2646, vol. III (1960), pp. 602-617
n. 2631, vol. I (1960), pp. 277-290
n. 2628, vol. IV (1959), pp. 607-620
n. 2588, vol. II (1958), pp. 163-177
n. 2528, vol. I (1955), pp. 272-288