NOTE
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* Cfr Nuove qualifiche cinematografiche in Italia, in Civ. Catt. 1968 IV 74-79,

1 C. SORGI, Valutazione morale dei film, Roma, Ed. Paoline, 1969, 16º, 125.

2 L.M. PIGNATIELLO, Considerazioni pastorali sulle classifiche dei film, in Asprenas, sctt. 1968. L’articolo è stato riportato in gran parte in Il Regno del 15 marzo 1969 sotto il titolo tendenzioso Scompariranno le classifiche morali dei film?

3 Lettera Ai reverendissimi pastori uniti nella CEI per meglio servire il popolo di Dio, datata 25 genn. 1969. È firmata Un gruppo di cattolici napoletani. Sono precisamente 86, di cui: 59 universitari; 14 tra professori, assistenti, docenti e laureati; 8 studenti; 5 impiegati. È stata inviata, oltre che alla CEI, ai vescovi italiani con diocesi comprendenti almeno 50 parrocchie; ai delegati regionali e diocesani deli’ACEC; alle riviste cattoliche italiane di attualità ed informazione, di cultura, di problemi cinematografici, di teologia, di spiritualità; a persone e gruppi cattolici ritenuti interessati all’iniziativa.

4 A me, personalmente, la distinzione in quattro categorie, se non proprio la migliore, sembra almeno la più pratica: al più, premetterei una quinta categoria «O» dei film cretini, nella quale probabilmente ricadrebbe una buona parte dei film inclusi nella categoria I. Per la stessa ragione, al rompicapo terminologico delle vecchie sigle preferisco la meccanica degli ordinali romani, purché vengano opportunamente spiegati ai fedeli, né più né meno di quanto occorreva fare con le vecchie sigle. Meno, invece, mi sodisfano le annesse e note esplicative»; molto poco, nelle loro categoricità, le disposizioni 2 e 3 riguardanti i film proiettabili nei cinema «ecclesiastici»; quasi nulla, sempre per la loro categoricità, quelle riguardanti i dibattiti culturali.

5 «Recentemente [nel 1966] il card. Ottaviani ha dichiarato: «Indice dei libri proibiti non viene più aggiornato dal 1947. Non lo sarà più: voglio dire che nessun libro sarà più iscritto all’Indice. Esso rimarrà un documento storico, un’opera di consultazione, che, chi vorrà, potrà leggere o usare per trarne indicazioni. Noi pubblicheremo elenchi di libri sconsigliabili, a titolo indicativo come fa il Centro Cattolico Cinematografico per i film,. (G. CAPRILE, Il Concilio Vaticano II, vol. II, 431).

6 Le stesse proposte avanzate, in sede OCIC, a Venezia, a Berlino e altrove, partono da questo equivoco; al quale, del resto, pare che non sia sfuggito lo stesso suo presidente, mons. Bernard, se, a proposito del n. 9 dell’Inter mirifica, ha potuto scrivere: «Pour qui aime les nuances, il semble bien qu’en subordonnant ainsi le travail de classification morale à celui de la formation des consciences, le Concile incline dans le sens de ceux qui voient dans ces classifications moins un système rigide de permissions et d’interdictions, que plutôt de recommandations ou de mises en garde destinées à éclairer les fidèles et à leur fournir les éléments dont ils ont besoin pour décider, en conscience, de leur mode d’agir et faciliter leur réaction chrétienne vis-à-vis de ce qu’ils lisent, entendent, voient» (in Rev. Int. du Cin., 1964, on. 78-79, 3).

7 E non «Commissioni di censura» come le chiamano gli amici di Napoli.

8 Oltre tutto, al limite, qualora singoli o gruppi di cattolici, doverosamente informatisi, credessero necessario o molto utile recarsi a vedere un film anche di IV categoria, chi vieta loro di regolarsi «secondo le norme della retta coscienza» indipendentemente dal circolo culturale cui appartengano?

9 Gli amici napoletani ci capiranno sicuramente nel giusto senso, essi che iniziavano cosi la loro lettera: «Abbiamo analizzato con cura l’Introduzione all’intero documento fatta dal p. E. Baragli: introduzione che, se non conoscessimo l’austerità della Civiltà Cattolica, riconosceremmo... di acuta e finissima ironia».

10 Particolare, nella concitazione polemica, sfuggito agli autori della «Lettera»; i quali, inoltre, nella loro foga giovanile, la concludono – no comment! – con questa requisitoria ai vescovi della CEI: «Affinché possiamo valutare i Vostri prossimi interventi anche in altri campi, ed affinché sappiamo giudicare in quale misura dobbiamo sentirci vincolati da essi, Vi chiediamo di dirci esattamente quali sono i criteri del Vostro operato. Per Vostro dovere di responsabilità verso tutto il Popolo di Dio! – Insomma dovete dirci: – in quale modo intendete il “servizio” che volete offrire ai cattolici; – qual è il significato che Voi attribuite alla Vostra “autorità”? In quali campi ritenete di avere quella autorità? In quale senso intendete la “obbedienza” da Voi richiesta? – Insomma, qual è il cattolico che desiderate? Un uomo statico, immobilista, conservatore socio-culturalmente e religiosamente, oppure uno spiritualmente dinamico ed aperto a sempre nuovi orizzonti? Un uomo che subisce, o un uomo che crea, che costruisce? Un uomo che esegue soltanto o un uomo che pensi anche?».

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Articolo estratto dal volume III del 1969 pubblicato su Google Libri.

Il testo è stato corretto dai refusi di stampa e formattato in modo uniforme con gli altri documenti dell’archivio.

I riferimenti ai documenti del magistero pontificio sono stati resi interattivi e portano al sito del progetto “Chiesa e Comunicazione”, la biblioteca digitale online che prosegue l’attività iniziata da p. Baragli con le opere Cinema cattolico: documenti della Santa Sede sul cinema e Comunicazione Comunione e Chiesa.

ARTICOLO SU

Sulle nuove classifiche morali cinematografiche, introdotte dalla CEI con l’inizio di quest’anno 1969, oltre al volumetto di C. Sorgi1 (Civ. Catt. 1969 I 615), richiamano l’attenzione un articolo di mons. L.M. Pignatiello2 cd il ciclostilato di un gruppo di «cattolici napoletani»3.

Scritto e pubblicato prima che le nuove qualifiche entrassero in vigore, l’articolo del Pignatiello riveste ormai valore di proposta, purtroppo tardiva, per un ripensamento-ritocco delle stesse. Infatti, esso mette in dubbio l’efficacia pastorale del «nuovo codice semantico», ed il valore pastorale delle disposizioni riguardanti la proiezione dei film nelle sale «ecclesiastiche» e nei circoli culturali cattolici.

Per giustificare il primo dubbio, il Pignatiello si rifà all’origine delle stesse qualifiche (Legion of Decency, e Vigilanti Cura di Pio XI...), alle proposte di aggiornamento avanzate da diverse parti presso i Consigli generali dell’OCIC (Venezia 1964, Berlino 1967...), allo status preconciliare da me sintetizzato nel 1965 in Cinema Cattolico, ed all’evoluzione post-conciliare della disciplina ecclesiastica a proposito di Indice dei libri proibiti, cui corrisponderebbe la stasi, presente, di quella sui film. Quindi sostiene che il nuovo «codice semantico» – che riduce da 7 a 4 le categorie, ed usa gli ordinali romani I-II-III-IV al posto delle sigle tradizionali T, Tr, A, Am... – segna piuttosto un regresso che un progresso rispetto a quello precedente: i numeri risultando più anodini e ambigui che non le sigle ed «annullando addirittura quell’ombra di rispetto che il riferimento [delle sigle agli spettatori] poteva ancora conservare alle opere [cioè ai film]». Non basta: le stesse definizioni delle quattro categorie lo lasciano insodisfatto, perché «la preoccupazione moralistica ha prevalso ancora su quella educativa-culturale» e perché la formulazione di esse e le note esplicative che l’accompagnano, anziché chiarirle, le renderebbero più oscure.

E, per giustificare il secondo dubbio, l’articolista tenta di dimostrare che, rispetto ai cinema «ecclesiastici», le nuove norme risultano più restrittive di quelle già vigenti; mentre la norma tassativa ed universale che riguarda i circoli culturali «risulta mortificante, soprattutto in un momento in cui la cultura cinematografica rischia di sfuggirci definitivamente dalle mani».

Meno organica e più concitata dell’articolo del Pignatiello, la lettera dei «cattolici napoletani» attacca le già vigenti disposizioni della CEI: «nelle premesse dottrinali, che stanno al loro fondamento..., e per le conseguenze che il documento avrà per la vita culturale di molti centri cattolici di cultura»; e cerca di provare, rifacendosi a testi conciliari, 1) che «il documento non ha senso dal punto di vista culturale»; 2) che non è nemmeno «efficace come intervento pastorale, e quindi non è utile per la vita religiosa del popolo di Dio».

In particolare: ad primum: spezzata una lancia (testo conciliare) per la cultura tout court – cioè senz’aggettivi di sorta, «cattolica» compresa – e ribadito il dovere della Chiesa di promuovere tale cultura (altro testo conciliare), la lettera afferma che il documento della CEI, «introducendo limitazioni – sia pure dettate dalla preoccupazione di preservare i cattolici da espressioni pericolose del nostro tempo» (terzo testo conciliare) – «mostra paura e timore per la cultura: paura e timore che non hanno motivo di sussistere» (quarto testo conciliare); prova, inoltre: a) che il documento (e qui due esempi) tratta da immaturi i membri dei circoli culturali cattolici, e da incapaci i loro consulenti ecclesiastici; b) e che con esso i vescovi della CEI «hanno dato un buon colpo sinistro al sorgere (testo questa volta, di Paolo VI) di “uomini di pensiero capaci di riflessione profonda”».

Ad secundum: la lettera rimprovera alla CEI: a) di proporsi come ideale, «non un cattolico teso a un continuo divenire, anche in campo religioso», ma un «cattolico che “conservi” la sua fede restando formalisticamente fedele a schemi e classificazioni discesi dall’alto»; b) che, mirando «a preservare integra la fede dei deboli... e ad aiutare la fede dei vacillanti» essi (quinto testo conciliare) favoriscono un tipo di falso cristiano: «che sceglie Cristo perché, in virtù di certi condizionamenti esterni, non gli resta altra possibilità»; c) che, «con la richiesta di un’ubbidienza formalistica ai suoi enunciati, i vescovi della CEI non tengono in conto... la libertà di scelta delle coscienze,. (sesto testo conciliare)», d) peccano di autoritarismo (settimo testo conciliare), ed e) «spezzano il dialogo tra cattolici e non cattolici..., ma soprattutto tra i cattolici stessi» (ottavo testo conciliare), f) oltre tutto: causando la chiusura di molti cineforum cattolici ed il conseguente afflusso degli iscritti verso altri cineforum, privi di «sacerdote, il quale dia il suo aiuto a cattolici dalla fede debole».

* * *

Nell’impossibilità materiale di esaurire l’interessante argomento, sia lecito almeno contribuire al dialogo con qualche rilievo.

 

Che i criteri secondo i quali sono state formulate le nuove qualifiche, e che le applicazioni normative delle stesse che la CEI ha creduto opportuno adottare, siano materia largamente opinabile, mi sembra pacifico4. Lo provano, tra l’altro, le diverse soluzioni, anche recentemente, e mai con piena soddisfazione, via via tentate in Italia; nonché le lunghe discussioni e consultazioni su differenti proposte che hanno preceduto la decisione, facendo anche ricorso alle, non più felici!, esperienze tentate altrove nel mondo. Rilievi ed obiezioni è, dunque, da presumere che fossero scontate per la CEI, impegnata a tutelare ed a promuovere valori assoluti – quali la fede e la cultura, la morale e la libertà, scopo delle norme in parola – in un terreno così complesso ed ambiguo come il cinema, e in un Paese tanto poco omogeneo per istruzione, religiosità, ideologie, civismo ccc., ed in sì accelerata evoluzione, come l’Italia.

Ma penso che rilievi ed obiezioni aiuteranno a migliorare le cose solo se rispettino la verità oggettiva dei fatti e delle situazioni, ed un doveroso senso di misura, diciamo pure, «ecclesiale». Ora, è dubbio che la prima condizione sia fatta salva quando si oppongono (presunti) criteri postconciliari, più liberali, per le qualifiche dei film, a quelli (presunti) più rigidi, preconciliari; oppure quando si assume l’avvenuta liberazione della disciplina ecclesiastica rispetto ai libri, a misura di quella che dovrebbe seguirsi per i film. La verità è che proprio la più liberale disciplina circa i film è servita, in atmosfera di Concilio, da modello a quella dei libri5, e che l’Inter mirifica (n. 9), facendola sua, non ha innovato affatto rispetto ad un (presunto) meno liberale magistero preconciliare, ma lo ricalca addirittura ad verbum.

Nel magistero preconciliare, infatti, le qualifiche dei film, proprio a differenza delle norme sui libri proibiti, non hanno mai rivestito valore di legge ecclesiastica, ma soltanto di indicazioni prudenziali. Se la loro «normatività» è stata correntemente spiegata ed applicata in senso giuridico, ciò è dipeso da una scarsa notizia dei documenti e da una non giustificata esegesi degli stessi6; oppure da una certa qual inerzia pastorale, più incline a proporre ai fedeli spicciative norme di comportamento, diciamo cosi, automatiche, e meno sollecita della (più difficoltosa) formazione delle loro coscienze a scelte individuali responsabili, in sussidio delle quali le qualifiche erano offerte.

A parte ciò, occorre poi andar cauti nel portare troppo avanti il parallelo tra i libri ed i film, stante il diverso margine di scelte che i due mezzi di comunicazione permettono ai recettori, e stante il gradiente «culturale» troppo diverso tra lettura e spettacolo cinematografico, soprattutto quando questo sia – come oggi è – bassamente condizionato dagli interessi estraculturali (per parlare eufemisticamente) dei produttori distributori ed esercenti: interessi alimentati dalla «domanda» anch’essa largamente estraculturale, di un pubblico, a sua volta condizionato dagli stessi.

Questa, culturalmente umiliante ed insopportabile, situazione di fatto, di cui le violente contestazioni dei recenti festival di Cannes e di Venezia sono riprova, rende per lo meno dubbia ed aleatoria l’uguaglianza: «Cinema Cultura», dalla quale sembrano prendere le mosse le rimostranze dei «cattolici napoletani»; non, tuttavia, tanto dubbia da negare loro l’esistenza di film che – dentro, fuori o contro il sistema capitalistico, poco importa – sono autentiche espressioni di cultura, o che, almeno, riescono a proporre problemi vivi e reali dell’uomo e della società odierni: film, dunque, che ingiustamente le norme della CEI escluderebbero a priori dai circoli di cultura cattolici.

Ma è proprio questo quel che vogliono, o che di fatto causano, le norme della CEI? Ne dubito. Intanto perché, stando alle statistiche di mercato, e dando fiducia alla saggezza delle Commissioni di revisione7, è da presumere che la stragrande maggioranza dei film candidati alla categoria IV non saranno affatto «di rilevante interesse culturale», quelli sostanzialmente validi ma fortemente problematici potendo, di norma, infoltire la categoria III, magari, come le stesse norme esplicitamente prevedono, «raccomandati» da un asterisco, che ne rilevi il «particolare valore» e, dunque, la convenienza di discuterli nei circoli culturali. Inoltre, perché, trattandosi di norme di massima, e non di leggi vincolanti i singoli Ordinari, non è da escludere che questi – tenendo conto dei valori-disvalori dei film in rapporto al grado di cultura-maturità-serietà dei singoli circoli – in casi particolari derogheranno da esse. E se poi non derogassero? E se, perciò, qualche film non potesse essere programmato e discusso in un circolo cattolico8: davvero sarebbe la morte della cultura, la serrata dei cineforum, l’emigrazione in massa dei loro iscritti verso altri circoli, al sicuro dall’autoritarismo dei Pastori, liberati da ogni ubbidienza formalistica: oltraggiosa della libertà delle coscienze, soffocatrice di ogni dialogo, incubatrice di fedi deboli e di falsi cristiani? – Forse gli amici napoletani esagerano alquanto. D’altra parte, per evitare tale iattura al popolo di Dio, quale «servizio» suggerirebbero essi alla Gerarchia verso circoli culturali, si badi, non semplicemente «di» cattolici, ma programmaticamente «cattolici»? Forse i vescovi (su piano dottrinale) dovrebbero dire loro: «Vedete pure tutto: la ricerca culturale vi affranca infatti da ogni pericolo, sia di fede sia di condotta morale: e, perciò, da ogni norma prudenziale, così individuale come “ecclesiale”»? Ma, di grazia, appoggiandosi su quali testi del Vaticano II, o di Paolo VI? Oppure (su piano disciplinare) dovrebbero dire loro: «Ci fidiamo pienamente di voi, lasciamo quindi tutte le scelte alla vostra discrezione, dato che il semplice fatto che voi appartenete a un cineforum o associazione similare ci garantisce la maturità di tutti i vostri soci e la competenza di tutti i vostri assistenti? Occorrerebbe supporre, a priori, che in tutta la nostra bella Penisola i circoli culturali cattolici prosperano nelle condizioni ideali – di maturità di anni, livello culturale e senso cattolico degli iscritti, preparazione specifica dei sacerdoti, presenza totalitaria alle discussioni... – che certamente distinguono quelli della sua città più bella9. Purtroppo, però, l’ipotesi è smentita dai fatti: quei fatti, appunto, che suggeriscono alla coscienza pastorale dei nostri vescovi l’applicazione di norme prudenziali – almeno finché durano certe condizioni –, come vero servizio al popolo di Dio: ricchezza del quale è, sì, la cultura, ma anche e soprattutto la vita di grazia e la perfezione cristiana10.

Concludendo: personalmente penso che se proteste, rimostranze, mozioni ecc. vanno fatte in campo cattolico a proposito di cinema e cultura, convenga focalizzarle piuttosto verso il settore, ben più sfornito, dell’educazione specifica dei fedeli e del clero ai problemi del cinema (nonché degli altri strumenti della comunicazione sociale). Nell’Inter mirifica (n. 16), in proposito, c’è un ordine perentorio; ma in Italia è rimasto pressoché lettera morta. Eppure, mancando quest’educazione specifica, gli stessi circoli culturali cinematografici, cattolici o meno, rischiano di girare a vuoto, quando non finiscono col diventare un comodo alibi per godersi spettacoli di straforo e a poco prezzo.

* Cfr Nuove qualifiche cinematografiche in Italia, in Civ. Catt. 1968 IV 74-79,

1 C. SORGI, Valutazione morale dei film, Roma, Ed. Paoline, 1969, 16º, 125.

2 L.M. PIGNATIELLO, Considerazioni pastorali sulle classifiche dei film, in Asprenas, sctt. 1968. L’articolo è stato riportato in gran parte in Il Regno del 15 marzo 1969 sotto il titolo tendenzioso Scompariranno le classifiche morali dei film?

3 Lettera Ai reverendissimi pastori uniti nella CEI per meglio servire il popolo di Dio, datata 25 genn. 1969. È firmata Un gruppo di cattolici napoletani. Sono precisamente 86, di cui: 59 universitari; 14 tra professori, assistenti, docenti e laureati; 8 studenti; 5 impiegati. È stata inviata, oltre che alla CEI, ai vescovi italiani con diocesi comprendenti almeno 50 parrocchie; ai delegati regionali e diocesani deli’ACEC; alle riviste cattoliche italiane di attualità ed informazione, di cultura, di problemi cinematografici, di teologia, di spiritualità; a persone e gruppi cattolici ritenuti interessati all’iniziativa.

4 A me, personalmente, la distinzione in quattro categorie, se non proprio la migliore, sembra almeno la più pratica: al più, premetterei una quinta categoria «O» dei film cretini, nella quale probabilmente ricadrebbe una buona parte dei film inclusi nella categoria I. Per la stessa ragione, al rompicapo terminologico delle vecchie sigle preferisco la meccanica degli ordinali romani, purché vengano opportunamente spiegati ai fedeli, né più né meno di quanto occorreva fare con le vecchie sigle. Meno, invece, mi sodisfano le annesse e note esplicative»; molto poco, nelle loro categoricità, le disposizioni 2 e 3 riguardanti i film proiettabili nei cinema «ecclesiastici»; quasi nulla, sempre per la loro categoricità, quelle riguardanti i dibattiti culturali.

5 «Recentemente [nel 1966] il card. Ottaviani ha dichiarato: «Indice dei libri proibiti non viene più aggiornato dal 1947. Non lo sarà più: voglio dire che nessun libro sarà più iscritto all’Indice. Esso rimarrà un documento storico, un’opera di consultazione, che, chi vorrà, potrà leggere o usare per trarne indicazioni. Noi pubblicheremo elenchi di libri sconsigliabili, a titolo indicativo come fa il Centro Cattolico Cinematografico per i film,. (G. CAPRILE, Il Concilio Vaticano II, vol. II, 431).

6 Le stesse proposte avanzate, in sede OCIC, a Venezia, a Berlino e altrove, partono da questo equivoco; al quale, del resto, pare che non sia sfuggito lo stesso suo presidente, mons. Bernard, se, a proposito del n. 9 dell’Inter mirifica, ha potuto scrivere: «Pour qui aime les nuances, il semble bien qu’en subordonnant ainsi le travail de classification morale à celui de la formation des consciences, le Concile incline dans le sens de ceux qui voient dans ces classifications moins un système rigide de permissions et d’interdictions, que plutôt de recommandations ou de mises en garde destinées à éclairer les fidèles et à leur fournir les éléments dont ils ont besoin pour décider, en conscience, de leur mode d’agir et faciliter leur réaction chrétienne vis-à-vis de ce qu’ils lisent, entendent, voient» (in Rev. Int. du Cin., 1964, on. 78-79, 3).

7 E non «Commissioni di censura» come le chiamano gli amici di Napoli.

8 Oltre tutto, al limite, qualora singoli o gruppi di cattolici, doverosamente informatisi, credessero necessario o molto utile recarsi a vedere un film anche di IV categoria, chi vieta loro di regolarsi «secondo le norme della retta coscienza» indipendentemente dal circolo culturale cui appartengano?

9 Gli amici napoletani ci capiranno sicuramente nel giusto senso, essi che iniziavano cosi la loro lettera: «Abbiamo analizzato con cura l’Introduzione all’intero documento fatta dal p. E. Baragli: introduzione che, se non conoscessimo l’austerità della Civiltà Cattolica, riconosceremmo... di acuta e finissima ironia».

10 Particolare, nella concitazione polemica, sfuggito agli autori della «Lettera»; i quali, inoltre, nella loro foga giovanile, la concludono – no comment! – con questa requisitoria ai vescovi della CEI: «Affinché possiamo valutare i Vostri prossimi interventi anche in altri campi, ed affinché sappiamo giudicare in quale misura dobbiamo sentirci vincolati da essi, Vi chiediamo di dirci esattamente quali sono i criteri del Vostro operato. Per Vostro dovere di responsabilità verso tutto il Popolo di Dio! – Insomma dovete dirci: – in quale modo intendete il “servizio” che volete offrire ai cattolici; – qual è il significato che Voi attribuite alla Vostra “autorità”? In quali campi ritenete di avere quella autorità? In quale senso intendete la “obbedienza” da Voi richiesta? – Insomma, qual è il cattolico che desiderate? Un uomo statico, immobilista, conservatore socio-culturalmente e religiosamente, oppure uno spiritualmente dinamico ed aperto a sempre nuovi orizzonti? Un uomo che subisce, o un uomo che crea, che costruisce? Un uomo che esegue soltanto o un uomo che pensi anche?».

In argomento

Mostre

n. 2830, vol. II (1968), pp. 358-364
n. 2815, vol. IV (1967), pp. 55-58
n. 2793, vol. IV (1966), pp. 263-268
vol. IV (1964), pp. 213-226
vol. III (1964), pp. 551-562
n. 2721, vol. IV (1963), pp. 234-247
n. 2691, vol. III (1962), pp. 232-245
n. 2576, vol. IV (1957), pp. 152-166
n. 2570, vol. III (1957), pp. 166-180
n. 2551, vol. IV (1956), pp. 49-62
n. 2528, vol. IV (1955), pp. 148-162
n. 2432, vol. IV (1951), pp. 141-151