Articolo estratto dal volume I del 1961 pubblicato su Google Libri.
Il testo è stato corretto dai refusi di stampa e formattato in modo uniforme con gli altri documenti dell’archivio.
I riferimenti ai documenti del magistero pontificio sono stati resi interattivi e portano al sito del progetto “Chiesa e Comunicazione”, la biblioteca digitale online che prosegue l’attività iniziata da p. Baragli con le opere Cinema cattolico: documenti della Santa Sede sul cinema e Comunicazione Comunione e Chiesa.
Molto e da molti è stato scritto intorno al Codice Hays, ma raramente con esattezza e con oggettività, perché spesso la passione polemica, i pregiudizi ideologici e l’ignoranza di notizie e di documenti, anzi dello stesso suo testo, ne hanno viziato i giudizi: di lode o ironici che fossero. Non dispiaccia, dunque, questo modesto contributo di chiarificazione, condotto sui testo stesso del Codice, studiato alla luce delle circostanze storiche ed ambientali che ne hanno accompagnato la nascita1.
Denominazione ad autore
Nato, come abbiamo visto, negli anni di transizione dal muto al sonoro, quello che gli interessati di Hollywood e di New York firmarono nel 1930 si denominò Codice della produzione cinematografica sonora, sincrona e muta; poi però, negli ambienti cinematografici americani, correntemente venne detto Production Code (onde: P.C.A., Production Code Administration l’ufficio che lo fece applicare), mentre fuori degli stessi fu detto più comunemente Codice Hays. In Europa, specie in Francia, con una venatura di sarcasmo, fu detto Codice del pudore (Code de la pudeur), a quanto ci consta su iniziativa del marxista G. Sadoul2, pedissequamente seguito anche da qualche cattolico.
La denominazione Codice Hays è inesatta perché induce ad attribuirglielo come autore, mentre, come abbiamo visto, autore principale deve ritenersene il padre Damel Lord S.I., specie per la parte riguardante i principi morali generali; ispiratore e collaboratore il signor Martin Quigley, soprattutto per le disposizioni particolari integranti i Don’t’s and Be Careful’s, «risultato delle esperienze di Joy, con un briciolo di Hays»3; alle stesse disposizioni particolari dovrebbe aver contribuito con un apporto non indifferente la dinamica commissione della West Coast Association. A Will Hays va riconosciuto l’eccellente merito di averlo fatto accogliere dalla grande industria dopo averne facilitato la nascita col suo appoggio ed i suoi consigli.
Queste attribuzioni si fondano sulle testimonianze più dirette. Se nel 1937, con una certa imprecisione, M. Quigley lo disse «ideato da lui con la collaborazione del padre Lord»4, nel 1954 precisava: Une fois décidée la création d’un tel Code... on fit appel à la culture spécialisée et à l’expérience du R.P. Daniel A. Lord S.I., théologien, éducateur et écrivain: c’est lui qui proposa la forme définitive du document; e, qualche mese dopo: ...dont j’ai eu l’honneur d’être l’instigateur 5. Il padre Lord, probabilmente includendo il Quigley tra «i capi dell’industria», scrisse nel 1938: «I capi dell’industria si rivolsero al cardinal Mundelein, nella cui diocesi funzionava una commissione di censura, e lo pregarono di far concordare delle norme generali da far seguire alla produzione... Il cardinale acoonsentì, ed incaricò il padre Lord di tracciare queste norme»6. Nel febbraio 1934, mons. J. Cantwell scriveva categoricamente: This document was written by catholic priest, the rev. Daniel A. Lord S.I., e nel giugno dello stesso anno il card. Mundelein dichiarava: «Insieme con altri, quattro anni fa, ho collaborato a formulare il Codice morale...»7; infine, recentemente, dopo un impreciso he and the late Daniel A. Lord S.I., drew up a systematic code of general moral principles..., i due diligenti compilatori G. Kelly e J.C. Ford precisano: This document, prepared by Fr. Lord...8.
Il testo
Crediamo che in Italia siano molto pochi quelli che abbiano avuto modo di leggere il testo integrale del Codice del 1930, perché la sua traduzione italiana (per la verità, tutt’altro che corretta) fu pubblicata soltanto da una rivista cattolica nel fontano 1931. A fine di provvedere un punto sicuro di riferimento alla discussione che ne tenteremo, lo riportiamo qui per intero, oggi finalmente eseguendo quanto erroneamente il signor M. Quigley junior ci attribuiva trent’anni fa9.
Come abbiamo detto, esso si compone di tre parti, cioè: I) di un Preambolo, originale; II) del Codice propriamente detto, comprendente Tre disposizioni generali, anche queste originali, e Dodici disposizioni particolari, sviluppatesi intorno al vecchio nucleo del Don’t’s and I Be Careful’s; III) delle Ragioni dottrinali, opera originale del padre Lord: premesse morali o delucidazioni, queste si snodano parallelamente alle prime due parti. Tanto nel testo firmato nel 1930 quanto nei rifacimenti posteriori, esse seguono la parte dispositiva come un corpus doctrinale integrante ma distinto; ciò che, forse, spiega perché molti, citando il Codice, praticamente le ignorano, con ciò ignorando o travisando fo spirito e la portata delle disposizioni di quello. Per evitare questo inconveniente ci siamo permessi di smembrarlo e di inserire i frammenti dottrinali (in carattere corsivo) presso le disposizioni alle quali si riferiscono (in carattere tondo)10.
CODICE DELLA PRODUZIONE CINEMATOGRAFICA SONORA, SINCRONA E MUTA
I - PREAMBOLO
I produttori dei film si dichiarano consapevoli di quanto in tutto il mondo si attende da essi, dato che il cinema è una forma di spettacolo universale, e della loro responsabilità verso il pubblico, che deriva dalla fiducia di cui essi sono oggetto, e dall’influsso rilevante che lo spettacolo e l’arte esercitano nella vita dì una nazione.
Pertanto, pur considerando prevalentemente i film di divertimento (e non quelli di propaganda e didattici), riconoscono che il cinema, proprio come spettacolo di divertimento, può servire come efficace strumento di progresso morale e spirituale verso forme più elevate di vita sociale e di pensiero.
In occasione del rapido passaggio dal muto al sonoro, essi hanno rilevato la necessità e l’opportunità di convenire su di un «Codice di produzione» e di riconoscere la propria responsabilità.
Dal canto loro essi attendono dal pubblico e da quanti guidano l’opinione pubblica una benevola comprensione dei loro intenti e problemi, e uno spirito di collaborazione, sì da garantire loro le premesse necessarie per portare il cinema ad un livello più alto di sano divertimento per tutti.
RAGIONI. - 1 - Il Codice si occupa dei film spettacolari, con prevalente carattere di divertimento, destinati alle sale pubbliche; non di quelli destinati a chiese, scuole, sale di conferenze, istituti di educazione o di rieducazione, ecc.
L’uomo, che ha sempre fatto ricorso al divertimento per ritemprare lo spirito e riposare il corpo, ha pure riconosciuto che lo stesso può riuscirgli di giovamento o di danno; perciò egli ha distinto tra:
- divertimenti che influiscono a migliorarlo, o che almeno gli servano da onesto sollievo, contro l’usura dell’esistenza, e
- quelli che influiscono ad avvilirne la morale e i costumi.
Quindi è universalmente ammessa la portata morale del divertimento. Esso costituisce parte integrante dell’esistenza dell’uomo e della donna; ne riposa la mente nelle ore di svago, e finalmente ne modella la personalità, tanto che si può giudicare un uomo così dai divertimenti che sceglie come dal modo in cui lavora.
I divertimenti onesti tutelano tutti i valori di una nazione; quelli disonesti ne minano l’intera vita morale e gli ideali. Sono, infatti, noti i salutari effetti degli sport buoni, come il baseball, il golf; e quelli dannosi degli altri, come le lotte dei galli, le corride, le cacce all’orso, ecc., o, nell’antichità, i combattimenti tra gladiatori, le commedie oscene dei romani, ecc.
2 - Il cinema può molto come arte. Per quanto arte nuova e composita, esso ha per scopo, in comune con le altre arti, l’espressione del pensiero, dei sentimenti e delle esperienze umane, rivolgendosi all’intelligenza mediante i sensi. Anche come divertimento, l’arte penetra intimamente nella vita dell’uomo. Può essere moralmente buona, sollevando gli animi ad alti ideali, come è il caso della buona musica, dell’eccellente pittura, dei buoni romanzi, della poesia, del teatro; ma può anche produrre effetti moralmente dannosi, come, evidentemente, con la pornografia, i libri indecenti e i drammi sensuali.
Nota. – Alcuni sostengono che l’arte non ha nulla che fare con la morale, di per sé non essendo né buona né cattiva. Ciò può, forse, esser vero in alcuni casi, come la musica, la pittura, la poesia ecc. Sta però il fatto che ogni atto libero di persona umana riveste un valore morale dipendentemente almeno dal fine inteso da essa: qualificandosi buona o cattiva l’azione secondo l’intenzione con cui l’agente si determina ad agire. Inoltre egli deve tener presenti gli effetti che la sua opera produrrà in coloro che ne verrano a conoscenza. Quindi: o come atto posto liberamente, o come causa di effetti previsti, l’arte riveste un profondo ed inconfondibile aspetto morale. Conseguentemente: il cinema, che è la più popolare delle arti moderne di massa, trae la sua qualità morale dagli scopi intesi da quanti producono i film e, insieme, dagli effetti e dalle reazioni da essi causati nella vita morale degli spettatori. Ciò conferisce al cinema un aspetto morale tutto particolare:
- il cinema infatti manifesta il mondo morale di quanti lo adoperano per esprimere i propri principi ed ideali;
- influisce sul mondo morale di quanti, attraverso lo schermo, assimilano gli stessi principi ed ideali. Nel caso del cinema l’influsso è particolarmente rilevante perché nessun’arte ha avuto uno sviluppo così rapido e tanto richiamo sulle masse; infatti, in un tempo incredibilmente breve, esso è diventato l’arte delle moltitudini.
3 - Ma il cinema, a causa della sua importanza come divertimento e della fiducia posta in esso del mondo intero, riveste speciali obblighi morali:
- La maggior parte delle arti interessano gli adulti; questa interessa direttamente ogni categoria di persone: maturi ed immaturi, cólti ed incolti, onesti e disonesti. La musica si differenzia in generi, che si confanno ai differenti pubblici; lo stesso la letteratura ed il teatro; ma l’arte cinematografica, unendo le attrattive fondamentali di far vedere le immagini e di far ascoltare il racconto, raggiunge ogni classe di persone.
- A causa della facilità di trasporto e di distribuzione dei film, e di moltiplicarne le copie, questa raggiunge luoghi ancora impervi ad altre forme di arte.
- Su queste due premesse: difficilmente si possono produrre film destinati a determinate categorie di persone. Le sale sono state costruite per pubblici indiscriminati: cólti e di incolti, di maturi e di immaturi, di onesti e di disonesti. A differenza dei libri e della musica, difficilmente i film possono restare riservati a certi gruppi.
- Di conreguenza: gli argomenti trattati dal cinema non possono spaziare come nei libri. Si aggiunga che:
- il libro descrive, ma il film rappresenta vivamente; quello descrive su una fredda pagina, questo rappresenta con immagini vive;
- il libro raggiunge l’intelligenza per tramite delle semplici parole; il film invece tocca gli occhi e le orecchie mediante la riproduzione di fatti concreti;
- l’effetto del libro sul lettore dipende in gran parte dal suo grado di fantasia; quello di un film invece dalla vivezza delle sue immagini. Per queste ragioni molte delle descrizioni ed allusioni permesse nei libri non potrebbero permettersi sullo schermo.
- Ciò vale pure del film rispetto al giornale:
- il giornale riporta descrivendo, il film rappresentando la realtà;
- il giornale racconta fatti ed eventi già avvenuti, il film li mostra nel loro prodursi, con tutte le apparenze della realtà attuale.
- Non tutto ciò che può permettersi lo spettacolo teatrale lo può il film:
- essendo più vasto il pubblico che vede il film. La psicologia insegna, infatti, che in proporzione alla loro vastità, minore è la resistenza morale delle masse alla suggestione;
- a causa della luce, del rilievo dei caratteri, della presentazione e dell’enfasi scenografica, ecc. il racconto cinematografico è accessibile al pubblico più che non lo sia quello teatrale;
- il culto divistico verso attori ed attrici del cinema, sproporzionato alla parte da essi tenuta nel racconto, fa simpatizzare il pubblico con i personaggi da essi interpretati e per le azioni da essi rappresentate. Quindi il pubblico tende a scambiare attori ed attrici con i personaggi da essi interpretati, e diventa quanto mai recettivo verso le suggestioni e gli ideali presentati dai divi prediletti.
- I pubblici di piccoli centri, ancora lontani dalle falsificazioni e dall’insensibilità spesso subite nelle idee e nel costume morale dai pubblici di grandi città, sono più facilmente e prontamente influenzabili dai film in genere.
- La grandiosità delle scene di massa, il ritmo intenso e i valori spettacolari, toccano e scuotono più intensamente le facoltà emotive del pubblico.
Concludendo: la mobilità, la popolarità, l’accessibilità, il richiamo emotivo, la vivezza e fedeltà delle immagini nei film producono un contatto più intimo con pubblici più vasti, e maggiori richiami emozionali. Di qui le maggiori responsabilità morali del cinema.
II - DISPOSIZIONI GENERALI
1 - Non si produrranno film moralmente dannosi agli spettatori. Perciò non si indirizzerà la loro simpatia verso il delitto, l’illecito, il male o il peccato.
RAGIONI - Ciò accade:
- quando il male viene mostrato attraente o piacevole, ed il bene, invece, non attraente;
- quando la simpatia del pubblico viene portata verso il delitto, le azioni cattive, il male ed il peccato; così pure quando viene sollecitata contro la bontà, l’onore, l’innocenza, la purezza e l’onestà.
Nota. - Altra cosa è la simpatia verso il peccatore, ed altra quella verso il peccato o il crimine da lui commesso. Se è lecito commiserare lo stato del delinquente e tener conto delle circostanze che lo hanno indotto al delitto, non è lecito simpatizzare col male da lui commesso.
La trattazione del male è spesso necessaria nell’arte del romanzo, o teatrale. Essa, di per se stessa non è immorale, purché:
- il male non sia presentato in forme attraenti. Anche se sulla fine del film il male è condannato e punito, non può essere mostrato tanto piacevole che gli spettatori finiscano con l’approvarlo e desiderarlo, sì da dimenticare la condanna e ricordare solo le apparenze piacevoli del male;
- durante tutto lo spettacolo il pubblico riporti la convinzione che il male è male e il bene è bene.
2 - Si porranno in buona luce solo i valori positivi della vita, permettendosi l’uso di elementi contrari soltanto se richiesti dalle esigenze drammatiche.
RAGIONI. - Il cinema può fornire una vasta conoscenza della vita e del costume. Quando i valori reali sono presentati adeguatamente, il cinema esercita un influsso benefico, foggiando il carattere, sviluppando ideali giusti, inculcando principi corretti mediante le attrattive del racconto. Se il cinema presenta adeguatamente all’ammirazione personaggi di alti principi e fornisce vicende capaci di migliorare la vita, potrà diventare la forza più potente a vantaggio dell’umanità.
3 - Non si irriderà alle leggi naturale ed umane, né se ne renderà attraente la violazione.
RAGIONI. - Per legge naturale si intende la legge scritta nel cuore di ogni uomo: le massime e fondamentali norme del bene e del giusto dettate dalla coscienza. Per legge umana s’intende quella scritta dalle nazioni civili.
- La presentazione di delitti contro la legge è spesso necessaria per lo sviluppo della trama; però non dovrà produrre simpatia verso il delitto ed antipatia verso la legge; né simpatia verso il delinquente ed antipatia verso chi lo punisce.
- I tribunali della nazione non dovranno essere mostrati come ingiusti; il che non vieta che un singolo tribunale, o un singolo magistrato possano essere presentati come ingiusti. Insomma, è l’insieme del sistema giudiziario che non deve soffrire danni.
III- DISPOSIZIONI PARTICOLARI
RAGIONI. 1 - Il peccato ed il male entrano nella vita degli uomini; quindi fanno parte necessaria del materiale drammatico.
2 - Nell’uso di questo materiale occorre distinguere tra peccati per se stessi ripugnanti e peccati per lo più attraenti; tra i primi mettiamo l’omicidio, la maggior parte dei furti, molti delitti legali, la menzogna, l’ipocrisia, la crudeltà, ecc.; tra i secondi mettiamo i peccati sessuali, i peccati e i delitti di apparente eroismo, come quelli dei banditi, dei furti audaci, delle imprese a delinquere, dei crimini organizzati, delle vendette ecc. Nel trattare quelli della prima classe non occorrono eccessivi riguardi, perché il pubblico istintivamente condanna e respinge i delitti naturalmente ripugnanti. Tuttavia, in questa categoria occorrerà evitare, specialmente in considerazione degli spettatori più giovani ed impressionabili, l’abitudine del pubblico all’idea ed all’esecuzione dei crimini. La gente, infatti, potrebbe familiarizzarsi con l’omicidio, la crudeltà, la brutalità ed i delitti repellenti mediante la loro frequente ripetizione. La seconda classe invece richiede molto tatto, essendo evidente l’inclinazione della natura umana verso i suoi richiami. Ma di ciò più ampiamente in appresso.
3 - Occorrerà distinguere bene anche tra film destinati alla distribuzione più generale e film destinati a locali riservati a pubblici scelti. Argomenti e trame adatti a questa categoria sarebbero del tutto fuori posto e pericolosi per la prima.
Nota. – In genere, la prassi di usare dei cinema ordinari per proiezioni riservate ad adulti si è dimostrata non del tutto soddisfacente e pratica. Resta vero, tuttavia, che intelligenze adulte più facilmente comprendono ed accettano senza danno argomenti trattati in trame positivamente pericolose per spettatori più giovani. Perciò, se si riservassero sale speciali per pubblici adulti e per film loro adatti – film problematici, importanti discussioni difficili e considerazioni complesse – ciò potrebbe fornire lo sbocco, finora inesistente, a film non adatti alla distribuzione ordinaria, ma proiettabili avanti a pubblici ristretti.
1 - In generale, LE INFRAZIONI DELLA LEGGE non si presenteranno in modo da suscitare attrazione per il delitto, né disprezzo della legge e della giustizia, o stimolare desideri di imitazione. In particolare:
- l’omicidio:
- sarà rappresentato in modo da non spingere alla imitazione;
- evitandone i particolari più brutali;
- né si giustificherà la vendetta ai nostri giorni;
- la tecnica dei delitti non dovrà descriversi minutamente:
- così il furto, la rapina, gli scassi di casseforti, i minamenti di treni, di gallerie e di edifici;
- la stessa norma vale per gli incendi dolosi;
- l’uso delle armi da fuoco sarà ristretto ai casi di vera necessità;
- non si descriveranno le tecniche del contrabbando
- Il contrabbando di droghe è escluso,
- L’uso dei liquori nella vita americana è escluso, se non è richiesto dalla trama del film o dalla necessaria azione dei personaggi.
RAGIONI. Perciò la presentazione dei delitti contro la legge non dovrà:
- insegnarne le tecniche;
- ispirare ai predisposti la voglia di imitarli;
- presentare delinquenti come eroi, o giustificarli;
- non si giustificherà la vendetta ai nostri giorni; potrà qualche volta rappresentarsi in paesi e tempi remoti, con civiltà e morale arretrate; per esempio, dove non esistono leggi per punire il delitto vendicato;
- date le cattive conseguenze che ne deriverebbero, il traffico illegale degli stupefacenti non sarà mostrato in nessuna forma: l’esistenza di tale traffico non dovrebbe essere portata all’attenzione del pubblico;
- l’uso immoderato di bevande alcooliche non dovrebbe essere mostrato, anche se l’azione del film si svolgesse in paesi ove l’uso non ne è legalmente vietato 11. Nelle scene di vita americana, solo le esigenze della trama, o speciali caratterizzazioni, ne giustificherebbero l’uso; ma anche in questi casi occorre la moderazione.
2 - Circa LA VITA SESSUALE: si rispetterà sempre la santità del matrimonio e della famiglia. I film non mostreranno come ovvie e correnti le immoralità sessuali.
- L’adulterio potrà essere trattato se necessario alla trama del film; tuttavia non minutamente, né giustificandolo o presentandolo in forma attraente.
- Le scene passionali:
- potranno inserirsi solo se necessarie alla trama;
- si eviteranno baci prolungati o sensuali, abbracci sensuali, atteggiamenti e gesti sconvenienti;
- in generale la passione sarà trattata in modo da non suscitare sentimenti volgari e bassi.
- La seduzione, e la violenza contro donne:
- saranno trattate sobriamente e solo se necessarie alla trama; tuttavia evitando la descrizione della loro tecnica;
- e non saranno mai un argomento adatto di commedia.
- Le inversioni sessuali sono escluse, anche per accenni.
- La prostituzione non sarà trattata.
- La promiscuità sessuale tra bianchi e neri è esclusa.
- L’igiene sessuale e le malattie veneree non sono argomenti da film.
- Le scene di parto sono escluse, anche parziali o in profilo.
- Le parti sessuali dei bambini sono escluse dallo schermo.
RAGIONI. Per il rispetto dovuto alla santità del matrimonio e della famiglia, il triangolo, cioè l’amore di un terzo per una persona sposata, richiede molta cautela. Il suo trattamento non deve attirare l’antipatia del pubblico contro il matrimonio come istituzione. Le scene passionali vanno presentate tenendo giusto conto della debolezza della natura umana e delle sue normali reazioni. Molte scene non possono venir proiettate senza suscitare reazioni pericolose in gran parte degli immaturi, dei giovani o dei criminali.
Anche entro i limiti dell’amore lecito certe manifestazioni, a giudizio di tutti i legislatori, violano l’onesta rappresentazione. Nel caso di relazioni illecite, che la società ha sempre giudicato immorali e la legge divina condanna, importano i punti seguenti:
- l’amore illecito non dovrà essere mostrato in forme attraenti e belle;
- non dovrà assumersi ad argomento di farse, di commedie o trattato comicamente;
- non dovrà esser presentato in modo da suscitare passioni o curiosità morbose, anche se solo in una parte del pubblico;
- non dovrà essere presentato come giusto e scusabile;
- in generale, non ne dovrà essere descritta la tecnica particolareggiata.
3 - Circa LA VOLGARITÀ: argomenti bassi, disgustosi e repellenti, anche se non necessariamente immorali, non dovranno urtare il buon gusto e la delicatezza del pubblico.
RAGIONI. - Questo, come i due numeri seguenti, non abbisogna di chiarimenti oltre quelli contenuti nelle «Disposizioini Generali».
4 - L’OSCENITÀ sarà esclusa, sia nelle parole, nei gesti e nei canti, sia nelle allusioni, anche se intelligibili solo da una parte del pubblico.
5 - Ogni PROFANAZIONE sarà evitata; quindi si eviteranno le parole: Dio, Signore, Gesù, Cristo, se non usate con riverenza; inferno, figlio di ..., maledizione..., e qualsiasi altra espressione irriverente e triviale.
6 - Circa L’ABBIGLIAMENTO:
- La nudità; completa non è mai permessa, sia reale sia di profilo, come pure ogni allusione al riguardo lasciva o licenziosa.
- Le riprese di attori che si svestono di norma non saranno permesse, salvo nei casi imposti dalla trama.
- Le esibizioni indecenti ed indecorose sono escluse.
- I costumi da ballo, che permettano esibizioni impudiche o movimenti indecenti nel ballo, sono proibiti.
RAGIONI. - Principi generali:
- l’effetto della nudità o della seminudità sull’uomo e sulla donna normale, e molto più sui giovani e gli immaturi, è stato onestamente riconosciuto da tutti i legislatori e i moralisti;
- quindi, che il corpo nudo, o seminudo, sia bello non fa sì che mostrarlo sia ipso facto morale, perché oltre che della sua bellezza va tenuto conto dell’effetto che un corpo nudo o seminudo produce negli individui normali;
- la nudità o la seminudità, usata soltanto come richiamo per il pubblico, sono da considerarsi immorali, perché l’effetto da esse causato nel pubblico medio è immorale;
- i materiali trasparenti e traslucidi, ed i profili spesso riescono più suggestivi della nudità totale.
7 - Circa I BALLI:
- sono proibiti quelli che simulino o alludano a rapporti sessuali ed a passioni indecenti;
- saranno considerati come osceni quelli che mostrano movimenti indecenti.
RAGIONI. - Il ballo in genere è ritenuto arte, forma bella di esprimere i sentimenti umani. Ma i balli che rappresentano o suggeriscono atti sessuali, eseguiti da solo o da più persone, come pure quelli che eccitano passionalmente il pubblico, o con movimento dei seni, contorcimento del corpo a piedi fermi, violano, la decenza e sono riprovevoli.
8 - Circa LA RELIGJONI:
- Nessun film o parte di esso potrà deridere una credenza religiosa.
- I rappresentanti religiosi, o simili, non potranno mostrarsi come ridicoli o delinquenti.
- Le cerimonie di qualsiasi religione dovranno essere trattate con esattezza e rispetto.
RAGIONI. - Il motivo per cui i rappresentanti delle religioni non potranno mostrarsi in parti di personaggi ridicoli o delinquenti sta semplicemente nell’atteggiamento che da essi può trasferirsi sulla religione in genere. Questa viene avvilita nell’opinione degli spettatori se si manca di rispetto verso chi la rappresenta.
9 - Circa I LUOGHI: le scene di camere da letto dovranno ispirarsi a buon gusto e a delicatezza.
RAGIONI. - Certi luoghi sono tanto intimamente ed indissolubilmente connessi con la vita o il peccato sessuale che la loro presentazione deve essere prudentemente misurata.
10 – Circa I SENTIMENTI NAZIONALI:
- Si farà uso rispettoso della bandiera.
- La storia, le istituzioni, i personaggi e gli abitanti di altri paesi saranno presentati con correttezza.
RAGI0NI. - I giusti diritti, la storia e i sentimenti di qualsiasi nazione devono essere considerati e trattati con rispetto.
11 - Circa I TITOLI: si eviteranno quelli sporchi, indecenti od osceni.
RAGIONI. Siccome il titolo del un film è come la marca di una merce, deve conformarsi con le norme morali di tutti gli affari onesti.
12 - Circa gli ARGOMENTI REPULSIVI: non si dovranno violare le esigenze del buon gusto trattando:
- Le esecuzioni di pene capitali mediante impiccagione o sedia elettrica.
- I metodi polizieschi per far confessare.
- Le brutalità ed eventuali orrori.
- La marcatura a fuoco di uomini o di bestie.
- I maltrattamenti di bambini e di bestie.
- Il commercio di donne e la prostituzione delle stesse.
- Le operazioni chirurgiche.
RAGIONI. - Tali argomenti qualche volta sono necessari alla trama; però il loro trattamento non deve mai offendere il buon gusto né urtare la delicatezza del pubblico.
Le troppo facili ironie
Non si può dire che questo Codice abbia goduto di una buona stampa; anzi, tra fa Intellighentia del mondo cinematografico è pacifico che non si raccomanderebbe per cultura e libertà di spirito chi non si affretta dirne male, tanto meno chi ne parlasse bene. Ne hanno scritto, perciò, e ne scrivono denigrandolo, o ironizzandoci sopra, i nemici o negatori di ogni regola morale: e “ipocrita” è l’epiteto con cui questi “spiriti liberi” gratificano il Codice e i suoi tutori. In particolare, tra essi, i marxisti addebitano al Codice tutte le remore dei produttori contro i film di denuncia, di cui essi si vantano paladini (quando hanno la buona sorte di vivere nei paesi capitalisti); e tra questi pontifica Georges Sadoul, ciecamente seguito dai compagni di fede, ed anche da altri, stranamente fiduciosi verso una fonte di sì scarso credito12.
Seguono, lancia in resta contro il Codice, i tutori dell’arte, libera perché Arte, e morale in quanto tale, quali i teorizzanti Jean Benoit-Lévy e André Lang. Il primo, regista e pedagogo, anche in omaggio agli Stati Uniti che lo ospitavano, onestamente ammira l’elevatezza morale del Preambolo e delle Disposizioni generali, ma poi «infinitamente (sic!) rimpiange che i produttori, con le Disposizioni particolari, siano stati forzati a imporsi proibizioni contro natura (!), le quali finiscono con l’ostacolare la libertà artistica mortificando la fantasia e l’inventiva degli autori»13; il secondo, anche lui pedagogo, se la prende
col Codice non perché limiti la libertà dell’artista, ma perché trascura l’essenziale, non tenendo conto della qualità artistica dei film. La censura — egli continua — dovrebbe adoperare il criterio dello stile artistico, perché questo conta e non la morale. Infatti, la morale senza arte produce immancabilmente degli sgorbi, mentre l’arte senza la morale può creare dei capolavori: e quel che tocca ed incanta la mente non può macchiare l’anima... Dunque, il valore e l’onestà dei film vanno giudicati soltanto dall’ingegno e dalla sincerità (dell’artista). La morale non è un’etichetta da incollare a priori su un soggetto di film, bensì una luce di cui splende il film quando è opera di vero artista14.
Lanciate da chi evidentemente o non conosce o non accetta l’etica naturale o la morale cattolica, queste obiezioni si risolvono in nulla quando si ammetta l’una o l’altra, salva sempre, anche tra cattolici, la libertà di discussione circa i rapporti teorici e concreti tra arte e morale, semplicisticamente risolti dal Lang. Lasciano, invece, almeno perplessi quanti non sono familiari col testo del Codice, od ignorano le circostanze che ne hanno accompagnato lo sviluppo, quelle che furono oggetto della poco edificante schermaglia avutasi nel 1951 tra due noti e sicuri cattolici. Contro M. Quigley, che aveva lodato il Codice come «una applicazione pratica della morale dei Dieci Comandamenti», J.L. Tallenay ribatté che la morale, virtù religiosa, col Codice, semplice filza di convenzioni societarie, non aveva nulla che fare, e che esso, sul piano morale, tutto sommato, era più dannoso che utile. A questi rilievi, del resto accompagnati da altri che non difettavano di acume, di dottrina e di zelo, purtroppo fu facile al Quigley ribattere che l’obiciente teneva conto dei divieti ma non della dottrina morale, parte integrante del Codice; inoltre, che gli faceva dire quello che il suo scritto non diceva, e che lo stesso faceva con alcuni passi della Vigilanti cura, addotti a sproposito come argomento di autorità.
La polemica, che in qualche tratto scivolò su questioni personali e nazionalistiche, come avviene, fasciò ciascun contendente nella propria opinione; ma da essa ci giova prender le mosse per fare, se possibile, un po’ di luce sui pregi, limiti e difetti del Codice, sotto l’aspetto di morale cristiana e naturale15.
Tra morale, etica ed affari
Che tanto l’idea ed il proposito di un codice di autocontrollo da parte dell’industria cinematografica, quanto la loro attuazione nel Codice Hays del 1930 possano ritenersi non solo non contrari alla morale cattolica, bensì anche sostanzialmente armonizzanti con essa, si deduce a priori dalla personalità dell’autore principale di esso (come abbiamo visto), cattolico, sacerdote e gesuita; come pure dalle qualificate approvazioni che riscosse allora e poi. Tra queste ci piace ricordare quella vibrante di sodisfazione e di speranze espressa nel nostro periodico dal padre Mario Barbera S.I., la quale terminava cosi:
Concludendo... possiamo dire che esso è un fatto veramente singolare ed importantissimo per il risanamento morale del cinematografo in tutto il mondo; perciò l’opinione pubblica, e la stampa che la guida, devono accoglierlo con plauso e cooperare alla sua conoscenza e alla sua osservanza, anche con la critica di quelle cinematografie che da esso si dimostrassero difformi16.
L’aveva tempestivamente preceduto, sulla consorella America, il padre Wilfrid Parsons S.I., informando i lettori intorno alle grandi linee del Codice, sostenendo che un autocontrollo della produzione è preferibile a qualsiasi censura di Stato, anzi, che «nessuna forma di censura, che non sia quella volontaria, potrà essere valida in pratica»; quindi, a proposito delle tre Disposizioni generali, commentando:
Ci si domanda che bisogno vi fosse di ripetere principi tanto evidenti. Rispondiamo che l’industria cinematografica comprende due correnti, l’una e l’altra tendenti a violare le norme della morale. La prima è quella della “cassetta”, alla quale tutto è lecito di quanto possa richiamare le folle ai film; la seconda è quella dell’“arte per l’arte”, secondo al quale, il film, essendo arte, è indipendente da ogni limite morale. Ogni corrente riteneva li proprio principio come del tutto ovvio; quindi l’accettazione pubblica di un codice siffatto da parte dell’industria vale una rivoluzione: esso significa che i produttori si sono persuasi che i film morali, possono essere anche film di cassetta e film artistici...17.
Lo stesso scrittore, sempre su America, qualche mese più tardi tornava sull’argomento, spiegando con due motivi questo suo insistere: 1) perché ancora riteneva l’autocontrollo più efficace e da preferire a qualsiasi censura di Stato; 2) per formare intorno al Codice una favorevole opinione pubblica, senza la quale esso sarebbe restato lettera morta; quindi rendeva pubbliche due dichiarazioni di altissime autorità ecclesiastiche, desunte la prima da un’intervista del card. G. Mundelein, arcivescovo di Chicago, sollecitata ed ottenuta dal padre Fitz George Dinneen S.I., l’altra da una lettera del card. P. Hayes, arcivescovo di New York, sollecitata od ottenuta da lui stesso, ambedue efficacissime appunto a bene instradare l’opinione pubblica:
Ho accolto — dichiarava il primo — con favorevole interesse il nuovo Codice del cinema... Esso, se applicato rettamente, potrà portare definitivamente la tremenda industria ed arte del cinema dalla parte della morale, della virtù, del rispetto alla patria, alla legge di Dio e dei cittadini onesti. Mi dichiaro cordialmente d’accordo col Codice, che giudico liberale, chiaro e moralmente sicuro... Se i film seguiranno le sue norme, i nostri giovani non ne porteranno danno, e noi non saremo più costretti a riguardare il cinema come un avversario, che tenta di distruggere l’operato delle nostre scuole cattoliche... L’industria cinematografica ha compiuto un passo decisivo approvandolo e firmandolo. Quanti siamo solleciti della salute morale del paese e dell’avvenire dei nostri figli, seguiremo con vivo interesse gli effetti del Codice sui film avvenire.
... la ringrazio — scriveva il secondo — di aver richiamato la mia attenzione sul Codice... Da molto tempo non conosco iniziativa più incoraggiante e più ricca di speranze per il futuro morale nella nazione che questa dell’autocontrollo da parte di coloro che reggono il mondo cinematografico. Se questo strumento meraviglioso di educazione e di divertimento comune fosse lasciato libero sulla via della volgarità e della corruzione... l’America esporrebbe ai più gravi danni la sua cultura, la santità della famiglia, l’onestà di tutte le relazioni religiose, sociali ed umane. Il coraggio di quanti hanno accettato il Codice, invece, trasformerà il cinema in uno strumento di bene, preparando l’attuazione dei più nobili ideali18.
A queste approvazioni e lodi dovevano far seguito anche quelle di Roma, contenute, pur se non esplicita , nella Vigilanti cura di Pio XI. Il solenne documento, infatti, nel 1936, doveva definire «sagge determinazioni» [64]19 quelle con cui i dirigenti dell’industria cinematografica nel 1930 avevano promesso «che non verrebbe mai più prodotto alcun film atto ad avvilire il livello morale degli spettatori, o tale da porre in discredito la legge naturale o umana, o da ingenerare simpatie per la violazione di ...» [63]: espressioni che ripetono quasi ad verbum le tre Disposizioni generali; inoltre, lamentata la non osservanza di sì saggi propositi, venendo alla parte dottrinale, l’enciclica doveva rilevare la portata sociale e morale del divertimento [73], e quella maggiore del cinema [74], dipendente: a) dalla natura delle immagini filmiche, b) dalla popolarità dello spettacolo cinematografico, e infine c) dalle circostanze che lo accompagnano [75], anche in questa divisione, e nel suo sviluppo [76-83], echeggiando l’ordine ed i rilievi psicologici e morali delle Ragioni apposte al Preambolo del Codice20.
In realtà, il moralista cattolico, come pure il sociologo e lo psicologo che leggano il Codice Hays senza pregiudizi, non possono non riconoscere, specie nell’apparato dottrinale che ne forma il connettivo, una sicurezza ed un equilibrio sorprendenti, soprattutto se visti in relazione all’ambiente ed all’epoca in cui furono espressi. Per parte nostra riteniamo che esso costituisca uno dei primi, più semplici e più completi sommari di psicologia e di morale cinematografica, e valido ancora oggi, in quanto le sue ragioni psicologiche e morali si fondano in massima parte sui dati più incontrovertibili della natura umana. Perciò, se anche noi deploriamo che «i responsabili si siano poi dimostrati o incapaci o non disposti ad osservare ciò cui spontaneamente si erano impegnati» [64], non meno deploriamo che teorici di cinema, critici ed educatori generalmente lo ignorino, non foss’altro perché la conoscenza dei suoi capisaldi dottrinali avrebbe risparmiato, e risparmierebbe, tante discussioni a vuoto e tante cantonate circa la moralità del cinema in generale, e dei film in particolare.
Tuttavia non può negarsi che esso non rimandi a verità e a dati specificamente cattolici. Ma ciò è da considerarsi piuttosto un suo pregio pratico, perché solo a questa condizione era possibile, nel concreto ambiente cinematografico americano, formulare e far accettare un codice di morale. Infatti, proprio per questa qualità se ne entusiasmò l’Hays. Se per un momento, sentendoselo proporre da un cattolico, e come stilato da un gesuita, egli, da buon presbiteriano, ne aveva diffidato come di «cosa di chiesa», appena lettolo, dovette ricredersi, perché non ci trovò nulla di «dommatico». Recandosi, poi, ad Hollywood col manoscritto, i suoi timori si erano rinnovati pensando a quale razza di gente egli doveva farlo inghiottire: delle otto grandi case della West Coast solo la Fox era esente dall’influsso di ebrei, proprietari e dirigenti di tutte le altre; il 75% dei soggettisti, scrittori, ecc. erano praticamente pagani...21. Eppure il successo presso i produttori, come abbiamo visto, fu pronto ed entusiasta, proprio perché, contrariamente ai loro timori di “laici”, lo schema del codice non solo non era “papista”, e neanche “riformato”, ma, con una larghezza di idee per essi inattesa, concedeva anche la rappresentazione del male, sia pure entro certi limiti, per altro imposti da quella legge naturale, iscritta nei cuori di tutti gli uomini, che essi, ci credessero o meno, proprio non ebbero l’ardire di sconfessare in pubblico. Sicché, a Codice perfezionato, uno di loro, lrving Thalberg, lo acclamò come «La Bibbia del cinema»; un altro, R.A. Milligan, lo dichiarò «una delle più significative manifestazioni della libertà di iniziativa privata tipica del mondo americano», mentre gli altri, se avessero letto i Promessi Sposi, forse avrebbero esclamato, vinti insieme e sodisfatti, come il «signor tale» del Manzoni: «Diavolo di un frate!».
Restano, è vero, le Disposizioni particolari ad ingenerare, almeno in noi europei e latini, un certo disagio; prima di tutto perché si tratta di divieti, poi perché si direbbe che si ispirino ad una concezione piuttosto formalistica della morale, quasi che questa si esaurisca nella presenza o assenza materiale di alcuni argomenti od oggetti, infine perché, con le loro differenze di natura e di valore, sembrano mescolare e confondere principi di morale vera e propria (profanazione del nome di Dio, nudità oscena...), con convenzioni civili e di buona educazione (rispetto alla bandiera, maltrattamento degli animali...), con disposizioni legali più o meno transitorie (l’uso degli alcoolici nella vita americana...) e con pregiudizi veri e propri (matrimoni tra bianchi e neri...). Tuttavia, a ben riflettere, queste nostre allergie derivano dall’errore di considerare “codice di morale " tout court quello che nelle intenzioni dei suoi autori e firmatari non è stato mai altro che uno strumento pratico per ovviare ad alcune delle mende più comuni e più rilevanti riscontrate nei film U.S.A. nel decennio 1920-’30. Nonostante il loro comprensibile ottimismo, gli stessi Quigley ed Hays furono i primi a riconoscerlo. «A noi premeva — confessa questo — arrivare ad un codice. Dopotutto non eravamo missionari incaricati di fondare una nuova civiltà, ma cineasti che volevano conformare la loro arte con la parte migliore della civiltà del tempo»22.
Esso, almeno per una parte dei firmatari, poggiava sull’equivoco. Per i moralisti cattolici, infatti, l’aspetto rilevante di certe mende era quello morale e religioso; ma i rappresentanti di categorie e di professioni civili protestavano a tutela dei propri interessi più o meno rispettabili, che essi avevano motivo di credere minacciati dalla grande suggestività e forza imitativa propria dello schermo23, mentre le reazioni delle commissioni di censura statali e municipali si ispiravano ad una etica generica, fondamentalmente cristiana, venata però di puritanesimo protestante e di pregiudizi locali, grosso modo coincidente con lo standard di educazione media americano. Ora agli affaristi del cinema, di tutte queste belle cose, se pure ne intendevano i termini, non importava un bel nulla; essi sapevano solamente che c’erano alcuni argomenti che suscitavano reazioni pericolose per le loro cassette, e che se quelle reazioni riuscivano a mettere in moto alcuni ruotismi censòri, tristi ore sarebbero sonate per tutta l’industria ed il commercio cinematografici: per tutelarsi, ad essi era più che sufficiente un elenco di quegli argomenti tabù24. Come direttore della M.P.P.D.A., e con le convinzioni religiose che si ritrovava, l’Hays era l’uomo che ci voleva per mettere d’accordo interessi tanto disparati. Egli cercò, dunque, di “informare” con un’anima di dottrina – “filosofica”, dice sempre lui, per non compromettersi con un “morale” – l’elenco materiale e puramente pratico di Joy. Quest’anima gliela fornirono i cattolici, detentori indiscussi della più salda e collaudata delle morali, rispettata per giunta da ben venti milioni di americani. Conclusione: il Codice Hays, che ne risultò, fu più che altro una ingegnosa “combinazione”. Come tale, è vano cercarvi la coerenza e la completezza di un trattato di morale cattolica.
Vantaggi e frutti
Le “combinazioni” si concludono per contemperare esigenze e vantaggi contrastanti. Abbiamo visto quali fossero queste esigenze e questi vantaggi nel caso dei nostro Codice; ora possiamo chiederci se, di fatto, esso li contemperò e li difese. Rispondiamo che certamente gli affaristi che lo firmarono non ebbero a pentirsene. Infatti, per merito del Codice, la temuta censura federale non fu istituita né allora né poi; quelle statali e municipali non aumentarono di numero, anzi ridussero i loro interventi, con vantaggi computabili in bilanci di molti zeri. Quando, nel settembre 1932, il colonnello Jason Joy lasciò lo Studio Relation Committee per passare alla Fox, la rivista Variety, che non le aveva lesinato le critiche, dovette riconoscere che di fatto la commissione aveva fatto risparmiare il settanta per cento dei tagli in censura, corrispondenti alla bazzecola di quattro milioni di dollari!
Ma bisogna onestamente riconoscere che anche l’onestà, la morale e la Chiesa cattolica segnarono col Codice non pochi né piccoli vantaggi: alcuni diretti, altri indiretti. Il primo, diretto, consistette nel sensibilizzare culturalmente e moralmente i dirigenti di New York e gli industriali di Hollywood; per quanto superficialmente ciò possa essere avvenuto, il fatto che tali e tanti signori, i quali rappresentavano qualcosa come il 95% della produzione degli Stati Uniti e l’84% di quella mondiale, abbiano pubblicamente dichiarato la loro persuasione circa la necessità e la convenienza di film artistici e morali, non è esagerato proclamarlo, insieme col padre W. Parsons, «una vera rivoluzione». Un secondo vantaggio diretto, e più tangibile, fu il notevole miglioramento qualitativo dei film immediatamente seguitone. Nel 1931, infatti, la media dei film passati per buoni rispetto a quelli esaminati dalle commissioni (cattoliche) passò dal 77% all’82% per i film a soggetto, e dal 72% all’84% per i cortometraggi25. Se il pubblico, in America e fuori, non ebbe l’impressione di una bonifica totale, ciò fu, prima di tutto, perché solo lentamente fu possibile eliminare la produzione deteriore che era in circolazione alla firma del Codice; poi perché qualche casa indipendente continuò ad incrementarla; quindi perché, come suole avvenire, il richiamo scandalistico di pochi film disonesti fece più chiasso di quello benefico di molti film onesti; infine perché il Codice non poteva né voleva essere la panacea di tutte le carenze del cinema. Era, ripetiamo, una misura di difesa contro alcuni inconvenienti morali o, diciamo cosi, di un servizio pubblico: merito suo fu averli in gran parte evitati o ridotti.
Addossare ad esso, come è stato fatto, altri inconvenienti, quali la proliferazione dei film di gangster 26 e la consuetudine delle pin up, l’esclusione di film sociali e l’avvilente livello artistico della produzione media, è un procedimento del tutto illogico, quando anche non settario e di malafede. Se questi fatti sussistono, come sussistono, il rimprovero va rivolto contro il meccanismo della produzione cinematografica in quanto tale, che, così in America come in tutto il mondo, è condizionato prevalentemente da problemi ed interesse economici – eccezion fatta per tutti i felici paesi d’oltre cortina, dove, come già alquanto nella Germania nazista e nell’Italia fascista, ogni interesse economico è soppiantato da quello politico –; e va rivolto contro gli uomini che non lo applicarono, qualche volta neanche nella lettera, più spesso nello spirito. In particolare circa i valori dell’arte ed i problemi sociali ci si dimentica: 1) che essi nel Codice non sono affatto avversati o esclusi; 2) che esso espressamente si riferisce a film di divertimento e alla portata di pubblici indifferenziati (per giunta: americani, e del 1930), e non di film problematici, riservati a pubblici selezionati, capaci quindi di intenderli con frutto o, almeno, senza danno. In verità ci sembra una strana sensibilità morale quella di cattolici che sembrano giustificare, o non avvertire, il reale danno psicologico e spirituale di milioni di spettatori culturalmente e moralmente immaturi, per osannare a ipotetiche purificazioni estetiche, o a vibrazioni sociali, di rari cenacoli di iniziati e cólti27. Piuttosto, se un rilievo va mosso contro il Codice ci pare che sia quello di non aver predisposto i mezzi efficaci per la sua applicazione, contro la debolezza, se non la malafede, dei firmatari, almeno fino al 1934, quando si fece sentire la spinta dei cattolici americani come “gruppo di pressione”. Allora il Codice segnò – con poco onore dei suoi firmatari – un altro vantaggio, indiretto, vale a dire l’interessamento pubblico, ufficiale e solenne della Chiesa cattolica ai problemi del cinema: innescato, come abbiamo visto, in America nel 1930 per tramite di due arcivescovi, di un sacerdote e di un laico, doveva far esplodere, appunto nel 1934, la Legion of Decency, la quale a sua volta doveva occasionare, nel 1936, l’enciclica Vigilanti cura, di Pio XI, prima magna charta del supremo magistero ecclesiastico intorno ai problemi morali del cinema. Ma di ciò un’altra volta.
1 Cfr Civ. Catt. 1960, IV, 483-497.
2 Salvo sviste, egli scrive di Code de la pudeur la prima volta nel 1949, in Histoire du cinéma mondial, p. 202 (in italiano: Storia del cinema, Torino 1951, p. 274) con questa postilla: La pudeur fut moins une fin qu’un moyen et servit à transformer le cinéma en instrument de propagande glorifiant le Standard de vie des Êtats-Unis... Nel 1952 replicò in Cinéma, un oeil ouvert sur le monde, p. 47: Purilia vient de pur. Pour préserver la pureté d’Hollywood fut institué un code impitoyable, surnommé par ses ennemis Code de la pudeur... Si accodano al Sadoul nel 1953 e 1954 i «fascisti» M. BARDÈCHE e R. BRASILLACH (Histoire du cinéma, vol. I, pp. 273-276; vol. II, p. 206, dove lo fanno nascere nel 1924!); nel 1955 il cattolico C.H. FORD, prima da solo (Le cinéma au service de la foi, 1953, p. 207, e Histoire populaire du cinéma, 1955, p. 197), poi insieme con R. JEANNE (Histoire du cinéma américain, p. 383); nel 1957 ancora il cattolico H. AGEL (Le cinéma, p. 32). Correttamente, invece, H. MERCILLON (Cinéma et monopoles, 1953, p. 60) e, per quanto dipenda da H. Agel, quindi dal Sadoul, il padre R. LUDMANN (Cinéma, foi et morale, 1956, p. 43).
3 W. HAYS, The memoirs of Will H. Hays, New York 1955, p. 434.
4 M. QUIGLEY, Decency in Motion Pictures, New York 1937, p. 51.
5 Revue International du Cinéma, 1954, n. 7, p. 12; e n. 10, p. 38.
6 D. LORD, La Legione della Decenza, in La rivista del Cinematografo, 1938, n. 2, p. 25.
7 Le cinéma dans l’enseignement de l’Église, Roma 1955, pp. 268 e 244.
8 G. KELLY – J.C. FORD, The Legion of Decency, in Theological Studies, 1957, vol. 18, p. 390. – Crediamo che alla luce di questi testi non equivoci debbano leggersi altri testi imprecisi, quali quello di J.F. LOORAM: «redatto dal p. Lord in collaborazione con M. QUIGLEY (Revue Internationale du Cinéma, 1949, n. 1, p. 22); quello di P. HAYES: composé par un laïc catholique, Mr. Martin Quigley et par le R.P. Lord (Notiziario della Pontificia Commissione per la Cinematografia, 1954, nn. 22-23, p. 28). Alla luce poi degli stessi riteniamo manifestamente errati i seguenti testi: En 1929, Mr. Quigley créa un code... et obtint son adoption... (Revue Internationale du Cinéma, 1951, n. 7, p. 12); «M. Quigley fu il redattore del documento originario approvato nel marzo 1930» (Lo Spettacolo, 1957, n. 1, p. 62); e soprattutto il testo del solito abborraccione G. SADOUL: Il fut rédigé par le révérend Daniel Lord, en accord avec le révérend F.J. Dinesen... (Cinéma, un oeil ouvert sur le monde, cit., p. 47), dove egli scambia evidentemente un inesistente gesuita Dinesen col padre Fitz-George Dinneen, che coadiuvò, sì, il padre Lord, ma quattro anni dopo il Codice, nel lanciare la Legion of Decency (cfr G. KELLY – J.C. FORD, cit., p. 391).
9 Cfr Rivista del Cinematografo, 1931, 6, pp. 172-174; n. 8, pp. 219-222. – Per M. Quigley junior: Revue Intern. du Cinéma, 1951, n. 7, p. 19; ivi, sempre errando, egli data la Vigilanti cura al 2 luglio 1937 invece che al 29 giugno 1936.
10 Nella traduzione seguiamo il testo inglese di M. Quigley, del 1937 (op. cit., pp. 52-70). Siccome al nostro saggio interessa solamente il Codice Hays originale, di tutti i ritocchi posteriori ci basti ricordare quelli del 20 dic. 1938 (a proposito di delitti e suicidio), del 28 ott. 1939 (circa i costumi) e del 27 dic. 1940 (crudeltà con gli animali); tutti conglobati in quello dell’11 dic. 1956, predisposto da un apposito comitato, con la consulenza del vecchio Quigley. Per il testo: cfr Cronache del cinema e della televisione, 1957, n. 21, pp. 111-114; che dipende da Lo spettacolo, 1957, n. 1, pp. 62-66. – Per la differenza tra il testo del 1930 e quello del 1956, cfr G. KELLY - J.C. FORD, op. cit., pp. 403-404, e l’ironia inesatta e di dubbio gusto di F. DI GIAMMATTEO, in Cronache del cinema e della televisione, 1957, n. 20, pp. 64-69, dove, a proposito delle stesse varianti, sono riportate anche le parole di M. Quigley e del successore di W. Hays alla direzione della M.P.A.A., Eric Johnston. – Testi delle edizioni intermedie sono stati pubblicati su Cinema, n. s., 1948, n. 6, pp. 170 e n. 7, pp. 210 ss., a cura e con fazioso commento di G.C. CASTELLO; e recentemente su Filmcritica, 1960, n. 100, pp. 517, con lepidi rilievi di (l.s.). Per il Preambolo, cfr anche J. BENOIT-LÉVY, Les grandes missions du cinéma, Montréal 1945, pp. 297-298.
11 Questo particolare manca nel testo del Codice fornito dal Quigley, evidentemente perché il proibizionismo degli alcoolici, ratificato negli Stati Uniti nel 1919, dal 1933-’34 già non vi vigeva più.
12 Così T. CHIARETTI e L. QUAGLIETTI, per i quali «il malfamato codice nasce da un potere politico ed economico, che si dà leggi proprie e ne pretende l’obbedienza...; nasce come garanzia di conservazione di una classe sociale egemonica, che trova nel cinema uno dei mezzi fondamentali di propaganda e di coercizione politica» (Bianco e Nero, 1951, n. 10, p. 22 ss.); e H. AGEL, citando esplicitamente il Sadoul, con tutte le reticenze e le falsità che i nostri lettori potranno controllare direttamente sul testo del codice: Le code a formulé un certain nombre de points touchant des interdictions précises: certaines images sont rigoureusement interdites (deux personnes couchées dans le même lit, etc.); mais ce n’est là qu’un aspect assez puéril de la question; ce qui est plus grave c’est que toutes les réalités sociales qui touchent à des problèmes aigus sont éliminées à peu près d’office: Le Code traite en fait la misère, le chômage, les mouvements populaires, la condition des classes paysanne et ouvrière camme la syphilis ou la toxicomanie, puisqu’à part deux ou trois exceptions qui confirment la règle, ces thèmes sont éliminés des films, qui doivent montrer seulement “une moyenne correct de vie”. On peut se demander jusqu’à quel point ces interdictions ne sont pas une satisfaction donnée au pharisaïsme, beaucoup plus qu’un, mesure de protection efficace. En fait, toute cette activité reste bien formelle, puisque le code a autorisé gangsters et pin-up à devenir les symboles internationaux d’Hollywood (Le cinéma, 1957, p. 33); e finalmente, con la stessa mancanza di obiettività, R. LUDMANN: Les plus grave est que ces codes... bloquent tout, tentative de toucher aux grands problèmes de l’heur: misère, chômage, grève, enfance délinquant,, problèmes raciaux ou coloniaux, objection de conscience, méthodes judiciaires, etc., tout cela est éliminé d’office: les film ne doivent montrer “qu’une moyenne correct de vie” (op. cit., p. 43). – Risolutamente anche M. BARDÈCHE – R. BRASILLACH: Le Code de la Pudeur ne devait servir qu’à renforcer l’hypocrisie puritaine, à rendre le cinéma timide sur certains sujets graves, et n’entravait absolument en rien l’immoralite de l’écran (op. cit., p. 276). – Cfr ancora G. GEROSA, in Bianco, Nero, 1952, n. 11, p. 12; A. ZÚÑIGA, Una historia del cine, vol. II, 1948, p. 250 ss.; e, in una collana che passa come di cattolici, J. LEIRENS, La censure cinématographique – et surtout l’américain –, témoigne d’une hypocrisie et d’une stupidité qui attentent gravement à la liberté d’inspiration des artistes du cinéma (Vues sur le cinéma, 1947, p. 10).
13 Op. cit., p. 299; ed, esemplificando, critica i numeri 8 e 9 della II Disposizione particolare, con queste testuali parole: Ainsi devrait-on taire comme honteux et difformes les actes les plus beaux et les plus grands de la création, dissimuler comme un crime l’enfantement sublime alors que la transmission de la vie est un geste de beauté. Bien au contraire, le film dramatique n’a pas le droit de dissimuler la beauté. Il doit célébrer et glorifier par ses plus belles images les gestes sacrés de la maternité. Il n’en est pas de plus grands que ceux de la mère allaitant son petit puisqu’elle est le symbole même de la vie (ivi); il paradossale lirismo delle quali è appena spiegato dal particolare che il Benoit-Levy, contro ogni realtà concreta, suppone che gli spettacoli cinematografici siano indirizzati solo agli adulti, e non ai pubblici di ogni età (cfr, ivi, pp. 303 sa.).
14 A. LANG, Le tableau blanc, 1948, pp. 98-99.
15 La polemica fu occasionata dall’articolo di M. QUIGLEY: Le code de la production: son caractère et ses buts, in Revue International du cinéma, 1951, 7, pp. 12-14; rispose J.L. TALLENAY con: Décence au cinéma: Code de production et christianisme (ivi, n. 8, pp. 58-60); ribatté il primo con: La décence au cinéma (ivi, n. 10, pp. 38-41), e concluse il secondo con: Note sur la réponse de Quigley (ivi, pp. 42-43).
16 [M. BARBERA], L’autocensura dei produttori di cinematografia in America, Civ. Catt. 1931, II, 209-217.
17 W. PARSONS, A Code for Motion Picture, in America, 19 aprile 1930.
18 Ivi, Motion Picture Morality, 15 nov. 1930.
19 ENRICO BARAGLI, Cinema Cattolico: Documenti della Santa Sede sul cinema, 1959. – Ai numeri marginali di questa raccolta rimandano i numeri chiusi in parentesi quadre di questo saggio.
20 Non ci si fraintenda; asseriamo non che la Enciclica desuma la sua dottrina dal Codice, sibbene soltanto che il magistero ecclesiastico non ebbe difficoltà a seguire formole e schemi usati dal Codice, con ciò implicitamente riconoscendo che essi facevano parte del patrimonio della morale cattolica. Del resto, circa il pensiero personale di Pio XI rispetto ad esso qualcosa ci consta. Il banchiere cattolico D.H. Giannini affermava constargli che il Papa aveva posto molta fiducia nel Codice appena uscito (W. HAYS, op. cit., p. 449); e, nella polemica citata, M. Quigley affermava: Sa Saintété a été suffisamment impressionnée par les caractères et les buts du Code pour honorer l’auteur de ces lignes d’une discussion de vingt-cinq minutes à se sujet, au cours d’une audience privée en avril 1935 (Revue Internationale du cinéma, 1951, n. 10, p. 38).
21 Relazione di mons. JEAN CANTWELL, vescovo di Los Angeles, in Le cinéma dans l’enseignement de l’Église, Roma 1955, p. 265.
22 W. HAYS, op. cit., p. 442.
23 Fu merito dell’Hays non aver inserito nel Codice altri strani argomenti di strane lamentele, quali quella della Yellow Cab Company sul troppo frequente uso dei taxi fatto nei film dai banditi, della National Biliard Association sul modo indecoroso con cui venivano rappresentate le sale da biliardo, dell’American Hotel Association, perché nei film si mostravano personaggi che fumavano a letto, di circoli scolastici a proposito di personaggi che balbutivano, evidentemente pericolosi per i ragazzi che li imitavano, e finalmente dei fabbricanti di bottiglie, irritati perché, finito il proibizionismo, sullo schermo si mostrava la birra in scatole metalliche... (ivi, p. 431).
24 G. C. CASTELLO (Cinema, cit.), dopo aver tacciato il Codice di «sostanziale ipocrisia», e giudicando «isterismi» gli interventi di «quelle leghe puritane e cattoliche, che sono negli Stati Uniti le monopolizzatrici dell’opinione pubblica..., e delle zitellone che si agitano di qua e di là dell’oceano», lealmente nota: «Film come merce: ecco il sugo di questo Codice. Conveniamo... che dai produttori in genere, da quelli americani in ispecie, non sarebbe lecito attendersi di più».
26 È ancora il caso di G. C. CASTELLO (Cinema, cit.), che rimprovera al Codice di non aver impedito il film di W. Wellman The Public Enemy, non tenendo presente che esso è del 1931; gli riconosce tuttavia un merito scrivendo: «Una delle parti più umane del Codice contempla il veto di qualsiasi crudeltà verso gli animali» (p. 172). Meno male!
27 Di ciò pare che tenga scarso conto nelle sue osservazioni il signor Tallenay, come osserva M. Quigley: in Revue International du cinéma, 1951, n. 7, p. 12. - Per il grado di cultura di certo pubblico americano cfr la curiosa relazione dell’australiano J.C. REID, ivi, 1954, n. 18, pp. 55-58.