Articolo estratto dal volume I del 1968 pubblicato su Google Libri.
Il testo è stato corretto dai refusi di stampa e formattato in modo uniforme con gli altri documenti dell’archivio.
I riferimenti ai documenti del magistero pontificio sono stati resi interattivi e portano al sito del progetto “Chiesa e Comunicazione”, la biblioteca digitale online che prosegue l’attività iniziata da p. Baragli con le opere Cinema cattolico: documenti della Santa Sede sul cinema e Comunicazione Comunione e Chiesa.
«Lo Stato considera il cinema mezzo di espressione artistica, di formazione culturale, di comunicazione sociale»: così ,l’Art. 1 della recente legge n. 1213, del 4 nov. 1965, sui provvedimenti a favore della cinematografia. Ma chi osserva il panorama che il cinema italiano ha dato di sé sulla stampa in questi ultimi mesi ha molte ragioni per ritenere che, a beffa dello Stato, produzione distribuzione ed esercizio lo considerano mezzo di corruzione triviale, di lenocinio pornografico e di sfruttamento di gonzi inibiti.
Vogliamo dare un’occhiata ai titoli? Le espressioni artistiche e le gentilezze socievoli si sprecano: Odio per odio; Assassination; Vita morte e vendetta; Facce per l’inferno; Uccidere per uccidere; Sangue chiama sangue; Crisantemi per un branco di carogne... Segue una vera escalation di ammazzamenti spicci e puliti: Un buco in fronte; Se sei vivo: spara; K.O.: va ed uccidi; Aspetta, bambola: prima sparo; Preparati la bara; Vado l’ammazzo e torno; Scavati la fossa: ora ripasso; Il marito è mio: l’ammazzo quando mi pare; La morte ha fatto l’uovo... Vero è che per le maggiori festività cristiane si ha un po’ di riguardo: «A Natale, su tutti gli schermi: Quella sporca dozzina» per Capodanno: «Anno nuovo... moglie nuova: Come cambiare moglie»; «Pasqua Titanus: Ammazzato la notte di nozze!»1; ma poi l’escalation riprende, e finisce in Dio (più alto di così!): Invoca Dio e muori; Chiedi perdono a Dio, non a me; Dio perdona, io no; Dio li crea: io li ammazzo; Prega il tuo Dio e... scavati la fossa...
Arte e cultura aumentano se passiamo dal «forte» al «morbido». Abbiamo: Erotika e Sette volte donna, Cui de sac (lasciamolo cosi: quanti sanno che significa Vicolo senza uscita?) e Il profumo del peccato, La cintura di castità; e Il sesso degli angeli, Un corpo da amare e Vergine per un bastardo, Gungala: la pantera nuda e I dolci vizi... della... casta Susanna (i puntini, per i tardoni, vengono chiosati cosi: «Piccanti, scollacciati, allegri... ma non insani»).
Ma i titoli sono acqua e sapone rispetto alla pubblicità cinematografica che in questi ultimi mesi ha invaso i giornali. Prendiamo il Corriere della Sera del 23 dicembre [bisogna approfittare: c’è la domenica 24, e Natale 25!): «Molte donne al suo posto farebbero la stessa cosa! Forse non così bene, o così spesso» (Riflessi in un occhio d’oro) e, per chi non avesse capito l’allusione: «Il film per la sua scabrosità sconcertante è rigorosamente vietato». «Sono giovani... fanno l’amore... e ammazzano. Violenza e sesso»: è la presentazione di Gangster story. «Il film perverso che credevamo di non vedere mai» (Bella di giorno). «Sade in convento. Morbose passioni tra furore mistico e delirio amoroso» (La religiosa).2
Ma anche altri quotidiani non scherzano. E sono, magari, quei giornali «seri» (Il Messaggero, Il Tempo...), che sollecitano la polizia contro quattro capelloni maleodoranti: perché i capelloni, si sa, non pagano, mentre la pubblicità paga, e bene! Per non essere, a nostra volta, incriminati di oscenità, passiamo sopra i flani propriameme detti, e ci fermiamo agli slogans che li accompagnano (chiedendo, tuttavia, venia ai lettori, ai quali, del resto, facciamo grazia del peggio). La Casa X «è lieta di presentare il primo sexy-western: Il mio corpo per un poker»; la Casa Y «annuncia il più eccitante e sensazionale sexy spettacolo di tutte le epoche». «Mai il cinema aveva osato tanto! Se una donna insidia il tuo uomo puoi difenderlo! Ma se è un uomo?... Solo ora si può affrontare un argomento così sconcertante! Questo è quello che vedrete nel nuovo audacissimo film: tutto su Oscar Wilde!». «Soltanto la cinematografia svedese poteva realizzare una vicenda così perversa e morbosamente sensuale» (Relazioni proibite). «Il primo film a suspense erotica». «Integrali i nudi e i riti sessuali». «Cominciò da sola... s’accorse che in due era meglio... ma in tre poi...». «Maliziosa in cucina... sconcertante in salotto, ma divina... in amore» (Ti ho sposato per allegria). «Sesso, seduzione, violenza, suspense sono meravigliosamente fusi... I più entusiastici nudi femminili mai apparsi sullo schermo». «La storia conturbante di una giovane donna attratta dal richiamo dei sensi e del sesso: il film è super-vietato ai minori».
Questo «super-vietato» segna il fortissimo nel crescendo col quale il divieto amministrativo viene adoperato dalla pubblicità in funzione di adescamento degli italiani, notoriamente inclini al frutto proibito. «Vietato» e «proibito» non basta: «Le più lunghe scene d’amore nel film più proibito del mondo». «Finalmente la cinematografia è diventata adulta: il nudo di donna non è più tabù. Il film più proibito, più sexy fino ad oggi prodotto»... Anzi il divieto diventa, volta a volta, «severo», «assoluto», «tassativo», «rigoroso»..., e qualche volta si spiega tanto rigore adducendone i motivi. Per The Viscount: «Il furto + incredibile. Gli spogliarelli + audaci. I gangster + feroci. Le violenze + crudeli. Onde consentire la proiezione al pubblico in versione integrale, si è reso necessario il divieto ai minori». Per Marianna: «Con la sexy bomb Lotte Tarp, il film più censurato in tutto il mondo. La violenza erotica è il simbolo del film. Severamente vietato ai minori di 18 anni». Per L’amore attraverso i secoli: «Audace! Erotico! Proibitissimo! Una piccante cavalcata amorosa nel tempo. Dalla meretrice dell’età della pietra alla “fanta-prostituta” dell’anno 2000. Sei attrici tra le più sexy del mondo! Sei modi diversi di sedurre un uomo! Raquel Welch, la star-sesso, vi svelerà i segreti del “mestiere " più vecchio del mondo!».
Ma, intervenga o non intervenga, incrimini o assolva, la censura fa sempre buon servizio. Leggiamo ed edifichiamoci: «Finalmente, per la prima volta la censura ha detto sì». «Il film (Guida per un uomo sposato) è stato sul filo del rasoio della censura americana per il suo audace contenuto: il mondo intimo del matrimonio». Per Gungala: «Il nudo integrale sullo sfondo affascinante della foresta...: Una ventata di libertà della censura consente di vedere il puro istinto selvaggio a contatto con l’erotismo bianco! Gungala: bella, nuda, vergine». Per la Calda preda: «Per la prima volta la magistratura italiana ha assolto, senza apportarvi alcun taglio, un film incriminato di oscenità e ne ha ordinato il dissequestro. Nessun fotogramma è stato tolto». Per finire, così è stato lanciato Una voglia da morire: «Una storia di femmine d’azzardo, di donne insoddisfatte, di uomini messi all’asta. Un caso senza precedenti: resa finalmente giustizia ad un capolavoro: la procura della Repubblica di Torino ha ordinato il sequestro; il tribunale di Lucca ne ha ordinato – unico caso nella storia del cinema! – la confisca. La corte di appello di Firenze lo ha assolto con la seguente motivazione: “In quanto gli elementi ritenuti osceni hanno una ben precisa ragione d’essere nel contesto globale dell’opera, indubbiamente di notevole rilievo artistico”. Riprenderanno quindi, in edizione assolutamente integrale, le programmazioni...».
Ci si domanda quale debba essere l’immagine che dello spettatore italiano medio si fanno i produttori ed i distributori che lanciano la loro mercanzia con siffatti slogans. Forse quella di un cinocefalo, pletorico e greve, dal pelo lungo ed ispido, fronte bassa, naso camuso, froge dilatate, bava alla bocca...: non certo quella dell’homo sapiens, o di un modesto homo ludens!
Si dirà: molti film non offrono altri spunti! – Purtroppo è vero. Ma s’è dato il caso del film cecosìovacco Il quinto cavaliere è la paura, che, nell’originale, spunti di quel genere non ne offriva davvero. Che ti fa il produttore italiano? Vi aggiunge scene di nudi e di postribolo – prassi corrente a molta produzione italiana per i film da inviare nei paesi sottosviluppati –, ed il lancio è assicurato come: «Un eccezionale film, che nella verità delle immagini travolge con il suo realismo ogni precedente spettacolo finora consentito dalla censura. La più lunga e conturbante scena di nudo mai apparsa sullo schermo!» E si dà il caso di film ebbe tali spunti, o li offrivano in maniera e misura poco o nulla rilevante, oppure fusi con materia culturalmente, socialmente ed eticamente di ben altra natura. Ma la pubblicità è tutta e solo lì che batte, in questi casi aggravando il lenocinio con la truffa. Prendiamo L’uomo del banco dei pegni, offerto e venduto come pornografico, quando l’unica (inutile) inquadratura del film è diventata pornografica soltanto nei flani che l’hanno diffusa nei giornali. Prendiamo La Cina è vicina (di Bellocchio), Lo straniero (di Camus-Visconti), Edipo Re (di Sofocle-Pasolini)...: per quanto discutibili, meritavano proprio questa offerta da sottobanco? Per il primo: «Politica e sesso alla sbarra in un film audace e corrosivo»; per il secondo: «È lecito condannare a morte un uomo perché ha fatto l’amore il giorno in cui è morta la madre?»; per il terzo: «Solo Pasolini poteva trasformare in sublime spettacolo: Il complesso di Edipo... La tragedia dell’incesto... La violenza più bestiale. Per la scabrosità del soggetto, i nudi, l’audacia delle scene, il film è severamente vietato ai minori di 18 anni».
Ma non terminano qui gli exploits della pubblicità cinematografica: all’occasione, è pronta a passare dal lenocinio e dalla truffa, quasi quasi, all’istigazione a delinquere. Leggiamo i giornali. Nel tardo pomeriggio di domenica 3 dicembre, nella toilette del cinema «Alexandra» di Torino, l’immigrato Michele Ruscillo, 22 anni, assassinava la fidanzata Carmela Calitri, 19 anni. Nel locale si proiettava il giallo L’artiglio blu, della Romana Film. Tra gli altri giornali, il Corriere d’informazione avanzava l’ipotesi che l’assassino avesse potuto essere suggestionato anche dalle «scene cruente del film». Ebbene, tre giorni dopo, la programmazione del film nel «Rivoli» di Milano veniva annunciata nel Corriere della Sera (6 dic.) con un flano, nel quale, «con impudenza difficilmente catalogabile»3, si chiedeva: «Può questo film aver provocato la tragedia di Torino?».
Le cose hanno raggiunto e superato tali estremi da causare anche due interrogazioni alla Camera4 e numerose denunce nella stampa5. Lo stesso Giornale dello spettacolo – che, in verità, non sempre è stato del tutto immune dal contagio, ma che, almeno, ha avuto il coraggio di rifiutare inserzioni da mondezzaio, o di chiederne la modifica – in due numeri consecutivi (1967, nn. 41-42) ha dovuto denunciare lo sconcio. Incredibile, se non fosse vera, la risposta apparsa sullo stesso Giornale (n. 44), del produttore Fortunato Misiano, della «Romana Film»:
«Poiché per evidenti ragioni tali scritti mi riguardano molto da vicino, vorrei puntualizzare... una questione di principio... Chi deve lanciare un film, si serve del sesso per richiamare spettatori nelle sale che vanno facendosi deserte in maniera sempre più preoccupante. L’Europa ha perduto, negli ultimi anni, un miliardo di spettatori, e la tendenza non accenna ad invertirsi. Domandiamoci una cosa: se il pubblico ubbidisce soltanto a certi richiami, a certe sollecitazioni, la colpa è di chi usa di questi mezzi, o di chi... non è intervenuto per educare il gusto del pubblico stesso?»
Meriterebbe di essere riportata integralmente la risposta di Fabio De Luca sullo stesso Giornale, ma straJciamo:
«... è proprio difficile seguire il simpatico commendator Misiano nel bel salto logico: siccome non c’è stato chi ha educato il pubblico, si può profittare per sedurlo con immagini e frasi volgari, se non oscene, si può accrescerne la diseducazione.
«Affiora qui una concezione primordiale, secondo cui sono sempre gli altri che debbono fare... Ciascuno di noi, faccia il produttore di film o il tranviere, non è forse partecipe e corresponsabile del grado di civiltà della comunità in cui viviamo? E, assai più responsabile di chi manovra un tram, non è forse chi manovra i mezzi di comunicazione sociale – stampa, radio, cinema, televisione – la cui influenza è certamente rilevante?
«Ma il pubblico – dice Misiano – obbedisce soltanto a certi richiami, a certe sollecitazioni. L’asserzione è tutta da dimostrare. Certo, per una donna il modo più semplice di far quattrini è battere il marciapiede: ciò non significa che questo sia l’unico modo. E, nel nostro discorso, la donna è certa pubblicità cinematografica, che, talvolta, batte anch’essa le strade più facili... Se non ci s’impegna oggi nella ricerca di tecniche pubblicitarie idonee e rispettose del pubblico..., domani che non si ritenessero sufficienti frasi e immagini vellicatorie, cosa dovrebbero fare i cinema in base al principio enunciato da Misiano: distribuire marijuana e approntare separé?»
Nel numero seguente lo stesso Giornale (n. 45) si trovò costretto a tornare sull’argomento. C’era stato tirato per i capelli da un grossolano inserto, nel quale la «Titanus» lanciava i film Violenza per una monaca e Il sesso degli angeli con illustrazioni adeguate a queste idiozie: «Aveva immolato il suo corpo alla Fede. Un negro violò quel corpo e il miracolo della procreazione si compì. Come reagirà la nostra ipocrita società?» – «Vollero dimostrare a se stessi e agli altri che è possibile oltrepassare i limiti imposti dalla natura». – In un fondino, «Lo chiediamo ai lettori», il direttore responsabile credé necessario confessare che «frasi ed immagini non incontravano la sua approvazione», e «chiamare direttamente in causa i lettori – in particolare, gli esercenti, cui questi annunci sono espressamente destinati – perché giudichino con i propri occhi e secondo le proprie idee... Anche perché il discorso possa allargarsi ed incidere in profondità e provocare azioni e reazioni».
A giudicare dalle poche decine di risposte pervenute al Giornale (nn. 46-49), le reazioni furono ottime, ma scarse. Pare, tuttavia, che –interpellanze alla Camera e campagna di stampa aiutando – qualcosa si vada movendo. L’organo dell’ANICA Cinema d’oggi (19 febbraio, n. 8) sotto il titolo: Responsabilità: autocontrollo dei distributori sul materiale pubblicitario, pubblicava questo comunicato:
«Il Consiglio direttivo dell’Unione Nazionale Distributori film, prese in esame le reazioni mosse da più parti, anche attraverso interrogazioni e interpellanze parlamentari, al lancio pubblicitario di alcuni film:
- costatato che, di recente, sono state adottate da singoli noleggiatori ed esercenti cinema, per alcuni film, forme di pubblicità che, o per immagini o per le frasi di ]andamento, risultano dannose al buon nome della categoria ed in contrasto con gli interessi generali dell’industria cinematografica;
- costatato che dette forme, oltre al pericolo di denunzie penali, possono provocare reazioni degli stessi giornali e delle stesse società pubblicitarie, che verrebbero così a sostituirsi alle nostre aziende ed alla nostra categoria nell’esercizio di un necessario autocontrollo;
- rilevato che dette forme creano difficoltà al normale svolgimento del lavoro degli organi ministeriali di censura e pregiudicano l’auspicata sostituzione della revisione amministrativa del film con sistemi di autocensura;
- decide di riprendere in esame il ripristino del “Marchio ANICA” per i film prodotti e distribuiti dalle aziende associate, invitando frattanto le aziende stesse ad esercitare, con la collaborazione degli esercenti, un più attento controllo sulla pubblicità dei film di prossima edizione, in particolare per quella murale e giornalistica».
Siamo ottimisti e speriamo bene6: se son rose fioriranno. Qualora, invece, le cose continuassero a rotolare per la china che hanno preso, produttori, distributori ed esercenti non dovranno lamentarsi se non li appoggeremo nelle loro rivendicazioni. In dieci anni il cinema italiano ha perduto 200 milioni di spettatori ed ha chiuso qualcosa come 3.000 locali? E, ciononostante, lo Stato insiste nei suoi pesanti prelievi? Lungi dal rammaricarsene, la gente pulita replicherà: «Ne perda e ne chiuda altrettanti, ed anche il doppio, in un solo anno!»; e magari darà una mano alla smobilitazione del cinema rivolgendosi – tutto dire! – alla televisione, e si augurerà che la pressione fiscale aumenti. Allora molti pubblicitari dovranno recitare il mea culpa, perché – questo è certo – hanno fatto tutto il possibile per riuscirci.
1 In Cinema italiano (1967, n. 2), dell’Ente Autonomo Gestione Cinema, si legge: «Il film di Natale è Giorni dell’ira» Nello stesso periodico l’annuncio: «Esercenti, prenotatevi!!! Sta per iniziare la programmazione del supergiallo sexy: Omicidio per vocazione».
2 «La crociata contro l’osceno», in Quattrosoldi, febbr. 1968.
3 Questi termini sono nel Giornale dello Spettacolo del 9 dic. 1967, dove il presidente dell’AGIS, I. Gemini, invitava le associazioni di categoria direttamente interessate (produttori, distributori, esercenti) «ad impedire il ripetersi di così indegne manifestazioni di squallido mercantilismo» dopo aver rilevato che «una così ignobile e vergognosa speculazione pubblicitaria squalifica tutto il cinema».
Nello stesso giornale (6 genn.) Guido Guarda commentava, sotto il titolo Delitti morali: «Permettere nei films jmmagini piccanti audaci, “conturbanti” e via dicendo, spesso in proporzioni superiori alla realtà, è manifestazione di cattivo gusto, e, sul piano squisitamente commerciale, di autolesionismo. L’annuncio di cui sopra denuncia invece una fantasia morbosa, un grado di insensibilità che supera il limite concesso a chiunque appartenga ad una collettività che si autodefinisce “civile”. Il richiamo del sesso è, lasciatemelo dire, umano: suggestionare lo spettatore con la curiosità di “verificare” se il film possa provocare il raptus, che indusse Michele a uccidere Carmela a coltellate, è diabolico».
4 Nella prima (ottobre 1967), gli onn. Migliori, Canestrari e Longoni chiedevano di «conoscere se e con quali provvedimenti il governo intenda fronteggiare il fenomeno della manifesta impotenza delle commissioni di censura cinematografica, e della beffa pressoché quotidiana cui sono pertanto esposte per legge: la dignità dello Stato e dei suoi organi...». In particolare «segnalano come l’essere divenuti oggetto di dispute presso le commissioni di censura costituisca ormai per le pellicole titolo di pregio e saporoso apporto pubblicitario, mentre la stampa quotidiana... trasforma la prescritta avvertenza che il film è “vietato ai minori " in irridente mezzo di lenocinio».
Nella seconda (29 genn. 1968) gli onn. Greggi, Sgarlata, Sorgi, Tozzi Condivi, Turnaturi, Gasco, Ghio, Calvetti «segnalavano... la pubblicità cinematografica che il giorno venerdl 26 gennaio riempiva la pagina 12 di uno dei più noti diffusi e seri quotidiani italiani, consistente esclusivamente nelle seguenti foto e frasi» (omissis)...; e chiedevano «un parere del governo circa il carattere (senza offesa per i paesi ex coloniali) veramente “coloniale” di tutta la pubblicità cinematografica italiana».
5 Cfr G. ARISTARCO (La Stampa, 12 genn. 1968); S.G. BIAMONTE (La fortuna italiana, dic. 1967; La Nuova Tribuna, genn. 1968); F. CALLARI (Concretezza, 16 nov. 1967); P. CURATOLA (Fatti, 9 febbr. 1968); F. DE LUCA (Giornale dello Spettacolo, 1967, nn. 41 e 42); A. FERRARI (Selecart, dic. 1967); M. LUPINACCI (La Nuova Tribuna, genn. 1968); A. MACCHIAVELLO (Quattrosoldi, febbr. 1968); G.B. MIGLIORI (La Discussione, 18 nov. 1967); L. PESTELLI (Stampa Sera, 14-15 febbr. 1967); P. VALMARANA (Il Popolo, 16 ott. e 18 nov. 1967; La Discussione, 30 dic. 1967); L. VOLPICELLI (Il Globo, 7 febbr. 1967).
6 A cominciare dallo stesso organo dell’ANICA, che, specialmente nei primi numeri, non può proporsi davvero a modello. Vi si trova, tra l’altro, senza osservazioni di sorta, il volgare inserto che ha occasionato la tempestiva ed utile inchiesta del Giornale dello Spettacolo. Intanto, il lettore che lo possa, si edifichi scorrendo Film TV Spettacolo, organo degli esercenti (1968, n. 27). A p. 3 pubblica, sì, il Comunicato dell“ANICA, ma a p. 1 lancia il film Il mio sangue brucia con due flani (se possibile) anche più «carichi» della seguente presentazione: «Storia piena di suspence e di violenza, che ,trova la sua conclusione in una erotica follia omicida. Un film dominato dal sesso, dalla violenza, dalla follia e dalla paura. Phobos, che in greco significa paura, vi svelerà il mistero di un’anima persa in preda agli incubi della sua follia erotica!!!».