NOTE
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1 V. SKLOWSKJJ, Sua Maestà Eisenstein (Kniga ob Eisenstein), Bari, De Donato, 1974, 424. L. 5.000.

2 Nato nel 1893, non sappiamo se ancora viva. Sul cinema, oltre ad innumerevoli articoli, lascia, tra l’altro, Letteratura e cinema (1923), Il terzo studio (1926), Il punteggio di Amburgo (1928: edito in italiano dallo stesso De Donato); e, insieme a Ju. Tynjanov e B. Eichenbaum, Poetica del cinema (1927). – Su di lui cfr Enciclopedia dello spettacolo, Roma, Le Maschere, Vol. VII, 1962, sub voce; N. LEBEDEV, Il cinema muto sovietico, Torino 1962, passim; J. LEYDA, Storia del cinema russo e sovietico, Milano 1964 (che adotta la traslitterazione Scklowskij); M. VERDONE – B. AMENGUAL, La Feks, Lyon 1970.

3 A.M.R. (Angelo Maria Ripellino), in Enciclopedia dello Spettacolo, cit.

4 Alcuni esempi. Nomina gli Sciti? Informa: “Inventarono il cerchio della botte, l’àncora bidente e l’aratro...” (p. 84; e vi ritorna su a pp. 328 e 349 per informarci come qualmente “gli Sciti avessero gli stivali che i russi chiamano valenki” e che, non ricorda bene se in Strabone o in Erodoto, si dice che “quando gli Sciti dovevano prendere decisioni importanti, discutevano una prima volta durante un banchetto, e prendevano la loro decisione tra i fumi del vino; poi ritornavano lucidi ed esaminavano la stessa variante con la mente lucida, e decidevano di nuovo. Se le due decisioni coincidevano significava che erano nel giusto”.
Nomina le funi? – Ci istruisce che esse “erano arrivate sino alla terrestre Mosca dalle caravelle del Portogallo, che avevano fatto il giro del mondo, conquistato l’India, rivaleggiato con la Spagna e guerreggiato con l’Inghilterra...” (p. 103).
Eisenstien parla delta locomotiva? – E subito Sklowskij: “Parliamo della locomotiva. La locomotiva ha le ruote: esse discendono in linea retta dalla carrozza. Sulla locomotiva c’è un motore a vapore. Com’è noto, la macchina a vapore discende [...] e via di questo passo per una buona pagina.
Il film La linea generale di Eisenstein tratta dei Kolkozy? -– E il Nostro: “Caino era un agricoltore e probabilmente vangava la terra. È un lavoro pesante. Abele era allevatore di bestiame, pascolava le pecore...” (p. 234): e giù pagine sull’agricoltura e la zootecnia, nonché sull’ecologia e sulla polluzione dell’aria in America, sulla fuga dalle campagne in Italia...
Eisenstein gira ¡Que viva México!? Il Nostro si affretta a spiegare: “Il Messico è un grande paese, ricco di contrasti, arroventato e freddo; abbastanza freddo per la patata, abbastanza caldo per l’ananas; un paese che giace tra due oceani...” (p. 290). Sullo schermo, Charlot portava bombetta e bastoncino? – E subito informa: “Già allora le bombette non erano più di moda, però costavano poco [...]. La bombetta è molto comoda per fare il bagno [...]”. A proposito del bastoncino “riporto una descrizione [del galeotto della Casa dei morti], di Dostoewskij...” (pp. 175-176).
Nel Prato di Bezin avveniva un parricidio? – E ti serve due pagine di famosi “omicidi domestici”: da quelli di Abramo, di Agamennone, di Clitennestra e di Oreste... a quelli di Tara Bulba (di Gogol) e del malvagio Ralph (di Dickens)... (p. 343).

5 La biografia più completa resta ancora quella di M. SETON, Eisenstein, A Biography, London 1952 (in italiano: S.M. Eisenstein, Milano-Roma, Bocca, 1954). Delle raccolte maggiori dei suoi scritti, il suo allievo Jay Leyda nel 1942 pubblicava The Film Sense, e nel 1949 Film form, noti in italiano, rispettivamente dal 1950 e dal 1964, sotto i titoli Tecnica del cinema e La forma cinematografica (Torino, Einaudi). Sempre del Regista erano noti anche: Memorie, Roma, Editori Riuniti, 1961, e Appunti di un regista, Milano, Schwarz, 1961 (cfr Civ. Catt. 1961 IV 417; 1963 II 280). Per una chilometrica Bibliografia cfr G. ARISTARCO, Storia delle teoriche del film, Torino, Einaudi, 1960, 406 ss.

6 Diminutivo di Sergej.

7 Cfr le pagine 104, 108, 122, 126, 147 ss., 162, 201 ss., 251, 332. Sul cosiddetto “effetto Kulesov” cfr p. 160. Su tutta la questione, cfr G. ARISTARCO, op. cit., 165 ss.

8 Scrive: “Sono entrato nella rivoluzione a ventiquattro anni [dunque: nel 1917] e con un maggior numero di pregiudizi di Sergej Mikhailovic” (p. 106).

9 Anche sul ruolo dell’URSS nella seconda guerra mondiale è reticente. L’accordo russo-tedesco sulla spartizione della Polonia diventa un disinvolto: “Noi cercammo di rimandare lo scontro”. (p. 387).
Un’altra reticenza? – In una Lettera a Charlie Chaplin (in Literaturnaya Gazeta, 1931, n. 12, riportata da G. KRAISKI, op. cit., 219), riferendosi ai “colletti bianchi” USA, scriveva tra l’altro: “Fatto sta, caro Chaplin, che gli uomini dai colletti bianchi non vogliono assumersi la responsabilità di quanto fanno i loro governi e sembra che le strade ferrate camminino da sole, che le prigioni si costruiscano da sole, che il grano cresca da solo”; ed aggiungeva per l’URSS: “Nel nostro paese sappiamo come cresce il grano e come funzionano le strade ferrate...”; ma silenzio... sulle prigioni!

10 Riporta un passo di Lenin, che non sappiamo quanto piaccia a molti comunisti, e non soltanto cinesi: “Il marxismo si è conquistato la propria importanza storica universale come ideologia del proletariato rivoluzionario per il fatto che il marxismo stesso non ha lontanamente respinto le più preziose conquiste della epoca borghese, bensì, al contrario, ha assimilato ed elaborato tutto ciò che v’era di prezioso nello sviluppo più che bimillenario del pensiero e della civiltà umana. Soltanto un ulteriore lavoro su questa base e in questa direzione, ispirato dalla esperienza pratica della dittatura del proletariato, come pure della sua ultima lotta contro ogni sfruttamento, può essere considerato come lo sviluppo di una cultura effettivamente proletaria” (p. 119).

11 Il Nostro, che nel 1916-1919, con Brik, Tynjanov e Eichenbaum, aveva dato vita all’OPOJAZ (= Società per lo studio della lingua letteraria), era considerato il capogruppo dei critici formalisti, fiancheggiatori della poetica dei cubo-futuristi, che sulla scia di una kantiana “l’arte per l’arte”, s’interessavano alla letteratura russa appunto come pura forma, disattenti a qualsiasi contenuto sociologico. Nel 1923, con Majakowskij, Pasternak, Eisenstein, Tretjakov..., insomma tutta l’avanguardia sovietica, fece parte del LEF (= Fronte sinistra delle arti); le sue teorie sull’arte come “straniamento dal reale” esercitarono forte influsso sui registi della FEKS (= Fabbrica dell’attore eccentrico), del Proletkult ed, in genere, su tutta la cinematografia sovietica degli anni venti. La cosa, ovviamente, non poteva durare “per la contraddizione che no’l consente”; sicché – come nota N. LEBEDEV (op. cit. 331) – “Solo verso la fine del periodo del muto, quando s’allontanò dal formalismo, avvicinandosi alle posizioni estetiche del marxismo, la sua opera cominciò ad acquistare un carattere meno contraddittorio, e le qualità positive del suo ingegno prevalsero sui difetti”.
Per i suoi scritti in argomento pubblicati in Italia, oltre quelli già citati nella Nota 1, cfr I formalisti russi nel cinema (a cura di G. KRAISKI), Milano, Garzanti, 1971, 99-222; inoltre i Cinque feuilletons su Eisenstein sono stati pubblicati (con un suo commento) anche da A. ABRUZZESE, in L’Immagine filmica, Roma, Bulzoni, 1974, 293 ss.

12 Lenin non era più liberale. Scrive ancora Sklowskij: “Passando per la Krupskaja una faccenda del genere arrivò fino a Lenin: L’autore dello scenario vuol rappresentare tutta la rivoluzione o quasi. La scelta dei fatti è puramente casuale. Molti dettagli biografici non sono veri. La messa in scena è straordinariamente complicata e richiede una gran massa di partecipanti; costerà somme folli, l’esecuzione sarà pessima e ricorderà un brutto lubok. La nostra tecnica cinematografica è assai scadente e non potrà raffigurare ciò che l’autore desidera. L’opera è difficilmente accettabile. N. KRUPSKAJA”. Ecco la risoluzione di Lenin: “Respingere il tutto sulla base di questo giudizio” (p. 140). – Altro che Minculpop!

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Articolo estratto dal volume III del 1976 pubblicato su Google Libri.

Il testo è stato corretto dai refusi di stampa e formattato in modo uniforme con gli altri documenti dell’archivio.

I riferimenti ai documenti del magistero pontificio sono stati resi interattivi e portano al sito del progetto “Chiesa e Comunicazione”, la biblioteca digitale online che prosegue l’attività iniziata da p. Baragli con le opere Cinema cattolico: documenti della Santa Sede sul cinema e Comunicazione Comunione e Chiesa.

ARTICOLO SU

Per i patiti della Settima Arte, Sergej Mikhailovic Eisenstein, regista e teorico, sta al cinema come Albert Einstein sta alla fisica-matematica: ne è “il Re!”. Perciò non del tutto a sproposito, in Francia e in Italia, le iniziali S.M. del suo nome sono state lette "Sua Maestà”; e, nonostante che i corrispondenti termini russi non si prestino al giuoco, così anche lo qualifica, nel titolo di questo volume1, il vecchio narratore critico e teorico russo Victor Borisovic Sklowskij2.

L’ibrida mescolanza

Maestà o meno, chi da questo volume, come promesso dal sottotitolo, si aspettasse una biografia di Eisenstein, presto si ricrede. L’Autore tratta, sì, del Regista, ma – com’è stato notato3 – più che altro “unisce brani di teoria letteraria con riflessioni sul cinema, frammenti di memorie [autobiografiche] con aneddoti [ed altre cose ancora], in un’ibrida mescolanza che ha per modello Sterne”. Solo che, mentre l’annoiato autore di Tristram Shandy costruiva studiosamente le sue pagine e condiva di sentimentalismo preromantico e di humour inglese le sue reminiscenze-digressioni-divagazioni, il nostro loquace vecchietto – settantotto anni sonati! (p. 328) – preferisce la paratassi, e spesso le monofrasi a capoverso, dando così alla pagina la sagoma di poesie polimetriche; e, quando non vola nella lirica o nell’epica, o non posa a maestro e a polemista, lascia via libera alla penna solo, si direbbe, per il gusto di ricordare e di raccontare.

Le sue digressioni – del resto, in genere, non banali – non dispiacciano quando riguardano personaggi storici (Ivan il Terribile... e, magari, Plutarco), o nomi della cultura, con cui l’Autore o “Sua Maestà” hanno avuto relazioni o interessi più o meno diretti; quali (per la letteratura) Puskin, Gorkij, Tolstoi, Dostoewskij, Zola, Dickens...; (del mondo della drammaturgia) Shakespeare, Meyerhold e Stanislawskij; (in quello del cinema) Kulesov e Room, Chaplin, Pickford e Fairbanks... Ancora ancora passano quando indugiano in pittoresche descrizioni – quanto oggettive, non sappiamo – di città e di luoghi della vita e dei film di Eisenstein: Riga, San Pietroburgo, Staraja Russa, Mosca (vecchia e nuova), Vitebsk, Alma Ata... Ma piuttosto disturbano quando un nome, un termine o un particolare sembrano dare la stura a discorsi sproporzionati4. Tuttavia, con un po’ di pazienza, qualcosa su Sua Maestà, dall’ibrida mescolanza, si riesce a sapere; o, meglio, a vedere confermato, giacché tutto o quasi ciò che c’era da sapere sulla vita, le teorie cd i film di Eisenstein, anche in Italia, era già stato pubblicato da un pezzo5.

Artista disordinato, ma geniale

Viva e colorita la descrizione della lèttone-russo-tedesca Riga, dove Sereza6 nasceva il 23 gennaio 1898; nonché dell’agiato ambiente familiare con tanto di portiere, governante, cuoca e cameriera, ricevimenti e viaggi all’estero, musica lingue ed equitazione, in cui egli, figlio unico, crebbe; peraltro non felice: muto testimone dei litigi dei genitori finiti in un divorzio, e soprattutto perché, precoce estroso artista, insofferente delle loro imposizioni “borghesi”. La Rivoluzione del 1917, che lo colse studente d’ingegneria a San Pietroburgo, fu l’occasione buona per liberarsene.

Arruolatosi nelle file dell’Armata Rossa, gli andò pure bene: la Rivoluzione, Eisenstein, la doveva servire come artista. Sklowskij lo segue sottotenente del Genio, non combattente, ma per tre anni – accompagnato dalla ballerina Puskina, (pare) suo primo ed ultimo amore (infelice) – viaggiare su e giù nelle retrovie su carri bestiame, divorare libri su libri, scrivere diari, studiare il teatro, il balletto, il giapponese, fare le prime esperienze di regia teatrale.

Di un certo interesse, perché fomite da uno che ne fu testimone, ed anche parte in causa, le notizie dello Sklowskij sull’“eccentrica” attività teatrale svolta, con Strauch e Meyerhold, dal ventiduenne Eisenstien al Proletkult di Mosca; e soprattutto quelle riguardanti la famosa teorizzazione del “montaggio” come specifico filmico, che, passato al cinema, in polemica con Vertov e Kulesov, Eisenstein ne derivò7. Né mancano nel volume valide conferme di quanto già si conosceva sulla genesi, retroscena, peripezie e valori dei suoi film: Statchka (Sciopero), del 1924 (pp. 139-160); il capolavoro che, ventottenne, di colpo lo rese noto a tutto il mondo: Bronenosez Potemkin (L’incrociatore Potemkin), del 1925 (pp. 171-190); i già alquanto pittoricamente compiaciuti Oktiabr (Ottobre, oppure I dieci giorni che sconvolsero il mondo), del 1927 (p. 225), e Staroe i novoe (Il vecchio e il nuovo, ovvero La linea generale), del 1928-1929 (p. 232). Il disgraziato i Qùe viva México! (p. 258), con cui chiuse la sua disavventura americana del 1930-1932; ed i suoi non meno disgraziati – ma questa volta in URSS! – Bezhin lovij (Il prato di Bezhin), Aleksandr Newskii e Ivan Grozni (Ivan il Terribile), rispettivamente del 1936, 1938 e 1941-1946 (pp. 337, 348, 359). Per il resto, sul grande Regista, poco o nulla d’interessante.

Eisenstein morì, a cinquant’anni, in solitudine, per un attacco cardiaco, nella notte tra il 10 e l’11 febbraio 1948. Sklowskij, come al solito divagando e liricheggiando, gli dedica otto pagine di necrologio. Tra l’altro scrive:

“Conosceva l’arte russa, l’architettura, la pittura, la poesia; presentiva l’architettura del futuro, conosceva la pittura della Francia e della Spagna, aveva rinnovato nella coscienza dell’umanità l’arte del Messico, allargando il dizionario del pensiero artistico a un intero continente [...].
“Egli non conobbe la sclerosi, il suo cervello era rimasto intatto. Avrebbe potuto ancora scrivere, girare molte cose, discutere e leggere in quattro lingue, parlare con le nuove parole del cinema sovietico [...].
“Era un grande maestro, un discepolo fedele e un fedele amico degli uomini dell’arte.
“Ricoprirono la bara con una vecchia coperta dorata, comperata da Eisenstein stesso. Il corpo fu cremato insieme a quella roperta: le ceneri si mescolarono all’oro” (p. 420).
–Oro: come conveniva a Sua Maestà.

Ideologie e sagome

Sempre in tema di conferme, e non di novità, sono interessanti anche quelle che, parte riferendo e parte reticendo, Sklowskij ci procura – se ce ne fosse bisogno! – sulla libertà di espressione di cui godono artisti e critici nella Russia comunista.

Rivoluzionario della prima ora8, naturalmente egli divaga anche sulla Rivoluzione. Le dedica otto pagine coloratissime, descrivendola in montaggio alternato con la rappresentazione della Mascherata di Lermontov-Mayerhold nel teatro Alekandrinskij di Pietroburgo (pp. 70 ss.). E ne minimizza lo scotto cruento: “In base ai funerali” [sic!], non crede “che durante la rivoluzione di febbraio siano rimaste uccise più di mille persone” (p. 76): una bazzecola! Ignorando, ovviamente, quel che in tema è avvenuto poi: kulaki, processi del 1936-1937, Stalin e Rapporto Krusciov... In quanto all’arcipelago Gulag: se lo deve essere inventato Solgenitsyn9.

Inneggia, invece, al “compagno” Chaplin, “secondo protagonista di questo libro” (p. 390) e, naturalmente, al marxismo; ma, sembra, più per assuefazione retorica che per convinzione ideologica10. In realtà – come, del resto, per Eisentein – rivoluzione e regime comunista coinvolsero, più che altro, i problemi personali della loro libertà di artista e di teorico estetico. Solo che, mentre “Sua Maestà”, liberato, dalla rivoluzione, da una professione tutta borghese cui l’avviava la famiglia, poté con ragione affermare: “che cosa ha dato la rivoluzione ad uno come me, e attraverso che cosa io sono legato per sempre col mio sangue all’Ottobre? – La rivoluzione mi ha dato ciò che mi è più caro nella mia vita: ha fatto di me un artista” (p. 78); Sklowskij poteva confessare soltanto che rivoluzione e regime l’avevano piegato a sagoma, vale a dire, come lo stesso Eisenstein lo definisce, a “una di quelle righe con cui si possono disegnare linee curve diverse” (p. 122). Infatti, come teorico d’arte dovette, obtorto collo, passare dalla teoria del formalismo a quella del realismo socialista11.

Si è detto “poteva confessare”; ma, almeno in questo volume, non lo fa. Non che si arrischi a sconfessare il realismo socialista; ma le critiche e le puntate polemiche di cui abbonda – per esempio rispetto a Tolstoi, Vasiliev, Vertov, Kulesov, Pudovkin, Balasz, Godard, e lo stesso Eisenstein – hanno poco o nulla che fare con quell’eresia estetica; mentre tutto il suo stile letterario, ed anche i frequenti rilievi teorici – eccezion fatta, forse, su l’arte quale “lavoro collettivo” (p. 330) – s’ispirano al formalismo della più bell’acqua.

Ma anche “Sua Maestà” dovette piegarsi a sagoma. Infatti, non solo – e pazienza! – non poté girare film se non su commissione del Partito, ma poi dallo stesso Partito, artistici o no, se li vide contrastare, criticare e censurare perché non in linea col realismo socialista; e dovette farne pubbliche autocritiche. Sklowskij, per il quale questa era l’occasione per divagare sui guai simili di altri grossi registi – Pudovkiv, Dovzenko, ecc. –, sorvola o minimizza; oppure, dopo essersi stracciate le vesti per le persecuzioni capitalistiche subite da “Sua Maestà” in USA, tratta quelle procurategli in URSS come semplici incidenti sul lavoro, ordinaria amministrazione.

Scrive, per esempio, sul Prato di Behzin (pp. 345 ss.):

“Il film suscitò molte discussioni, ma è una grande opera [...]. L’articolo scritto da Eisenstein in occasione della produzione del film era intitolato Gli errori del ’Prato di Behzin’. Non si accenna al tentativo di correggere il film [...]. Molto venne fatto [...]. Anche le riprese in base alla nuova sceneggiatura furono bloccate [...]. Il film era stupendo. Fu condannato senza esser visto [...]. Il film fu coperto d’insulti, strapazzato per lungo tempo. Ma non tutti lo denigravano. I registi tacevano. Eisenstein lo analizzò. Il film non entrò in circolazione. Pare che le scatole dei rulli fossero state seppellite alla Polyticha [...]. Oggi esso è per noi accettabile. Non ci irritiamo più, non ci spaventiamo. Abbiamo superato la guerra, molti errori, molte ammissioni”.

E su Ivan il Terribile (p. 407):

“Sapeva come sarebbe stato accolto il film? Mostrò semplicemente lo zar come aveva imparato a conoscerlo. E, naturalmente, il film fu vietato. Stalin sostenne che Ivan il Terribile aveva ragione, solo che non era riuscito a portare a termine la sua opera: bisognava annientare qualche altra famiglia di boiari e allora non ci sarebbe stata l’Epoca dei Torbidi [...]. Si apriva una disputa molto seria. Dopo quattordici anni il film apparve sugli schermi. Fu un caso unico nella storia del cinema e [consoliamoci!] non risultò invecchiato. Eisenstein non vide mai sugli schermi la seconda parte del film”12.

Chiudendo questo suo volume, dubitiamo forte che Sklowskij sia riuscito nel suo confessato intento d’insegnare ai cineasti “come diventare Eisenstein, come non smarrirsi nelle lunghe e complicate strade dell’arte, come diventare cosmicamente liberi dopo aver rinunciato a molte cose” (p. 171). Ma di una previsione i cineasti dovrebbero essere certi. Ed è che, se una “rivoluzione d’Ottobre” si verificasse anche da noi, essi – e non soltanto essi – si ritroverebbero con un regime censorio non come quelli, tardivi e scomparsi, del fascista Minculpop e della nazista Filmkammer, ma come quello perdurante da più di mezzo secolo in URSS e in tutti i regimi socialisti finora realizzati.

1 V. SKLOWSKJJ, Sua Maestà Eisenstein (Kniga ob Eisenstein), Bari, De Donato, 1974, 424. L. 5.000.

2 Nato nel 1893, non sappiamo se ancora viva. Sul cinema, oltre ad innumerevoli articoli, lascia, tra l’altro, Letteratura e cinema (1923), Il terzo studio (1926), Il punteggio di Amburgo (1928: edito in italiano dallo stesso De Donato); e, insieme a Ju. Tynjanov e B. Eichenbaum, Poetica del cinema (1927). – Su di lui cfr Enciclopedia dello spettacolo, Roma, Le Maschere, Vol. VII, 1962, sub voce; N. LEBEDEV, Il cinema muto sovietico, Torino 1962, passim; J. LEYDA, Storia del cinema russo e sovietico, Milano 1964 (che adotta la traslitterazione Scklowskij); M. VERDONE – B. AMENGUAL, La Feks, Lyon 1970.

3 A.M.R. (Angelo Maria Ripellino), in Enciclopedia dello Spettacolo, cit.

4 Alcuni esempi. Nomina gli Sciti? Informa: “Inventarono il cerchio della botte, l’àncora bidente e l’aratro...” (p. 84; e vi ritorna su a pp. 328 e 349 per informarci come qualmente “gli Sciti avessero gli stivali che i russi chiamano valenki” e che, non ricorda bene se in Strabone o in Erodoto, si dice che “quando gli Sciti dovevano prendere decisioni importanti, discutevano una prima volta durante un banchetto, e prendevano la loro decisione tra i fumi del vino; poi ritornavano lucidi ed esaminavano la stessa variante con la mente lucida, e decidevano di nuovo. Se le due decisioni coincidevano significava che erano nel giusto”.
Nomina le funi? – Ci istruisce che esse “erano arrivate sino alla terrestre Mosca dalle caravelle del Portogallo, che avevano fatto il giro del mondo, conquistato l’India, rivaleggiato con la Spagna e guerreggiato con l’Inghilterra...” (p. 103).
Eisenstien parla delta locomotiva? – E subito Sklowskij: “Parliamo della locomotiva. La locomotiva ha le ruote: esse discendono in linea retta dalla carrozza. Sulla locomotiva c’è un motore a vapore. Com’è noto, la macchina a vapore discende [...] e via di questo passo per una buona pagina.
Il film La linea generale di Eisenstein tratta dei Kolkozy? -– E il Nostro: “Caino era un agricoltore e probabilmente vangava la terra. È un lavoro pesante. Abele era allevatore di bestiame, pascolava le pecore...” (p. 234): e giù pagine sull’agricoltura e la zootecnia, nonché sull’ecologia e sulla polluzione dell’aria in America, sulla fuga dalle campagne in Italia...
Eisenstein gira ¡Que viva México!? Il Nostro si affretta a spiegare: “Il Messico è un grande paese, ricco di contrasti, arroventato e freddo; abbastanza freddo per la patata, abbastanza caldo per l’ananas; un paese che giace tra due oceani...” (p. 290). Sullo schermo, Charlot portava bombetta e bastoncino? – E subito informa: “Già allora le bombette non erano più di moda, però costavano poco [...]. La bombetta è molto comoda per fare il bagno [...]”. A proposito del bastoncino “riporto una descrizione [del galeotto della Casa dei morti], di Dostoewskij...” (pp. 175-176).
Nel Prato di Bezin avveniva un parricidio? – E ti serve due pagine di famosi “omicidi domestici”: da quelli di Abramo, di Agamennone, di Clitennestra e di Oreste... a quelli di Tara Bulba (di Gogol) e del malvagio Ralph (di Dickens)... (p. 343).

5 La biografia più completa resta ancora quella di M. SETON, Eisenstein, A Biography, London 1952 (in italiano: S.M. Eisenstein, Milano-Roma, Bocca, 1954). Delle raccolte maggiori dei suoi scritti, il suo allievo Jay Leyda nel 1942 pubblicava The Film Sense, e nel 1949 Film form, noti in italiano, rispettivamente dal 1950 e dal 1964, sotto i titoli Tecnica del cinema e La forma cinematografica (Torino, Einaudi). Sempre del Regista erano noti anche: Memorie, Roma, Editori Riuniti, 1961, e Appunti di un regista, Milano, Schwarz, 1961 (cfr Civ. Catt. 1961 IV 417; 1963 II 280). Per una chilometrica Bibliografia cfr G. ARISTARCO, Storia delle teoriche del film, Torino, Einaudi, 1960, 406 ss.

6 Diminutivo di Sergej.

7 Cfr le pagine 104, 108, 122, 126, 147 ss., 162, 201 ss., 251, 332. Sul cosiddetto “effetto Kulesov” cfr p. 160. Su tutta la questione, cfr G. ARISTARCO, op. cit., 165 ss.

8 Scrive: “Sono entrato nella rivoluzione a ventiquattro anni [dunque: nel 1917] e con un maggior numero di pregiudizi di Sergej Mikhailovic” (p. 106).

9 Anche sul ruolo dell’URSS nella seconda guerra mondiale è reticente. L’accordo russo-tedesco sulla spartizione della Polonia diventa un disinvolto: “Noi cercammo di rimandare lo scontro”. (p. 387).
Un’altra reticenza? – In una Lettera a Charlie Chaplin (in Literaturnaya Gazeta, 1931, n. 12, riportata da G. KRAISKI, op. cit., 219), riferendosi ai “colletti bianchi” USA, scriveva tra l’altro: “Fatto sta, caro Chaplin, che gli uomini dai colletti bianchi non vogliono assumersi la responsabilità di quanto fanno i loro governi e sembra che le strade ferrate camminino da sole, che le prigioni si costruiscano da sole, che il grano cresca da solo”; ed aggiungeva per l’URSS: “Nel nostro paese sappiamo come cresce il grano e come funzionano le strade ferrate...”; ma silenzio... sulle prigioni!

10 Riporta un passo di Lenin, che non sappiamo quanto piaccia a molti comunisti, e non soltanto cinesi: “Il marxismo si è conquistato la propria importanza storica universale come ideologia del proletariato rivoluzionario per il fatto che il marxismo stesso non ha lontanamente respinto le più preziose conquiste della epoca borghese, bensì, al contrario, ha assimilato ed elaborato tutto ciò che v’era di prezioso nello sviluppo più che bimillenario del pensiero e della civiltà umana. Soltanto un ulteriore lavoro su questa base e in questa direzione, ispirato dalla esperienza pratica della dittatura del proletariato, come pure della sua ultima lotta contro ogni sfruttamento, può essere considerato come lo sviluppo di una cultura effettivamente proletaria” (p. 119).

11 Il Nostro, che nel 1916-1919, con Brik, Tynjanov e Eichenbaum, aveva dato vita all’OPOJAZ (= Società per lo studio della lingua letteraria), era considerato il capogruppo dei critici formalisti, fiancheggiatori della poetica dei cubo-futuristi, che sulla scia di una kantiana “l’arte per l’arte”, s’interessavano alla letteratura russa appunto come pura forma, disattenti a qualsiasi contenuto sociologico. Nel 1923, con Majakowskij, Pasternak, Eisenstein, Tretjakov..., insomma tutta l’avanguardia sovietica, fece parte del LEF (= Fronte sinistra delle arti); le sue teorie sull’arte come “straniamento dal reale” esercitarono forte influsso sui registi della FEKS (= Fabbrica dell’attore eccentrico), del Proletkult ed, in genere, su tutta la cinematografia sovietica degli anni venti. La cosa, ovviamente, non poteva durare “per la contraddizione che no’l consente”; sicché – come nota N. LEBEDEV (op. cit. 331) – “Solo verso la fine del periodo del muto, quando s’allontanò dal formalismo, avvicinandosi alle posizioni estetiche del marxismo, la sua opera cominciò ad acquistare un carattere meno contraddittorio, e le qualità positive del suo ingegno prevalsero sui difetti”.
Per i suoi scritti in argomento pubblicati in Italia, oltre quelli già citati nella Nota 1, cfr I formalisti russi nel cinema (a cura di G. KRAISKI), Milano, Garzanti, 1971, 99-222; inoltre i Cinque feuilletons su Eisenstein sono stati pubblicati (con un suo commento) anche da A. ABRUZZESE, in L’Immagine filmica, Roma, Bulzoni, 1974, 293 ss.

12 Lenin non era più liberale. Scrive ancora Sklowskij: “Passando per la Krupskaja una faccenda del genere arrivò fino a Lenin: L’autore dello scenario vuol rappresentare tutta la rivoluzione o quasi. La scelta dei fatti è puramente casuale. Molti dettagli biografici non sono veri. La messa in scena è straordinariamente complicata e richiede una gran massa di partecipanti; costerà somme folli, l’esecuzione sarà pessima e ricorderà un brutto lubok. La nostra tecnica cinematografica è assai scadente e non potrà raffigurare ciò che l’autore desidera. L’opera è difficilmente accettabile. N. KRUPSKAJA”. Ecco la risoluzione di Lenin: “Respingere il tutto sulla base di questo giudizio” (p. 140). – Altro che Minculpop!

In argomento

Mostre

n. 2830, vol. II (1968), pp. 358-364
n. 2815, vol. IV (1967), pp. 55-58
n. 2793, vol. IV (1966), pp. 263-268
vol. IV (1964), pp. 213-226
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