NOTE
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1 Cfr la protesta di mons. MARIO BESSON, vescovo di Losanna, Ginevra e Friburgo, nella Semaine catholique de la Suisse française, 10 gennaio 1929, riportato in Rivista del cinematografo, 1929, p. 75. Il film fu censurato e tagliato due volte dalla Filmprüfstelle di Berlino il 17 dicembre 1927 e il 10 gennaio 1928, e una terza volta, con venti tagli, dalla Filmobeprüfstelle, del 22 marzo 1928. Non ostante la stroncatura fattane dalla critica (cfr Filmtecnica, 1928, p. 87), l’Istituto centrale per l’eduazione di Berlino passò il film come educativo (volksbildend) e lo raccomandò alla gioventù protestante.

2 Vi partecipavano l’American Lutheran Church, l’Augustana Lutheran Church, l’Evangelical Lutheran Church, il Lutheran Church-Missouri Synod e l’United Luthran Church.

3 In collaborazione con la Lutheran Church Production, di New York, e la Luther-Film-GmbH, di Stoccarda.

4 Eisleben, Eisenach, Erfurt, Wittenberg ed altre città, teatro della vita di Lutero, trovandosi presentemente nel settore della Germania occupata dai russi, e questi avendo rifiutato il permesso d’ingresso, la troupe, dovette ripiegare sulla Germania occidentale. Molti interni furono girati nel vecchio convento cattolico di Maulbronn; altri furono girati a Wiesbaden.

5 La Gazette de Lausanne, il 26 agosto 1954, riportava che il film aveva aperto il Festival di Melbourne, accolto entusiasticamente dal pubblico; che a quella data già dieci milioni di spettatori l’avevano visto in America del Nord e quattro milioni in Germania; che la Twentieth-Century Fox di Hollywood lo stava introducendo in trentotto paesi, tra cui Svezia, Norvegia, Finlandia, Danimarca, Olanda, Inghilterra, Islanda, Svizzera, Etiopia, Austria e Iugoslavia; infine, che le sette americane protestanti erano già rientrate nei 451.000 (sic!) dollari da loro investiti.

6 La Legion of Decency, nel giudicare i film adopera le seguenti notazioni: A1 = Per tutti; A2 = Per adulti; B = Con riserva; C = Escluso; infine con una C.S. (separate classification), piuttosto rara. Tra i film notati con quest’ultima si ricordano: The Birth of a Baby e Blockade. Anche in Svizzera il film è stato notato con la classifica distinta: Protestantischer Propagandafilm (cfr Der Filmberater, 1954, n. 12).

7 Tra gli altri, più diffusamente sono entrati in lizza ROBERT WELCH, in The Providence Visitor, del 21 agosto 1953, e LON FRANCIS, coll’opuscolo: The Martin Luther Motion Picture: Unhistorical, unbiblical, unfair (Huntington, Indiana), che in seconda edizione, nel dicembre 1953, passava il mezzo milione di copie.

8 Questo stesso motivo le fece escludere tempo addietro l’inglese Oliver Twist, come ingiurioso agli ebrei nel personaggio di Fagin.

9 La Freiwillige Selbstkontrolle, commissione di autocensura dell’industria cinematografica per la Germania occidentale, istituita nel 1949, si compone di otto membri, dei quali: quattro sono rappresentanti del cinema e quattro sono scelti rispettivamente dallo Stato Federale, dai Länder, dalle «Chiese» e dai movimenti giovanili. Come rappresentanti delle «Chiese» funzionano a turno settimanale tre membri: uno cattolico, uno protestante e uno israelita. Per notizie più diffuse cfr Revue Internationale du cinéma, n. 11, 1952, p. 30 ss. Pari raccomandazioni aveva fatto la Conferenza episcopale della «chiesa» evangelica luterana unita di Germania, che esaminò il film a Tutzing (Baviera) nell’autunno del 1953; c’è chi parla di cinquecento metri così saltati via. Distributrice per la Germania se ne fece la società appositamente eretta Martin Luther Film GmbH.

10 Tra i protestanti ci fu chi osservò che, dopotutto, i cattolici non si potevano lamentare, dato che era stato loro concesso di proiettare film come Bernadette, Fatima e Thor des Friedens, contrari al credo dei protestanti; ragionamento, come si vede, che non fa una grinza, qualora si ritengano i diritti del falso uguali a quelli del vero; ma sfuggì loro che detti film, pur contrari al credo dei protestanti, non avevano né una parola né un accenno offensivo ad essi. In Svizzera, da parte cattolica hanno preso posizione: Der Filmberater (1954, n. 8), Ostschweiz (7 maggio e 24 luglio 1954); Neue Zürcher Nachrichten (2 aprile 1954). Da parte protestante, mentre si è approfittato del film come mezzo di propaganda delle loro «confessioni» (cfr le numerose pubblicazioni di Film und Radio), non si è mancato di levare lamenti sull’intolleranza flagrante della Chiesa cattolica, seguendo il Protestantischer Pressedienst, e dando luogo a una polemica che la Chiesa cattolica avrebbe voluto evitare, anche se prevista, e dunque accettata, dai luterani organizzatori americani.

11 Così una corrispondenza da New York a La Nazione di Firenze, rimbeccata da L’Osservatore Romano, 20 e 21 settembre 1954.

12 W. HESS, Martin Luther, Eine Einführung in sein Leben, Stoccarda, Evangelisches Verlagswerk, 1954, p. 68.

13 In campo cattolico il lettore potrà agevolmente ricorrere alle opere classiche di E. DENIPLE, Lutero e il luteranesimo, Roma 1905; L. CRISTIANI, Luther et le luthéranisme, Parigi 1908; L. VON PASTOR, Storia dei papi, vol. IV, Roma 1908; H. GRISAR, Lutero, la sua vita e le sue opere, Torino 1946. Ad esse per lo più lo rimandiamo nelle nostre frequenti citazioni.

14 Prova ne sia il recentissimo Martino Lutero, di R. CESSI (Torino, Einaudi, 1954), non certo noto per il suo clericalismo; egli sostiene che «la riforma luterana fu soprattutto un processo spirituale, esploso da lenta elaborazione dell’anima tedesca posta di fronte ai problemi proposti dalla rinascita spirituale suggerita dal soffio umanistico», data la «diversa reazione del mondo latino e del mondo germanico» (ivi, p. 314).

15 Cfr H. GRISAR, p. 439 ss. Lo stesso cardinal PALLAVICINO, iniziando la sua Storia del concilio di Trento, non dubitò di riconoscergli, con lati meno felici, alcune buone qualità: «Ebbe ingegno acuto, e vivace, fu amator dello studio, ed in esso infaticabile di corpo e di mente. Non essendo povero di letteratura, ne pareva ricchissimo, perché portava tutto il suo capitale nella punta della lingua. E con la prontezza di essa, aiutato dalla robustezza de’ fianchi, riportava sempre l’applauso di coloro, i quali giudica i disputanti più col senso che coll’intelletto...».

16 E. DENIFLE, op. cit., p. 385 ss.; H GRISAR, op. cit., pp. 55, 58 ss.

17 H. GRISAR, op. cit., p. 105 ss.; L. VON PASTOR, op. cit., voi. IV, parte I, pp. 248-249.

18 Non saremo davvero noi a pretendere che l’artista tutto dica e nulla taccia del vero, e sappiamo benissimo, che, nel cinema soprattutto, date le peculiari caratteristiche del suo linguaggio, amplissimo è il diritto di scelta; ma poniamo ai cineasti un dilemma: o essi volevano fare un documentario didattico storico, ed allora dovevano rinunciare ad inventare e a scegliere e tenersi al dato di fatto; o volevano fare opera di creazione, ed allora potevano scegliere, tagliare e inventare pure a loro bell’agio, ma non dire poi di aver fatto opera criticamente storica.

19 L. CRISTIANI, op. cit., p. 184 ss.; H. GRISAR, op. cit., pp. 188 ss., 191 ss., 284, 335 ss., 343, 361 ss., 378, 458, 509 ss., 530 ss.

20 H. GRISAR, op. cit., pp. 188 ss., 454 ss., 459 ss.

21 E. DENIFLE, op. cit., p. 138 ss.; H. GRISAR, op. cit., pp. 224 ss.; 447 ss.; 405 ss.; L. CRISTIANI, op. cit., p. 95 ss.

22 L. CRISTIANI, op. cit., p. 157 ss.; H. GRISAR, op. cit., pp. 34 ss., 58 ss., 81 ss., 183 ss., 332 ss., 454-470. Inoltre su quest’argomento cfr E. RIVARI, La mente e il carattere di Lutero, Roma 1914; P. REITER, Martin Luthers Umwelt, Charakter und Psychose, Kopcnhagen 193,7-41.

23 E. DENIFLE, op. cit., p. 44 ss. e passim in tutto il volume; H. GRISAR, op. cit., pp. 366, 374, 487, 491 ss.; L. CRISTIANI, op. cit., p. 118 ss.

24 E. DENIFLE, op. cit., pp. 98 ss., 127 ss., 287-306; L. CRISTIANI, op. cit., 207-258; H. GRISAR, op. cit., pp. 475-491. – Per la validità del matrimonio tra fratello e sorella, tra genitori e figli, farebbe fede la revisione fatta da Lutero al parere dello Spalatino, dato a rivedere a Lutero stesso da Giovanni elettore di Sassonia il 3 gennaio 1528; parere e revisione riportati dal BURKHARDT, in Martin Luthers Briefwechsel, pp. 128-130. Cfr E. DENIFLE, op. cit., p. 312, nota 2.

25 L. CRISTIANI, op. cit., p. 286 ss.; H. GRISAR, op. cit., pp. 295 ss., 315, 467.

26 H. GRISAR, op.cit., pp. 120 ss., 209 ss., 431 ss., 512 ss. – Il rilievo è di Erasmo da Rotterdam, che rimproverava a Lutero la turba di religiosi, i quali, seguitolo, fecero sorgere «una nuova razza di monaci molto più viziosa dei precedenti, per quanto questi fossero cattivi».

27 W. HESS, op.cit., p. 11. Non diversamente fa l’opuscolo di propaganda distribuito dalla Luther Film all’ultima Mostra veneziana, pieno di tante falsità storiche quanti sono gli spropositi di lingua che lo decorano.

28 Particolarmente valida è l’indagine conodotta da E. DENIFLE, op. cit., pp. 150 ss., 395 ss., 438-461.

29 Anche il viaggio di Lutero a Roma vi è dato come voluto dallo Staupitz a rimedio delle sue angustie di coscienza, quando invece consta che egli l’intraprese contro lo stesso Staupitz per mene interne dell’ordine agostiniano in Germania.

30 E. RIVARI, op. cit., pp. 195 ss., 241 ss. Per il nuovo genere letterario cfr in particolare H. GRISAR, op. cit., p. 435. – I produttori americani potevano trovare la controprova di quanto diciamo nel Dies irae (1943) di Carl Theodor Dreyer, che oltre al merito d’essere una delle poche opere artisticamente valide prodotte dal cinema, ha pure quello di dimostrare quanta pace interiore sia capace di produrre, e di fatto produce, la dottrina di Lutero proprio là dove ha potuto svilupparsi ed operare, diremmo, allo stato puro, come in una cultura in vitro. Il Dreyer infatti ambienta l’azione in un villaggio della Danimarca, sua patria, dove la «riforma» fu introdotta con la forza e con la più diabolica astuzia del Bugenhagen, discepolo prediletto di Lutero, e perdura, si può dire, a tutt’oggi, fedele alle origini. Orbene, il mondo del vecchio pastore Absalon, di sua madre e di suo figlio Martin, il mondo di Anna e di tutti i personaggi che le fanno corona, è un mondo di disperati, che sanno ogni momento di esserlo e sanno che non possono non esserlo; un mondo in cui il male è un fato incombente, al quale non è possibile opporsi. Tutti cercano la pace, ma non la trovano. Ognuno di essi è un tormentato chiuso nel suo tormento, un’esistenza che è colpa solo perché esistenza, contro la quale nulla può la grazia di Dio, nulla il suo Libro, nulla la fede. Essi pregano, ma nessuno risponde loro; non Dio, che si nasconde inaccessibile oltre le nubi; non Cristo, macabro cadavere schiodato, le cui piaghe non si aprono a misericordia, ma solo a ricordare una legge impossibile ad osservare; non gli angeli e i santi, non l’ecclesia delle anime, peccatrici sì, ma redente. Un mondo popolato di streghe e di roghi, in cui i vivi, senza speranza, invidiano i morti, senz’avvenire. Vuoto e angoscia di una filosofia che ha fatto dell’uomo il centro e la misura di ogni realtà, dopo averlo svotato d’ogni valore essenziale negandogli ogni dipendenza con l’Esistente eterno.
Quanto del vuoto dei personaggi del Dreyer non si ritrova nella desolazione dell’esistenzialismo del Kierkegaard? e quanto dei germi della filosofia dell’angoscia non derivano dalla teologia di Lutero? E pensare che egli mosse alla distruzione di tutte le verità ammesse dalla Chiesa cattolica, proprio per trovare e per dare la pace interiore! Di quanta amarezza si carica, alla luce di queste domande, la considerazione con cui i cineasti della Louis de Rochemont Associates, dopo la loro prodezza, osano menar vanto dell’impresa di Lutero, notando che essa, «allora iniziata, ha dato l’impronta al nostro tempo». Purtroppo!

31 Lo provò, tra gli altri, niente di meno che Volfango Goethe, ii quale si allontanò dal cristianesimo perché non se la sentì di accettare la dottrina luterana di una natura umana corrotta dal peccato originale fino alle sue ultime radici, e che spiegava la costante diminuzione dei protestanti alle funzioni religiose, con la sterilità della loro vita sacramentale (Cfr Dichtung und Wahrheit, parte III, lib. 15; parte II, lib. 7).

32 L’Osservatore Romano, cit.

33 Tra gli ultimi a parlarne in Italia è stato La luce, periodico evangelico valdese (7 genn. 1955), il quale gli dedica quattro colonne, in cui le poche verità rilevate si perdono in una congerie di notizie approssimative, di contraddizioni e di affermazioni ed illazioni arbitrarie.

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Articolo estratto dal volume I del 1955 pubblicato su Google Libri.

Il testo è stato corretto dai refusi di stampa e formattato in modo uniforme con gli altri documenti dell’archivio.

I riferimenti ai documenti del magistero pontificio sono stati resi interattivi e portano al sito del progetto “Chiesa e Comunicazione”, la biblioteca digitale online che prosegue l’attività iniziata da p. Baragli con le opere Cinema cattolico: documenti della Santa Sede sul cinema e Comunicazione Comunione e Chiesa.

ARTICOLO SU

Chi si salva dai cineasti? Non certo un uomo noto come Martin Lutero!

Già nel 1920 in Germania gli dedicavano un film. Nel 1927 il regista Hans Kyser ritentava la prova, chiamando a interpretarlo il grande attore Eugen Klöpfer. All’uno e all’altro film l’interesse spettacolare non mancò; ma li seguirono molte polemiche. I cattolici vi denunciarono mistificazioni, dettate da settarismo e da brama di lucro1, i protestanti inoltre vi deplorarono omissioni e, teorizzando, sostennero che il cinema, anche volendo, non poteva rendere la genuina fisonomia della «riforma» e degli uomini che la promossero. Fu valido il loro argomentare? Fatto sta che per venticinque anni lo schermo, nel frattempo diventato sonoro, tacque di Lutero. Solo nel 1951 ruppe il silenzio il regista tedesco Kurt Oertel, col documentario Il ribelle ubbidiente (Der gehorsame Rebell), girato nello stile sobrio ed oggettivo dell’altro suo apprezzato Michelangelo, (1940), e l’anno testé decorso sono tornati sull’argomento clamorosamente i luterani americani col Martin Luther, film a soggetto, prodotto con larghi mezzi tecnici e con non comuni pretese artistiche. Per la storia: l’Eighth Church National Lutheran Council, il 4 febbraio 1953, in Atlantic City, stanziava per esso 400.000 dollari2; s’incaricava della produzione la Louis de Rochemont Associates3, e della regia il noto Irving Pichel, il quale si circondò di buoni attori di lingua inglese: primo tra essi Niall Mc Ginnis, chiamato ad interpretare Lutero. La Germania fornì i luoghi e le comparse4.

Ai primi di settembre dello stesso anno, il film veniva proiettato a New York; indi prese a circolare in cinema protestanti o non confessionali, ma periferici; presto però l’interesse della vicenda, i pregi tecnici e artistici, l’appoggio dei luterani, dei metodisti e degli ebrei, che ne comprarono i biglietti in blocco a metà prezzo per rivenderli a prezzo intero, lo portarono nei grandi cinema pubblici, prima degli Stati Uniti e poi fuori5, avviandolo, forse contro le previsioni del produttore e dei suoi finanziatori, tra i grandi successi economici.

Reazione cattolica

Negli Stati Uniti, gli esaminatori hollywoodiani non trovarono che il film fosse contrario al Codice Hays e gli dettero senza difficoltà il lasciapassare; la Legion of Decency, forse pensandosi che non sarebbe passato dall’uso privato dei protestanti al circuito commerciale, e non volendo dare esca a polemiche religiose, si limitò a notarlo con la classifica distinta (separate classification), riservata a quei pochi film ch’essa giudichi non offensivi della morale, ma che a spettatori non preparati possono suggerire interpretazioni e conclusioni errate6. Le reazioni della stampa furono meno riguardose, dando ragione all’Eighth Church National Lutheran Council, che aveva previsto polemiche, specialmente da parte della Chiesa cattolica7.

In Canadà, la Commissione di censura statale di Quebec all’unanimità negò il nulla osta al film, perché ingiurioso ai cattolici e causa di polemiche tra questi e i protestanti8.

In Germania, il 4 dicembre 1953, a Wiesbaden, il film fu sottoposto all’esame della Freiwillige Selbstkontrolle, in cui era, quale rappresentante religioso, un membro della «chiesa» evangelica. Qui, salvo la proposta di alcuni cambiamenti e di qualche taglio, fu dichiarato non solo buono, ma anche adatto ai giovani, e formativo, e tale da consigliarsene la proiezione nei giorni di Venerdì santo, dei Morti e di altre ricorrenze religiose9. E così ai primi del 1954 venne immesso nel circuito dei cinema pubblici. Ma nell’incontro tra cattolici e protestanti, tenutosi a Bonn il 2 marzo dello stesso anno, l’edizione così corretta non riscosse pari unanimità di vedute; i membri cattolici lo giudicarono un’aperta minaccia alla pace religiosa e ne chiesero l’esclusione; tutti i membri protestanti ne dettero un giudizio negativo, escluso il rappresentante dell’episcopato luterano, che l’approvò e lo sostenne in pieno. In definitiva si concluse che il film meritava acerbe critiche, ma che ormai la sua proiezione in Germania era inevitabile10.

La breve analisi che ne faremo aiuterà i nostri lettori a formulare un giudizio obiettivo su di un film esaltato, purtroppo, da un italiano, come un «alto messaggio di fede e di speranza nella dignità umana; un’esposizione di fede religiosa rivolta in termini non equivoci a quanti credono nell’immortale e fondamentale dignità dell’uomo ed alla sua missione sulla terra»11, ma che noi deploriamo come un’offesa ai cattolici e un infelice tentativo di approfondire oggi il taglio sanguinoso prodotto quattro secoli e mezzo fa da Lutero nell’unità religiosa del mondo cristiano.

Storia od invenzione?

Erfurt, 1505: un universitario sui ventidue anni distribuisce ai suoi compagni le sue cose e veste l’abito agostiniano; prega, si macera fino a cadere esausto, in cerca di una pace di coscienza che non trova, né nei consigli ed aiuti del suo maestro Staupitz e neanche quando, ordinato sacerdote (1507), celebra la prima messa. 1510: viaggio a Roma, tanto ricca di reliquie e di santuari quanto d’intrighi e di fasto mondano; Wittenberg: il giovane, ormai professore, viene folgorato dal detto di san Paolo ai Romani: «Il giusto vive di fede» (Rm 1,17). 1517: il Tetzel predica l’indulgenza di Leone X; Lutero affigge le sue novantacinque tesi alla porta della Schlosskirche. Disputa di Lipsia. 1520: bruciamento della bolla di scomunica. 1521: fatidica dieta di Worms. 1525: nozze con Caterina von Bora. 1530: Confessione Augustana, che rende insanabile la secessione dei «protestanti»; Lutero istruisce il nuovo popolo nella nuova «chiesa», ed esso, riprendendo il motivo con cui la vicenda s’era aperta, canta in coro: «Una città forte è il nostro Dio». Questi, in breve, gli avvenimenti raccontati dal film.

«Verissima storia» preammonisce il produttore alle prime luci che animano lo schermo: «Questo film è il risultato di ricerche accurate e riproduce avvenimenti storici»; «Storia scrupolosa» rincalza il dottor Wemer Hess12, sfoggiando in un’illustratissima pubblicazione sorprendenti rassomiglianze fra gli attori del film e i personaggi della vicenda, tramandatici nelle tele e nei rami di Luca Cranach, del Dürer e di Raffaello, e insistendo che luoghi e musiche sono della Germania del secolo XVI, e che costumi, vita e usanze della liturgia cattolica e della vita conventuale raggiungono una rara precisione di verità (non per nulla come consulente tecnico s’è prestato un infelice ecclesiastico tedesco, passato dal cattolicismo al protestantesimo).

Orbene, uno che conosca sia pure superficialmente la vita di Lutero, la sua opera e il suo tempo13, già a priori potrebbe dimostrare molto problematica l’affermata storicità, prima di tutto per la complessità della stessa vicenda storica al centro della quale campeggiò il «riformatore».

Egli si trovò tra due secoli, anzi tra due ere, l’una contro l’altra. Il fragore delle idee superava allora quello delle armi; l’umanesimo, che già aveva battuto in breccia, in Italia, le mura ormai fatiscenti della chiusa cittadella medievale, irrompeva nei ceti popolari di tutta Europa, e particolarmente di Germania, con un’azione tanto più impetuosa quanto meno erano preparati a un’esperienza rivoluzionaria; il bacino del Mediterraneo, da mare che era, di colpo s’era trovato ad essere un lago, e le nazioni europee, non più gravitanti su di un centro comune, si sentivano come proiettate da una forza centrifuga verso i confini imprevedutamente dilatati del mondo; con maggiore impeto si diffondeva la cultura, in forza del miracoloso ritrovato della stampa, mentre una specie di ubriacatura libertaria eccitava gli uomini della nuova era; dalle terre recentemente scoperte le ricchezze affluivano in Europa, dove un benessere prima non mai visto parve dimostrare finalmente l’età dell’oro.

In quel mondo, che vedeva scossa l’incastellatura di pensiero che aveva sostenuto la società medievale, contro le forze coalizzate della cultura paganeggiante e dei nascenti nazionalismi, l’autorità degli uomini della Chiesa si opponeva malsicura; gli interessi mondani e la corruzione dei costumi ne avevano bacato molti rappresentanti dal più basso al più alto livello della gerarchia, proprio quando essa aveva più bisogno di prestigio per riaversi dai duri colpi infertile dallo scisma d’occidente e dalle querele sul concilio. Un sordo senso di malessere serpeggiava nella cristianità e si tradiva in libri e libelli di lamentele sulle piaghe della Chiesa e in disegni di riforma, e, come suole avvenire dopo guerre perdute o al concludersi di cicli storici, quando le vecchie strutture si rivelano non più funzionali e le nuove non sono ancora approntate, una diffusa impressione di smarrimento mortificava anche i buoni, ignari forse dei germi di nuova vita, che, solo dopo qualche decennio, avrebbero portato la Chiesa alla vera riforma.

Dato e non concesso che si possano trovare soggettisti, sceneggiatori e registi i quali dominino problemi tanto complessi da restarne disorientati anche storici, sociologi e saggisti di vastissima cultura14, quale magia di linguaggio cinematografico riuscirebbe a trattarli efficacemente? E qualora l’argomento vi si prestasse, quante ore di spettacolo occorrerebbero per presentarlo non troppo incompleto, vale a dire non falsato?

Ma nel caso nostro la stessa natura del soggetto non vi si prestava. Abbiamo visti dei film su Giulio Cesare e su Nerone, su Edison e sulla Curie, su Pasteur e su Koch e su decine di altri personaggi celebri, le cui vicende militari o scientifiche erano cinematograficamente rappresentabili; ma i produttori si sono guardati bene dall’imbastire film su Aristotele, su Cartesio e su Kant, su Manes, Baio e i modernisti, Marx, Engels ed altri rivoluzionari del pensiero, della vita religiosa o delle teorie sociali; e se qualche volta ci si sono arrischiati, l’hanno fatto limitandosi alla più superficiale aneddotica o deliberatamente lavorando di fantasia, niente affatto solleciti della storicità, sapendo che essa, presente o meno, nulla avrebbe aggiunto o tolto al valore spettacolare o artistico dei loro film. E tale appunto è la condizione di Lutero. La sua vita e la sua «riforma» si svolsero sì tra guerre e convegni, viaggi e cerimonie, libri e dispute, ma non si esaurirono in siffatti elementi esterni. Essenzialmente il suo dramma fu di pensiero: filosofico e teologico. Per enunciarlo al pubblico, oggi ignaro al sommo di questioni dommatiche non si può fare a meno di parlare di grazia e di libero arbitrio, di redenzione e di predestinazione, di peccato e d’indulgenze; bisognerebbe distinguere tra giustificazione intrinseca e giustificazione estrinseca, chiesa indifferenziata e Chiesa gerarchica, libri canonici e libri non canonici, sacerdozio carismatico e sacerdozio sacramento, fede teologica e fede fiduciosa...: tutte nozioni che strutturano la secessione luterana, ma che non si vede come possano essere sodisfacentemente tradotte nel linguaggio cinematografico, il quale si articola con elementi prevalentemente visivi e plastici.

Ma supponiamo pure che tutte le difficoltà connesse col linguaggio cinematografico possano superarsi: tuttavia un film storico su Lutero resterebbe sempre impresa disperata perché insuperabili restano le difficoltà dipendenti dalle relazioni che legano Lutero ai suoi panegiristi. È noto infatti che tra le centinaia di sette protestanti odierne non una ve n’è che segua integralmente la «riforma» di Lutero; le variazioni dottrinali ed organizzative, numerose già durante la vita del «riformatore», hanno sempre più accelerato la forza centrifuga impressa loro dai due dommi originari di Lutero: interpretazione individuale del «Libro» e fondamentale «libertà del cristiano». Ne segue che oggi non c’è protestante che possa presentare un suo Lutero senza urtare la suscettibilità di molti altri, negando, in parte o in tutto, ciò che essi ne derivano o gli attribuiscono. Per conseguenza, un film su Lutero fatto da protestanti non può non riuscire film di deteriore propaganda religiosa; infatti, o esso presenta un Lutero ad usum di una setta, e necessariamente si porrà contro tutte le altre; o tace di tutto ciò che divise fin dalle loro origini i protestanti e li divide tuttora, e si limita a rilevare il minimo denominatore comune a tutte: in questo caso ogni storicità del personaggio sarà maggiormente compromessa. Egli non sarebbe più il Lutero in carne e ossa che gli storici cercano di ricostruire, ma il disincarnato iniziatore di un movimento religioso, il simbolo di una rivolta. Il suo merito sarebbe più in ciò ch’egli ha distrutto che in ciò che ha edificato; e siccome quello che egli ha combattuto non è altro che la compagine dei dommi essenziali della Chiesa cattolica romana, la esaltazione del «riformatore» non sarebbe altro che un attacco diretto contro di essa.

E questo infatti è avvenuto. Il film non scende ai particolari dottrinali della riforma luterana: perciò i protestanti, pur rilevandovi ciascuno interpretazioni discutibili, lo possono, sì, trovare accettabile nel suo insieme; ma non c’è cattolico che non possa biasimarlo come un falso storico e un’ingiuria alla Chiesa e alla sua dottrina.

Un falso storico

Il film da capo a fondo è tutto un’esaltazione di Lutero, dato per eccellentissimo in ogni valore umano e religioso. Non saremo certo noi a negarglieli tutti in blocco, seguendo l’equanime giudizio dei più quotati storici cattolici15; ma alcune affermazioni le giudichiamo manifestamente false.

Il film, per esempio, mostra un Martin Lutero sempre piissimo religioso e mortificatissimo penitente; ma questa è storicamente provata come una tardiva leggenda messa in circolazione da Lutero stesso e dimostrata falsa dai suoi più seri biografi16. Il film magnifica Martin Lutero come dialettico sottilissimo e teologo ferratissimo, facilmente vittorioso sull’Eck nell’incontro di Lipsia, quando invece i verbali di quella disputa e Lutero stesso confessano che per lui lo scontro cominciò male e finì peggio17. Il film vanta Martin Lutero eroe coraggiosissimo, e in particolare lo mostra imperterrito tener fronte ai teologi, ai principi e all’imperatore nella dieta di Worms; ma le fonti per quella circostanza non riportano nulla di eroico e, per il resto della vita, qualche volta lo mostrano tanto poco coraggioso a fatti quanto violento negli scritti, in ogni caso sempre attaccato alla protezione armata dei principi, come un Bernardo l’eremita rannicchiato nella sua conchiglia.

Ma nel film, circa la persona di Lutero, più vistoso del falso affermato è il vero taciuto18. Esso, per esempio, si dimentica di ricordarci che Lutero fu in singolar misura credulone e superstizioso da ragazzo e che continuò ad esserlo da religioso e in tutta la sua vita di «riformatore». Il visionario Giovanni Hilten, burlato dai suoi confratelli, e il vecchio di Meiningen, per lui sono profeti; ebbe come idea fissa la fine del mondo, e una volta la fissò addirittura all’anno 1548; credeva alle streghe e consigliava di bruciarle senza misericordia, vedeva diavoli sempre e dappertutto. Oh, il bel materiale plastico che il regista avrebbe trovato se avesse voluto mostrarci il suo eroe circondato da diavoli, i quali ad Erfurt gli fanno schiantare una cantoria, a Gotha gli gettano pietre dal tetto della chiesa, in Wartburg – lo racconta lui stesso – gli si fanno incontro come un cane nero, ch’egli afferra e butta giù da una finestra. A Wittenberg il diavolo gli si dà a vedere come un maiale nero e un’altra volta gli corre appresso nel corpo di una isterica; a Coburgo gli si mostra «come un serpente di fuoco, che mandava fiamme, e faceva le giravolte e i contorcimenti più strani, scendendo dal tetto della torre più vicina al giardino»19. Tacendo dei demoni, naturalmente il film tace anche dei modi con cui Lutero se ne difendeva, pennellata efficacissima a ritrarre la sua genuina fisonomia; eppure egli stesso confessa reiteratamente che, non sempre riuscendogli efficace la poca preghiera che faceva, né l’ampio uso della Scrittura, della fede fiduciale, di amici e di musica, ricorreva, e li consigliava ai suoi, ad altri mezzi piuttosto originali, quali inveire contro il papa, il parlare sboccato, il peccare grossolanamente, il bere bene, il sollazzarsi con piaceri sensuali ed in altre maniere tra la più triviali20.

Si tace anche di uno dei tratti più caratteristici del «riformatore», notissimo e spinoso per tutti i suoi biografi e per quanti abbiano un minimo di familiarità coi suoi scritti: vogliamo dire la sua incredibile volgarità di linguaggio. Noi, obbligati ad accennarvi, non lo facciamo senza pena, anche per il disgusto che ogni lettore civile ne proverà; ma stia pur sicuro: non riferiremo più della millesima parte di quel che potremmo tirar fuori dalle opere di Lutero. Prediche e scritti, opuscoli e trattenimenti conviviali ne traboccano. Per lui gli avversari son sempre pancioni, porcai, servi di cani, fanatici, balordi, ubriachi, figli del diavolo, sacchi di vermi, tangheri grossolani, sguatteri, lenoni. Il vocabolario animalesco non gli procura sufficienti termini: vipera, asino, montone, mulo, oca, porco, troia si sprecano; i suoi auguri sono: Va’ al diavolo! Va’ ad impiccarti! A dirla in breve nella letteratura tedesca del tempo, peraltro non scarsa di volgarità e di sconcezze, Lutero batte tutti i primati. I suoi compagni di tavola, nell’appuntare che facevano le sue conversazioni, spesso non ardivano scrivere quel che egli non arrossiva di dire, e supplivano con dei discreti I ed X; ed anche oggi i suoi biografi non hanno sempre il coraggio di riportare in volgare le sue enormità, e ripiegano sul latino. Zuinglio, per non soccombere sotto la valanga delle sue sporcizie, che tenevano il luogo di argomenti, fu costretto ad emularlo in volgarità, e un santo come Tommaso Moro, letto l’immondo libello lanciato da Lutero contro Enrico VIII, notava indignato: egli «non parla se non di latrine, di sterco e di fango; mena intorno la lingua più oltraggiosa e più sudicia di quella di qualunque villanaccio...»21.

Si tace anche di altre tare, che riducono l’eroe della «riforma» per molti riguardi a un pover’uomo. Consta infatti dalle fonti che egli fu più che mediocremente inclinato alla sensualità, cui spesso soccombeva; era soggetto ad allucinazioni, a tremori, a subiti spaventi e crisi depressive, aggravate da assalti epilettici, i quali, forse, più che le presunte penitenze, spiegano i suoi non rari deliqui. Risentiva dei difetti dei suoi genitori: una madre che lo picchiava a sangue per una noce, un padre, rozzo minatore, che uccideva un uomo in un eccesso di rabbia. Frequenti in lui le decisioni improvvise: la subitanea morte di un amico e lo scoppio di una folgore lo spingono inopinatamente in convento; numerose anche le idee fisse a tipo maniaco, difese caparbiamente contro ogni evidenza di autorità, di testi e di ragioni; uno sragionare lucido che non gli fa avvertire le contraddizioni più grossolane; uno spingere le cose verso il peggio, prima non prevedendone le funeste conseguenze, poi impaurendosene, indi esaltandosene; infine, una superbia smisurata. A chi gli oppone che il sola non si trova in Romani 1,17 egli fa rispondere: «A questi somari, ed al loro stupido piagnucolio sulla parola sola, si deve rispondere solo così: Lutero vuole che la cosa sia così e dice che egli è un dottore sopra tutti i dottori del papato». Erasmo da Rotterdam, già suo amico, diagnosticò che «o l’odio gli avesse fatto dar di volta al cervello, o, quanto meno, che una malattia psichica lo affliggesse, o che fosse ossessionato da uno spirito cattivo». Uno psichiatra oggi più semplicemente ne darebbe una diagnosi, che, lungi dall’infierire contro Lutero, gli gioverebbe, perché ridurrebbe la sua responsabilità in fatti, i quali, se da lui pienamente avvertiti e voluti, lo dimostrerebbero non più oggetto di compassione, perché malato, ma degno d’infamia, perché disonesto22.

Chi, infatti, dei suoi biografi non conosce la sua teoria e la sua prassi in tema di mendacio necessario? Il nostro Machiavelli vi sfigura23. Chi non conosce la sua formulazione, intesa da non pochi suoi contemporanei come un lasciapassare a delinquere, che cioè i grossi peccati sono utili per fare un dispetto al diavolo e al papa suo emissario? Chi non sa che egli, quando ne sperava un utile, lodò il divorzio e i «matrimoni» di Enrico VIII, già da lui definito porco? Chi non conosce il suo atteggiamento nella bigamia di Filippo d’Assia, giudicata poi da lui stesso «una sporcizia da non mettersi sotto il naso di tutti», e da uno storico come il Bezold «la macchia più nera della storia della riforma»? E veramente non si crederebbe: egli autorizzò per iscritto la bigamia e, quando il fatto venne a conoscenza del pubblico, ricorse a una «buona e forte bugia», temendo di perdere Filippo come partigiano della sua rivoluzione religiosa. E chi non ricorda che egli aprì la via a una pericolosa libertà in cose sessuali, sostenendo impossibile la castità e predicando che l’uso dell’uomo con la donna è necessità come il mangiare e l’andar di corpo?24. Eppure, di tutto questo nulla trapela nel film. Ma non basta.

Lutero in esso è un eroe nazionale, il vindice della libertà contro la tirannia, l’uomo pacifico che assicura al popolo tedesco un’era di pace, quando invece consta che egli fu intransigente e incredibilmente totalitario; egli, infatti, fu a far cantare ai bambini: «Conservaci, o Signore, la tua parola – e manda la morte al papa e ai turchi...»; egli aizzò i suoi contro i religiosi e gli ecclesiastici che non lo seguivano, e stabili, evidentemente in omaggio alla libertà di parola e di culto, che «in un medesimo luogo si deve predicare in un modo solo»; egli invocò l’intervento dell’autorità civile per piegare chi non volesse credere a lui, massimo dei profeti, e raccomandò di «ricorrere a Mastro Impicca» per mettere a posto chi gli si opponeva; egli patrocinò l’espulsione degli ebrei ed egli armò la mano dei suoi potenti protettori contro «i contadini assassini»: «Sì, mena le mani, ferisci, strangola, batti bene, come in mezzo ai cani arrabbiati, e questo se lo puoi e come lo puoi». I soldati facciano pure allegramente le loro stragi: non per questo si chiuderà loro il paradiso: anzi! Perché «Iddio impicca, mette alla ruota, decapita, strozza e fa la guerra... Io, Martin Lutero, ho colpito nella loro sollevazione tutti i contadini, poiché proprio io ho comandato di farne macello: tutto il loro sangue ricada su di me. Ma io lo rigetto sopra il nostro signore Iddio: è stato lui a comandarmi a parlare a quel modo»25.

Noi non neghiamo le crudeltà commesse dai contadini rivoluzionari, né ignoriamo le passioni che avevano accecato ambedue i partiti; c’interessa solamente il linguaggio sanguinario di Lutero: altro che sguardi compunti e canti di giubilo, con cui liricamente si chiude il film americano!

Un falso dottrinale

Come abbiamo già osservato, il film non tratta ex professo del contenuto dottrinale della «riforma» luterana; eppure, nei pochi tratti coi quali cerca di ambientarla nel suo presunto clima storico, quanti errori e quante falsità! Tutti i più vieti pregiudizi protestanti sulla Chiesa cattolica vi sono ammanniti, non in tono polemico, che almeno avrebbe posto lo spettatore in posizione di combattività, ma in stato di opinione corrente, come se qualsiasi discussione su di esse fosse, nonché difficile, del tutto impensabile.

Si conoscono almeno ventisette traduzioni tedesche della Scrittura anteriori a quella di Lutero, e ben nove edite prima che egli venisse al mondo: ma il film fa capire che prima di Lutero la Bibbia in volgare era sconosciuta e addirittura incatenata, sicché al monaco sassone andrebbe riconosciuto il merito di averla portata a conoscenza del popolo; quindi dà per pacifico che la Chiesa romana aveva tradito, e tradisce tuttora, la sua missione serrando ai fedeli l’unica fonte della rivelazione. Sulle indulgenze e sulle reliquie non un accenno di differenze tra legittime dottrine della Chiesa e abusi di uomini, fra tradizioni ineccepibili e deviazioni popolari: tutto è buttato in un fascio tra le superstizioni grottesche, che fanno ingiuria ai meriti di Cristo, unico salvatore; e per dar maggior rilievo alla loro assurdità, una sequenza dimostra un ubriaco pronto a peccare sul salvacondotto dell’indulgenza concessagli dietro congruo versamento di danaro, dandoci per storia genuina una malevola invenzione.

Pari arbitraria manipolazione di verità storica e di dottrine religiose manifesta il procedimento implicito che tende a dimostrare la bontà della «riforma» arguendo dai suoi frutti. Osservate – sembra dire il regista – chi è contro Lutero! Un Leone X, gaudente ed avido di danaro, un Tetzel, suo degno servitore, ben pasciuto, fanatico ed ignorante, un Carlo V, inetto e ridicolo, un Eck incapace, una manica di dignitari, secolari ed ecclesiastici, tutti pavidi e vili! E guardate poi chi sta con Lutero: Melantone, colto ed asceta, gli elettori, pii e coraggiosi, Caterina von Bora, intelligente ed affettuosa, e tutto un popolo di brava gente e di galantuomini... Che cosa attendete a giudicarli col metro di Gesù Cristo: Ex fructibus eorum cognoscetis eos? (Mt 7,20).

Chi non scorge in siffatto modo di procedere semplicista un radicale difetto, oltre che di logica elementare, di cultura storica? Chi non ricorda che, pur ammettendo i difetti che ombravano il popolo cristiano e il clero nel secolo XVI, non tutto vi era corrotto e tralignato, mentre tutt’altro che rose e fiori olezzavano nel feudo di Lutero? Basti ricordare che, tra i principi, Federico di Sassonia, non sposato, aveva due figli e una figlia, era beone e sodomita; Gioacchino II di Brandeburgo era circondato da cortigiane; Filippo d’Assia, la comoda conchiglia dello zelante paguro sassone, era irreligioso, sifilitico, e si vantava di non essersi conservato fedele alla moglie per più di tre settimane; Ermanno Jonas era meticoloso moltiplicatore di entrate; Ulrico von Hutten era sifilitico; e che la «riforma» di Lutero servì in gran parte di benefico spurgo al marciume che avvelenava la Chiesa, come con numerosi esempi si potrebbe mostrare26.

Seguendo lo stesso filo logico, il film indulge nell’opporre il clima di gioiosa serenità irraggiata sulle anime, e per riflesso anche sui volti, dei «riformati», a quello d’incubo disperato che, secondo i protestanti, preparò e rese necessaria la «riforma».

Agitazione e timore pesavano sugli uomini, morte e peste infuriavano fra di essi, lasciando dietro a sé indicibili spaventi. Nella Chiesa era diffusamente muto il messaggio consolatore della grazia e dell’amore di Dio. Ai fedeli venivano proposti il fuoco del purgatorio e i tormenti dell’inferno. Persino in Gesù Cristo si vedeva ormai solo il giudice del mondo, senza misericordia, davanti alla cui ira i fedeli dovevano vivere in una continuata angoscia. Superstizioni e spaventosi vaneggiamenti si erano impossessati del mondo. Fanatici aizzavano a porre sul rogo le streghe. Tormenti di coscienza e torture fisiche distruggevano la pace della fede. Solo la Chiesa prometteva la salvezza, ma per proteggere gli uomini dall’eterna dannazione li voleva pienamente ubbidienti, infliggeva castighi, distribuiva indulgenze27.

Ora non c’è storico protestante, il quale accetti come rispondente al vero questa descrizione di psicologia religiosa del primo quarto del secolo XVI; tanto meno l’accettano gli storici cattolici: tra essi Heinrich Denifle, Hartmann Grisar, Ludwig von Pastor e Pietro Tacchi Venturi, ottimi tra i competenti di quel periodo storico. È falso che quei decenni siano stati foschi di sventure e di orrori più che non siano stati i precedenti o i susseguenti; è falso che nella Chiesa tacesse il messaggio della grazia e dell’amore di Dio, come può dimostrare uno sguardo fugace alla letteratura ascetica, ai testi liturgici e di pietà popolare di quel tempo; è falso che Gesù Cristo fosse predicato soltanto come giudice irato, argomento d’ira e d’angoscia ai fedeli; ed è falso che questi in massa vivessero tormentati dalle turbe psicopatiche che prostravano Lutero28. Riguardo poi a streghe e a superstizioni, supposto anche che per esse quei tempi siano stati particolarmente tribolati, come abbiamo visto, per l’onore di Lutero è bene che i suoi panegeristi non ne parlino.

Fatto ciò, il film passa a mostrarci un Lutero schiacciato dalla religione dell’angoscia predicata da Roma, prostrato, emaciato da penitenze estenuanti, sottoposto a riti glaciali ed angosciosi, gli occhi che invano cercano un cielo chiuso ai suoi gemiti29; ma dopo la sua defezione dalla Chiesa, ce lo ripresenta tutto rasserenato, gioviale coi piccoli, affabile con la «moglie», sorridente e benevolo con tutti, esternare la sua letizia in canti gioiosi col popolo, da lui richiamato ad una nuova aurora di fede... Tutto bello e poetico: ma tutto triplamente falso. Infatti, falso è il presupposto che la religione di Gesù abbia esclusivamente per scopo e come argomento della sua verità la pace interiore; falso che il cattolicismo, con la sua dommatica, la sua morale e la sua ascetica, non possa darla: san Francesco d’Assisi, che conobbe la perfetta letizia, insegni; falso infine che Lutero abbia trovato fuori del cattolicismo la pace che cercava. Nei suoi scritti egli si mostra, fino all’ultimo della sua vita, in perpetua angosciosa lotta contro i rimorsi e la sensualità; i suoi contemporanei dicono che non sopportava la vista di coltelli «perché a guardarli gli facevano venire la voglia di uccidersi» (G. Loesche), e ci nominano tra i suoi partigiani più intimi un Giovanni Schlauginhaufen oppresso dalla coscienza delle colpe, un Antonio Musa melanconico e turbatissimo; Leonardo Beyer, Girolamo Baumgärtner, Zaccaria Rivander e Luca Osiandro disperati dall’angoscia; un Giorgio Besler che, vinto dalla malinconia, si uccide con uno spiedo. Tutto ciò il film non lo dice; né dice che la «riforma» produssse un nuovo genere letterario, che mirava a consolare i melanconici. I. Magdeburgius, predicatore di Amburgo, scriveva: «Non è stato mai tanto necessario confortare la gente come oggi»; e l’Amsdorf si lagnava che «molte di queste anime travagliate tornavano al cattolicismo, perché... non sapevano più dove dar di capo»30.

Ma anche a proposito di dottrine religiose il film è molto più falso per quello che tace che per quanto afferma. Abbiamo visto perché gli autori del film abbiano dovuto tacere; ma le loro ragioni, se spiegano in qualche modo, non giustificano il loro silenzio. Infatti, quale idea porterà via dal film uno spettatore sprovveduto di mezzi critici e di cultura storica e religiosa? Penserà che, tutto sommato, Lutero fu un novatore benefico, contro una Chiesa che ebbe il torto di non comprenderlo e di perseguitarlo allora, come ha torto in non giustificarlo oggi. Quale invece sarebbe stato il suo giudizio se il film non avesse troppo taciuto? Per esempio, chi, persino dei produttori, avrebbe accettato oggi un Lutero che dichiara peccato il prestito a interesse e assurda da parte dello Stato ogni libertà di opinione religiosa nei suoi cittadini? Ma di questo, nel film, non una parola! Si tace anche che Lutero negava ogni libertà nell’uomo, rendendolo praticamente irresponsabile di tutti i suoi atti e del tutto incapace di meritare. Si tace anche che, ribellatosi dalla Chiesa per non accettare la sua interpretazione della Scrittura, poi non sopportò che altri ne desse interpretazioni diverse dalla propria e che, liberatosi da ogni gerarchia ecclesiastica come disdicevole ad una chiesa «spirituale» come la sua, difatti egli ne stabilì un’altra, non solo non «spirituale» ma in tutto e per tutto dipendente dall’autorità statale. Si tace, infine, che Lutero, ponendo l’uomo in un mondo essenzialmente corrotto dal peccato originale e precludendo ogni via che lo conducesse dalla natura a Dio ed ogni mezzo per dedurre con la ragione umana alcuna norma etica, privatolo del sacrificio della messa, di quasi tutti i sacramenti, dei sacramentali e delle indulgenze, dell’assistenza dei santi e della guida infallibile della Chiesa, scoronandogli l’amore umano e rendendogli inaccessibile quello divino, non solo non liberò l’umanità, ma la condannò ad un terribile isolamento31; rese pesantissima la religione cristiana, dopo aver tagliato tutti i ponti con quanto di più mirabile la Chiesa cattolica aveva costruito in quindici secoli di dottrina e di santità: ma anche di tutto questo il film tace. Unica affermazione, che l’accompagna in tutte le sequenze: «Lutero combatté la Chiesa di Roma e la sua dottrina, ed è grande perché l’ebbe vinta!».

Che cosa concludere, dunque, se non che il film, che doveva essere un’esaltazione di un uomo, di fatto è solo un attacco alle condizioni della Chiesa cattolica di allora, e, per mancanza di precisazioni che distinguano tempi da tempi, di fatto è anche un’ingiuria a quelle della Chiesa cattolica di oggi? Esso si dà per storia, ma è mistificazione settaria; si dà per opera di cultura, ma non è che una nuova battaglia di religione, combattuta con altri mezzi, ma con la stessa animosità di altri tempi32.

Perciò deploriamo che il film sia stato presentato, finanziato e girato; deploriamo che non sia stato sufficientemente osteggiato dappertutto; deploriamo che sia passato ai circuiti pubblici in America, in Europa ed altrove; deploriamo infine che abbia trovato la via per affacciarsi nel corso della Mostra veneziana e che nella stampa italiana si sia trovato chi non s’è vergognato d’intesserne le lodi33. Inoltre deprechiamo ch’esso venga proiettato sui nostri schermi. Se ciò avvenisse, vi vedremmo un’offesa a quanto, come cattolici, abbiamo di più sacro, e come italiani, di più caro.

1 Cfr la protesta di mons. MARIO BESSON, vescovo di Losanna, Ginevra e Friburgo, nella Semaine catholique de la Suisse française, 10 gennaio 1929, riportato in Rivista del cinematografo, 1929, p. 75. Il film fu censurato e tagliato due volte dalla Filmprüfstelle di Berlino il 17 dicembre 1927 e il 10 gennaio 1928, e una terza volta, con venti tagli, dalla Filmobeprüfstelle, del 22 marzo 1928. Non ostante la stroncatura fattane dalla critica (cfr Filmtecnica, 1928, p. 87), l’Istituto centrale per l’eduazione di Berlino passò il film come educativo (volksbildend) e lo raccomandò alla gioventù protestante.

2 Vi partecipavano l’American Lutheran Church, l’Augustana Lutheran Church, l’Evangelical Lutheran Church, il Lutheran Church-Missouri Synod e l’United Luthran Church.

3 In collaborazione con la Lutheran Church Production, di New York, e la Luther-Film-GmbH, di Stoccarda.

4 Eisleben, Eisenach, Erfurt, Wittenberg ed altre città, teatro della vita di Lutero, trovandosi presentemente nel settore della Germania occupata dai russi, e questi avendo rifiutato il permesso d’ingresso, la troupe, dovette ripiegare sulla Germania occidentale. Molti interni furono girati nel vecchio convento cattolico di Maulbronn; altri furono girati a Wiesbaden.

5 La Gazette de Lausanne, il 26 agosto 1954, riportava che il film aveva aperto il Festival di Melbourne, accolto entusiasticamente dal pubblico; che a quella data già dieci milioni di spettatori l’avevano visto in America del Nord e quattro milioni in Germania; che la Twentieth-Century Fox di Hollywood lo stava introducendo in trentotto paesi, tra cui Svezia, Norvegia, Finlandia, Danimarca, Olanda, Inghilterra, Islanda, Svizzera, Etiopia, Austria e Iugoslavia; infine, che le sette americane protestanti erano già rientrate nei 451.000 (sic!) dollari da loro investiti.

6 La Legion of Decency, nel giudicare i film adopera le seguenti notazioni: A1 = Per tutti; A2 = Per adulti; B = Con riserva; C = Escluso; infine con una C.S. (separate classification), piuttosto rara. Tra i film notati con quest’ultima si ricordano: The Birth of a Baby e Blockade. Anche in Svizzera il film è stato notato con la classifica distinta: Protestantischer Propagandafilm (cfr Der Filmberater, 1954, n. 12).

7 Tra gli altri, più diffusamente sono entrati in lizza ROBERT WELCH, in The Providence Visitor, del 21 agosto 1953, e LON FRANCIS, coll’opuscolo: The Martin Luther Motion Picture: Unhistorical, unbiblical, unfair (Huntington, Indiana), che in seconda edizione, nel dicembre 1953, passava il mezzo milione di copie.

8 Questo stesso motivo le fece escludere tempo addietro l’inglese Oliver Twist, come ingiurioso agli ebrei nel personaggio di Fagin.

9 La Freiwillige Selbstkontrolle, commissione di autocensura dell’industria cinematografica per la Germania occidentale, istituita nel 1949, si compone di otto membri, dei quali: quattro sono rappresentanti del cinema e quattro sono scelti rispettivamente dallo Stato Federale, dai Länder, dalle «Chiese» e dai movimenti giovanili. Come rappresentanti delle «Chiese» funzionano a turno settimanale tre membri: uno cattolico, uno protestante e uno israelita. Per notizie più diffuse cfr Revue Internationale du cinéma, n. 11, 1952, p. 30 ss. Pari raccomandazioni aveva fatto la Conferenza episcopale della «chiesa» evangelica luterana unita di Germania, che esaminò il film a Tutzing (Baviera) nell’autunno del 1953; c’è chi parla di cinquecento metri così saltati via. Distributrice per la Germania se ne fece la società appositamente eretta Martin Luther Film GmbH.

10 Tra i protestanti ci fu chi osservò che, dopotutto, i cattolici non si potevano lamentare, dato che era stato loro concesso di proiettare film come Bernadette, Fatima e Thor des Friedens, contrari al credo dei protestanti; ragionamento, come si vede, che non fa una grinza, qualora si ritengano i diritti del falso uguali a quelli del vero; ma sfuggì loro che detti film, pur contrari al credo dei protestanti, non avevano né una parola né un accenno offensivo ad essi. In Svizzera, da parte cattolica hanno preso posizione: Der Filmberater (1954, n. 8), Ostschweiz (7 maggio e 24 luglio 1954); Neue Zürcher Nachrichten (2 aprile 1954). Da parte protestante, mentre si è approfittato del film come mezzo di propaganda delle loro «confessioni» (cfr le numerose pubblicazioni di Film und Radio), non si è mancato di levare lamenti sull’intolleranza flagrante della Chiesa cattolica, seguendo il Protestantischer Pressedienst, e dando luogo a una polemica che la Chiesa cattolica avrebbe voluto evitare, anche se prevista, e dunque accettata, dai luterani organizzatori americani.

11 Così una corrispondenza da New York a La Nazione di Firenze, rimbeccata da L’Osservatore Romano, 20 e 21 settembre 1954.

12 W. HESS, Martin Luther, Eine Einführung in sein Leben, Stoccarda, Evangelisches Verlagswerk, 1954, p. 68.

13 In campo cattolico il lettore potrà agevolmente ricorrere alle opere classiche di E. DENIPLE, Lutero e il luteranesimo, Roma 1905; L. CRISTIANI, Luther et le luthéranisme, Parigi 1908; L. VON PASTOR, Storia dei papi, vol. IV, Roma 1908; H. GRISAR, Lutero, la sua vita e le sue opere, Torino 1946. Ad esse per lo più lo rimandiamo nelle nostre frequenti citazioni.

14 Prova ne sia il recentissimo Martino Lutero, di R. CESSI (Torino, Einaudi, 1954), non certo noto per il suo clericalismo; egli sostiene che «la riforma luterana fu soprattutto un processo spirituale, esploso da lenta elaborazione dell’anima tedesca posta di fronte ai problemi proposti dalla rinascita spirituale suggerita dal soffio umanistico», data la «diversa reazione del mondo latino e del mondo germanico» (ivi, p. 314).

15 Cfr H. GRISAR, p. 439 ss. Lo stesso cardinal PALLAVICINO, iniziando la sua Storia del concilio di Trento, non dubitò di riconoscergli, con lati meno felici, alcune buone qualità: «Ebbe ingegno acuto, e vivace, fu amator dello studio, ed in esso infaticabile di corpo e di mente. Non essendo povero di letteratura, ne pareva ricchissimo, perché portava tutto il suo capitale nella punta della lingua. E con la prontezza di essa, aiutato dalla robustezza de’ fianchi, riportava sempre l’applauso di coloro, i quali giudica i disputanti più col senso che coll’intelletto...».

16 E. DENIFLE, op. cit., p. 385 ss.; H GRISAR, op. cit., pp. 55, 58 ss.

17 H. GRISAR, op. cit., p. 105 ss.; L. VON PASTOR, op. cit., voi. IV, parte I, pp. 248-249.

18 Non saremo davvero noi a pretendere che l’artista tutto dica e nulla taccia del vero, e sappiamo benissimo, che, nel cinema soprattutto, date le peculiari caratteristiche del suo linguaggio, amplissimo è il diritto di scelta; ma poniamo ai cineasti un dilemma: o essi volevano fare un documentario didattico storico, ed allora dovevano rinunciare ad inventare e a scegliere e tenersi al dato di fatto; o volevano fare opera di creazione, ed allora potevano scegliere, tagliare e inventare pure a loro bell’agio, ma non dire poi di aver fatto opera criticamente storica.

19 L. CRISTIANI, op. cit., p. 184 ss.; H. GRISAR, op. cit., pp. 188 ss., 191 ss., 284, 335 ss., 343, 361 ss., 378, 458, 509 ss., 530 ss.

20 H. GRISAR, op. cit., pp. 188 ss., 454 ss., 459 ss.

21 E. DENIFLE, op. cit., p. 138 ss.; H. GRISAR, op. cit., pp. 224 ss.; 447 ss.; 405 ss.; L. CRISTIANI, op. cit., p. 95 ss.

22 L. CRISTIANI, op. cit., p. 157 ss.; H. GRISAR, op. cit., pp. 34 ss., 58 ss., 81 ss., 183 ss., 332 ss., 454-470. Inoltre su quest’argomento cfr E. RIVARI, La mente e il carattere di Lutero, Roma 1914; P. REITER, Martin Luthers Umwelt, Charakter und Psychose, Kopcnhagen 193,7-41.

23 E. DENIFLE, op. cit., p. 44 ss. e passim in tutto il volume; H. GRISAR, op. cit., pp. 366, 374, 487, 491 ss.; L. CRISTIANI, op. cit., p. 118 ss.

24 E. DENIFLE, op. cit., pp. 98 ss., 127 ss., 287-306; L. CRISTIANI, op. cit., 207-258; H. GRISAR, op. cit., pp. 475-491. – Per la validità del matrimonio tra fratello e sorella, tra genitori e figli, farebbe fede la revisione fatta da Lutero al parere dello Spalatino, dato a rivedere a Lutero stesso da Giovanni elettore di Sassonia il 3 gennaio 1528; parere e revisione riportati dal BURKHARDT, in Martin Luthers Briefwechsel, pp. 128-130. Cfr E. DENIFLE, op. cit., p. 312, nota 2.

25 L. CRISTIANI, op. cit., p. 286 ss.; H. GRISAR, op. cit., pp. 295 ss., 315, 467.

26 H. GRISAR, op.cit., pp. 120 ss., 209 ss., 431 ss., 512 ss. – Il rilievo è di Erasmo da Rotterdam, che rimproverava a Lutero la turba di religiosi, i quali, seguitolo, fecero sorgere «una nuova razza di monaci molto più viziosa dei precedenti, per quanto questi fossero cattivi».

27 W. HESS, op.cit., p. 11. Non diversamente fa l’opuscolo di propaganda distribuito dalla Luther Film all’ultima Mostra veneziana, pieno di tante falsità storiche quanti sono gli spropositi di lingua che lo decorano.

28 Particolarmente valida è l’indagine conodotta da E. DENIFLE, op. cit., pp. 150 ss., 395 ss., 438-461.

29 Anche il viaggio di Lutero a Roma vi è dato come voluto dallo Staupitz a rimedio delle sue angustie di coscienza, quando invece consta che egli l’intraprese contro lo stesso Staupitz per mene interne dell’ordine agostiniano in Germania.

30 E. RIVARI, op. cit., pp. 195 ss., 241 ss. Per il nuovo genere letterario cfr in particolare H. GRISAR, op. cit., p. 435. – I produttori americani potevano trovare la controprova di quanto diciamo nel Dies irae (1943) di Carl Theodor Dreyer, che oltre al merito d’essere una delle poche opere artisticamente valide prodotte dal cinema, ha pure quello di dimostrare quanta pace interiore sia capace di produrre, e di fatto produce, la dottrina di Lutero proprio là dove ha potuto svilupparsi ed operare, diremmo, allo stato puro, come in una cultura in vitro. Il Dreyer infatti ambienta l’azione in un villaggio della Danimarca, sua patria, dove la «riforma» fu introdotta con la forza e con la più diabolica astuzia del Bugenhagen, discepolo prediletto di Lutero, e perdura, si può dire, a tutt’oggi, fedele alle origini. Orbene, il mondo del vecchio pastore Absalon, di sua madre e di suo figlio Martin, il mondo di Anna e di tutti i personaggi che le fanno corona, è un mondo di disperati, che sanno ogni momento di esserlo e sanno che non possono non esserlo; un mondo in cui il male è un fato incombente, al quale non è possibile opporsi. Tutti cercano la pace, ma non la trovano. Ognuno di essi è un tormentato chiuso nel suo tormento, un’esistenza che è colpa solo perché esistenza, contro la quale nulla può la grazia di Dio, nulla il suo Libro, nulla la fede. Essi pregano, ma nessuno risponde loro; non Dio, che si nasconde inaccessibile oltre le nubi; non Cristo, macabro cadavere schiodato, le cui piaghe non si aprono a misericordia, ma solo a ricordare una legge impossibile ad osservare; non gli angeli e i santi, non l’ecclesia delle anime, peccatrici sì, ma redente. Un mondo popolato di streghe e di roghi, in cui i vivi, senza speranza, invidiano i morti, senz’avvenire. Vuoto e angoscia di una filosofia che ha fatto dell’uomo il centro e la misura di ogni realtà, dopo averlo svotato d’ogni valore essenziale negandogli ogni dipendenza con l’Esistente eterno.
Quanto del vuoto dei personaggi del Dreyer non si ritrova nella desolazione dell’esistenzialismo del Kierkegaard? e quanto dei germi della filosofia dell’angoscia non derivano dalla teologia di Lutero? E pensare che egli mosse alla distruzione di tutte le verità ammesse dalla Chiesa cattolica, proprio per trovare e per dare la pace interiore! Di quanta amarezza si carica, alla luce di queste domande, la considerazione con cui i cineasti della Louis de Rochemont Associates, dopo la loro prodezza, osano menar vanto dell’impresa di Lutero, notando che essa, «allora iniziata, ha dato l’impronta al nostro tempo». Purtroppo!

31 Lo provò, tra gli altri, niente di meno che Volfango Goethe, ii quale si allontanò dal cristianesimo perché non se la sentì di accettare la dottrina luterana di una natura umana corrotta dal peccato originale fino alle sue ultime radici, e che spiegava la costante diminuzione dei protestanti alle funzioni religiose, con la sterilità della loro vita sacramentale (Cfr Dichtung und Wahrheit, parte III, lib. 15; parte II, lib. 7).

32 L’Osservatore Romano, cit.

33 Tra gli ultimi a parlarne in Italia è stato La luce, periodico evangelico valdese (7 genn. 1955), il quale gli dedica quattro colonne, in cui le poche verità rilevate si perdono in una congerie di notizie approssimative, di contraddizioni e di affermazioni ed illazioni arbitrarie.

In argomento

Cinema

n. 3193, vol. III (1983), pp. 64-71
n. 3134, vol. I (1981), pp. 116-137
n. 3125, vol. III (1980), pp. 375-393
n. 3119, vol. II (1980), pp. 433-451
n. 3068, vol. II (1978), pp. 154-158
n. 3027-3028, vol. III (1976), pp. 262-267
n. 3017, vol. I (1976), pp. 474-481
n. 3012, vol. IV (1975), pp. 568-573
n. 2964, vol. IV (1973), pp. 564-569
n. 2925, vol. II (1972), pp. 214-227
n. 2916, vol. IV (1971), pp. 569-580
n. 2909, vol. III (1971), pp. 381-390
n. 2907-2908, vol. III (1971), pp. 247-257
n. 2891, vol. IV (1970), pp. 464-474
n. 2878, vol. II (1970), pp. 354-361
n. 2874, vol. I (1970), pp. 583-587
n. 2871, vol. I (1970), pp. 269-723
n. 2872, vol. I (1970), pp. 372-76
n. 2867, vol. IV (1969), pp. 21-29
n. 2809, vol. III (1967), pp. 60-62
n. 2755, vol. II (1965), pp. 21-34
n. 2675, vol. IV (1961), pp. 449-463
n. 2674, vol. IV (1961), pp. 383-395
n. 2669, vol. III (1961), pp. 514-516
n. 2668, vol. III (1961), pp. 403-407
n. 2660, vol. II (1961), pp. 157-168
n. 2662-2664, vol. II (1961), pp. 372-386, 598-612
n. 2654, vol. I (1961), pp. 148-165
n. 2656-2658, vol. I (1961), pp. 382-390, 592-604
n. 2648, vol. IV (1960), pp. 159-176
n. 2651, vol. IV (1960), pp. 483-497
n. 2646, vol. III (1960), pp. 602-617
n. 2644, vol. III (1960), pp. 384-392
n. 2631, vol. I (1960), pp. 277-290
n. 2628, vol. IV (1959), pp. 607-620
n. 2611, vol. II (1959), pp. 56-70
n. 2614, vol. II (1959), pp. 401-407
n. 2608, vol. I (1959), pp. 403-411
n. 2603, vol. IV (1958), pp. 508-523
n. 2571, vol. III (1957), pp. 288-299
n. 2557, vol. I (1957), pp. 49-63
n. 2542, vol. II (1956), pp. 373-83