NOTE
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1 Mano mano che occorreranno, daremo i dati bibliografici di queste fonti. Sull’argomento in generale si segnalano gli eccellenti studi di: RUTH A. INGLIS, Freedom of the Movies (Chicago, University of Chicago Press, 1947), e di T. B. LEARY - J. ROOGER NOAL: Entertaiment: Public Pressures and the Law (The Harward Law Review, vol. 71, n. 2, dicembre 1957).

2 Comunemente viene accettato quest’anno come data di nascita della fotografia, perché appunto nell’agosto del 1839 fu presentata, dall’Arago, la prima memoria della nuova invenzione all’Accademia di Francia.

3 C. BAUDELAIRE, Scritti di estetica, a cura di G. MACCHIA, Firenze 1948, p. 116.

4 Con tal nome Norman Raff e Charles Gammon ribattezzarono il Phantascope, che, in realtà, era invenzione di Thomas Armat e Charles Francis Jenkins. Che la proiezione su schermo del Bacio sia avvenuta mediante questo apparecchio e non mediante il Cinématographe Lumière lo arguiamo dal fatto che questo fu introdotto in America soltanto il 18 giugno 1896, mentre la denuncia del The Chap Book, che noi riportiamo, è del 15 giugno dello stesso anno (cfr G. SADOUL, L’invention du cinéma, Parigi 1948, vol. 1, pp. 309 e 259).

5 Dopo che la distribuzione cominciò ad interporsi tra la produzione e l’esercizio (1902), col passaggio dal pubblico fisso e cinema mobile al pubblico mobile e cinema fisso, nel 1905 furono dette Nickelodeon le sale destinate a spettacoli cinematografici, dal Nickel che ne fu il prezzo di entrata. Nel 1908 ne funzionarono ben diecimila negli Stati Uniti. La testimonianza del giudice riportata in L. JACOBS, L’avventurosa storia del cinema americano, Torino 1952, p. 90, il quale poi, con lo spirito agnostico ed irreligioso che lo distingue, commenta: «Nonostante l’eloquenza di queste critiche, i motivi della lotta erano tutt’altro che oscuri. Rivestiti di termini morali, essi nascondevano interessi essenzialmente economici, che potevano riassumersi in uno solo: la concorrenza fatta dal cinema alla chiesa, al varietà e al Saloon, ridotti dai Nickelodeons in condizioni pietose».

6 Ivi, p. 91; e S. SOLLIMA, Il cinema in U.S.A., Roma 1947, p. 19.

7 Per il 1918, una eco di siffatto stato di cose è questo brano dell’on. B. BELLOTTI: «... e le scene mute continuano allegramente a svolgere dinanzi al pubblico i loro lunghi metraggi di azioni delittuose ed immorali, procurando alle innumerevoli case produttrici d’Italia e di fuori lucri... che dovrebbero bruciare anche nella tasca del più cinico azionista» (Nuova Antologia, 1° agosto 1918, p. 240).

8 A. ZUKOR e D. KRAMER, The public is never wrong, New York 1953, nella traduzione italiana pubblicata in Bianco e Nero, 1958, n. 7, p. 80 e n. 9, p. 74. LEWIS JACOBS, storico del cinema americano, tutt’altro che tenero per la morale e per ogni genere di censura, ci dà questo di periodo la seguente descrizione (L’avventurosa storia..., cit., passim da p. 440 a p. 450):
«Il film più indicativo di questa nuova mentalità fu Male and Female (1919, Maschio e femmina), di Cecil B. De Mille..., per l’argomento trattato il più spinto di qualsiasi altro prodotto da Hollywood fino a quel momento, e il più audace nei suoi attacchi alla tradizione moraleggiante..., presto seguito, dello stesso, da For Better or Worse (1919, La corsa al piacere), Why change your Wife? (1920, Perchè cambiate moglie?), Forbidden Fruit (1921, Frutto proibito), The Affairs of Anatol (1921, Fragilità, sei femmina), Fool’s Paradise (1922, Paradiso folle), Saturday Night (1922, La coppia ideale)..., nei quali il proposito di agire sui nervi degli spettatori appariva dalle scenografie sontuose, dalle scene d’amore degne degli uomini delle caverne, dalla profusione della sensualità... Si misconoscevano la santità della famiglia ed il dovere di ogni donna di essere prima di tutto madre e sposa onesta, subordinandosi ogni problema al nuovo e massimo interesse del dopoguerra: il sesso...
« A rafforzare questi film di De Mille vennero le centinaia di drammi di vita coniugale realizzati da altri, ma che derivavano da quelli. Tutti quanti mettevano l’accento sull’importanza dell’amore nel matrimonio e sul diritto della donna all’indipendenza. Le mogli divennero le eroine di ogni sorta di situazioni. Il cinema insegnò loro a curare il proprio aspetto e il proprio “stile” dopo il matrimonio, le convinse che dopo il matrimonio continuavano ad avere diritto all’amore e a ogni attenzione, e infine cominciarono a insinuare che i vincoli legali non dovevano impedire alle mogli di avere una propria vita indipendente... La fedeltà coniugale veniva perfino ridicolizzata; l’adulterio e la dissolutezza, anche in persone mature, non soltanto venivano francamente perdonate, ma considerate moderni ed attraenti. Particolarmente i film di Lubitsch manifestavano questo atteggiamento. In termini ironici ed arrischiati... trattavano dei corteggiamenti e della vita gaudente dei ricchi e degli sfaccendati. I suoi personaggi erano sempre maturi, uomini e donne di mondo, che si dedicavano ai loro piccoli giochi galanti con piena coscienza di ciò che facevano; una condotta peccaminosa era un saporito divertimento sociale, anziché la strada che conduce alla dannazione... In questi film il matrimonio come istituzione crollava completamente. Il desiderio di una vita familiare e le sue responsabilità venivano considerati fuori moda. La donna di casa divenne una bizzarria;... aver figli era disapprovato... Considerato il matrimonio come licenza per commettere delle scappatelle, il divorzio diveniva la via per un’ancor maggiore libertà. Divorziate e vedove, come le mogli, venivano considerate ben più affascinanti delle fanciulle. I nuovi film mostravano normalmente le divorziate come trionfatrici della vita... Dopo il crollo del matrimonio e della vita familiare, sullo schermo, crollarono i principi morali su tutta la linea. Sconvenienza, promiscuità, relazioni sessuali illecite e cattivo comportamento in generale furono rappresentati come motivi prevalenti sia tra gente sposata sia non sposata...: il divertimento, la sensazione fine a se stessa divennero i principali interessi della nazione, o almeno, della nazione rappresentata nei film... Lo schermo fu invaso da orde di “mamme incendiarie”, di bellezze al bagno e di violatrici del proibizionismo, e ogni film cercava di superare il precedente in audacia e in licenza. La verecondia e la verginità divennero assurde, mentre l’amore prendeva l’aspetto di un incontro di lotta. La donna del cinema veniva roteata, trascinata e sbattuta sul letto dal suo uomo, nell’olocausto della passione primitiva. Le farse in stanza da letto... divennero moltitudine...».

9 S. SOLLIMA (Il cinema in U.S.A., cit., p. 19), manifestamente errando, afferma che tutti i quarantotto Stati U.S.A. istituirono la censura. M. QUIGLEY (Decency in Motion Pictures, New York 1937, p. 23) e mons. J. McCLAFFERTY (Les catholiques parlent de cinéma, Parigi 1948, p. 71) affermano che gli uffici censori statali non superarono i sette, quelli municipali i sessantasette.

10 A. ZUKOR, op. cit.

11 G. KELLY S.I. - J.C. FORD S.I., The Legion of decency, in Theological Studios, settembre 1957, p. 389.

12 Nel 1909, il People’s Institute di N.Y. City, in collaborazione con la Motion Picture Patent Company, primo grande trust dell’industria cinematografica americana, su iniziativa di Jeremiah J. Kennedy, presidente della stessa, costituiva il primo National Board of Censorship of Motion Pictures, il quale poi mutato in National Board of Review, esiste tuttora (cfr L. JACOBS, op. cit., p. 93; M. QUIGLEY, op. cit., p. 26; Revue Internationale du Cinéma, 1954, n. 18, p. 58).

13 Dal 1946 si mutò in Motion Picture Association of America - M.P.A.A.

14 M. VERDONE lo dice ministro nella chiesa presbiteriana (Rivista del Cinematografo, 1954, n. 2, p. 23); dalla medesima rivista gli si attribuisce «un’alta carica» nella stessa chiesa (ivi, n. 4, p. 18). Il cattolico J. Breen, vice presidente della M.P.A.A., lo definì «uomo straordinario, di meravigliosa capacità e vitalità, congiunta a un profondo sentimento religioso delle sue responsabilità» (ivi).

15 I. EHRENBOURG, Usine de Rêves, Parigi 1936, p. 30. Al dire dello stesso, l’onorario dell’Hays fu portato poi a 150.000 dollari mensili.

16 «Venne giudicato dalla stampa come dittatore — afferma di lui A. ZUKOR —, ma non si poteva esser più lontani dal vero. Egli era un diplomatico molto abile, ed il suo esperto giudizio, unito ai suoi sforzi instancabili, furono di grande ausilio all’industria cinematografica» (in Bianco e Nero, cit., 1958, n. 9, p. 76). Morì nel 1954, a settantaquattro anni, lasciando l’opera autobiografica: The Memoirs of Will Hays, New York 1955, pp. 600, alla quale in questo saggio ed in quelli che lo seguiranno frequentemente ci riferiremo. Essa, per la parte che riguarda la Legion of Decency, naturalmente ridicolizzata da Il Borghese (1955, n. 49, p. 917). Di regola il suo autore oggi viene nominato con facile sarcasmo dalla stampa laica, sulla scia della conversione poco onorifica della fascista rivista Cinema, la quale, nel 1937, in tempo di bonaccia con l’America, onestamente riconosceva: «Le basi di tutto il lavoro e di tutte le iniziative dell’Hays si possono riassumere in due concetti fondamentali: miglioramento della produzione, miglioramento del pubblico. Chiamato al suo posto in un momento in cui gran parte della pubblica opinione americana condannava il tipo di film allora corrente ed il suo basso livello morale, egli riuscì a persuadere gli industriali che il successo e l’avvenire del cinema dipendevano dalla loro capacità di adeguare il miglior gusto e le più sane idee del pubblico. I capolavori della letteratura e del teatro, certi soggetti di profondo contenuto etico non avrebbero oggi cittadinanza sullo schermo senza l’influenza e l’azione dell’Hays» (Cinema, 1937, n. 19, p. 244). Ma nel 1940, ai primi nuvoloni, l’Hays veniva dato per «un energico, incoraggiante e lievemente pomposo furbacchione» (Cinema, n. 93, p. 315); finalmente, in piena guerra, nel 1942, sotto la penna dell’italo francese Lo Duca, diventò il bersaglio di una indecorosa stroncatura, tanto piena di veleno quanto di marchiane falsità (Cinema, 1942, n. 134, p. 43).

17 A. ZUKOR, op. cit., p. 75.

18 Il testo integrale in M. QUIGLEY, op. cit., pp. 41-44. – Erra A. ZUÑIGA (Una historia del Cine, vol. II, Barcellona 1948, pp. 251-253), che qui dà come una de las primeras medidas... del Zar del cine... el famoso código de la vertud, che, come vedremo, venne soltanto nel 1930. Lo stesso equivoco in M. BARDÈCHE – R. BRASILLACH, Histoire du cinéma, vol. I, Parigi 1953, pp. 274-276. Sostanzialmente con esattezza, invece, ne riferì in Italia la Rivista del Cinematografo, pur mo’ nata (1928, nn. 6-7, p. 89).

19 W. HAYS, op. cit., p. 434.

20 «Produzioni teatrali, tolte quasi di sana pianta dalle semidegenerate scene dei teatrucoli di Broadway, si trasportarono sullo schermo cinematografico, col risultato che ora il cinema diventato lo strumento per divulgare storie, il genere delle quali era limitato, pochi anni fa, alle corrotte scene di certi ambienti» (mons. J.J. CANTWELL, Relazione, originariamente in Ecclesiastical Review (febb. 1934), riportata ne L’Osservatore Romano (12 luglio 1934), e in Rivista del Cinematografo (1934, n. 7, pp. 155 ss.), dalla quale noi la citeremo (p. 157).

21 Ivi.

22 H. MERCILLON, Cinéma et monopoles, Parigi 1953, p. 21. – Dal 1927 al 1929 negli Stati Uniti gli spettatori balzarono dai 60 milioni annui ai 110 milioni! (L. JACOBS, op. cit., p. 323)

23 Per questi fatti, e per quelli che seguono, cfr W. HAYS, op. cit., p. 438 ss.; M. QUIGLEY, op. cit., p. 48 ss. .

24 Il padre Daniel Lord, nato nel 1888, era entrato nella Compagnia di Gesù a ventun anno nel 1909; nel 1929, da appena quattro anni terminata la sua formazione religiosa, era di residenza presso la St. Louis University (St. Louis, Missouri), con l’ufficio di redattore del periodico The Queen’s Work e, per la prima volta, promotore delle Congregazioni Mariane della sua provincia religiosa.

26 Era composta del presidente I. Thalberg, e da: C. Laemmle Jr., B.P. Schulberg, Sol Wurtzel, C.E. Sullivan, Ch. Christie, J.L. Warner, J.M. Schenck. Vi collaborarono anche: W. Sceenan, D. Zanuck, J. Lasky, W. Wanger (W. HAYS, op. cit., pp. 441-443). 

27 Cfr La rivista del Cinematografo, 1931, n. 6, p. 173. Eccone il testo:
Noi sottoscritti, dopo aver liberamente accettato il Codice normativo della produzione cinematografica sonora, sincrona e muta, convenuto dall’A.M.P.P. e dalla M.P.P.D.A., affine di assicurarne l’interpretazione uniforme e la piena osservanza da parte nostra e dei dipendenti delle nostre Case, fissiamo le seguenti norme di procedura:
1. L’A.M.P.P. fornirà qualsiasi informazione o suggerimento circa i soggetti dei film ed il modo di trattarli ai direttori delle Case che gliene faranno richiesta.
2. Gli stessi direttori di Case potranno sottoporre all’esame della stessa A.M.P.P. qualsiasi sceneggiatura, e questa potrà fornire loro consigli e suggerimenti fondati sull’esperienza, la documentazione e lo studio, indicando dove creda che il manoscritto non si accordi col Codice, o dove ritenga che possano sorgere difficoltà, circa il soggetto e la sceneggiatura.
3. I direttori delle Case dovranno sottoporre all’A.M.P.P. ogni film prodotto, prima di inoltrarlo alla stampa. L’A.M.P.P., dopo averlo esaminato, comunicherà loro per iscritto se giudica che il film concordi o meno col Codice, distintamente riguardo all’argomento, alla maniera di trattarlo ed ai particolari. In caso di giudizio negativo, il film non sarà programmato finché non vi siano apportate le correzioni suggerite dall’A.M.P.P. Tuttavia, contro il suo giudizio, i direttori delle Case potranno ricorrere in appello ad una Commissione di produttori della stessa. Se questa Commissione confermasse il giudizio dell’A.M.P.P., ed il direttore appellante ritenesse ancora il suo film conforme al Codice tanto nello spirito quanto nella lettera, potrà appellare al Consiglio direttivo della M.P.P.D.A., al cui giudizio definitivo il direttore e la sua Casa dovranno stare.

La Commissione dei produttori sarà costituita dai membri seguenti: Ch. Christie, C.B. De Mille, E.H. Allen, H.B. Wallis, Sol Wurtzel, S. Goldwyn, W.F. Fraser, Sol Lesser, I. Thalberg, Ben Schulberg, Ch. Sullivan, W. Le Baron, W. Doane, J.A. Maldron, J.M. Schenck, C. Laemmle Jr., J.L. Warner. – Il Consiglio direttivo dell’A.M.P.P. potrà, all’unanimità, mutare i membri di questa Commissione. Per appellare contro l’A.M.P.P., il direttore di una Casa ne informerà il segretario; questi sceglierà a turno tre membri della Commissione – però non includendo membri di Case che abbiano affari in comune, o con la Casa proprietaria del film in esame –, i quali sollecitamente esamineranno il film in questione, e ne daranno il parere. Se poi uno dei tre designati fosse assente dalla città per causa di forza maggiore, gli subentrerà il membro o i membri, nell’ordine, ovviamente osservando le stesse norme. Il designato così assente sarà scelto come capolista nella seguente chiamata per siffatto servizio.

27 W. HAYS, op. cit., p. 42.

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Articolo estratto dal volume IV del 1960 pubblicato su Google Libri.

Il testo è stato corretto dai refusi di stampa e formattato in modo uniforme con gli altri documenti dell’archivio.

I riferimenti ai documenti del magistero pontificio sono stati resi interattivi e portano al sito del progetto “Chiesa e Comunicazione”, la biblioteca digitale online che prosegue l’attività iniziata da p. Baragli con le opere Cinema cattolico: documenti della Santa Sede sul cinema e Comunicazione Comunione e Chiesa.

ARTICOLO SU

Dell’americano Codice Hays di autocensura cinematografica e dell’americana Legion of Decency, salvo sviste, non si conosce ancora, né in Europa né in America, uno studio sistematico e sufficientemente esauriente. E sì che l’argomento lo meritava almeno per tre ragioni: in se stessi, infatti, i due avvenimenti restano ancora la più compiuta e vasta esperienza di relazioni affrontate e risolte tra cinema, morale ed opinione pubblica su piano nazionale; sotto l’aspetto apostolico e pastorale, poi, essi costituiscono uno dei più brillanti capitoli dell’azione cattolica negli Stati Uniti; infine alla Legion of Decency toccò l’onore di dare occasione al primo solenne documento pontificio sul cinema, documento che doveva modellare, sull’operato della chiesa americana, attività ed istituzioni pastorali di tutta la Chiesa cattolica.

Questa lacuna si spiega con la carenza di alcune fonti più dirette di quei fatti, che solo da pochi anni sono divenute accessibili agli studiosi. Nel 1955, infatti, la Pontificia Commissione per la Cinematografia, la Radio e la Televisione, insieme con altri documenti ecclesiastici sul cinema, ne pubblicava undici di primaria importanza della gerarchia degli Stati Uniti riguardanti il periodo delle origini della Legion; nello stesso anno William Harrison Hays, arbitro del cinema americano dal 1922 al 1945, pubblicava le sue memorie autobiografiche, dedicandone un capitolo al racconto circostanziato delle vicende e degli uomini del Codice Hays e della Legion; infine, nel 1956, altrettanto faceva il gesuita padre Daniel Lord, anche lui artefice di primo piano dell’uno e dell’altra. Ricorrendo ad esse ormai è possibile completare, rettificare e coordinare il poco o molto che sul Codice e sulla Legion già si trovava pubblicato o accennato, in libri e riviste, cattolici o meno, o che è stato pubblicato in seguito: dallo stesso padre Lord S.I. (1935 e 1938), da W. Parsons S.I. (1930), da M. Barbera S.I. (1930 e 1935); da M. Quigley (1937 e 1951), da J.F. Looran (1949) e, più recentemente, dai tre confratelli: A. Dulles (1956), e G. Kelly-J.C. Ford (1959), nonché dal padre P.W. Facey S.I., autore di una documentatissima tesi di laurea sulla Legion of Decency, per altro tuttora inedita1.

Non che ormai sia possibile coprire tutte le lacune e risolvere tutti i dubbi intorno ai due argomenti; tuttavia la somma di notizie che restano definitivamente accertate e chiarite sono, crediamo, sufficienti per una “carrellata” lungo quel fronte di dodici anni di avvenimenti americani che va dal 1922 al 1934, non privi di insegnamenti per noi in Italia, tanto per quelli che della moralità del cinema portano le responsabilità più gravi – legislatori, produttori e critici –, quanto per la grande massa degli spettatori, che troppo spesso ignora, quindi non usa, come arma di bonifica, l’acquisto del biglietto per il cinema.

Prime avvisaglie

II cinema, come spettacolo, nacque col sangue guasto, perché già i suoi antenati – vogliamo dire le invenzioni spettacolari che lo prepararono e poi confluirono in esso – abbondarono in prestazioni immorali, appagando insieme e la più morbosa curiosità del pubblico e la cupidigia di lucro di quanti con esse si dettero a sfruttarla, conseguentemente suscitando allarmi e proteste dalla parte più sana del pubblico; per esempio la fotografia, o, come fu detta, la dagherrotipia, che possiamo considerare come la nonna del cinematografo. Inventata nel 18392, vent’anni dopo non provvedeva più soltanto quei ritratti a poco prezzo per i quali il governo francese l’aveva acquistata e diffusa, ma anche i lucrosi apparecchi che, nelle Kermesses e in società, mostravano, con l’illusione del rilievo, figurazioni non sempre castigate. Di esse scrisse nel 1859 Baudelaire, non certo affetto da manie moralistiche:

Migliaia di occhi avidi si chinarono sui buchi degli stereoscopi come sugli abbaini dell’infinito. La curiosità dell’osceno, naturalmente viva nell’uomo..., non si lasciò sfuggire un’occasione per sodisfarsi. E non si dica che i ragazzi di ritorno dalla scuola fossero i soli a godersi quelle porcherie: esse divennero la frenesia della società3.

Mezzo secolo dopo, nel 1894, si diffuse in America, e poi in Europa, il cinetoscopio di Edison, che permetteva, ancora a singoli spettatori, di traguardare fotografie, non più statiche ma in movimento, attraverso una pellicola in moto continuo: ebbene, anche questo papà del cinematografo non si comportò molto castigatamente. Norman Raff e Charles Gammon, sfruttatori commerciali del brevetto Edison, offrirono ai loro clienti, col modico prezzo di venticinque cents, programmi tanto spinti – Danze passionali, Danze del ventre, Fumeria d’oppio ecc. – da allarmare la polizia e da provocare, ad Atlantic City, il sequestro dei film. Tra gli altri, uno ve ne fu in programma che segnò una data nell’evoluzione del costume determinata dallo spettacolo cinematografico. S’intitolava Il bacio. Girato da quei due bravi signori nel 1895, esso divulgò alle migliaia di avventori dei Penny-Arcades uno spettacolo che fin allora era stato accessibile soltanto ai libertini frequentatori di Broadway, vale a dire degli attori-amanti May lrvin e. John C. Rice, che nella commedia La vedova Jones si baciavano in pubblico. L’insolita (allora) volgarità non suscitò speciali allarmi finché i fotogrammi, del resto molto piccoli, erano visti dagli osservatori uno alla volta; ma l’indignazione di una parte del pubblico scoppiò nel 1896 quando, iniziatesi, in concorrenza con quelle del neonato Cinématographe Lumière, le proiezioni su schermo col Vitascope di Edison4, quel film passò nei primi programmi di proiezione al pubblico indiscriminato. In quell’occasione la rivista The Chap Book, di Chicago, il 15 giugno 1896:

Gli impresari di spettacoli si sono messi di lena a superare in volgarità tutto quello che era stato raggiunto fino ad oggi. Forse molti ricordano ancora i baci che miss May Irvin e un certo John C. Rice si scambiavano in una recente commedia intitolata La vedova Jones: nonostante che nessuno dei due fosse fisicamente attraente, quel pascolare dell’uno sulle labbra dell’altro fu insopportabile. Ma ciò che in grandezza naturale era già uno sconcio nulla rispetto alla ripugnanza che quest’atto causa ora che viene proiettato, per ben tre volte, in misure colossali. Privata da ogni residuo di fascino, l’azione dell’attrice tocca il limite di un’indecenza estremamente volgare. Per quanto osceni, i Quadri viventi dei nostri baracconi si direbbero roba di gusto raffinato. Sconcezze di questo calibro dovrebbero essere perseguite dalla polizia!

Da notare, in queste prime avvisaglie del conflitto tra produzione ed esercizio da una parte, e pubblico sensibile ai problemi morali dall’altra, la presenza di quattro elementi che agiranno negli scontri futuri, vale a dire: 1) la mentalità grossolanamente mercantile degli avventurieri, quasi tutti senza cultura e senza coscienza, che impugnarono le leve dell’industria e del commercio cinematografici; 2) il gusto culturalmente volgare e moralmente deteriore di larghi strati di spettatori, cui a meraviglia si adeguò il nuovo linguaggio-spettacolo-industria, assicurandosi, soprattutto sugli inizi, profitti ingenti; 3) il condizionamento progressivo determinatosi tra l’industria della distribuzione, che adescavano il pubblico con sapori sempre più forti, ed il pubblico di quel livello che, assuefacendovisi, si dispone a subirne, e quasi ad esigerne, di sempre più forti; 4) la tendenza dei gruppi di opinione a rompere la spirale della immoralità trasformandosi in gruppi di pressione mediante pubbliche proteste ed invocando, se necessario, interventi di polizia o di censura. Questo stato di cose si manifestò in maniera tipica all’epoca dei primi trust industriali e commerciali cinematografici. A New York la Children’s Society querelava un Nickelodeon per aver proiettato, avanti ad un pubblico di ragazzi, la storia di un uxoricidio; il 10 gennaio 1909 il Chicago Tribune lanciava una campagna di stampa denunciando in un articolo di spalla i centocinquanta Nickelodeon della città come luoghi di corruzione, provando l’accusa con i titoli del programma settimanale in corso: – Il barometro di Cupido, L’amante del vecchio, Brigantaggio moderno, I bassifondi di Parigi, Il bigamo, Riffa, scassinatore dilettante... – e con l’allarmante testimonianza di un giudice, secondo la quale constava che «direttamente o indirettamente questi Nickelodeon avevano provocato un numero di crimini giovanili superiore a quelli di tutti gli altri incentivi messi insieme»5. A rincalzo, il Christian Leader ammoniva: «Sarebbe difficile trovare mezzo più sicuro di questi spettacoli per allenare un gruppo di rivoluzionari a rovesciare il governo!». Su di che, mentre, nella Rhodes lsland, novelli Phinees si davano a saccheggiare i cinema, nuovi luoghi di peccato, a New York il sindaco McClellan ne ordinava la chiusura, ed a Chicago il consiglio municipale autorizzava la polizia ad impedire la proiezione dei film immorali.

A siffatti primi interventi repressivi della folla e delle autorità municipali, alcuni commercianti – tutti ex cercatori d’oro, trafficanti di pelli, gestori di penny arcades, rigattieri ecc. –, inopinatamenre si ritrovarono anime di artisti, ed osservarono candidi: «Corruttrice un Arte che ha prodotto Cenerentola, Ben Hur e La vita di Cristo?». Altri, portavoce loro il noleggiatore Carl Laemmle su Views and Film Index, si preoccuparono più concretamente della cassetta:

Corruttore della gioventù il cinema? Sciocchezze! Ma non è davvero il caso di riderci sopra... Anche se siamo convinti che neanche un locale su cento proietti film discutibili o in qualche modo dannosi, non si tratta tanto della nostra opinione quanto di quella del pubblico, che crede il contrario e che, o prima o dopo, finirà coll’incidere sui nostri incassi... 6

 

Convinti, dunque, da questo argomento perentorio, produttori ed impresari si piegarono a migliorare alquanto gli spettacoli. Tuttavia per poco tempo, cioè fino a che due insperate novità non vennero a liberarli da ogni rischio economico; vale a dire: lo Star System, avviato da Adolfo Zukor nel 1912, e la guerra mondiale ’14-’18; il primo, infatti, condizionò il pubblico non più col richiamo, sempre incerto e rischioso, del contenuto dei film, ma con quello stabile ed universale del culto dei “divi”; l’altro liberò il commercio cinematografico americano dalla già preoccupante concorrenza del prodotto europeo più qualificato. Sicché durante quasi un decennio, la nave filò col vento in poppa. Se qualche reazione moralistica continuò a ripetersi, gli affaristi non se ne dettero per intesi; soprattutto quando la vittoria alleata aprì loro, praticamente in regime di monopolio, larghissimi sbocchi nel mercato mondiale scarsamente reattivo, se pure mai lo fu, su problemi morali7.

Dopo la guerra mondiale

La licenza dei costumi, che, come una volta il colera e la peste, suole seguire le guerre, si sfrenò in misure insolite dopo la prima guerra mondiale, forse come proporzionata reazione alle rovine ed ai lutti da essa accumulati ed alle restrizioni, alle privazioni ed ai rischi del tutto straordinari da essa imposti, ed anche come deliberato ripudio di un mondo al tramonto e di una civiltà antiquata da parte di un mondo e di una civiltà che volevano essere in tutto e per tutto “nuovi”; e, per un insieme di circostanze, gli Stati Uniti, non intimiditi, com’era la vecchia Europa, da tradizioni e da complessi millenari, e favoriti da un eccezionale benessere economico, di tale licenza, o almeno di alcune sue manifestazioni più spregiudicate, si vennero a trovare insieme esemplari, promotori ed esportatori mondiali, i loro film costituendone il documento e lo strumento più efficace. Ecco come lo stesso Zukor8, eloquente testimone ed attore di quel periodo, lo ricorda nelle sue memorie:

La rivoluzione postbellica delle abitudini e della morale era ormai iniziata; la “maschietta” aveva già fatto la sua prima apparizione e le sottane stavano scorciandosi; evidentemente, la nuova generazione era alla ricerca dell’emancipazione e la vecchia seguiva orripilata questa rivoluzione. L’industria cinematografica fu presa nel ciclone. Il nostro primo obiettivo... era di seguire, e possibilmente precorrere, i gusti del pubblico. Ed il pubblico del cinema era formato per la maggior parte di giovani, così come lo è oggi; di conseguenza, i soggetti dei film cambiavano per seguire i tempi... Nel frattempo, diverse case d’infimo ordine producevano dei cortometraggi che passavano il limite del buon gusto; il che, unito alla obiezione che si faceva ai nuovi temi ed alla rivoluzione morale in genere, portò ad una richiesta generale della censura sui film...

Di censura, negli anni precedenti, si era già trattato in qualche Stato della Confederazione. L’Illinois fu il primo a stabilirla nel 1910; seguirono la Pennsylvania nel 1911, il Kansas nel 1913, il Maryland nel 1916...: poi vennero New York, l’Ohio, la Florida, la Virginia...; inoltre, censure municipali funzionarono in una settantina di città9. Produttori e gestori sopportavano le une e le altre come il fumo negli occhi, ma abbozzarono finché esse non incisero troppo sui loro incassi. Sporadici e rari erano tra quelli che annettevano qualche valore morale e sociale al cinema. In gran parte producevano e smerciavano film come altri fabbricavano e vendevano scarpe, grammofoni, lampadine, spazzolini da denti...: una merce come le altre. In buona fede, non si spiegavano le reazioni se non, da affaristi, sospettando dietro la facciata moralistica moventi politici o di concorrenza economica. Inoltre, incolti com’erano, se si sforzavano di penetrare alquanto quel mistero che per loro costituiva la morale, i giudizi contraddittori emessi dai vari uffici di censura finivano di disorientarli. Mentre nei loro bilanci due più due faceva sempre quattro, non riuscivano a spiegarsi come lo stesso film fosse onesto nello Stato di New York e disonesto in quello confinante della Pennsylvania, certe inquadrature o didascalie fossero scandalose in una città ed edificanti in un’altra.

Ma un brutto giorno videro profilarsi sull’orizzonte dei loro affari una minaccia cento volte peggiore, vale a dire la censura federale, che avrebbe esteso i controlli dai soli otto Stati, che già li esercitavano, a tutti gli altri quaranta della Confederazione, nei quali produzione ed esercizio trafficavano liberamente. Fu negli anni 1920-’21, quando l’opinione pubblica, indignata, unì in una sola condanna e l’insopportabile inverecondia dei film e la scandalosa vita di molti divi, ingordamente amplificata e divulgata dalla stampa scandalistica, chiedendo a gran voce che si procedesse drasticamente contro tutto il cinema. In termini strettamente economici, così ne riferisce ancora lo stesso Zukor:

Dato che in America c’erano quattordici mila sale, che vendevano cinquanta milioni di biglietti la settimana, il cinema doveva naturalmente proiettare film decenti. Ma la censura, federale o statale, non era la giusta soluzione del problema; cominciammo dunque a cercarne una migliore. Un incidente all’inizio dell’autunno del 1921 ci spinse ad intensificare le nostre ricerche. In una festa data in un albergo di San Francisco, un’attricetta chiamata Virginia Rappe morì in circostanze misteriose, e la colpa venne affibiata a Fatty Arbuckle, che fu arrestato. Gli articoli che descrissero la festa erano piuttosto di cattivo gusto, e le voci peggio... La nostra società aveva diversi film interpretati dall’Arbuckle pronti per la proiezione; ma, supposto anche che vi fossero esercenti disposti a programmarli... i disordini che avrebbero causati avrebbero danneggiato tutta l’industria cinematografica. Li trattenemmo quindi in magazzino con una perdita di circa un milione di dollari, e non furono mai più proiettati...10.

«Ormai — commentò il Literary Digest del 14 maggio 1921 — la stampa non discute più intorno al pericolo costituito dal cinema, bensì soltanto intorno al rimedio con cui la legge deve arginarlo»11.

Sulla fine, dunque, di quello stesso anno, prima che fosse troppo tardi, i maggiori produttori e distributori sventarono il pericolo sottoponendosi ad un autocontrollo. Qualcosa, in questo senso, si tentava da tempo dal National Board of Review 12; ma ormai era chiaro che ci voleva ben altro. Quei signori, dunque, formarono una Motion Picture Producers and Distributors of America 11, quindi si misero in cerca di una persona capace e di indiscusso prestigio presso il pubblico ed il governo, che ne prendesse in mano le redini moralizzandone i prodotti e la fama. Sulle prime posero gli occhi sul ministro del commercio Herbert Clark Hoover, che aveva riputazione di uomo cólto ed austero, durante la guerra si era mostrato energico organizzatore dei servizi alimentari e, dopo il conflitto, di varie opere di soccorso a favore dell’Europa; ma il personaggio in questione non accettò, forse per non rinunciare a quella carriera politica che nel 1928 doveva portarlo alla presidenza degli Stati Uniti. Ripiegarono, dunque, – dicembre 1921 – sul suo non meno qualificato collega di governo signor William Harrison Hays, pio presbiteriano14, leader del partito repubblicano, che il presidente Warren G. Harding aveva insediato al ministero delle poste in ricompensa del determinante appoggio avutone per succedere a W. Wilson nella Casa Bianca. Anche per lui accettare la presidenza della M.P.P.D.A. comportava la rinuncia alla carriera politica; ma egli consentì al sacrificio quando produttori e distributori realisticamente gli offrirono un onorario di centomila dollari mensili al posto dei diecimila che egli percepiva come ministro15. Fu così che Will Hays, come poi correntemente venne chiamato, dal gennaio 1922 fino all’anno 1945, quando cedé la successione a Erich Johnston, si identificò tanto con la M.P.P.D.A. che di questa si parlò semplicemente come dell’”Ufficio Hays”; e l’energia che fin dai primi tempi egli dispiegò nel dirigerne l’attività, per altro più col tatto diplomatico che col cipiglio autoritario, gli meritò il titolo di Zar del cinema 16. Di essa noi rileveremo soltanto l’aspetto della bonifica morale, attinente al nostro argomento.

Dalla “Formola Hays” al “Don’t’s and Be Careful’s”

Per prima cosa l’eletto cercò di liberare Hollywood dalla vergognosa nomea che s’era fatta di “nuova Sodoma”, sottoponendone ad un regolamento disciplinare divi e personale, ed infrenando la stampa che li riguardava17; quindi passò all’impresa più difficile di illuminare produttori e distributori circa alcuni presupposti psicologici e morali dell’autocontrollo che volevano imporsi, informandoli, tra l’altro, che lo spettacolo cinematografico non è come quello del circo, puro divertimento, esercitando esso un influsso paragonabile a quello delle università: anzi che agisce sulle grandi masse come uno stupefacente e un esplosivo; poi che non è vero che il pubblico gradisca i cosiddetti sapori piccanti, ma che, anche se ciò fosse, erano da preferirsi gli incassi continui e sicuri della produzione moralmente corretta a quelli immediati, ma rischiosi, della produzione deteriore; che in ogni caso dovevano rinunciare a certi guadagni spericolati alzando spontaneamente il livello di produzione se volevano evitare i rischi della censura federale. Venendo quindi al pratico, cominciò a mettere a punto quella che poi fu detta "Formola Hays”.

Dato che gran parte della licenziosità dei film dipendeva da quella della letteratura corrente, romanzesca e teatrale, dove il cinema, sempre a corto di soggetti originali, attingeva senza discrezione, spesso accrescendone le dosi di immoralità, nel maggio 1924 egli dette avvio ad un “Ufficio Soggetti” – affidandone fa rappresentanza per Hollywood a Fred Beetson – allo scopo di sconsigliare la trasposizione sullo schermo dei romanzi e dei drammi più scabrosi. Un mese dopo propose ai membri dell’associazione un elenco embrionale di argomenti e temi da trattarsi con speciali cautele, in quanto sconvenienti o nocivi specialmente a pubblici di giovani. Nel 1925, un “Ufficio Titoli”, già incaricato di dirimere le contestazioni giuridiche circa i titoli di film, affidatane la direzione al segretario della M.P.P.D.A. Carl E. Milliken, fu anche delegato ad eliminare quelli più morbosamente suggestivi. Nel 1926, sotto la direzione del colonnello Jason S. Joy, venne istituito ad Hollywood uno Studio Relations Committee (S.R.C.) con la mansione di far attuare negli studi dipendenti dalla West Coast Association quanto l’Ufficio Hays disponeva dalla sua sede di New York.

Mentre la nuova commissione si metteva di buona lena al lavoro, esaminando ben centosessantadue soggetti cinematografici nei primi mesi del 1927, il suo solerte presidente portava personalmente a compimento una iniziativa destinata a avere conseguenze impreviste. Recatosi presso tutti i vari uffici di censura funzionanti negli stati e nelle città U.S.A., raccolse e collazionò tutti i criteri e le proibizioni vigenti in essi; quindi ne estrasse un certo numero di indicazioni comuni o più frequenti, che considerò come il denominatore comune della sensibilità media negli Stati Uniti (e nel Canadà) rispetto ai problemi morali che più frequentemente affioravano nel cinema. Nel maggio di quell’anno l’Hays lo comunicò alla West Coast Association con tanta forza persuasiva che, seduta stante, questa incaricò tre membri – Irving G. Thalberg, E.H. ANllen e Sol Wurtzel – di concretarlo, insieme con J. Joy, in un testo preciso e definitivo. L’elenco che ne risultò, di undici Divieti e di venticinque Cautele, poi noto come Don’t’s and Be Carefuf’s, fu ufficialmente accettato dalla West Coast Association nel giugno successivo.

Vale fa pena di riportarlo per intero perché esso costituì il nucleo originario del famoso (o famigerato) futuro Codice Hays 18.

DIVIETI. – Si stabilisce che nei film prodotti dai membri di questa Associazione verrà sempre evitato quanto qui appresso elencato:

  1. Ogni palese profanazione, sia nei titoli sia nel dialogo. Perciò non si pronunceranno i nomi Dio, Signore, Gesù, Cristo (salvo, col dovuto rispetto, nei casi di corrette funzioni religiose), inferno, maledizione, Gawd... ed ogni altra espressione irrispettosa o volgare, in qualsiasi modo proferita.
  2. Ogni nudità oscena o eccitante, reale o in profilo; ed ogni riferimento e rappresentazione della stessa natura.
  3. II contrabbando di droghe.
  4. Ogni riferimento a perversioni sessuali.
  5. La tratta delle bianche.
  6. La promiscuità razziale (imparentamenti tra bianchi e neri).
  7. L’igiene sessuale e le malattie veneree.
  8. Le scene di parto, reali o in profilo.
  9. Le parti genitali dei bambini.
  10. La messa in ridicolo del clero.
  11. Ogni deliberata offesa a nazioni, stirpi e religioni.

 

CAUTELE. - Inoltre, per bandire ogni volgarità e suggestione deteriore, ed influire in una educazione più fine, verrà usata ogni cautela nel trattare gli argomenti seguenti:

  1. L’uso della bandiera.
  2. Le relazioni tra i popoli (evitando di presentare in cattiva luce la religione, la storia, gli istituti, i personaggi e gli abitanti di altri paesi).
  3. Gli incendi dolosi.
  4. L’uso di armi da fuoco.
  5. I furti, le rapine, gli scassi; i minamenti di treni, di gallerie e di edifici (considerati gli effetti che potrebbero seguire la descrizione troppo particolareggiata di essi).
  6. Le scene crudeli e terrificanti.
  7. La tecnica di delitti, qualsiasi metodo vi si adoperi.
  8. La tecnica del contrabbando.
  9. Gli interrogatori di terzo grado.
  10. Le esecuzioni di pene di morte con impiccagione o con sedia elettrica.
  11. La simpatia verso i i criminali.
  12. Le relazioni con le autorità e le pubbliche istituzioni.
  13. Le sedizioni.
  14. I maltrattamenti di bambini e di bestie.
  15. La marcatura a fuoco di uomini e di bestie.
  16. Il commercio di donne e la prostituzione delle stesse.
  17. La violenza contro donne, anche solo tentata.
  18. Le scene di prima notte.
  19. Uomini e donne nello stesso letto.
  20. La deliberata seduzione di di ragazze.
  21. L’istituto matrimoniale.
  22. Le operazioni chirurgiche.
  23. L’uso di droghe.
  24. Gli argomenti e le scene riguardanti la legge e le istituzioni incaricate di applicarle.
  25. I baci prolungati e sensuali, particolarmente tra personaggi «pesanti».

Tutti questi divieti e cautele verranno osservati lealmente.

Il sonoro e la morale

Che ai sottoscrittori convenisse economicamente sottoporre i loro soggetti alla Commissione di Joy e seguirne le indicazioni prima di iniziare le riprese lo provarono i fatti. Di centosettantasei emendamenti suggeriti da essa, solo su sette le varie commissioni di censura ebbero qualcosa da eccepire, e mentre queste bocciavano l’1,9% dei film approvati dalla Commissione, ne bocciarono il 6% di quelli sottratti al suo esame19. Perciò, nell’insieme, almeno nei primi mesi, i produttori fecero onore all’impegno. Non così, invece, durante il biennio che li seguì, ricco di rischi e di situazioni del tutto imprevisti.

È noto come nel 1927 la Warner Brothers tentò in extremis di salvarsi da un imminente fallimento lanciando il cinema sonoro. La rivoluzionaria innovazione, presto applicata anche dalle altre case, se raggiunse gli scopi economici esclusivamente intesi con essa dalla produzione e dall’esercizio, nonché dal capitale bancario che aveva larghissimamente finanziato l’una a l’altro, rendendosene praticamente padrone, moltiplicò ed ingigantì i pericoli morali del cinema, sia perché musica e parlato lo resero maggiormente suggestivo e ricco di contenuti drammatici, sia perché, più che mai a corto di soggetti, ed equivocando tra cinema sonoro e teatro filmato, i produttori, specie nel 1928, incettarono per Hollywood tutto quel che poterono, di repertorio e di attori, nei teatri e nei varietà di Broadway, vale a dire, col poco di buono che c’era, quanto di volgare e di licenzioso vi abbondava20.

Ricominciarono, dunque, ed ai primi del 1929 rinforzarono, le proteste della stampa e di gruppi qualificati, sopra i quali questa volta fece sentire la sua voce specialmente la protestante Federal Council of Christian Churches, la quale, antivedendo quanto con miglior successo avrebbe attuato qualche anno dopo la cattolica Legion of Decency, unì alle proteste verbali i fatti concreti, organizzando tra i suoi dipendenti un tentativo di boicottaggio sistematico dei film immorali21. L’Hays si affrettò ad avvertirne – altro non poteva fare – quelli della West Coast Ass.; ma, occupati com’erano ad ammassare la manna loro apportata dal sonoro – in un solo anno la R.K.O. segnò un profitto netto di due milioni di dollari, di dodici milioni la Loew, di tredici la Fox, di quindici la Paramount, di diciassette la Warner... –22, quei signori (il detto qui cade proprio acconcio) fecero orecchio da mercante, illudendosi che l’infatuazione del pubblico per il sonoro li garantisse da ogni rischio. Non è perciò da meravigliare se in quel 1929 il colonnello Joy inviasse all’Hays una relazione sconfortatissima, lamentando la quasi inutilità della sua presenza a Hollywood, dato che, innervosite dalla grande crisi economica in atto negli Stati Uniti, neanche metà delle case della West Coast Association collaboravano con lui, sicché appena un film su cinque veniva sottoposto all’esame della Commissione. L’Hays lo esortò a resistere, rilevandogli che in quei sette anni qualcosa pur si era ottenuta, e che, come erano passati dal caos del 1922 alla Formola Hays, e da questa ai Don’t’s and Be Careful’s, egli sperava di trovare o prima o poi il modo di rendere operanti anche questi, integrandoli di quanto mancava loro; essi, infatti, secondo lui, erano da considerarsi inadeguati allo scopo, perché consistevano in disposizioni empiriche, valide soltanto finché non contrastavano al tornaconto di chi le aveva firmate, più o meno come le norme convenzionali della circolazione stradale, non collegate con una legge fondamentale ed immutabile come quella naturale.

Mentre, un giorno dell’estate di quello stesso anno23, solo soletto nel suo ufficio di New York, egli meditava su questi argomenti, gli telefonò da Chicago, chiedendogli un abboccamento per il giorno seguente, il signor Martin Quigley. Era questi un fervente cattolico e sagace organizzatore, il quale, fondatore nel 1915 del Motion Picture Herald, e direttore delle tre riviste commerciali di gran successo: Motion Picture Daily, Motion Picture Almanac e Fame, aveva avuto frequenti relazioni di affari con l’Ufficio Hays e, in più di un’occasione, ne aveva appoggiato le iniziative moralizzatrici. Quindi l’Hays si disse felice di riceverlo. Ma quale non fu la sua gradita sorpresa quando l’ospite gli espose che anch’egli, da tempo, e specie dopo l’introduzione del sonoro, si chiedeva le ragioni della scarsa efficacia dello Studio Relations Committee e dei suoi "Divieti e cautele”, e che le aveva individuate non tanto nella cattiva volontà dei produttori, per quanto tra essi non mancassero dei filibustieri, sibbene nel mancato appoggio del pubblico, in alcune difficoltà tecniche, ma, soprattutto, appunto nella mancanza di una dottrina morale intorno al pubblico divertimento. Scartata, dunque, anche lui ogni soluzione di censure legali e politiche, s’era convinto che occorresse fare in modo che i film “nascessero sani” purificando la sorgente, vale a dire occorresse formare una sensibilità morale nei produttori, cominciando col procurar loro un testo di morale cinematografica, fondamentalmente ispirato a quei Dieci Comandamenti che tutti – ebrei, cattolici o protestanti – (almeno in teoria) veneravano. Ed il Quigley aggiunse che, sapendosi giornalista e uomo di cinema, non moralista e teologo, dopo aver ruminato per tutta l’estate su quell’idea, ne aveva riferito al suo arcivescovo, il cardinale Georges Mundelein, chiedendogli un sacerdote con cui consigliarsi; l’arcivescovo gli aveva scelto l’educatore e scrittore gesuita padre Daniel Lord, già pratico di questioni cinematografiche, il quale, insieme con lui, aveva steso il progetto di codice, che egli ora sottoponeva al giudizio dell’amico.

L’Hays, lì per lì, non credette ai propri occhi. Il "corpus di morale”, da lui sognato stava forse per nascere? Siccome anch’egli conosceva il padre Lord, avendolo incontrato due anni prima tra i consulenti tecnici di De Mille nel film The King of Kings (1927)24, lo invitò subito ad abboccarsi con lui a New York; quindi, concedendo piena fiducia ai due uomini, li incaricò di mettere a punto il progetto, a questo fine restando in contatto con loro durante tutto il resto della stagione. Intanto sollecitò il parere di alcuni membri della M.P.P.D.A.; con lo stesso scopo si recò ad Hollywood presso quelli della West Coast Ass. raccogliendo dagli uni e dagli altri reazioni di massima favorevoli. Quando, di ritorno a New York, lesse quello che i due avevano stilato, ne rimase entusiasta. Rimessosi in viaggio, il 23 gennaio 1930 sottoponeva lo scritto ai produttori ed ai registi della West Coast hollywoodiana. Contrariamente ad ogni suo timore – quella volta non portava proposte vaghe, ma un testo scritto! –, li trovò entusiasti, anzi impazienti di discuterlo e di approvarlo. Subito, a questo scopo, il presidente di turno C.B. De Mille nominò una commissione, al dire dell’Hays, «la più dinamica che quel regista avesse mai combinato»25. Questa, in laboriose sedute, col consiglio di M. Quigley e del padre Lord, parola per parola analizzò, discusse e ritoccò tanto i principi generali quanto le disposizioni particolari, giungendo ad un testo definitivo.

Quel che poi fu detto Production Code, o Codice Hays, venne presentato in seduta plenaria al consiglio direttivo della West Coast Associ tion, ed approvato per acclamazione all’unanimità, il 17 febbraio 1930. Cinque settimane dopo, il 31 marzo, esso veniva ratificato anche dalla M.P.P.D.A. newyorkesc. Della sua applicazione ed osservanza, con grande consolazione del colonnello J. Joy, venne incaricato ancora il vecchio Studio Relations Committee, al quale, su proposta dell’Hays, la West Coast per l’occasione assicurò maggiori fondi, mediante contributi proporzionali ai soggetti o film esaminati. Per renderne spedita e facile l’osservanza, i produttori dell’Association of Motion Picture Producers (A.M.P.P., sezione della West Coast Ass.) convennero anche su alcune norme di procedura riguardanti l’esame facoltativo dei soggetti e delle sceneggiature, e quello obbligatorio dei film finiti prima di immetterli in circolazione, come pure i gradi e le procedure di appello e la composizione delle relative commissioni26; inoltre restò convenuto che il Codice non annullava gli accordi del 1924 e 1925, quindi che l’Ufficio Soggetti e l’Ufficio Titoli continuavano a funzionare. 

Avanti ad un tale apparato chi non si sarebbe sentito autorizzato a bene sperare? L’Hays – e con lui, noi crediamo, i due più efficienti collaboratori M. Quigley e padre Lord, e certamente l’episcopato cattolico degli Stati Uniti, con tutti gli onesti –, giubilò. Riferendone, venticinque anni dopo, nelle sue Memorie, il ricordo di quel trionfo ancora lo esaltava di sodisfazione. «Un gigante che poteva trasformarsi in un Frankenstein — scriveva egli alludendo all’orrido personaggio del film di J. Whale (1931) — quella sera fu dotato di una coscienza. Anche se, poi, essa non sempre brillò distintamente, da allora non gli è più mancata»27. – Con due studi sul contenuto morale del Codice e sulle vicende, anche mondiali e cattoliche, di cui fu causa o almeno occasione, cercheremo di appurare quanto di quell’entusiasmo fosse allora motivato e quanta ragione abbiano poi ad esso dato i fatti.

 

1 Mano mano che occorreranno, daremo i dati bibliografici di queste fonti. Sull’argomento in generale si segnalano gli eccellenti studi di: RUTH A. INGLIS, Freedom of the Movies (Chicago, University of Chicago Press, 1947), e di T. B. LEARY - J. ROOGER NOAL: Entertaiment: Public Pressures and the Law (The Harward Law Review, vol. 71, n. 2, dicembre 1957).

2 Comunemente viene accettato quest’anno come data di nascita della fotografia, perché appunto nell’agosto del 1839 fu presentata, dall’Arago, la prima memoria della nuova invenzione all’Accademia di Francia.

3 C. BAUDELAIRE, Scritti di estetica, a cura di G. MACCHIA, Firenze 1948, p. 116.

4 Con tal nome Norman Raff e Charles Gammon ribattezzarono il Phantascope, che, in realtà, era invenzione di Thomas Armat e Charles Francis Jenkins. Che la proiezione su schermo del Bacio sia avvenuta mediante questo apparecchio e non mediante il Cinématographe Lumière lo arguiamo dal fatto che questo fu introdotto in America soltanto il 18 giugno 1896, mentre la denuncia del The Chap Book, che noi riportiamo, è del 15 giugno dello stesso anno (cfr G. SADOUL, L’invention du cinéma, Parigi 1948, vol. 1, pp. 309 e 259).

5 Dopo che la distribuzione cominciò ad interporsi tra la produzione e l’esercizio (1902), col passaggio dal pubblico fisso e cinema mobile al pubblico mobile e cinema fisso, nel 1905 furono dette Nickelodeon le sale destinate a spettacoli cinematografici, dal Nickel che ne fu il prezzo di entrata. Nel 1908 ne funzionarono ben diecimila negli Stati Uniti. La testimonianza del giudice riportata in L. JACOBS, L’avventurosa storia del cinema americano, Torino 1952, p. 90, il quale poi, con lo spirito agnostico ed irreligioso che lo distingue, commenta: «Nonostante l’eloquenza di queste critiche, i motivi della lotta erano tutt’altro che oscuri. Rivestiti di termini morali, essi nascondevano interessi essenzialmente economici, che potevano riassumersi in uno solo: la concorrenza fatta dal cinema alla chiesa, al varietà e al Saloon, ridotti dai Nickelodeons in condizioni pietose».

6 Ivi, p. 91; e S. SOLLIMA, Il cinema in U.S.A., Roma 1947, p. 19.

7 Per il 1918, una eco di siffatto stato di cose è questo brano dell’on. B. BELLOTTI: «... e le scene mute continuano allegramente a svolgere dinanzi al pubblico i loro lunghi metraggi di azioni delittuose ed immorali, procurando alle innumerevoli case produttrici d’Italia e di fuori lucri... che dovrebbero bruciare anche nella tasca del più cinico azionista» (Nuova Antologia, 1° agosto 1918, p. 240).

8 A. ZUKOR e D. KRAMER, The public is never wrong, New York 1953, nella traduzione italiana pubblicata in Bianco e Nero, 1958, n. 7, p. 80 e n. 9, p. 74. LEWIS JACOBS, storico del cinema americano, tutt’altro che tenero per la morale e per ogni genere di censura, ci dà questo di periodo la seguente descrizione (L’avventurosa storia..., cit., passim da p. 440 a p. 450):
«Il film più indicativo di questa nuova mentalità fu Male and Female (1919, Maschio e femmina), di Cecil B. De Mille..., per l’argomento trattato il più spinto di qualsiasi altro prodotto da Hollywood fino a quel momento, e il più audace nei suoi attacchi alla tradizione moraleggiante..., presto seguito, dello stesso, da For Better or Worse (1919, La corsa al piacere), Why change your Wife? (1920, Perchè cambiate moglie?), Forbidden Fruit (1921, Frutto proibito), The Affairs of Anatol (1921, Fragilità, sei femmina), Fool’s Paradise (1922, Paradiso folle), Saturday Night (1922, La coppia ideale)..., nei quali il proposito di agire sui nervi degli spettatori appariva dalle scenografie sontuose, dalle scene d’amore degne degli uomini delle caverne, dalla profusione della sensualità... Si misconoscevano la santità della famiglia ed il dovere di ogni donna di essere prima di tutto madre e sposa onesta, subordinandosi ogni problema al nuovo e massimo interesse del dopoguerra: il sesso...
« A rafforzare questi film di De Mille vennero le centinaia di drammi di vita coniugale realizzati da altri, ma che derivavano da quelli. Tutti quanti mettevano l’accento sull’importanza dell’amore nel matrimonio e sul diritto della donna all’indipendenza. Le mogli divennero le eroine di ogni sorta di situazioni. Il cinema insegnò loro a curare il proprio aspetto e il proprio “stile” dopo il matrimonio, le convinse che dopo il matrimonio continuavano ad avere diritto all’amore e a ogni attenzione, e infine cominciarono a insinuare che i vincoli legali non dovevano impedire alle mogli di avere una propria vita indipendente... La fedeltà coniugale veniva perfino ridicolizzata; l’adulterio e la dissolutezza, anche in persone mature, non soltanto venivano francamente perdonate, ma considerate moderni ed attraenti. Particolarmente i film di Lubitsch manifestavano questo atteggiamento. In termini ironici ed arrischiati... trattavano dei corteggiamenti e della vita gaudente dei ricchi e degli sfaccendati. I suoi personaggi erano sempre maturi, uomini e donne di mondo, che si dedicavano ai loro piccoli giochi galanti con piena coscienza di ciò che facevano; una condotta peccaminosa era un saporito divertimento sociale, anziché la strada che conduce alla dannazione... In questi film il matrimonio come istituzione crollava completamente. Il desiderio di una vita familiare e le sue responsabilità venivano considerati fuori moda. La donna di casa divenne una bizzarria;... aver figli era disapprovato... Considerato il matrimonio come licenza per commettere delle scappatelle, il divorzio diveniva la via per un’ancor maggiore libertà. Divorziate e vedove, come le mogli, venivano considerate ben più affascinanti delle fanciulle. I nuovi film mostravano normalmente le divorziate come trionfatrici della vita... Dopo il crollo del matrimonio e della vita familiare, sullo schermo, crollarono i principi morali su tutta la linea. Sconvenienza, promiscuità, relazioni sessuali illecite e cattivo comportamento in generale furono rappresentati come motivi prevalenti sia tra gente sposata sia non sposata...: il divertimento, la sensazione fine a se stessa divennero i principali interessi della nazione, o almeno, della nazione rappresentata nei film... Lo schermo fu invaso da orde di “mamme incendiarie”, di bellezze al bagno e di violatrici del proibizionismo, e ogni film cercava di superare il precedente in audacia e in licenza. La verecondia e la verginità divennero assurde, mentre l’amore prendeva l’aspetto di un incontro di lotta. La donna del cinema veniva roteata, trascinata e sbattuta sul letto dal suo uomo, nell’olocausto della passione primitiva. Le farse in stanza da letto... divennero moltitudine...».

9 S. SOLLIMA (Il cinema in U.S.A., cit., p. 19), manifestamente errando, afferma che tutti i quarantotto Stati U.S.A. istituirono la censura. M. QUIGLEY (Decency in Motion Pictures, New York 1937, p. 23) e mons. J. McCLAFFERTY (Les catholiques parlent de cinéma, Parigi 1948, p. 71) affermano che gli uffici censori statali non superarono i sette, quelli municipali i sessantasette.

10 A. ZUKOR, op. cit.

11 G. KELLY S.I. - J.C. FORD S.I., The Legion of decency, in Theological Studios, settembre 1957, p. 389.

12 Nel 1909, il People’s Institute di N.Y. City, in collaborazione con la Motion Picture Patent Company, primo grande trust dell’industria cinematografica americana, su iniziativa di Jeremiah J. Kennedy, presidente della stessa, costituiva il primo National Board of Censorship of Motion Pictures, il quale poi mutato in National Board of Review, esiste tuttora (cfr L. JACOBS, op. cit., p. 93; M. QUIGLEY, op. cit., p. 26; Revue Internationale du Cinéma, 1954, n. 18, p. 58).

13 Dal 1946 si mutò in Motion Picture Association of America - M.P.A.A.

14 M. VERDONE lo dice ministro nella chiesa presbiteriana (Rivista del Cinematografo, 1954, n. 2, p. 23); dalla medesima rivista gli si attribuisce «un’alta carica» nella stessa chiesa (ivi, n. 4, p. 18). Il cattolico J. Breen, vice presidente della M.P.A.A., lo definì «uomo straordinario, di meravigliosa capacità e vitalità, congiunta a un profondo sentimento religioso delle sue responsabilità» (ivi).

15 I. EHRENBOURG, Usine de Rêves, Parigi 1936, p. 30. Al dire dello stesso, l’onorario dell’Hays fu portato poi a 150.000 dollari mensili.

16 «Venne giudicato dalla stampa come dittatore — afferma di lui A. ZUKOR —, ma non si poteva esser più lontani dal vero. Egli era un diplomatico molto abile, ed il suo esperto giudizio, unito ai suoi sforzi instancabili, furono di grande ausilio all’industria cinematografica» (in Bianco e Nero, cit., 1958, n. 9, p. 76). Morì nel 1954, a settantaquattro anni, lasciando l’opera autobiografica: The Memoirs of Will Hays, New York 1955, pp. 600, alla quale in questo saggio ed in quelli che lo seguiranno frequentemente ci riferiremo. Essa, per la parte che riguarda la Legion of Decency, naturalmente ridicolizzata da Il Borghese (1955, n. 49, p. 917). Di regola il suo autore oggi viene nominato con facile sarcasmo dalla stampa laica, sulla scia della conversione poco onorifica della fascista rivista Cinema, la quale, nel 1937, in tempo di bonaccia con l’America, onestamente riconosceva: «Le basi di tutto il lavoro e di tutte le iniziative dell’Hays si possono riassumere in due concetti fondamentali: miglioramento della produzione, miglioramento del pubblico. Chiamato al suo posto in un momento in cui gran parte della pubblica opinione americana condannava il tipo di film allora corrente ed il suo basso livello morale, egli riuscì a persuadere gli industriali che il successo e l’avvenire del cinema dipendevano dalla loro capacità di adeguare il miglior gusto e le più sane idee del pubblico. I capolavori della letteratura e del teatro, certi soggetti di profondo contenuto etico non avrebbero oggi cittadinanza sullo schermo senza l’influenza e l’azione dell’Hays» (Cinema, 1937, n. 19, p. 244). Ma nel 1940, ai primi nuvoloni, l’Hays veniva dato per «un energico, incoraggiante e lievemente pomposo furbacchione» (Cinema, n. 93, p. 315); finalmente, in piena guerra, nel 1942, sotto la penna dell’italo francese Lo Duca, diventò il bersaglio di una indecorosa stroncatura, tanto piena di veleno quanto di marchiane falsità (Cinema, 1942, n. 134, p. 43).

17 A. ZUKOR, op. cit., p. 75.

18 Il testo integrale in M. QUIGLEY, op. cit., pp. 41-44. – Erra A. ZUÑIGA (Una historia del Cine, vol. II, Barcellona 1948, pp. 251-253), che qui dà come una de las primeras medidas... del Zar del cine... el famoso código de la vertud, che, come vedremo, venne soltanto nel 1930. Lo stesso equivoco in M. BARDÈCHE – R. BRASILLACH, Histoire du cinéma, vol. I, Parigi 1953, pp. 274-276. Sostanzialmente con esattezza, invece, ne riferì in Italia la Rivista del Cinematografo, pur mo’ nata (1928, nn. 6-7, p. 89).

19 W. HAYS, op. cit., p. 434.

20 «Produzioni teatrali, tolte quasi di sana pianta dalle semidegenerate scene dei teatrucoli di Broadway, si trasportarono sullo schermo cinematografico, col risultato che ora il cinema diventato lo strumento per divulgare storie, il genere delle quali era limitato, pochi anni fa, alle corrotte scene di certi ambienti» (mons. J.J. CANTWELL, Relazione, originariamente in Ecclesiastical Review (febb. 1934), riportata ne L’Osservatore Romano (12 luglio 1934), e in Rivista del Cinematografo (1934, n. 7, pp. 155 ss.), dalla quale noi la citeremo (p. 157).

21 Ivi.

22 H. MERCILLON, Cinéma et monopoles, Parigi 1953, p. 21. – Dal 1927 al 1929 negli Stati Uniti gli spettatori balzarono dai 60 milioni annui ai 110 milioni! (L. JACOBS, op. cit., p. 323)

23 Per questi fatti, e per quelli che seguono, cfr W. HAYS, op. cit., p. 438 ss.; M. QUIGLEY, op. cit., p. 48 ss. .

24 Il padre Daniel Lord, nato nel 1888, era entrato nella Compagnia di Gesù a ventun anno nel 1909; nel 1929, da appena quattro anni terminata la sua formazione religiosa, era di residenza presso la St. Louis University (St. Louis, Missouri), con l’ufficio di redattore del periodico The Queen’s Work e, per la prima volta, promotore delle Congregazioni Mariane della sua provincia religiosa.

26 Era composta del presidente I. Thalberg, e da: C. Laemmle Jr., B.P. Schulberg, Sol Wurtzel, C.E. Sullivan, Ch. Christie, J.L. Warner, J.M. Schenck. Vi collaborarono anche: W. Sceenan, D. Zanuck, J. Lasky, W. Wanger (W. HAYS, op. cit., pp. 441-443). 

27 Cfr La rivista del Cinematografo, 1931, n. 6, p. 173. Eccone il testo:
Noi sottoscritti, dopo aver liberamente accettato il Codice normativo della produzione cinematografica sonora, sincrona e muta, convenuto dall’A.M.P.P. e dalla M.P.P.D.A., affine di assicurarne l’interpretazione uniforme e la piena osservanza da parte nostra e dei dipendenti delle nostre Case, fissiamo le seguenti norme di procedura:
1. L’A.M.P.P. fornirà qualsiasi informazione o suggerimento circa i soggetti dei film ed il modo di trattarli ai direttori delle Case che gliene faranno richiesta.
2. Gli stessi direttori di Case potranno sottoporre all’esame della stessa A.M.P.P. qualsiasi sceneggiatura, e questa potrà fornire loro consigli e suggerimenti fondati sull’esperienza, la documentazione e lo studio, indicando dove creda che il manoscritto non si accordi col Codice, o dove ritenga che possano sorgere difficoltà, circa il soggetto e la sceneggiatura.
3. I direttori delle Case dovranno sottoporre all’A.M.P.P. ogni film prodotto, prima di inoltrarlo alla stampa. L’A.M.P.P., dopo averlo esaminato, comunicherà loro per iscritto se giudica che il film concordi o meno col Codice, distintamente riguardo all’argomento, alla maniera di trattarlo ed ai particolari. In caso di giudizio negativo, il film non sarà programmato finché non vi siano apportate le correzioni suggerite dall’A.M.P.P. Tuttavia, contro il suo giudizio, i direttori delle Case potranno ricorrere in appello ad una Commissione di produttori della stessa. Se questa Commissione confermasse il giudizio dell’A.M.P.P., ed il direttore appellante ritenesse ancora il suo film conforme al Codice tanto nello spirito quanto nella lettera, potrà appellare al Consiglio direttivo della M.P.P.D.A., al cui giudizio definitivo il direttore e la sua Casa dovranno stare.

La Commissione dei produttori sarà costituita dai membri seguenti: Ch. Christie, C.B. De Mille, E.H. Allen, H.B. Wallis, Sol Wurtzel, S. Goldwyn, W.F. Fraser, Sol Lesser, I. Thalberg, Ben Schulberg, Ch. Sullivan, W. Le Baron, W. Doane, J.A. Maldron, J.M. Schenck, C. Laemmle Jr., J.L. Warner. – Il Consiglio direttivo dell’A.M.P.P. potrà, all’unanimità, mutare i membri di questa Commissione. Per appellare contro l’A.M.P.P., il direttore di una Casa ne informerà il segretario; questi sceglierà a turno tre membri della Commissione – però non includendo membri di Case che abbiano affari in comune, o con la Casa proprietaria del film in esame –, i quali sollecitamente esamineranno il film in questione, e ne daranno il parere. Se poi uno dei tre designati fosse assente dalla città per causa di forza maggiore, gli subentrerà il membro o i membri, nell’ordine, ovviamente osservando le stesse norme. Il designato così assente sarà scelto come capolista nella seguente chiamata per siffatto servizio.

27 W. HAYS, op. cit., p. 42.

In argomento

Cinemaideale

n. 3008, vol. IV (1975), pp. 155-159:
n. 2970, vol. I (1974), pp. 582-585
n. 2861, vol. III (1969), pp. 390-394
n. 2831, vol. II (1968), pp. 472-474
n. 2824, vol. I (1968), pp. 376-378
n. 2815, vol. IV (1967), pp. 55-58
n. 2793, vol. IV (1966), pp. 263-268
n. 2776, vol. I (1966), pp. 350-353
n. 2744, vol. IV (1964), pp. 151-156
n. 2723, vol. IV (1963), pp. 473-486
n. 2706, vol. I (1963), pp. 565-567
n. 2636, vol. II (1960), pp. 124-39
n. 2617, vol. III (1959), pp. 17-31
n. 2612, vol. II (1959), pp. 113-124
n. 2605, vol. I (1959), pp. 66-69
n. 2555, vol. IV (1956), pp. 521-532
n. 2545, vol. III (1956), pp. 30-42
n. 2532, vol. IV (1955), pp. 601-609
n. 2519, vol. II (1955), pp. 526-535

In argomento

Cinema-arte

n. 2808, vol. II (1967), pp. 573-576
n. 2672, vol. IV (1961), pp. 165-169
n. 2667, vol. III (1961), pp. 306-311
n. 2567, vol. II (1957), pp. 504-515, 619-627
n. 2559, vol. I (1957), pp. 288-302
n. 2562, vol. I (1957), pp. 610-619
n. 2524, vol. III (1955), pp. 396-407