NOTE
×

1 Diciamo paganti, perché non entrano nel conteggio i molti che, per ragioni di ufficio o di professione (giornalisti, questura, carabinieri, pompieri ecc.) vi assistono gratuitamente, ed i moltissimi che vi assistono a sbafo, incrementando la cronica epidemia nazionale del “portoghesismo”. In questo punto e nel seguente evitiamo di proposito un raffronto tra la diffusione e la popolarità del cinema e quella della televisione, sia perché la situazione di questa, specialmente in Italia, è ancora troppo fluida, sia perché, servendo essa di ulteriore veicolo allo spettacolo cinematografico a domicilio, anche se finora passa come grande concorrente dello spettacolo cinematografico pubblico, in definitiva è, e forse resterà, la più forte divulgatrice dello spettacolo cinematografico tout court.

2 Statistica elaborata sui dati desunti dall’Annuario Statistico Italiano 1958, Istituto Centrale di Statistica, p. 118.

3 Del resto, nello stesso anno 1957, contro le 150 lire del prezzo medio dei biglietti di cinema, quelli teatrali toccarono la media di 618 lire (ivi, pp. 118 e 119).

4 A conferma, ecco come Ultime notizie Globe, bollettino dell’ufficio stampa e pubblicità della Globe Film International, cioè nientedimeno che della casa che ha ardito correre l’alea del doppiaggio e della distribuzione in Italia di film di altissimo valore culturale ed artistico, commenta il plauso da noi negatole per aver distribuito, insieme con quelli, film per lo meno culturalmente deteriori, come Il sangue del vampiro, e moralmente nocivi, come Les amants (Civ. Catt. 1959, II, 56): «È la prima volta che la Globe riceve una classica tiratina d’orecchi per aver commesso un fatto che, per alcuni è un reato e per altri non lo è... Diciamo subito che siamo d’accordo col P... B...: il fine non giustifica i mezzi. Ma c’è da stabilire quanto i mezzi siano cattivi: per ora – in pieno accordo con le leggi che governano il nostro Paese – sembra che il film Il sangue del vampiro non abbia a essere considerato mezzo cattivo, o, semmai, meno buono di un altro. Il sangue del vampiro è un film estremamente commerciale; se poi tanto sangue riesce a far suonare l’Arpa birmana, tanto meglio. Non saremo noi, organizzazione a carattere prevalentemente commerciale, a lamentarcene. Per Les amants possiamo dire solo che l’unica ragione che ci spinge a distribuirlo è il premio che il film ha ottenuto a Venezia: e nessuno può mettere in dubbio questa nostra asserzione. Che poi il film non dovesse esser presentato a Venezia, che non dovesse esser premiato, che abbia capacità d’inferire mortali ferite alla morale, tutto ciò riguarda un capitolo che la Globe, non ha il dovere di leggere. Altre persone (come appunto P... B...), altri organismi, altri enti dovevano farlo...».

5 I numeri in parentesi nel testo rimandano ai numeri marginali del volume Cinema Cattolico, documenti della Santa Sede sul cinema, Roma 1959; e all’Appendice di aggiornamento, edita recentemente dalla nostra Editrice.

6 Nel testo ci limitiamo a riferire soltanto documenti della Santa Sede. Ne potremmo citare a decine dell’episcopato italiano ed estero. Come esempio, ne riferiamo due, scritti in occasione del ventennale della Vigilanti cura.
«Si tratta di un’opera assolutamente necessaria di educazione dello spettatore... Infatti. qui si individua un punto del massimo interesse per l’apostolato cattolico. Vorrei poter soprattutto su questo attirare l’attenzione. Infatti, la capacità critica dello spettatore, se guidata ed aiutata, può diventare una perenne scuola di catechismo. Gli opposti chiamano gli opposti e persino esibizioni non perfette possono per tale via trovare una soluzione di fecondità» (Card. G. SIRI, in Rivista del cinematografo, 1956, n. 11, p. 9).
«La via da seguire per sciogliere il problema del cinema è stata indicata da Pio XII col fissare le caratteristiche del film ideale. Ma è del tutto improbabile che i produttori si decidano ad osservarle se il pubblico non lo esige, perché molti di essi, programmando o girando un film, non è che cerchino di fornire un divertimento onesto agli spettatori, ma si preoccupano soltanto del guadagno che possono tirarne fuori; perciò la soluzione del problema... risiede nell’educare e formare il pubblico. Se si potesse ottenere che gli spettatori, nella proiezione di un film ragionassero rettamente, in possesso della loro personalità e padroni della loro immaginazione e della loro sensibilità, si da non farsi trascinare ciecamente dal film, allora noi avremmo trovata la soluzione definitiva» (mons. V. E. TARAÒN, vescovo di Solsona, in Incunable, 1956, n. 85, p. 1 ss.).

7 Cfr Rivista del cinematografo, 1956, n. 8, pagine gialle; nn. 9-10, p. 61; 1957, n. 5, p. 146; nn. 7-8, p. 216; 1958, nn. 9-10, p. 298 ss.

8 S.E. mons. Carlo Zinato, vescovo di Vicenza, nel darne notizia al suo clero scriveva tra l’altro: «... tema di viva e quanto mai preoccupante attualità il cinematografo nei suoi rapporti con l’azione pastorale. Oltre ai sacerdoti ordinati nell’ultimo decennio 1948-1957, per i quali l’intervento è obbligatorio, invito a parteciparvi tutti gli altri – e sono molti – ai quali l’argomento non può non interessare, sia perché hanno la responsabilità di anime, specialmente giovanili, che, più o meno avvertitamente, più o meno durevolmente, sono esposte agli influssi ed, ahimè, alle seduzioni del cinematografo. Il Signore vuole i suoi ministri ad omne opus bonum instructi: una conoscenza più approfondita di questo tormentoso problema pastorale qual è il cinematografo fa parte certo dei nostri doveri di guide, di medici, di padri delle anime...». A conclusione, un telegramma della Segreteria di Stato comunicava «il compiacimento del S. Padre generoso apostolato mondo cinema... auspicando approfondita conoscenza relativi importanti problemi».

9 Non vorremmo essere fraintesi. Data la natura degli spettacoli che ordinariamente vi vengono proiettati e, spesso, dato il genere di pubblico che vi si affolla, nonché il tempo che vi si può perdere, reputiamo che i cinema, anche parrocchiali, poco, pochissimo si addicano a sacerdoti e a religiosi. A questo proposito abbiamo precisato il nostro pensiero sulla lettera Cinema e clero, pubblicata in Seminarium (ottobre 1958, p. 245 ss.), nella quale, tra l’altro scrivevamo: «[Come per i seminaristi] anche per i sacerdoti si consiglia la visione di una decina di film l’anno, tanti, almeno ogni anno, infatti, l’industria cinematografica ne produce di alto interesse artistico o culturale. Per i motivi sopra ricordati, le proiezioni dovrebbero essere sempre precedute da una introduzione e seguite da discussione o commento. Sarebbe preferibile tenerle in spettacoli riservati al clero (come pure a religiosi o a religiose, specialmente insegnanti), dato che in Italia è loro proibito di accedere agli spettacoli pubblici, e per evitare che, col permesso o senza, vadano in quelli parrocchiali, ove non sempre la loro presenza edifica i laici, né lascia questi a loro agio, e dove quasi sempre i sacerdoti vedono film che, per le loro condizioni materiali e per il loro argomento, sono tutt’altro che fatti per istruirli e formarli nel buon gusto e nella virtù» (p. 249).

10 In Italia, convenzionalmente, sotto questo termine sono compresi tutti indistintamente i cinema dipendenti dall’autorità ecclesiastica, siano essi di fatto veramente parrocchiali o meno.

11 Su questo argomento, cfr il recente nostro Cinema e clero, in Seminarium, cit.; meno recente lo studio del p. E. FLIPO S.I. in Revue Internationale du Cinéma, 1952. n. 13. p. 38. e in Documentation Catholique, XLIX (1952). p. 1517; e la lezione di mons. A. GALLETTO: Il clero di fronte ai problemi dello spettacolo, in Atti del primo corso nazionale per il clero sui problemi morali dello spettacolo: Badia Fiesolana 20-24 luglio 1953, pp. 7-13. Negli stessi Atti viene rilevato che «all’importanza pedagogica, formativa ed apostolica del cinema non sempre corrisponde un’adeguata preparazione del clero» (p. 3), quindi si «formulano i più ardenti voti affinché vengano effettuati corsi di cultura e di aggiornamento presso gli istituti di istruzione dipendenti dall’autorità ecclesiastica» (ivi).

12 Tra le molte altre iniziative di cui ci è pervenuta notizia ricordiamo i corsi per religiose e per seminaristi svoltisi a Napoli nel 1957-58, quello di Genova per religiose, quelli organizzati dal C.I.F. a Roma, e soprattutto la Scuola di specializzazione di tecniche audiovisive nel Pontificio Istituto di Pastorale presso la Pontificia Università del Laterano, iniziatisi in questo anno accademico 1958-1959.

MENU

Articolo estratto dal volume III del 1959 pubblicato su Google Libri.

Il testo è stato corretto dai refusi di stampa e formattato in modo uniforme con gli altri documenti dell’archivio.

I riferimenti ai documenti del magistero pontificio sono stati resi interattivi e portano al sito del progetto “Chiesa e Comunicazione”, la biblioteca digitale online che prosegue l’attività iniziata da p. Baragli con le opere Cinema cattolico: documenti della Santa Sede sul cinema e Comunicazione Comunione e Chiesa.

ARTICOLO SU

Riteniamo che, a tutela dei più preziosi valori culturali e morali della nazione, occorre provvedere senza indugio un’adeguata istruzione cinematografica a quanti frequentano i cinema, vale a dire alla quasi totalità della nostra popolazione, e che se finora in Italia, da parte di chi poteva e doveva, poco o nulla si è tentato a questo fine, ciò dimostra che troppi responsabili della cultura e della morale ignorano tutto sulla natura del cinema e sull’azione profonda che esso va esercitando in tutti gli strati della nazione, come, del resto, in tutta la società odierna; ignoranza tanto più inesplicabile quanto più numerosi ed impellenti si vanno da tempo accumulando rilievi e moniti da parte di psicologi, di sociologi e di autorità religiose, anche supreme.

Cinque dati incontestabili

Riservandoci di approfondirli particolareggiatamente in altre occasioni, riportiamo qui alcuni dati, dottrinali e di fatto, ormai incontestabili, i quali, mentre spiegano appunto l’immenso e profondo influsso esercitato dal cinema, dimostrano quanto, specie in Italia, urga provvedere gli spettatori di un minimo di difese contro le sue suggestioni meno nobili.

1) In Italia il cinema è il divertimento più comune. – Per ammontare di spesa: dei circa 175 miliardi annui spesi dagli italiani in divertimenti spettacolari, il cinema da solo ne assorbe ben 110, contro i 30 della radio e della televisione, i 16 dei trattenimenti vari (balli, mostre, fiere, circhi equestri, baracconi, tiri al bersaglio, autopiste, giostre ecc.), gli 11 delle manifestazioni sportive e gli appena 8 del teatro. In quanto a frequenza poi: mentre il teatro recluta appena 40 mila spettatori al giorno, e 13 milioni l’anno, il cinema supera i 2 milioni giornalieri e gli 800 milioni annuali (paganti)1, raggiungendo la media di 16 spettacoli l’anno per abitante, la più alta che si conosca tra le nazioni di tutto il mondo, eccezion fatta per l’Inghilterra2.

2) In Italia il cinema è lo spettacolo anche più “popolare”. – Perché il maggior numero delle frequenze in esso è assicurato dagli italiani meno abbienti e meno coltivati, i quali numericamente superano i facoltosi e i cólti; inoltre perché, per la grande massa di questo pubblico “popolare”, il cinema resta l’unico o quasi unico divertimento, quando invece, man mano che nel pubblico migliorano il reddito e la cultura, esso viene sempre più affiancato, se non addirittura supplito, da altri diversivi, più costosi o culturalmente più impegnativi, quali lo sport, il turismo, la musica, il teatro. A conferma: nel 1957, mentre gli abitanti del Piemonte, della Lombardia, dell’Emilia e della Toscana, che si potevano permettere di spendere 3.800 lire l’anno a testa in spettacoli e manifestazioni sportive, riservarono il 73% della somma al cinema e il 27% agli altri spettacoli, quelli della Basilicata e della Calabria, che allo stesso scopo ne potevano spendere appena 800, ne destinarono il 91% al cinema, ed appena il 9% agli altri!3

3) Il cinema è sempre una scuola. – E che scuola! Insegnando esso la teoria e la pratica della vita, anzi la teoria soltanto mediante intense esperienze vissute, quando altre istituzioni, quali la famiglia, la Chiesa e la scuola vera e propria, oggi troppo spesso si trovano poste in condizione d’insegnare molto poco, e più nozioni astratte che “pratiche di vita”. Alla luce di questo dato di fatto rivestono una portata imprevista i due precedenti. Su piano nazionale, infatti, nonostante che le ore di lezione passate dal nostro pubblico ogni anno al cinema stiano, rispetto a quelle passate nelle scuole di tutti gli ordini, nella proporzione di due a cinque, si stima che un buon 90% delle nozioni possedute dall’uomo medio oggi provengano dal cinema! E su piano di valori morali e religiosi: in Italia, se tutti quelli che sono obbligati ad assistere alla messa domenicale ci andassero – ipotesi, ahinoi troppo lontana dalla realtà! – il nostro pubblico passerebbe in chiesa circa un miliardo di ore l’anno; di fatto ne passa circa due miliardi al cinema!

4) La docenza del cinema è efficacissima. – Essa tanto più è efficace quanto più il suo linguaggio diventa suggestivo, quanto più lo spettatore vi diventa suggestionabile e quanto più i reliquati delle suggestioni, col tempo, sedimentano e stratificano omogenei nel suo inconscio. Orbene, il linguaggio del cinema, già suggestivo quando questo era ancora muto e in bianco e nero, l’è diventato molto di più quando ha acquistato la voce e i colori e quando ha allargato a dismisura gli schermi, mentre lo spettatore vi è molto suggestionabile, abbandonato com’è e privo di ogni difesa critica, immerso nel buio e fatto massa...: donde il suo stato patico (= abbandonato), ipnagogico e onirico (= di sogno), di cui parlano psicologi e psichiatri...

5) Produzione, distribuzione ed esercizio non sono organizzati in funzione di cultura o di morale, ma unicamente in funzione economica; vale a dire: non in funzione degli interessi superiori del pubblico, bensì soltanto perché il pubblico sborsi più denaro che è possibile ai botteghini4. Di conseguenza, siccome, di solito, non fanno cassetta, rari sono i film di buon valore artistico: nelle congiunture più felici, appena una decina sui 2.500 prodotti ogni anno in tutto il mondo; scarsi sono pure, nella massa di film insulsi o volgari, quelli di discreta cultura; scarsissimi quelli che trasmettano una visione integralmente vera, buona e bella della vita su piano di natura e di soprannatura.

Utopie

È piuttosto diffusa in certi ambienti, grazie a Dio ancora molto sensibili ai più genuini valori della nostra civiltà latina e cristiana, l’opinione che il cinema, nel suo insieme, agisca nel mondo odierno come coefficiente soltanto d’incultura, d’immoralità e d’irreligione, onde i rimedi drastici suggeriti da qualche candido ritardatario per porre termine ai suoi danni, quali il dissuadere tutti gli onesti e saggi dall’andare al cinema finché questo resti quel che è e, intanto, o forzare la produzione a produrre film belli e buoni, oppure opporre una nostra produzione culturalmente e moralmente sana.

Noi, pur concedendo che i dati di fatto sopra riferiti non autorizzino alcun ottimismo, rifiutiamo di sottoscrivere una condanna tanto ampia del fenomeno, e men che meno accettiamo per validi questi ingenui rimedi. Chi li propone, evidentemente non sa – forse perché, per esser conseguente, di proposito ignora, lui per primo, il cinema, – che, finché esso resta condizionato da costosissime apparecchiature tecniche e soggetto ad altissimi rischi economici, non c’è da farci illusioni sul suo miglioramento. Nonostante qualche animoso tentativo, le sue leve di comando resteranno in pugno non a sapienti, ad artisti, a maestri e ad apostoli, ma ad affaristi, come tali tutt’altro che filantropi, e magari ignoranti, rozzi alquanto e corruttori; ed ignora pure che quanto è facile avvezzare gli spettatori al cinema, tanto è difficile divezzarneli, introducendosi esso nel pubblico come spesa voluttuaria, e poi resistendo quasi come bisogno primario.

La realtà è che i film sono quel che sono (Punto 5°), e che la gente accorre a vederli, scadenti o pessimi che siano (Punti 1° e 2°), e che, pur augurandoci, e pur tentando il possibile, perché in un prossimo domani essi riescano ad insegnare cose belle ed ottime, urge che oggi, se non proprio il maggior vantaggio, il pubblico ne riporti il minor danno possibile. Rebus sic stantibus, dunque, occorre istruire ed educare il pubblico. Né vale obiettare, come s’è fatto più volte, che l’impresa è troppo ardua, e troppo incerti e tardivi se ne prevedono gli effetti: non può essere questione di più o meno difficile quando non c’è possibilità di scelta! Consigli e sollecitazioni alla produzione, alla distribuzione e agli esercenti perché acquistino una sensibilità culturale e morale ed agiscano secondo essa, vigilanza ed intervento dello Stato nell’incrementare la buona produzione, nel reprimere gli abusi e nel tutelare l’onestà pubblica, vigilanza della Chiesa, specialmente nell’orientare i fedeli nello scegliere i film e, appena possibile, nell’appoggiare ogni buona iniziativa e nell’organizzare circuiti cattolici...: tutto sta bene; ma tutto cade nel vuoto se il pubblico più vasto resta ostile o insensibile al problema; tutto invece renderà se il pubblico si verrà sensibilizzando e diverrà favorevole.

La dottrina ecclesiastica

Ci conforta credere che questa nostra tesi concorda con l’insegnamento della Santa Sede, da tempo sollecita nel rilevare la necessità di tale iniziazione ed educazione, nell’indicarne gli scopi ultimi ed immediati, e nel consigliarne i mezzi più adatti.

La necessità. - Non basta orientare i fedeli nella scelta dei film, ciò che la Chiesa compie mediante le loro qualifiche: «Questa necessaria azione dev’essere accompagnata da un’altra, di educazione propriamente detta» [435]5 ; «Occorre un’azione istruttiva ed educativa» [509]. La necessità vivamente sentita di dare tale educazione agli spettatori riguarda «tanto i giovani quanto gli adulti», da preparare «a meglio valutare i lati positivi e negativi dello spettacolo» [511]; in particolare «i sacerdoti devono conoscere tutti i problemi che il cinema... pone alle anime dei fedeli» [560], mentre è «particolarmente utile che gli insegnanti cattolici conoscano i problemi e i metodi dell’educazione cinematografica» [447].

Gli scopi ultimi. - In genere: 1) frenare il prepotere degli strumenti dell’opinione pubblica: «In realtà, la più sicura difesa dell’uomo contro il prepotere dei ritrovati tecnici di diffusione... è riposta in una sana educazione dell’opinione pubblica» [425]. In particolare rispetto al cinema: 2) «Premunire lo spettatore contro i deteriori influssi di certa propaganda, che lusinga le passioni e le curiosità morbose» [547] e, 3) diminuire i pericoli morali che possono occorrere nell’atto della visione: dato che «la condizione umana è tale, di fatto, che non sempre né tutti gli spettatori hanno o conservano la energia spirituale, l’interna riserva, spesso anche la volontà di resistere all’avvincente suggestione, e con ciò la capacità di dominare e di guidare se stessi» [305], l’azione educativa prepara «lo spettatore... specialmente a condursi secondo retta coscienza, sì da considerare e giudicare con maturo criterio i vari elementi offerti dallo schermo... e non, come spesso avviene, lasciarsi prendere e trasportare disordinatamente dalla loro forza fascinatrice» [509]; di conseguenza, 4) assicurare ad essi nel cinema uno strumento di sano divertimento e di elevazione spirituale: «Né una sana ricreazione... né il progresso culturale potranno essere pienamente assicurati senza siffatta opera educativa» [510]; «Tale sana istruzione ed educazione dello spettatore, mentre farà diminuire i pericoli morali, permetterà al cristiano di profittare di ogni nuova cognizione per innalzare lo spirito alla meditazione delle verità supreme» [514]; infine, 5) sostenere i buoni film: «Oh, se tutti quelli che concorrono nella produzione dei film contassero sulle sane reazioni del pubblico! Più di quanto non si voglia credere, esso è in grado di sostenere col suo appoggio ogni genere di film che, con la loro nobile perfezione artistica, possano costituire un valido sussidio di una sana educazione. Ma siffatta sana reazione, ed il terreno atto ad accogliere i film buoni vanno preparati educando gli spettatori» [574]6.

Gli scopi immediati. – 1) Mettere il pubblico in condizione di «capire il linguaggio proprio del cinema» [509], e così avviarlo «a gustare i valori genuini espressi dal linguaggio proprio del film» [574]; 2) «Ricordare ai fedeli i propri doveri in ordine agli spettacoli» [537], specialmente da parte della gioventù [602]; 3) ma, soprattutto, preparare gli spettatori «a condurvisi secondo retta coscienza, sì da considerare e giudicare con maturo criterio i vari elementi offerti dallo schermo» [509].

I mezzi. - Quattro: 1) I gruppi di cultura cinematografica [VI 1]; 2) I dibattiti [VI n]; 3) La critica e la stampa cinematografica [VI h, i]; 4) La stampa cattolica [VI g].

Per ora, in attesa che l’introduzione ai problemi cinematografici venga inclusa nei normali programmi d’insegnamento scolastici, i mezzi che meglio rispondono allo scopo sono, se ben condotti, i gruppi di cultura: circoli di studio, cineforum, cineclub ecc.; essi, tuttavia, stante l’impegno che richiedono da parte così di chi li dirige come di chi li frequenta, sono ben lungi dal raggiungere le grandi masse di spettatori più bisognosi; invece, i dibattiti cinematografici, vale a dire le pubbliche discussioni dopo la proiezione dei film, potrebbero raggiungere più vasti ambienti di pubblico: però, specie se praticati con spettatori eterogenei e non iniziati ad una lettura, sia pure elementare, del film, riescono appena a rispondere ad esigenze sporadiche e contingenti – culturali, politiche, morali o religiose – di essi, e magari costituiscono un invito ad una formazione cinematografica vera e propria, ma nulla di più. Maggiori possibilità istruttive e formative presenterebbero la critica e, in genere, la stampa cinematografica: il guaio è che, specie da noi, pochi la leggono, e che il più delle volte veramente non mette conto di leggerla; infatti, quando non usa un linguaggio ermetico o non divaga in frasi fatte, e quando non è venale, vale a dire, tutela non l’utile vero del lettore ma gli affari dei produttori, che sono i padroni o i foraggiatori di riviste e di giornali, troppo spesso su piano di cultura e di morale indulge o ai più laici pregiudizi estetico idealistici, o al più rozzo contenutismo marxista, in tal maniera assicurando non l’istruzione e l’educazione, ma il disorientamento e la deformazione culturale e morale dei lettori. Resterebbe, dunque, la stampa cattolica; ma questa, nel settore cinema, è molto scarsa; inoltre, se è specializzata, non raggiunge il grande pubblico; se non lo è, per forza di cose, come si è detto, si limita quasi soltanto ad un’azione di profilassi. Restano, dunque, efficace e possibile mezzo per un’iniziazione del gran pubblico ai problemi del cinema, i corsi sistematici di cultura cinematografica.

Tentativi ed esperienze

Da qualche anno, grazie a Dio, il problema comincia ad avvertirsi anche in Italia, dove pure vanno moltiplicandosi iniziative per risolverlo. Qui ne ricordiamo soltanto alcune, tra quelle tentate in campo cattolico, alle quali abbiamo partecipato di persona e nelle quali è maturato il piano organico dei tre corsi sistematici che intendiamo presentare a conclusione di quanto stiamo scrivendo.

L’iniziativa di più ampio respiro e di maggiore impegno è stata senza dubbio quella dei corsi estivi della Mendola, organizzati, nelle estati del 1956, 1957 e 1958, congiuntamente dal Centro Cattolico Cinematografico e dall’Università Cattolica del Sacro Cuore nell’imponente complesso alberghiero che questa possiede al Passo della Mendala, sopra Bolzano. In ogni tornata, per una settimana intera, un centinaio di corsisti tra ecclesiastici, religiose e laici, si sono applicati a lezioni teoriche, esercitazioni pratiche, proiezioni di film e dibattiti, svolgendo programmi via via di più alto livello culturale7. Conchiusasene la serie sperimentale, da essi è maturato il piano organico di cui appresso, e ad essi si sono in gran parte ispirati i sette corsi di cui riferiamo: quattro per ecclesiastici, due per religiose e uno per laici.

Su iniziativa della commissione organizzatrice degli annuali corsi estivi di aggiornamento per il clero di Vicenza, il corso del 1957 fu consacrato tutto al cinema. Per tre giorni, dunque, dal 1º al 4 luglio, nel seminario maggiore della diocesi, circa duecentocinquanta sacerdoti si applicarono sistematicamente all’argomento; sulle prime, come prevedibile, un po’ scettici circa la convenienza di consacrare ad esso tanto tempo ed impegno, poi, invece, rammaricati perché rispetto alla quantità ed all’importanza della materia si dimostrarono del tutto inadeguate le circa dieci ore di lezione e i tre dibattiti, sufficienti forse per addentrare gli iniziandi nella folta selva dei problemi tecnici, linguistici, psicologici, sociali, morali e pastorali del cinema, non a scioglierli e a farneli uscire fuori8; onde le espressioni approvate dai partecipanti nelle Conclusioni del corso: «Il clero vicentino è grato a sua eccellenza il Vescovo... di aver fissato il tema Cinema e pastorale per il corso di aggiornamento in tal maniera dando modo ai giovani sacerdoti d’introdursi seriamente nei problemi del cinema... A questo proposito, conformemente alle Conclusioni del convegno dell’O.C.I.C. di Madrid (1952), si auspica una graduale introduzione teorica e pratica del clero, anche durante il periodo di formazione seminaristica, alla visione di film di particolare interesse culturale ed apostolico».

Seguiva, a Roma, nella quaresima del 1958, il corso sperimentale di filmologia per circa quattrocento studenti delle facoltà di filosofia e teologia della Pontificia Università Gregoriana. Per quanto l’iniziativa vi avesse avuto illustri precedenti, è stata questa, di fatto, la prima volta che sette lezioni di cultura cinematografica hanno risonato, dinanzi al più internazionale degli uditòri, direttamente nelle aule dell’austero ateneo pontificio, fausto inizio, si spera, dei futuri corsi sistematici e stabili. Sempre in via sperimentale, nell’estate dello stesso anno, una trentina di religiosi Sacerdoti del S. Cuore, nella loro casa di villeggiatura a S. Martino di Castrozza, dedicavano al cinema tre giorni interi di una loro stagione di aggiornamento pastorale; finalmente, dopo le ferie pasquali di quest’anno 1959, un centinaio di studenti di propedeutica e di teologia del seminario maggiore di Bergamo, tralasciata ogni altra materia ordinaria, si applicavano per circa cinque ore al giorno a lezioni e ad esercitazioni cinematografiche, primo esempio, crediamo, del genere, almeno per i seminari d’Italia.

Si potrà forse obiettare che con questo dedicarsi ad introdurre piuttosto il clero nei problemi del cinema, non si assolve il compito più urgente e più vasto di istruire e di educare il grande pubblico; ma l’obiezione si dissolve quando si osservi che anche il clero è, o in una certa misura anche dovrebbe diventare, “pubblico dei cinema”9, ma soprattutto rilevando che incombe in gran parte sul clero il dovere e il diritto d’istruire e d’educare la grande massa di fedeli che si riversano nei cinema e che sulle stesse spalle incombe, in Italia, la responsabilità di ben seimila sale “parrocchiali”10; chi, dunque, prima del clero. dovrebbe istruirsi ed educarsi ai problemi del cinema?11.

Dato che, nelle debite proporzioni, siffatte considerazioni valgono anche per le religiose impegnate in opere d’istruzione, educazione ed assistenza, due fruttuose esperienze si sono volute tentare anche per esse. A Roma, dal 2 al 5 gennaio 1958, su iniziativa della Federazione Italiana Religiose Educatrici (F.I.R.E.), si svolgeva, presso l’istituto Pio XII delle religiose dell’Assunzione, un corso nazionale teorico e pratico di quattro giorni per sessanta religiose laureate ed applicate all’insegnamento: otto lezioni e quattro dibattiti su altrettanti film vi cercarono «d’introdurre le religiose al linguaggio del cinema, in modo che la visione dei film non nuoccia loro, ma sia di utile culturale e spirituale, e di rendere consapevoli le insegnanti sull’influsso che il cinema produce nelle anime delle loro alunne, e prepararle ad adoperarlo come sussidio di cultura e di apostolato». Di molto più ampio respiro è il corso biennale 1959-1960 che si sta svolgendo a Roma, per trenta presidi e laureate, presso la sede dell’Istituto universitario pareggiato di Magistero Maria Assunta, promosso dal Centro Cattolico Cinematografico e dalla Federazione Italiana Religiose Assistenza Sociale (F.I.R.A.S.). Scopo del corso è di «orientare le religiose partecipanti a usare, nell’ambito del proprio istituto e nel settore educativo assistenziale, i nuovi mezzi secondo lo spirito e le direttive della Chiesa»; per quanto si dica “di cultura sui mezzi audiovisivi” iri generale, esso riserva al cinema la quasi totalità delle lezioni e delle esercitazioni.

Per i laici, ricordiamo l’unico esperimento finora tentato, precisamente a Torino, dal 2 al 5 gennaio 1959, presso l’Istituto Sociale, organizzato congiuntamente dall’Unione Donne e dalla Gioventù Femminile di Azione Cattolica12.

Verso un piano organico

A questo punto, tesaurizzate sufficienti esperienze e sollecitato a tentarne innumerevoli altre sia entro le varie associazioni dell’Azione Cattolica Italiana sia fuori di esse, il comitato direttivo del Centro Studi Cinematografici (C.S.C.) annesso al Centro Cattolico Cinematografico (C.C.C.) giudicò giunto il momento di soprassedere ad esse e di predisporre un piano organico di istruzione cinematografica del pubblico italiano, quindi di passare dalle prestazioni sperimentali ad un’azione sistematica ed organica concordata su piano nazionale.

Questo piano, ormai messo a punto, si articola in tre corsi, con caratteristiche proprie e con scopi in parte autonomi ed in parte complementari. Un primo corso, A, di cultura cinematografica elementare, comprendente una ventina tra lezioni ed esercitazioni pratiche, con lo scopo «di assicurare una prima iniziazione degli spettatori ai problemi del cinema, in modo che, come uomini e come fedeli, assumano una posizione cosciente e critica avanti allo spettacolo, sia usandone personalmente, sia guidandovi quanti sono affidati alle loro responsabilità: figli nelle famiglie, alunni negli istituti di istruzione e di educazione, fedeli nelle parrocchie, organizzati nelle opere cattoliche ecc.; un secondo corso, B, di cultura cinematografica media, riservato a quanti, dopo aver frequentato il corso A, aspirino ad una cultura cinematografica e generale sufficiente per condurre dibattiti, cineforum ecc.: esso, infatti, si conchiuderebbe conferendo il relativo diploma di abilitazione ai candidati che superassero prove orali e di tirocinio pratico; ed, infine, un terzo corso, C, di cultura cinematografica superiore, riservato a quanti, dopo aver frequentato anche il corso B, aspirassero, oltre che a dirigere dibattiti, ad una specializzazione in materia: esso si conchiuderebbe conferendo ai candidati, che ne superassero le prove finali, l’abilitazione ad insegnare in tutto o in parte le materie del corso A, oppure un titolo per la professione di critico cinematografico (cattolico) o, trattandosi di chierici, per esercitare con competenza l’ufficio di revisori diocesani. In linea di principio i corsi A sarebbero piuttosto di massa, ma preferibilmente per categorie (maestri, sacerdoti, religiose, studenti, operai ecc.), e, bastando per ognuno di essi uno o due docenti, sarebbero annuali ed anche pluriannuali, ad organizzazione anche locale o regionale, mentre i corsi B e C, richiedendo allievi selezionati e vari docenti, si svolgerebbero alternativamente ogni due anni, e su ambito prevalentemente nazionale.

I corsi B e C ci interessano molto anche sotto l’aspetto della pura cultura, ma prevalentemente sotto quello pastorale; perciò li pensiamo strutturati ed articolati non tanto per conferire conoscenze che siano fine a se stesse, bensì per preparare le guide necessarie ai cineforum ed ai dibattiti, ed i docenti necessari nei corsi A, vale a dire gli uomini ai quali in pratica sarà demandata quella iniziazione sistematica del pubblico cinematografico di cui andiamo sostenendo la più urgente necessità su piano pastorale. Quindi i loro programmi dovranno assicurare ai futuri docenti e guide un vasto e sicuro retroterra culturale specifico anche nei settori più strettamente tecnici, e diciamo pure, “laici”, ignorando i quali il fenomeno cinematografico viene appreso erroneamente e risolto malamente, o non risolto affatto, ma lo dovranno integrare con un saldissimo patrimonio di sensibilità, di cultura e di abiti psicologici, pedagogici, didattici, morali e religiosi; soltanto così provvisti essi potranno, sì, affrontare il pubblico, come tecnici qualificati, ma anche sensibili alle sue necessità squisitamente morali e religiose.

Il programma del Corso A

Questa inscindibile unione ed interdipendenza di dati tecnici e di esigenze culturali e morali, radicata nelle stesse condizioni concrete in cui si attua il cinema, è, ci pare, felicemente salvata nel programma di massima del corso A, predisposto dal Centro Studi Cinematografici. Contrariamente a quanto i “laici” potrebbero attendersi da cattolici, esso non prende le mosse da considerazioni e disposizioni moralistiche e religiose, né esponendo gli elementi del linguaggio cinematografico necessari per poter leggere il film, e nemmeno prospettando il cinema come arte, cammino, quest’ultimo, battuto da tutti i docenti “laici” – ed, ahimè, anche da molti cattolici, più ossequenti del conveniente ai pregiudizi dell’idealismo crociano –, bensì spiegando che il cinema è un fenomeno quanto altri mai complessissimo, sia come processo fisico: tecnico-fisiologico, nelle fasi della ripresa, della riproduzione schermica e della percezione in atto della realtà fenomenica in movimento, sia per le vastissime e diversissime attività umane – industriali, economico-commerciali, politiche e culturali – che concorrono nella produzione, distribuzione e consumo del prodotto-servizio film; quindi chiarisce alcuni dei molti aspetti che possono essere rilevati del fenomeno, o semplicemente diversi e complementari, o divergenti ed opposti, secondo gli interessi prevalenti nelle singole categorie di persone che vi agiscono: tecnici, documentaristici-scientifici, spettacolari, economico-industriali, pubblicitari, artistici, giuridici, politici, religiosi..., tutti motivati in quanto si riferiscono a concrete realtà, ma tali che occorre disporli secondo una scala di valori, relativi o assoluti, sicché la preminenza riconosciuta ad uno sugli altri qualifichi intenti, attività, corsi, trattazione ecc. Ora il corso A, avendo per scopo l’istruzione e l’educazione degli spettatori ai fini di tutelarne i supremi interessi culturali e morali, di persone umane e di cristiani, posti in giuoco dal cinema, lo considera principalmente sotto l’aspetto di strumento della comunicazione sociale, formidabile fattore dell’opinione e del costume pubblico; ma siccome non è facile convincerli che ciò sia, e spiegare come ciò sia, senza prima introdurre gli ignari spettatori in tutta una serie di realtà concrete, che nel fenomeno cinema ferreamente ed a vicenda si condizionano, il corso A comincia appunto da esse, precisando, prima di ogni altro, il radicale aspetto tecnico del cinema – sempre più complesso procedimento di “riproduzione della vita” –, dal quale dipendono tutti gli altri, primo tra tutti quello di “linguaggio di immagini in movimento”, distinto dagli altri linguaggi dipendenti da altre tecniche. Forniti i principali elementi e le caratteristiche di questo linguaggio, indispensabili per un minimo di lettura materiale del film, a questo punto il corso A, sia per far meglio comprendere la differenza tra il linguaggio delle immagini schermiche e gli altri linguaggi, sia per introdurre lo spettatore nel problema delle possibilità artistiche del cinema ed all’esame e giudizio estetico dei film, descrive il farsi concreto del film, prima nella fase letteraria (dall’idea al soggetto, al trattamento ed alla sceneggiatura), e poi in quella tecnico-industriale (di preparazione, di esecuzione e di completamento).

Quando il film sarà materialmente pronto ad essere proiettato, a che cosa di fatto servirà? Qui il corso A dimostra che finanziatori e produttori, vale a dire coloro dai quali, come si è detto, nei paesi non a regime politico, troppo dipendono e dipenderanno i contenuti e le qualità dei film finché il cinema richiede costi astronomici e rischi altissimi, saranno spinti a presentarlo e a commerciarlo unicamente come merce, trattando il pubblico esclusivamente come acquirente-utente della stessa; e lo dimostra: prima mediante l’argomento storico, comprobante che tutte le innovazioni tecnico spettacolaristiche, dalle quali più dipendono costi e rischi, sono state o bloccate o introdotte seguendo criteri economici, e non di cultura (men che meno moralistici), quindi analizzando il processo economico odierno del cinema, che forza produzione ed esercizio a condizionare il pubblico con tutti i mezzi, anche i meno nobili, quali per esempio il divismo, in modo da costringerlo ad acquistare il prodotto. In queste condizioni, continua il corso A, il cinema, pur conservandone amplissime le possibilità, rarissimamente riesce e riuscirà a servire la cultura e l’arte, checché vadano gridando gli interessati difensori del cinema sempre libero perché sempre arte; ma, tuttavia, artistico o grossolano, cólto o insipiente che sia, il cinema resta sempre uno dei più efficaci strumenti della comunicazione sociale. A questo proposito il corso A cerca di illuminare lo spettatore sulla smisurata idoneità pubblicistica del cinema, vale a dire sulle sue possibilità di imporre agli spettatori schemi di opinioni e di comportamenti, personali e di massa, analizzando la latitudine, l’estensione e la suggestività proprie del suo linguaggio, nonché la particolare suggestionabilità in cui viene a trovarsi lo spettatore una volta che, immerso nel buio, è reso massa, menomato nelle inibizioni e reazioni critiche. Fondate su siffatte premesse, le successive direttive di ascesi culturale, morale e religiosa appariranno non illiberali colpi inferti ai più preziosi valori della cultura e della libertà, ma tutela di essi, prima ancora che dei supremi valori della vita soprannaturale ed eterna. Ecco, quindi, a conchiudere il corso A, lo studio delle norme della morale, prima naturale, poi cristiana e cattolica, da seguirsi nell’uso del cinema, e del modo d’inserirsi in esso sì da usarlo positivamente come arma e come campo di cultura e di apostolato.

* * *

Rilevata l’utilità, anzi la più urgente necessità d’iniziare culturalmente e moralmente il pubblico cinematografico, e disposto un piano generale sul fondamento della più sicura dottrina ecclesiastica, di assodati dati tecnici e scientifici e di collaudate esperienze, non resta che approntare i necessari sussidi didattici e, quindi, passare ad un’azione nazionale decisa, sistematica, lungimirante, progressiva. Ci auguriamo che ciò avvenga col concorso volenteroso di quanti, uomini e istituzioni, in Italia dispongono della dottrina specifica e di sufficienti possibilità economiche ed organizzative. Sì, l’impresa non è semplice né facile, ma la posta n’è altissima e meritoria al massimo. Si tratta, infatti, di compiere un’opera immediata di misericordia spirituale ed insieme di porre la premessa più urgente e, per il momento, unica possibile per migliorare la produzione cinematografica, vale a dire, non soltanto per «evitare in questo campo pericoli mortali per la fede e la vita cristiana» [567], bensì anche «perché questo mezzo, posto a disposizione degli uomini dalla divina Bontà, diventi sicuro strumento di bene... per una più alta cultura, una vera arte e, soprattutto, per la diffusione della verità» [595].

 

1 Diciamo paganti, perché non entrano nel conteggio i molti che, per ragioni di ufficio o di professione (giornalisti, questura, carabinieri, pompieri ecc.) vi assistono gratuitamente, ed i moltissimi che vi assistono a sbafo, incrementando la cronica epidemia nazionale del “portoghesismo”. In questo punto e nel seguente evitiamo di proposito un raffronto tra la diffusione e la popolarità del cinema e quella della televisione, sia perché la situazione di questa, specialmente in Italia, è ancora troppo fluida, sia perché, servendo essa di ulteriore veicolo allo spettacolo cinematografico a domicilio, anche se finora passa come grande concorrente dello spettacolo cinematografico pubblico, in definitiva è, e forse resterà, la più forte divulgatrice dello spettacolo cinematografico tout court.

2 Statistica elaborata sui dati desunti dall’Annuario Statistico Italiano 1958, Istituto Centrale di Statistica, p. 118.

3 Del resto, nello stesso anno 1957, contro le 150 lire del prezzo medio dei biglietti di cinema, quelli teatrali toccarono la media di 618 lire (ivi, pp. 118 e 119).

4 A conferma, ecco come Ultime notizie Globe, bollettino dell’ufficio stampa e pubblicità della Globe Film International, cioè nientedimeno che della casa che ha ardito correre l’alea del doppiaggio e della distribuzione in Italia di film di altissimo valore culturale ed artistico, commenta il plauso da noi negatole per aver distribuito, insieme con quelli, film per lo meno culturalmente deteriori, come Il sangue del vampiro, e moralmente nocivi, come Les amants (Civ. Catt. 1959, II, 56): «È la prima volta che la Globe riceve una classica tiratina d’orecchi per aver commesso un fatto che, per alcuni è un reato e per altri non lo è... Diciamo subito che siamo d’accordo col P... B...: il fine non giustifica i mezzi. Ma c’è da stabilire quanto i mezzi siano cattivi: per ora – in pieno accordo con le leggi che governano il nostro Paese – sembra che il film Il sangue del vampiro non abbia a essere considerato mezzo cattivo, o, semmai, meno buono di un altro. Il sangue del vampiro è un film estremamente commerciale; se poi tanto sangue riesce a far suonare l’Arpa birmana, tanto meglio. Non saremo noi, organizzazione a carattere prevalentemente commerciale, a lamentarcene. Per Les amants possiamo dire solo che l’unica ragione che ci spinge a distribuirlo è il premio che il film ha ottenuto a Venezia: e nessuno può mettere in dubbio questa nostra asserzione. Che poi il film non dovesse esser presentato a Venezia, che non dovesse esser premiato, che abbia capacità d’inferire mortali ferite alla morale, tutto ciò riguarda un capitolo che la Globe, non ha il dovere di leggere. Altre persone (come appunto P... B...), altri organismi, altri enti dovevano farlo...».

5 I numeri in parentesi nel testo rimandano ai numeri marginali del volume Cinema Cattolico, documenti della Santa Sede sul cinema, Roma 1959; e all’Appendice di aggiornamento, edita recentemente dalla nostra Editrice.

6 Nel testo ci limitiamo a riferire soltanto documenti della Santa Sede. Ne potremmo citare a decine dell’episcopato italiano ed estero. Come esempio, ne riferiamo due, scritti in occasione del ventennale della Vigilanti cura.
«Si tratta di un’opera assolutamente necessaria di educazione dello spettatore... Infatti. qui si individua un punto del massimo interesse per l’apostolato cattolico. Vorrei poter soprattutto su questo attirare l’attenzione. Infatti, la capacità critica dello spettatore, se guidata ed aiutata, può diventare una perenne scuola di catechismo. Gli opposti chiamano gli opposti e persino esibizioni non perfette possono per tale via trovare una soluzione di fecondità» (Card. G. SIRI, in Rivista del cinematografo, 1956, n. 11, p. 9).
«La via da seguire per sciogliere il problema del cinema è stata indicata da Pio XII col fissare le caratteristiche del film ideale. Ma è del tutto improbabile che i produttori si decidano ad osservarle se il pubblico non lo esige, perché molti di essi, programmando o girando un film, non è che cerchino di fornire un divertimento onesto agli spettatori, ma si preoccupano soltanto del guadagno che possono tirarne fuori; perciò la soluzione del problema... risiede nell’educare e formare il pubblico. Se si potesse ottenere che gli spettatori, nella proiezione di un film ragionassero rettamente, in possesso della loro personalità e padroni della loro immaginazione e della loro sensibilità, si da non farsi trascinare ciecamente dal film, allora noi avremmo trovata la soluzione definitiva» (mons. V. E. TARAÒN, vescovo di Solsona, in Incunable, 1956, n. 85, p. 1 ss.).

7 Cfr Rivista del cinematografo, 1956, n. 8, pagine gialle; nn. 9-10, p. 61; 1957, n. 5, p. 146; nn. 7-8, p. 216; 1958, nn. 9-10, p. 298 ss.

8 S.E. mons. Carlo Zinato, vescovo di Vicenza, nel darne notizia al suo clero scriveva tra l’altro: «... tema di viva e quanto mai preoccupante attualità il cinematografo nei suoi rapporti con l’azione pastorale. Oltre ai sacerdoti ordinati nell’ultimo decennio 1948-1957, per i quali l’intervento è obbligatorio, invito a parteciparvi tutti gli altri – e sono molti – ai quali l’argomento non può non interessare, sia perché hanno la responsabilità di anime, specialmente giovanili, che, più o meno avvertitamente, più o meno durevolmente, sono esposte agli influssi ed, ahimè, alle seduzioni del cinematografo. Il Signore vuole i suoi ministri ad omne opus bonum instructi: una conoscenza più approfondita di questo tormentoso problema pastorale qual è il cinematografo fa parte certo dei nostri doveri di guide, di medici, di padri delle anime...». A conclusione, un telegramma della Segreteria di Stato comunicava «il compiacimento del S. Padre generoso apostolato mondo cinema... auspicando approfondita conoscenza relativi importanti problemi».

9 Non vorremmo essere fraintesi. Data la natura degli spettacoli che ordinariamente vi vengono proiettati e, spesso, dato il genere di pubblico che vi si affolla, nonché il tempo che vi si può perdere, reputiamo che i cinema, anche parrocchiali, poco, pochissimo si addicano a sacerdoti e a religiosi. A questo proposito abbiamo precisato il nostro pensiero sulla lettera Cinema e clero, pubblicata in Seminarium (ottobre 1958, p. 245 ss.), nella quale, tra l’altro scrivevamo: «[Come per i seminaristi] anche per i sacerdoti si consiglia la visione di una decina di film l’anno, tanti, almeno ogni anno, infatti, l’industria cinematografica ne produce di alto interesse artistico o culturale. Per i motivi sopra ricordati, le proiezioni dovrebbero essere sempre precedute da una introduzione e seguite da discussione o commento. Sarebbe preferibile tenerle in spettacoli riservati al clero (come pure a religiosi o a religiose, specialmente insegnanti), dato che in Italia è loro proibito di accedere agli spettacoli pubblici, e per evitare che, col permesso o senza, vadano in quelli parrocchiali, ove non sempre la loro presenza edifica i laici, né lascia questi a loro agio, e dove quasi sempre i sacerdoti vedono film che, per le loro condizioni materiali e per il loro argomento, sono tutt’altro che fatti per istruirli e formarli nel buon gusto e nella virtù» (p. 249).

10 In Italia, convenzionalmente, sotto questo termine sono compresi tutti indistintamente i cinema dipendenti dall’autorità ecclesiastica, siano essi di fatto veramente parrocchiali o meno.

11 Su questo argomento, cfr il recente nostro Cinema e clero, in Seminarium, cit.; meno recente lo studio del p. E. FLIPO S.I. in Revue Internationale du Cinéma, 1952. n. 13. p. 38. e in Documentation Catholique, XLIX (1952). p. 1517; e la lezione di mons. A. GALLETTO: Il clero di fronte ai problemi dello spettacolo, in Atti del primo corso nazionale per il clero sui problemi morali dello spettacolo: Badia Fiesolana 20-24 luglio 1953, pp. 7-13. Negli stessi Atti viene rilevato che «all’importanza pedagogica, formativa ed apostolica del cinema non sempre corrisponde un’adeguata preparazione del clero» (p. 3), quindi si «formulano i più ardenti voti affinché vengano effettuati corsi di cultura e di aggiornamento presso gli istituti di istruzione dipendenti dall’autorità ecclesiastica» (ivi).

12 Tra le molte altre iniziative di cui ci è pervenuta notizia ricordiamo i corsi per religiose e per seminaristi svoltisi a Napoli nel 1957-58, quello di Genova per religiose, quelli organizzati dal C.I.F. a Roma, e soprattutto la Scuola di specializzazione di tecniche audiovisive nel Pontificio Istituto di Pastorale presso la Pontificia Università del Laterano, iniziatisi in questo anno accademico 1958-1959.

In argomento

Magistero

n. 3195-3196, vol. III (1983), pp. 209-222
n. 3188, vol. II (1983), pp. 154-161
n. 3141, vol. II (1981), pp. 222-237
n. 2990, vol. I (1975), pp. 144-157
n. 2983, vol. IV (1974), pp. 36-48
n. 2979-2980, vol. III (1974), pp. 242-247
n. 2950, vol. II (1973), pp. 347-358
n. 2951, vol. II (1973), pp. 425-438
n. 2952, vol. II (1973), pp. 547-559
n. 2911, vol. IV (1971), pp. 39-48
n. 2913, vol. IV (1971), pp. 235-253
n. 2882, vol. III (1970), pp. 154-160
n. 2859-2860, vol. III (1969), pp. 219-230
n. 2847, vol. I (1969), pp. 250-253
n. 2787-2788, vol. III (1966), pp. 314-315
n. 2702-2704, vol. I (1963), pp. 105-118, 313-325
n. 2636, vol. II (1960), pp. 124-39
n. 2612, vol. II (1959), pp. 113-124
n. 2605, vol. I (1959), pp. 66-69
n. 2555, vol. IV (1956), pp. 521-532
n. 2545, vol. III (1956), pp. 30-42
n. 2532, vol. IV (1955), pp. 601-609