NOTE
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1 Atti del I Convegno nazionale dei delegati regionali e diocesani dell’A.C.E.C. Roma, ediz. dell’Ateneo, 1960, in-8°, pp. 84. L. 350. Di esso useremo largamente nell’articolo, citandolo soltanto nei casi più rilevanti con: Atti-ACEC. - Lo stesso faremo con altre fonti che trattano ex professo dell’argomento, quali l’articolo Esercizio cinematografico forza dei cattolici, in Rivista del cinematografo, 1951, nn. 6/7, pp. 21-23; Atti del primo corso nazionale per il clero sui problemi morali dello spettacolo, Badia Fiesolana 1953 (che citeremo con: Atti... clero); Le sale cinematografiche cattoliche: Documenti, Roma s.d. (che citeremo con Le sale...); Relazione del Presidente al Consiglio direttivo, Bologna 1957, e finalmente il numero speciale della Rivista del cinematografo, pubblicato in occasione del decennio, come supplemento ai nn. 9/10 del 1959.

2 Cfr Cinema “nostro” in Italia, in Civ. Catt. 1956, III, 30-42. – Più correttamente bisognerebbe dirli «cinema dipendenti dall’autorità ecclesiastica», dizione adoperata nei documenti ecclesiastici, i quali però qualche volta li dicono anche «cattolici». In Italia vengono detti «parrocchiali», con significato giuridico, ai fini dei rapporti con le autorità governative. Per la più parte, in realtà, sono nelle parrocchie, ma poi anche in oratòri, istituti di educazione, A.C.I., A.C.L.I., cd altre organizzazioni religiose.

3 Atti... clero, p. 8.

4 Oltre alla Lettera enciclica «Divini Illius Magistri» e alla Lettera enciclica «Casti connubii», Cfr i seguenti documenti:
Discorso ai parroci e quaresimalisti di Roma (16 febbraio 1931)
Discorso sui compiti del cinema educativo (18 marzo 1933)
Discorso ai membri dell’OCIC (23 aprile 1934)
Lettera al can. Abel Brohée, presidente OCIC (27 aprile 1934)
Discorso ai rappresentanti della FIPRESCI (11 agosto 1934)
Discorso ai delegati della FIPRESCI (21 aprile 1936)

5 In Revue internationale du cinéma éducateur, gennaio 1930, riportato in Documentation Catholique 33 (1955), col. 1453. – Ivi, 32 (1934), col. 833 in nota; 33 (1935), col. 1368.

6 Il C.U.C.E. era stato di poco preceduto dal francese Comité Catholique du Cinéma e dalla belga Centrale Catholique du Film - Un frutto ancora vivo della sua ormai remota attività la Rivista del cinematografo, nata nel 1928 dallo sdoppiamento della cessata Rivista del teatro e del cinematografo, oggi la più antica rivista cinematografica d’Italia (e forse di Europa).

7 La rivista già pubblicava le segnalazioni cinematografiche, iniziate fin dal 1909 per iniziativa di mons. Merisi e di don Aurienti (Atti... clero, cit., p. 23).

8 L. FREDDI, Il cinema, vol. II, Roma 1949, p. 341. – Nelle trattative per comporre il conflitto tra la Santa Sede ed il regime fascista, seguito alla chiusura dei circoli cattolici, disposta il 30 maggio 1931, Mussolini il 21 agosto dello stesso anno, tra le altre proposizioni destinate a precisare la portata pratica, in Italia, dell’art. 43 del Concordato, incluse le due seguenti: «3 – I Circoli Giovanili Cattolici... non avranno annessi stadi, teatri, palestre, cinema, ricreatori. 4 – Tutta la parte extrareligiosa dell’educazione giovanile sarà affidata alle organizzazioni giovanili del Regime». Ma nell’Accordo seguito il 2 settembre le proposte si stemperarono nella formola: «3 – I Circoli Giovanili... si asterranno dallo svolgimento di qualsiasi attività di tipo atletico e sportivo, limitandosi soltanto a trattenimenti d’indole ricreativa ed educativa con finalità religiosa» (cfr A. MARTINI, Gli accordi per l’Azione Cattolica del 2 settembre 1931, in Civ. Catt. 1960, I, 587 e 590).

9 Quindi la necessità di saperli leggere per poter oggettivamente giudicare della reale incidenza del circuito delle sale parrocchiali sul mercato cinematografico nazionale, di cui cfr il brano di A. Ciampi da noi riportato più avanti.

10 E praticamente tutto l’Ente dello Spettacolo, – «organo tecnico specializzato dell’A.C.I. per tutto ciò che ha riferimento con le arti dello spettacolo e con l’apostolato negli ambienti ad esso pertinenti», – e i suoi dirigenti, che avremo occasione di ricordare e di ringraziare.

11 Per il testo, cfr Le sale... , cit., pp. 93-96: vi si dà il testo «riveduto», del 2 luglio 1952, seguito dal Regolamento del 3/18 novembre 1952.

12 Essa, infatti, verrà riportata per gran parte quasi ad verbum nell’Istruzione sull’apostolato del cinema della S. Congregazione dei Religiosi, dell’11 maggio 1953, e nella Lettera all’Episcopato italiano della Pontificia Commissione per la Cinematografia, del 1 giugno dello stesso anno. – Per il testo cfr Le sale... , cit., 27-30, ed anche Le cinéma dans l’enseignement de l’Église, 1955, pp. 388-391.

13 Le cinéma dans..., cit., p. 390.

14 Cfr i diversi testi in Le sale..., cit., pp. 31-57.

15 Fu fissato il rapporto limite di un posto cinema per ogni 12/20 abitanti per i cinema a carattere industriale, e di un posto cinema per ogni 20/30 abitanti per quelli a carattere parrocchiale (Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, 14 aprile 1950, in Le sale..., cit., p. 58).

16 Mons. DALLA ZUANNA, in Atti-ACEC, pp. 29-30; per i testi dei documenti, cfr Le sale..., cit., pp. 58 ss.

17 Ivi, pp. 30-31; per il testo delle due convenzioni, ivi, pp. 68 ss.

18 Per la portata delle due convenzioni dr A. CIAMPI, Funzione sociale, in Rivista del Cinematografo, 1959, cit., pp. 18 ss., ed anche in Atti-ACEC, cit., 68 ss., e per la critica di essi: Esercizio cinematografico, sforzo dei cattolici, cit., in Riv. del Cin., 1951, nn. 6-7, p. 22. – Con un’ulteriore recente Convenzione la S.I.A.E. si è assunta anche l’onere della riscossione di un contributo associativo A.C.E.C., aggiunto a quello già riscosso per l’A.G.I.S. da tutte le sale ecclesiastiche.

19 Oggi, per le sale cattoliche, dove è possibile, i film vengono ulteriormente selezionati da apposite commissioni regionali di revisione tra quelli classificati fino a «per adulti» dall’ufficio nazionale.

20 Questi strumenti tecnici saranno estesi, per quanto sarà possibile, a tutte le regioni d’Italia, in modo che ne possano beneficiare tutte le diocesi. La struttura dei S.A.S. l., infatti, normalmente a base regionale e solo eccezionalmente – ad esempio in Lombardia e nel Veneto – a base diocesana o interdiocesana.

21 Cfr per il testo L’opera e l’insegnamento di don Giuseppe Gaffuri, Milano 1959, p. 46 ss. – Nei documenti della Santa Sede se ne fa parola una volta: Civ. Catt., n. 247. – Preludono ad alcune prestazioni del S.A.S. molte disposizioni date in passato da ecc.mi Ordinari italiani. Così, per il patriarcato di Venezia, il 3 marzo 1931, e per l’archidiocesi di Milano, nel I 933, si prescrive a tutti i cinema ecclesiastici di trattare i programmi soltanto tramite l’Ufficio del C.C.E. (Consorzio Cinema Educativo) «organo dell’Azione Cattolica per questa speciale attività» (Riv. del Cin., 1935, p. 142; 1933, p. 227; 1934, p. 197); la stessa disposizione seguì, il 10 gennaio 1934, per l’archidiocesi di Chieti (ivi, p. 42), nel marzo e nell’aprile 1935 per le diocesi di Verona e di Bergamo (ivi, 1935, pp. 108, 109), ed il 22 sett. 1937 per l’archidiocesi di Torino (ivi, 1937, p. 230).

22 Inoltre, dodici Conferenze episcopali hanno espressamente delegato un loro membro a seguire specificamente i problemi dello spettacolo, mentre in ogni regione conciliare si può fare riferimento per tali problemi ad un ecc.mo vescovo.

23 Cfr il testo in Rivista del Cinematografo. cit., 1959, pp. 3-5.

24 Tra essi ricordiamo i pionieri don Canziani ed avv. Milani; mons. Albino Galletto, il prof. Luigi Gedda, l’ing. Ugo Sciascia e l’arch. Ildo Avetta, promotori dell’atto costitutivo dell’Associazione, quali dirigenti dell’Ente dello Spettacolo; mons. Francesco Dalla Zuanna, da otto anni suo presidente, con alcuni dei suoi più immediati collaboratori, sia sacerdoti, come il compianto don Gaffuri, sia laici, come (l’ora) don Angelicchio, L.F. Ammannati, già direttore della Mostra veneziana ed ora presidente del Centro Sperimentale di Cinematografia, Silvano Battisti, ed il caro ammiraglio Ginocchietti, da poco scomparso; né sarebbe generoso dimenticare i nomi di alcune personalità politiche o industriali-economiche, che, convinte dei compiti altamente spirituali dell’esercizio cattolico, secondo le rispettive competenze hanno benemeritato del suo sviluppo e consolidamento, quali i sottosegretari allo Spettacolo, on. Andreotti e Brusasca, i signori I. Gemini, V. Barattolo ed E. Monaco, rispettivamente presidenti dell’A.G.I.S., dell’A.N.E.C. e dell’A.N.I.C.A., A. Ciampi, direttore della S.I.A.E....

25 Atti-ACEC, cit., pp. 69-70.

26 Rivista del Cinematografo, cit., 1959, pp. 20-21.

27 Mons. Fr. DALLA. ZUANNA, A.C.E.C.: anno dieci, ivi, p. 11.

28 «Non si può pretendere che i laici, mossi da interessi diversi, facciano del cinema uno strumento di azione pastorale, e quindi non può fare meraviglia se le sale cattoliche da loro gestite funzionano in modo che non si confà certamente alla fisonomia e agli scopi per cui le nostre sale sono sorte. La colpa, o almeno la responsabilità è nostra, perché un sacerdote o un religioso, al quale l’autorità ecclesiastica, ancor prima di quella civile, ha concesso di aprire una sala cinematografica, ha il dovere di non venir meno ai presupposti su cui si fonda tale concessione. Non basta esser tranquilli che i film proiettati siano quelli ammessi: vi un è modo di conduzione della sala che deve essere coerente con i principi che ispirano l’attività dell’esercizio cattolico: ci sono superiori considerazioni delle finalità dell’Associazione nel complesso... che non possono essere ignorate. Un laico può essere indifferente a tutto ciò; il sacerdote no» (Lo stesso, in Atti-ACEC, cit., pp. 40-41). - «Ecco perché non è possibile affidare la sala parrocchiale a un laico, nemmeno col semplice incarico di programmazione. La responsabilità di una sala parrocchiale una responsabilità che si assolve con una presenza effettiva, e non con una presenza delegata» (Fr. CERIOTTI, ivi, p. 56).

29 «Lo stile della sala parrocchiale deve essere improntato anche a rispetto per il cinema. Il modo con cui avvengono certe proiezioni sono una profanazione del cinema. Come pure profanazione sono certi prodotti che fanno dubitare della completezza umana di produttori e registi, o suppongono privi di capacità di intendere e di volere gli spettatori. Nell’uno e nell’altro caso, comunque, offensivi. Purtroppo tale prodotto ha larga ospitalità nelle nostre sale, favorito dal fatto che apparentemente si mantiene su un piano moralmente innocuo, ma solo apparentemente. Deve sfatarsi la diceria che alle sale parrocchiali si possono dare le cose più sceme che la cinematografia produce, avallando in certo modo tale indirizzo di produzione. Abbiamo finalità altissime da perseguire, che nessuno ha» (ivi, p. 56).

30 «Nell’ambito della qualificazione del nostro esercizio, dovremo poi riservare particolari cure alla diffusione degli spettacoli per ragazzi, così vivamente raccomandata anche nell’enciclica Miranda prorsus (cfr n. 92). Dico subito che non possiamo accettare una tesi non disinteressata, secondo la quale le sale parrocchiali dovrebbero limitarsi ad effettuare soltanto spettacoli per ragazzi. Quando parliamo delle nostre finalità morali ed educative, entriamo in un campo che ovviamente non può e non deve riguardare solo i ragazzi. Studieremo ogni possibile attuazione perché essi trovino nelle nostre sale uno spettacolo confacente alla loro età e alla loro mentalità; ma abbiamo dei doveri anche verso il pubblico degli adulti, ai quali intendiamo offrire attraverso il cinema, mediante dibattiti e altre forme che sono allo studio, una possibilità di approfondimento dei temi, di chiarificazione e di scambio di idee» (mons. DALLA ZUANNA, ivi, p. 38).

31 Cfr card. G. SIRI, Il sacerdote militante nel settore del cinema, in Rivista del Cinematografo, cit., 1959, p. 13 ss.; Significato di un decennio e di una presenza, in Atti-ACEC, cit., p. 27 ss.; Fr. CERIOTTI, Qualificazione della sala cattolica, ivi, 49 ss.; ed anche il nostro: Impegno di qualificazione, in Rivista del Cinematografo, cit., 1959, pp. 26-38, dove ci siamo ingegnati di chiarire il pensiero e le direttive della gerarchia, collazionandone i numerosi documenti dottrinali e disciplinari. – A ribadire ulteriormente il carattere inconfondibilmente ecclesiastico di tali sale sono venute le Norme amministrative per le sale cinematografiche dipendenti dall’autorità ecclesiastica, comunicate dalla S. Congregazione del Concilio, il 17 febbraio 1960, a S.E. il card. G. Siri, quale presidente della Commissione Episcopale Italiana:

  1. Le sale cinematografiche aperte al pubblico, dipendenti dall’autorità ecclesiastica, hanno come precipuo scopo di contribuire all’educazione dei fedeli.
  2. Gli eventuali proventi delle sale cinematografiche sono destinati esclusivamente a sostenere opere di ministero pastorale.
  3. La persona responsabile della sala presenta ogni anno, all’Ordinario del luogo, una relazione scritta sulle attività svolte nella sala stessa.
  4. Il rendiconto, che a norma del can. 1525 viene presentato ogni anno all’Ordinario del luogo sulla amministrazione dei beni ecclesiastici, deve comprendere, con particolare voce, il bilancio delle entrate e delle uscite della sala cinematografica.

32 Cfr Per una iniziazione cinematografica del pubblico, Civ. Catt. 1959, III, 17 ss.

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Articolo estratto dal volume II del 1960 pubblicato su Google Libri.

Il testo è stato corretto dai refusi di stampa e formattato in modo uniforme con gli altri documenti dell’archivio.

I riferimenti ai documenti del magistero pontificio sono stati resi interattivi e portano al sito del progetto “Chiesa e Comunicazione”, la biblioteca digitale online che prosegue l’attività iniziata da p. Baragli con le opere Cinema cattolico: documenti della Santa Sede sul cinema e Comunicazione Comunione e Chiesa.

ARTICOLO SU

La tempestiva pubblicazione degli Atti1 del convegno celebrativo del decennio dell’Associazione Cattolica Esercenti Cinema (A.C.E.C.) ci porge il destro di tornare sull’argomento dei cinema ecclesiastici in Italia2; non certo con lo scopo di rivolgere (superflue) lodi commemorative ai benemeriti autori ed agenti di questa attività apostolica, bensì con quello di darne notizia ai molti che la ignorano del tutto o ne hanno una conoscenza vaga. E lo faremo usando del decennio 1949-1959 come di un punto di riferimento per misurare il non poco lavoro compiuto dai cattolici italiani nel campo cinematografico avanti che l’A.C.E.C. si costituisse, poi il molto già attuato dall’Associazione nel decennio e, finalmente, il più che ci auguriamo che essa attui nel prossimo avvenire.

Dall’assenza alla presenza disorganica

Piacerebbe molto poter contraddire quanti lamentano la mancata presenza dei cattolici nel cinema durante la sua precoce infanzia e la sua turbolenta adolescenza; ma, purtroppo, «sta il fatto – poteva rilevare anche di recente, senza tema di smentita, mons. A. Galletto, insieme individuando cause ed effetti, – che non fu (dai cattolici) sufficientemente rilevata l’importanza del sorgente cinema, il quale si fece adolescente e poi adulto senza il nostro concorso, anzi talora con la nostra opposizione. Non si capì che il cinema... non è soltanto distrazione e divertimento, ma portatore di idee, orientatore della pubblica opinione e, comunque, una forza in sé positiva. Ci si limitò, nei migliori dei casi, ad interventi tattici: degni senz’altro di encomio, ma insufficienti; mancò un apporto di pensiero cristiano, che pure in altri settori esercitò un’innegabile influenza ... questi due dati di fatto: il pensiero laico che determina una mentalità laica e la mancata presenza dei cattolici spiegano l’orientamento del cinema»2.

Le cose cambiarono negli anni immediatamente successivi al 1930, quando il sonoro soppiantò il cinema muto. Allora, l’enorme incremento di presenze segnato dalle sale cinematografiche, la resa delle classi colte, che non ebbero più motivo di disdegnare, come avevano fatto, il cinema quale divertimento di iloti, ma cominciarono ad accorrervi come ad un prolungamento del teatro, e soprattutto l’accresciuta presa psicologica del linguaggio cinematografico sugli spettatori, inerente alla suggestività della musica ed alla ineguagliabile comunicatività della parola parlata, resero evidente a quanti avessero occhi per vedere ed orecchi per sentire, e fossero interessati alle opinioni ed al costume pubblici, che urgeva interessarsi ad esso.

Appunto in quegli anni i documenti ufficiali della Santa Sede cominciarono a trattare del cinema – encicliche Divini Illius Magistri, del 1929, e Casti connubii, del 1930; cinque discorsi di Pio XI e una lettera della Segreteria di Stato –, con ritmo sempre più accelerato e tono sempre più alto, preludendo alla Vigilanti cura, del 1936, prima enciclica tutta consacrata a questo argomento4; ed i cattolici, anche per effetto di quelli, resisi consapevoli del loro dannoso assenteismo, cominciarono a rilevarlo onestamente, chi per incolparsi dell’irreligiosità ed immoralità correnti nei film, chi per spronarsi a riprendere il tempo perduto.

Tra gli altri, per la Germania, il padre Fr. Muckermann scriveva nel 1930 sulla Katholische Film-korrespondenz: «Nessuno ignora che, rispetto al cinema, da parte nostra difettò, specialmente agli inizi, un senso di responsabilità proporzionato alle sue possibilità artistiche e morali, come pure che questo peccato originale del cinema pesò dannosamente su di esso per decenni»; per la Francia, nel 1931, Pierre l’Hermite riprendeva: «Noi cattolici siamo restati inerti avanti al cinema; l’abbiamo disprezzato perché il pubblico ne abusava; l’abbiamo giudicato un malfattore quando invece era soltanto un artigiano dispostissimo a fornire opere vere, buone, belle, ed anche sante, purché si facesse credito alle sue possibilità illimitate»; e, nel 1933, dal Belgio il canonico A. Brohée, confondatore e primo direttore dell’O.C.I.C., rincalzava: «Noi abbiamo tardato troppo ad occuparci di questa forza immensa che oggi opera nel mondo trasformandolo... Ma questa colpa originale, lungi da servirci dì pretesto per disertare un apostolato che ha tante possibilità d’irraggiare il Vangelo, deve imperiosamente spingerci ad intervenire con rapidità ed efficacia. Ed è evidente che non si può tardare un minuto dì più! Nessuno si fa illusioni circa le difficoltà che occorrerà affrontare e superare: non senza conseguenze per trent’anni abbiamo assistito inattivi allo svilupparsi del cinema!»5.

Tuttavia, non bisogna esagerare. Se siffatta assenza si verificò pressoché totale nel settore della produzione, non si può dire altrettanto rispetto a quello dell’esercizio, specie in Italia. Fin dal 1904-1909, infatti, degni sacerdoti, quali il canonico Musso, don Aurenti, ed i monsignori Pantalini, Merisi, Vigna, Pavanelli e Cerotti, a Torino, Milano e Venezia si occuparono di cinema, organizzando i primi servizi di segnalazioni morali dei film e, quasi contemporaneamente, aprendo sale di spettacolo cattoliche. Le prime dì cui si ha notizia pare che risalgano al 1907, nientedimeno che all’epoca dei Nikelodeons americani! Nel primo dopoguerra, oltre che moltiplicarsi numericamente, segnarono i primi esperimenti di organizzazione nella distribuzione e nell’esercizio; ricordiamo la Moretto, di Brescia, poi assorbita dalla Pittaluga, e, per gli anni seguenti il 1926, il C.U.C.E. (Consorzio Utenti Cinematografi Educativi), sorto a Milano6 dalla Rivista di Letture, di don Casati7, e rapidamente consolidatosi, specie per merito di mons. Barbavara, di don Canziani e dell’avv. Mario Milani, tanto da riuscire a consorziare fino ad un migliaio di sale.

Il regime fascista, che, col ritardo di un decennio sulla marcia su Roma, cominciò ad interessarsi seriamente anche del cinema, sul più bello venne a ridurre tanto rigoglio di espansione; mentre, infatti, non ostacolò le sale industriali, e creò ed aiutò con tutti i mezzi da esso monopolizzati quelle dell’O.N.D. e della G.I.L., riguardò le sale cattoliche come pericolosi focolai d’infezione, e perciò ne limitò la portata educativa e lo sviluppo economico, imponendo – pena la revoca del nulla-osta di esercizio –, la programmazione di determinati film ideologicamente ortodossi e limitandone l’accesso esclusivamente agli ascritti di azione cattolica. Ciononostante, alla caduta del regime, esse erano ancora 588, contro le 800 dell’O.N.D. e della G.I.L. e le 2664 a carattere industriale, totalizzando un settimo delle 4141 sale attive in tutta la Penisola8.

Il secondo dopoguerra doveva vederne una rapida e più rigogliosa ripresa. Da 450 che erano alla fine delle ostilità, quando dalla Presidenza dell’A.C.I. vennero affidate alla tutela dell’Ufficio Sale Ricreative dell’I.C.A.S. (Istituto Cattolico Attività Sociale), nel novembre del 1948 – secondo il censimento fattone dal nuovo Ente dello Spettacolo, che nel 1947 aveva assorbito l’Ufficio Sale Ricreative –, esse risultarono circa 700; e raggiunsero le 1500 circa sulla fine del 1949, totalizzando ormai un terzo delle sale cinematografiche funzionanti in Italia.

Certo, la portata di questi numeri, come di quelli che riferiremo più avanti relativi alla situazione più recente9, va stimata con una certa prudenza, considerando cioè che, per capienza, efficienza tecnica ed agibilità, la media dei cinema ecclesiastici era notevolmente inferiore a quella dei cinema industriali. Tuttavia è indubbio che essi rappresentavano un esito brillantissimo, speranza di frutti culturali ed apostolici incalcolabili; purtroppo, però, in realtà, questi furono ben lungi dal corrispondere a sì rilevante potenziale numerico, perché la distribuzione, specie dopo che la produzione americana vi ebbe scaricato tutte le giacenze sue più deteriori, scarseggiava di film degni ed abbondava di prodotti idioti ed immorali. Di conseguenza, non mancarono gestori, – per lo più appaltatori laici – che, o interessati al lucro, o del tutto impreparati a responsabilità educative, programmarono roba non solo non formativa ma palesemente corruttrice, mentre i molti gestori che conservavano una sensibilità sacerdotale conforme allo scopo culturale ed apostolico delle sale loro commesse, da una parte trovavano difficoltà, spesso insuperabili, per combinare programmi non dannosi, specie alla gioventù, dall’altra si trovavano impotenti ad arginare la produzione indesiderabile e ad incrementare quella almeno innocua, se non proprio edificante.

In quelle condizioni, i più qualificati rappresentanti periferici dell’esercizio cattolico italiano, incontratisi a Roma nei primi mesi del 1949, diagnosticati i focolai d’infezione, non dovettero penare molto ad individuare nella dissociazione ed indisciplina dell’esercizio l’ostacolo che occorreva rimuovere per iniziare la necessaria azione terapeutica. La Vigilanti cura parlava chiaro: soltanto se organizzate, le sale ecclesiastiche avrebbero potuto indurre l’industria cinematografica a provvedere film pienamente conformi ai nostri principi, prima ad esse e poi, di riflesso, anche alle altre (n. 50); lo stesso documento pontificio demandava la funzione catalizzatrice di questo processo organizzativo al Centro Cattolico Cinematografico (C.C.C.). Questo 10, dunque, iniziò, condusse e perfezionò studi e trattative tra centro e periferia; quindi, scelta la forma «associativa», propose alla Commissione Episcopale per l’alta direzione dell’A.C.I. uno statuto di «Associazione Cattolica Esercenti Cinema» (A.C.E.C.)11, la quale Commissione, approvatolo, l’11 maggio 1949 lo comunicava a tutti gli Ordinari d’Italia, con una lettera che poi doveva produrre risonanze per tutta la Chiesa12, firmata dal Segretario, l’attuale Patriarca di Venezia S. E. il card. Giovanni Urbani. Una settimana dopo, il 18 maggio 1949, un atto costitutivo notarile ne formulava l’esistenza giuridica civile.

Un decennio fruttuoso

Il compito della neonata Associazione era tutt’altro che facile. Intanto occorreva vincere le diffuse prevenzioni degli stessi gestori ecclesiastici, o diffidenti di ogni vincolo associativo, o non disposti a far credito ad una iniziativa centrale, la quale ne seguiva altre, che avevano fruttato più delusioni che utilità; quindi occorreva ridurre le animosità dell’esercizio industriale, specialmente minore, alimentate da una paventata concorrenza, mentre la distribuzione, specialmente americana, riluttava a favorire il formarsi di circuiti specializzati, i quali avrebbero richiesto programmazioni differenziate, meno redditizie di quelle a largo smercio assorbite dall’esercizio comune; infine occorreva sollecitare e predisporre molte ed intricate pratiche con i dicasteri governativi interessati e con gli organismi rappresentativi del complesso e suscettibile mondo industriale e commerciale del cinema, ed intanto approntare i quadri e le strutture organizzative necessarie a garantire l’esecuzione degli impegni presi e la tutela dei diritti acquisiti. Orbene: si può con certezza affermare che in dieci anni tutte queste difficoltà sono state sostanzialmente superate e che la struttura organizzativa dell’A.C.E.C. è ormai completa ed operante.

A vincere le prevenzioni e le ritrosie della periferia, oltre all’opera di persuasione dei dirigenti dell’Associazione ed ai successi tangibili: morali, giuridici ed economici da questa prontamente procurati, valse moltissimo l’appoggio risoluto della gerarchia ecclesiastica. Infatti, nella lettera dell’11 maggio agli Ordinari d’Italia, mons. G. Urbani, «nel dare doverosa comunicazione dell’avvenuta costituzione dell’A.C.E.C.», chiedeva loro «l’autorevole appoggio che tale iniziativa merita e l’efficace intervento perché tutte le sale ricreative della diocesi abbiano ad aderirvi con sollecitudine»13. Quattro anni dopo, l’11 maggio 1953, l’Istruzione sull’apostolato del cinema della S. Congregazione dei Religiosi, che fissava norme giuridiche e disciplinari degli esercizi cinematografici gestiti dai religiosi, nella parte che riguardava l’Italia stabiliva che «l’associazione nazionale che... rappresenta e tutela gli interessi delle sale cinematografiche dipendenti o controllate dall’autorità ecclesiastica è l’A.C.E.C.» (n. 16, punto 6); a rincalzo, la Lettera agli Ordinari d’Italia indirizzata dalla Pontificia Commissione per la Cinematografia, il 1° giugno dello stesso anno, includeva tra le mansioni delle Commissioni diocesane di vigilanza, raccomandate a tutte le diocesi, quella di «ottenere l’iscrizione di tutte le sale all’A.C.E.C., secondo quanto è stato di recente disposto dagli em.mi ed ecc.mi presidenti delle Conferenze Conciliari d’Italia», e precisava che «l’A.C.E.C. ha il compito di rappresentare gli interessi morali e materiali delle sale cattoliche presso l’autorità civile, di difenderne i diritti di fronte ad altre associazioni, di assisterle nel campo legale, amministrativo e fiscale» (n. 15). In questo ultimo documento, l’accenno alle Conferenze Conciliari si riferiva alle disposizioni in merito già sollecitamente impartite negli anni 1951-1953 da ben undici Metropoliti rispetto alle corrispondenti Regioni Conciliari14.

Le prevenzioni dell’esercizio industriale e delle case di distribuzione svanirono in gran parte, quando non del tutto, mano mano che le sale associate fecero fronte comune in quanto qualificate da caratteristiche proprie, garantite anche da disposizioni legislative e da convenzioni sindacali.

Nel 1950, con l’entrata in vigore della prima legge organica del dopoguerra sulla cinematografia, viene regolamentato il settore dell’apertura di sale cinematografiche e si dà precisa configurazione giuridica alla licenza di agibilità cinematografica a carattere parrocchiale, distinta da quella a carattere industriale. La distinzione permetteva una chiara individuazione delle finalità apostoliche ed educativo-morali delle sale cattoliche, ed in grazia di queste finalità si prevedeva la concessione di nulla osta all’apertura di cinema parrocchiali senza interferire nel rapporto-limite stabilito per le sale industriali15. La non interferenza, naturalmente, era vicendevole. Vennero stabiliti, di comune accordo tra gli organismi interessati, dei criteri relativi alla licenza di esercizio e delle limitazioni circa l’attività delle sale parrocchiali, intesi i primi a definirne più esattamente la fisionomia, e le seconde quale contropartita in favore dell’esercizio industriale, accanto al quale si ritenne opportuno che sorgesse l’esercizio cattolico, senza velleità di concorrenza, ma per assolvere una funzione d’ordine educativo, e quindi di interesse sociale, che non poteva essere disconosciuta dallo Stato18.

Inoltre, mediante le convenzioni con l’Associazione Generale Italiana dello Spettacolo (A.G.I.S.) e l’Associazione Nazionale Esercenti Cinema (A.N.E.C.), stipulate il 15 ottobre 1952, l’ A.C.E.C. venne a costituire parte integrante del primo organismo e stabili rapporti paritetici con la seconda:

Attraverso l’adesione dell’A.G.I.S., cui veniva riconosciuto un mandato di rappresentanza sindacale per gli interessi comuni e generali dell’esercizio cinematografico, l’A.C.E.C. soddisfaceva anche uno dei suoi compiti statutari: quello dell’assistenza agli associati in campo legale, amministrativo e fiscale, che l’A.G.I.S. si assumeva in proprio e a mezzo delle proprie sezioni territoriali. Le disposizioni vescovili emanate per ribadire le norme cui dovevano sottostare le sale dipendenti dall’autorità ecclesiastica, la circolare ministeriale che regolava l’attività delle sale parrocchiali, ed una convenzione stabilita tra l’A.N.E.C. e la nostra associazione, venivano utilizzate per realizzare nell’ambito dell’esercizio cattolico una disciplina che doveva costituire la base ed il presupposto della sua unità17.

Finalmente, il 1° gennaio 1953 si perfezionava la nuova Convenzione tra l’Azione Cattolica Italiana e la Società Italiana Autori Editori (S.I.A.E.), regolante i rapporti in materia di tutela dei diritti di autore e di riscossione dei diritti erariali, in sostituzione di quella stipulata sotto il regime fascista il 1° gennaio 193418.

L’ultima rilevante realizzazione di funzionalità interna e, insieme, di rapporti esterni dell’A.C.E.C. è il Servizio Assistenza Sale (S.A.S.).

Pare che risalga al 1904 l’Unitas, fondata dal canonico Musso a Torino, con lo scopo di fornire pellicole alle sale cattoliche, ma è certo che nel primo dopoguerra, prima quella di Milano e poi altre diocesi dell’Italia settentrionale, quali Padova, Bologna, Torino e Genova, costituirono dei Consorzi, o Centri, con lo scopo di provvedere film educativi all’esercizio cattolico, facendo da tramite tra questo, gli uffici di curia e le case di distribuzione. E l’esperienza dimostrò i notevoli vantaggi di siffatti strumenti tecnico-economici, quali, per accennare soltanto ai più evidenti, la tutela del decoro sacerdotale, cui poco si addice il frequentare certi ambienti ed il trattare detta merce, il notevole risparmio di tempo e la maggior garanzia della moralità dei film assicurati da un’unica revisione ecclesiastica centrale delle pellicole, il vantaggio economico derivato dai noli ridotti possibili nei contratti collettivi...19. Orbene, sulla scia di un’esperienza ormai trentennale, l’A.C.E.C. si è interessata: 1) di estendere questi strumenti, per quanto possibile, a tutte le diocesi d’Italia; 2) di identificarli con la stessa Associazione, facendoli operare nel suo seno e nel suo nome, e rendendone responsabili, per le rispettive competenze territoriali, i suoi stessi dirigenti; 3) di stringerli tutti in una struttura organizzativa nazionale20.

Siffatti scopi sono stati sostanzialmente assicurati appunto da un Regolamento nazionale dei S.A.S., emanato il 25 ottobre 195521, dopo approvazione del Consiglio direttivo dell’A.C.E.C., e tendente a dare assetto organico e fisonomia unitaria ai vari Servizi Assistenza Sale. Il nuovo servizio tecnico si può dire il complemento naturale e necessario delle direttive ecclesiastiche e delle norme giuridiche civili che assegnano all’esercizio cinematografico cattolico la sua fisonomia di sussidio culturale ed apostolico, ed insieme lo strumento pratico insostituibile, in quanto necessario e sufficiente, per assicurare la concreta applicazione di esse.

Oltre a queste iniziative ed attuazioni, felicemente condotte a termine dall’A.C.E.C. nel suo primo decennio, l’insieme dell’esercizio cattolico può con ragionevole compiacimento elencare queste mete ormai raggiunte: il numero complessivo di autorizzazioni per sale parrocchiali è 5.560, con un totale di 1.247.042 posti (contro circa 10.500 sale industriali autorizzate, con un totale di circa 5.200.000 posti); esse sono tutte rappresentate, per diretto e superiore mandato, dall’A.C.E.C., la cui rete associativa copre quasi tutto il territorio nazionale. Vi sono, infatti, quattordici delegazioni regionali: in Piemonte, Lombardia, Veneto, Liguria, Emilia-Romagna, Toscana, Marche, Umbria, Lazio, Campania (che comprende le regioni conciliari Beneventana e Salemitana), Puglie (cui fa capo la Lucania), Calabria, Sardegna, Sicilia; manca una delegazione regionale negli Abruzzi22. Le delegazioni diocesane sono costituite nell’80% delle diocesi italiane: in 240 su un totale di 305; i S.A.S. funzionanti, tra regionali e diocesani, sono ventitre.

Questi dati documentano un primato della Chiesa in Italia, tale che non trova corrispondenti nel resto del mondo cattolico. Se nel 1936, riferendosi alla Legion of Decency, Pio XI poteva con ragione esprimere ai cattolici americani la sua profonda sodisfazione per aver visto presso di essi, fedeli e gerarchia, collaborare concordi per il successo di una impresa, come mai altre volte, in tempi recenti, gli era stato dato di vedere [65], con non minore ragione il regnante Sommo Pontefice, nella lettera gratulatoria indirizzata a mons. Francesco Dalla Zuanna, fin dal 1951 presidente dell’A.C.E.C., poteva «rilevare con sodisfazione che un ampio lavoro si è fatto per tutelare le sale cinematografiche cattoliche, ormai numerosissime in tutte ie regioni d’Italia», beneaugurando per «una rete così fitta di sale cattoliche... sapientemente organizzata e diretta23.

Verso il secondo decennio

È un gradito dovere dei cattolici italiani, dopo che a Dio benedetto, mostrarsi grati verso i suoi più generosi strumenti in questa impresa24; tuttavia, l’impegno più urgente di quanti, tra i cattolici italiani, sono solleciti dell’apostolato cinematografico, dovrebbe applicarsi, più che a ringraziare i benemeriti, nel concorrere personalmente a che lo strumento da essi creato risponda in pieno a quanto le sue possibilità, e le necessità culturali e morali del pubblico, autorizzano la Chiesa ad aspettarsi da esso. A nostro parere, per ciò ottenere, occorre prima di tutto che quanti sono chiamati ad interessarsene, clero e laici, siano fortemente convinti della funzione tutta propria dei cinema ecclesiastici, in Italia, oggi. Essa deriva dai seguenti innegabili principi dottrinali e situazioni di fatto:

  1. dovere e diritto nativo della Chiesa, in forza del suo mandato divino di magistero, di accedere liberamente all’uso dei moderni mezzi di comunicazione sociale, in particolare al cinema (enciclica Miranda prorsus (cfr nn 4-7, 31); quindi, corrispondente dovere dei pubblici poteri di renderle possibile questo accesso ad essi [479], non essendo lecito il riservarne l’uso soltanto a scopi di propaganda politica o di lucro economico [483];
  2. assoluta necessità di poter contare su di una produzione cinematografica informata pienamente ai principi della morale cristiana (enciclica Vigilanti cura [903]), ma inutilità pratica di attendersela finché il processo industriale ed economico del cinema, comportando costi e rischi altissimi, vi rende assolutamente determinanti, sopra e contro tutti gli interessi culturali e morali, quelli del lucro economico;
  3. quindi, per garantirsi un corrente prodotto onesto, necessità di usare, da parte cattolica, con i signori della produzione e della distribuzione, l’unico linguaggio da essi inteso, aumentando i rischi economici dei film deteriori col ridurre notevolmente le presenze ad essi e, al contrario, riducendo i rischi dei film onesti con l’incrementarvi rilevantemente l’afflusso degli spettatori;
  4. in attesa che il pubblico, mediante una sistematica istruzione ed educazione, reagisca su piano culturale e morale sì da determinarsi spontaneamente a frequentare la produzione degna e a boicottare quella indegna, necessità di puntare sull’azione concomitante delle sale cattoliche, organizzandola in tal maniera da imporne le esigenze ai distributori sulla linea del tornaconto economico.
  5. Quindi, in pratica, l’A.C.E.C. col S.A.S., in Italia, rappresentano a tutt’oggi un insostituibile strumento di apostolato, sia diretto sia indiretto; esse, infatti, mentre assicurano alla Chiesa l’uso di uno dei più efficaci strumenti magisteriali di massa, verificano le condizioni per una bonifica di tutto il mercato cinematografico, secondo le lungimiranti previsioni della Vigilanti cura:
Mediante, infatti, l’ordinata disciplina di tali sale, che per l’industria rappresentano dei buoni clienti, si potrà anche esigere che la stessa industria produca film corrispondenti pienamente ai nostri principi, i quali saranno poi facilmente proiettati non soltanto nelle sale cattoliche ma anche nelle altre (n. 50).

A conferma, riportiamo due ordini di considerazioni condotte su sicuri dati statistici da specialisti in materia, valide le prime a dimostrare l’infondatezza dell’accusa d’indebita concorrenza all’esercizio industriale formulata contro le nostre sale, ed a ricordarne le troppo ignorate benemerenze sociali, le altre a dimostrare che proprio la loro massa in assoluto, per quanto relativamente esigua, le rende atte ad essere prese in considerazione dalla produzione.

Un punto da chiarire – scrive A. Ciampi, direttore della S.I.A.E.25 – è quello dell’incidenza del circuito delle sale parrocchiali sul mercato cinematografico nazionale. È vero che si è fatta tanta strada, ma intendiamoci bene, l’entità delle manifestazioni indette dall’esercizio a gestione non industriale è sempre modesta. In base a quanto risulta nelle ultime rilevazioni statistiche dell’Annuario della S.I.A.E. 1958 (spesso citato, ma non sempre a proposito) risulta che gli esercizi industriali assorbono l’82% delle giornate di spettacolo, il 90% dei biglietti venduti e il 94% della spesa del pubblico. Agli oratòri spettano il 14% delle giornate di spettacolo, il 7% degli spettatori e, in virtù dei bassi prezzi praticati... il 4,3% della spesa del pubblico... Questi dati dimostrano che l’attrazione del pubblico verso l’esercizio cinematografico industriale è rimasta invariata rispetto al 1938: allora i cinema industriali assorbivano l’85,4% dei giorni di spettacolo (contro l’82%), il 91,5% dei biglietti venduti (contro il 90%), ed il 94,6% della spesa del pubblico (contro il 94%).
... Non vi è dubbio che il circuito delle sale parrocchiali ha una benemerenza, questo è vero, di avvicinare il cinema ai ceti meno abbienti, ai ceti poveri, ai ceti medi che non possono frequentare altri tipi di spettacolo. I prezzi praticati sono i più bassi, fa gestione non ha scopi di lucro, talvolta lo spettacolo è offerto a titolo gratuito nei piccoli oratòri, ed è indubbia questa benemerenza che noi abbiamo il dovere di riconoscere.
Le statistiche della S.I.A.E. – completa E. Monaco, presidente dell’A.N.I.C.A.26 – mostrano che nel 1958 i cinema controllati dagli oratòri hanno allestito 300.000 giornate di spettacolo, ed hanno venduto 52.000.000 di biglietti, con un incasso globale di circa 5 miliardi di lire. Sono dati già notevoli, ma sono certamente inferiori alla realtà: infatti, i cinema che la S.I.A.E. definisce appartenenti ad oratòri non comprendono molte sale pure direttamente controllate da enti religiosi. Se si prende come base l’importo dei canoni di noleggio versati dai soci dell’A.C.E.C. ai distributori di film, è assai più vicina al vero una valutazione di 10 miliardi di lire quale importo globale degli incassi lordi delle sale cattoliche nel 1958. Le aziende produttrici e distributrici appartenenti all’associazione industriale da me rappresentata, hanno naturalmente tenuto in debito conto questa realtà... Gli industriali debbono tenere in evidenza, nella formazione dei loro piani di produzione, di importazione e di noleggio, il peso economico crescente del circuito cattolico. Ricordo ancora il sorriso ottimista dell’instancabile, e mai dimenticato, don Gaffuri quando mi parlava del numero dei «passaggi» e delle cifre degli incassi delle sale cattoliche della Lombardia. Non può destare meraviglia se sempre più spesso produttori e distributori si rivolgono all’A.N.I.C.A. e al C.C.C. per evitare che ai loro film vengano a mancare i 1.300 passaggi delle sale cattoliche lombarde e gli 800 passaggi di quelle venete.

Convinti, dunque, della funzionalità dello strumento, occorre, in secondo luogo, adoperarlo non solo bene, bensì ottimamente. Con immenso piacere, a questo proposito, abbiamo ascoltato e letto affermazioni, incitamenti e propositi, detti e scritti da qualificatissime personalità ecclesiastiche, nelle celebrazioni del decennio. È stato, per esempio, affermato, che resta ancora da fare qualcosa su piano organizzativo, per esempio: colmare gli squilibri di attrezzature tecniche tra regione e regione d’Italia, provvedere tempestivamente ai 1.500 comuni ancora sprovvisti di cinema, stringere più efficientemente i vincoli associativi tra centro e delegati, tra delegati ed esercenti, ovviare alla carenza qualitativa della produzione concretizzando iniziative su piano internazionale, anche in previsione del prossimo attuarsi del Mercato Comune Europeo, continuare ed intensificare gli iniziati contatti con gli organismi cattolici internazionali, perseverare negli interventi a tutela degli interessi economici delle sale associate e specialmente delle numerose attrezzate col passo ridotto, rimuovere le cause, o i pretesti, di residue animosità tra esercizio industriale ed esercizio ecclesiastico, conquistare una maggiore rappresentatività in seno all’A.G.I.S. per una più equa partecipazione di responsabilità, ecc.; ma è stato subito precisato che

l’esigenza e l’impegno cui si deve far fronte con urgenza, in modo possibilmente completo e sistematico, è la qualificazione delle sale cattoliche, qualificazione che intendiamo riferita sia al livello delle programmazioni, sia all’attività che convenzionalmente definiamo culturale e che consiste essenzialmente nell’educare il pubblico a «leggere» esattamente, con criterio ed indipendenza di giudizio, il film. Potrà essere così coronato da più sensibile successo... quello sforzo già in atto in alcune parti per dare una fisonomia originale all’esercizio cattolico, affinché nei confronti del pubblico possa meglio contraddistinguersi dai cinema ad attività esclusivamente commerciale27.

Parafrasando, riteniamo che, a questo scopo, gioverà molto assicurare l’effettiva gestione delle nostre sale agli ecclesiastici, che ne sono gli unici titolari legali, eliminando da esse le residue gestioni di laici28; migliorare, dove abbisognasse, le condizioni tecniche delle proiezioni, l’arredamento degli ambienti e la condotta del pubblico, secondo uno stile nostro, socialmente civile e moralmente ineccepibile29; facilitare col nostro coraggioso e tempestivo esempio quanto da tempo andiamo sollecitando dallo Stato, distinguendo noi per primi nettamente gli spettacoli destinati a spettatori adulti da quelli destinati a ragazzi, a tutela dell’intelligenza di quelli e della cristiana educazione di questi30; ma, soprattutto, gioverà liberare i nostri cinema da tutti i residui apparenti moventi di lucro, da ogni reale o apparente nostra quiescenza con un mondo che non è il nostro, perché non è quello di Gesù Cristo, e da ogni nostro passivo assenteismo dai problemi culturali e morali che proprio noi, con i nostri spettacoli, andiamo suscitando nei nostri spettatori, impegnandoci risolutamente ed esplicitamente a servirsi di essi come di scuola sussidiaria di predicazione pastorale [235].

Non insistiamo su questo argomento, perché altri, ben più autorevoli di noi, in occasione delle celebrazioni decennali hanno espresso il loro pensiero ed i loro incitamenti, che sono poi pensiero ed incitamenti della Chiesa31; ma non possiamo non rilevare l’insostituibile funzione dei corsi sistematici d’introduzione ai problemi del cinema, per il nostro pubblico, e soprattutto per i nostri sacerdoti, proprio ai fini di una qualificazione culturale ed apostolica delle nostre sale.

È necessario — insegna la Miranda prorsus — istruire ed educare gli spettatori, perché soltanto se introdotti nel linguaggio del cinema e sensibilizzati nella coscienza rispetto ai valori morali, potranno diminuire i pericoli di esso ed assicurarsi una sana ricreazione (cfr nn. 59-61); il sacerdote in cura d’anime – continua lo stesso insegnamento pontificio – deve conoscere tutti i problemi che il cinema... pone alle anime dei fedeli...; può e deve sapere quel che affermano la scienza, l’arte e la tecnica moderna, in quanto riguardano il fine e fa vita religiosa e morale dell’uomo. Egli deve imparare ad utilmente servirsene quando, a prudente giudizio dell’autorità ecclesiastica, lo richiederà la natura del suo ministero e la necessità di giungere a più gran numero di anime... (n. 155).

Come si vede, è un compito complesso, ad assicurare il quale non basta un interesse da dilettanti, e neanche bastano letture disorganiche, o conferenze più o meno brillanti, bensì occorrono, appunto, corsi sistematici, più o meno ampi cd impegnati, secondo i compiti ai quali sono destinati i loro frequentatori32. Ne prospettiamo, convintissimi, la necessità per tutto il clero in formazione, ma, più urgente, per tutto quello oggi impegnato in qualsiasi attività cinematografica. Riteniamo che soltanto una organica conoscenza dei complessissimi problemi tecnici ed economici, di linguaggio ed artistici, sociali, culturali, psicologici, etici, morali e religiosi posti dal cinema, possa creare le premesse dottrinali all’impegno culturale ed apostolico che l’A.C.E.C. si propone di perseguire nel suo secondo decennio di vita.

1 Atti del I Convegno nazionale dei delegati regionali e diocesani dell’A.C.E.C. Roma, ediz. dell’Ateneo, 1960, in-8°, pp. 84. L. 350. Di esso useremo largamente nell’articolo, citandolo soltanto nei casi più rilevanti con: Atti-ACEC. - Lo stesso faremo con altre fonti che trattano ex professo dell’argomento, quali l’articolo Esercizio cinematografico forza dei cattolici, in Rivista del cinematografo, 1951, nn. 6/7, pp. 21-23; Atti del primo corso nazionale per il clero sui problemi morali dello spettacolo, Badia Fiesolana 1953 (che citeremo con: Atti... clero); Le sale cinematografiche cattoliche: Documenti, Roma s.d. (che citeremo con Le sale...); Relazione del Presidente al Consiglio direttivo, Bologna 1957, e finalmente il numero speciale della Rivista del cinematografo, pubblicato in occasione del decennio, come supplemento ai nn. 9/10 del 1959.

2 Cfr Cinema “nostro” in Italia, in Civ. Catt. 1956, III, 30-42. – Più correttamente bisognerebbe dirli «cinema dipendenti dall’autorità ecclesiastica», dizione adoperata nei documenti ecclesiastici, i quali però qualche volta li dicono anche «cattolici». In Italia vengono detti «parrocchiali», con significato giuridico, ai fini dei rapporti con le autorità governative. Per la più parte, in realtà, sono nelle parrocchie, ma poi anche in oratòri, istituti di educazione, A.C.I., A.C.L.I., cd altre organizzazioni religiose.

3 Atti... clero, p. 8.

4 Oltre alla Lettera enciclica «Divini Illius Magistri» e alla Lettera enciclica «Casti connubii», Cfr i seguenti documenti:
Discorso ai parroci e quaresimalisti di Roma (16 febbraio 1931)
Discorso sui compiti del cinema educativo (18 marzo 1933)
Discorso ai membri dell’OCIC (23 aprile 1934)
Lettera al can. Abel Brohée, presidente OCIC (27 aprile 1934)
Discorso ai rappresentanti della FIPRESCI (11 agosto 1934)
Discorso ai delegati della FIPRESCI (21 aprile 1936)

5 In Revue internationale du cinéma éducateur, gennaio 1930, riportato in Documentation Catholique 33 (1955), col. 1453. – Ivi, 32 (1934), col. 833 in nota; 33 (1935), col. 1368.

6 Il C.U.C.E. era stato di poco preceduto dal francese Comité Catholique du Cinéma e dalla belga Centrale Catholique du Film - Un frutto ancora vivo della sua ormai remota attività la Rivista del cinematografo, nata nel 1928 dallo sdoppiamento della cessata Rivista del teatro e del cinematografo, oggi la più antica rivista cinematografica d’Italia (e forse di Europa).

7 La rivista già pubblicava le segnalazioni cinematografiche, iniziate fin dal 1909 per iniziativa di mons. Merisi e di don Aurienti (Atti... clero, cit., p. 23).

8 L. FREDDI, Il cinema, vol. II, Roma 1949, p. 341. – Nelle trattative per comporre il conflitto tra la Santa Sede ed il regime fascista, seguito alla chiusura dei circoli cattolici, disposta il 30 maggio 1931, Mussolini il 21 agosto dello stesso anno, tra le altre proposizioni destinate a precisare la portata pratica, in Italia, dell’art. 43 del Concordato, incluse le due seguenti: «3 – I Circoli Giovanili Cattolici... non avranno annessi stadi, teatri, palestre, cinema, ricreatori. 4 – Tutta la parte extrareligiosa dell’educazione giovanile sarà affidata alle organizzazioni giovanili del Regime». Ma nell’Accordo seguito il 2 settembre le proposte si stemperarono nella formola: «3 – I Circoli Giovanili... si asterranno dallo svolgimento di qualsiasi attività di tipo atletico e sportivo, limitandosi soltanto a trattenimenti d’indole ricreativa ed educativa con finalità religiosa» (cfr A. MARTINI, Gli accordi per l’Azione Cattolica del 2 settembre 1931, in Civ. Catt. 1960, I, 587 e 590).

9 Quindi la necessità di saperli leggere per poter oggettivamente giudicare della reale incidenza del circuito delle sale parrocchiali sul mercato cinematografico nazionale, di cui cfr il brano di A. Ciampi da noi riportato più avanti.

10 E praticamente tutto l’Ente dello Spettacolo, – «organo tecnico specializzato dell’A.C.I. per tutto ciò che ha riferimento con le arti dello spettacolo e con l’apostolato negli ambienti ad esso pertinenti», – e i suoi dirigenti, che avremo occasione di ricordare e di ringraziare.

11 Per il testo, cfr Le sale... , cit., pp. 93-96: vi si dà il testo «riveduto», del 2 luglio 1952, seguito dal Regolamento del 3/18 novembre 1952.

12 Essa, infatti, verrà riportata per gran parte quasi ad verbum nell’Istruzione sull’apostolato del cinema della S. Congregazione dei Religiosi, dell’11 maggio 1953, e nella Lettera all’Episcopato italiano della Pontificia Commissione per la Cinematografia, del 1 giugno dello stesso anno. – Per il testo cfr Le sale... , cit., 27-30, ed anche Le cinéma dans l’enseignement de l’Église, 1955, pp. 388-391.

13 Le cinéma dans..., cit., p. 390.

14 Cfr i diversi testi in Le sale..., cit., pp. 31-57.

15 Fu fissato il rapporto limite di un posto cinema per ogni 12/20 abitanti per i cinema a carattere industriale, e di un posto cinema per ogni 20/30 abitanti per quelli a carattere parrocchiale (Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, 14 aprile 1950, in Le sale..., cit., p. 58).

16 Mons. DALLA ZUANNA, in Atti-ACEC, pp. 29-30; per i testi dei documenti, cfr Le sale..., cit., pp. 58 ss.

17 Ivi, pp. 30-31; per il testo delle due convenzioni, ivi, pp. 68 ss.

18 Per la portata delle due convenzioni dr A. CIAMPI, Funzione sociale, in Rivista del Cinematografo, 1959, cit., pp. 18 ss., ed anche in Atti-ACEC, cit., 68 ss., e per la critica di essi: Esercizio cinematografico, sforzo dei cattolici, cit., in Riv. del Cin., 1951, nn. 6-7, p. 22. – Con un’ulteriore recente Convenzione la S.I.A.E. si è assunta anche l’onere della riscossione di un contributo associativo A.C.E.C., aggiunto a quello già riscosso per l’A.G.I.S. da tutte le sale ecclesiastiche.

19 Oggi, per le sale cattoliche, dove è possibile, i film vengono ulteriormente selezionati da apposite commissioni regionali di revisione tra quelli classificati fino a «per adulti» dall’ufficio nazionale.

20 Questi strumenti tecnici saranno estesi, per quanto sarà possibile, a tutte le regioni d’Italia, in modo che ne possano beneficiare tutte le diocesi. La struttura dei S.A.S. l., infatti, normalmente a base regionale e solo eccezionalmente – ad esempio in Lombardia e nel Veneto – a base diocesana o interdiocesana.

21 Cfr per il testo L’opera e l’insegnamento di don Giuseppe Gaffuri, Milano 1959, p. 46 ss. – Nei documenti della Santa Sede se ne fa parola una volta: Civ. Catt., n. 247. – Preludono ad alcune prestazioni del S.A.S. molte disposizioni date in passato da ecc.mi Ordinari italiani. Così, per il patriarcato di Venezia, il 3 marzo 1931, e per l’archidiocesi di Milano, nel I 933, si prescrive a tutti i cinema ecclesiastici di trattare i programmi soltanto tramite l’Ufficio del C.C.E. (Consorzio Cinema Educativo) «organo dell’Azione Cattolica per questa speciale attività» (Riv. del Cin., 1935, p. 142; 1933, p. 227; 1934, p. 197); la stessa disposizione seguì, il 10 gennaio 1934, per l’archidiocesi di Chieti (ivi, p. 42), nel marzo e nell’aprile 1935 per le diocesi di Verona e di Bergamo (ivi, 1935, pp. 108, 109), ed il 22 sett. 1937 per l’archidiocesi di Torino (ivi, 1937, p. 230).

22 Inoltre, dodici Conferenze episcopali hanno espressamente delegato un loro membro a seguire specificamente i problemi dello spettacolo, mentre in ogni regione conciliare si può fare riferimento per tali problemi ad un ecc.mo vescovo.

23 Cfr il testo in Rivista del Cinematografo. cit., 1959, pp. 3-5.

24 Tra essi ricordiamo i pionieri don Canziani ed avv. Milani; mons. Albino Galletto, il prof. Luigi Gedda, l’ing. Ugo Sciascia e l’arch. Ildo Avetta, promotori dell’atto costitutivo dell’Associazione, quali dirigenti dell’Ente dello Spettacolo; mons. Francesco Dalla Zuanna, da otto anni suo presidente, con alcuni dei suoi più immediati collaboratori, sia sacerdoti, come il compianto don Gaffuri, sia laici, come (l’ora) don Angelicchio, L.F. Ammannati, già direttore della Mostra veneziana ed ora presidente del Centro Sperimentale di Cinematografia, Silvano Battisti, ed il caro ammiraglio Ginocchietti, da poco scomparso; né sarebbe generoso dimenticare i nomi di alcune personalità politiche o industriali-economiche, che, convinte dei compiti altamente spirituali dell’esercizio cattolico, secondo le rispettive competenze hanno benemeritato del suo sviluppo e consolidamento, quali i sottosegretari allo Spettacolo, on. Andreotti e Brusasca, i signori I. Gemini, V. Barattolo ed E. Monaco, rispettivamente presidenti dell’A.G.I.S., dell’A.N.E.C. e dell’A.N.I.C.A., A. Ciampi, direttore della S.I.A.E....

25 Atti-ACEC, cit., pp. 69-70.

26 Rivista del Cinematografo, cit., 1959, pp. 20-21.

27 Mons. Fr. DALLA. ZUANNA, A.C.E.C.: anno dieci, ivi, p. 11.

28 «Non si può pretendere che i laici, mossi da interessi diversi, facciano del cinema uno strumento di azione pastorale, e quindi non può fare meraviglia se le sale cattoliche da loro gestite funzionano in modo che non si confà certamente alla fisonomia e agli scopi per cui le nostre sale sono sorte. La colpa, o almeno la responsabilità è nostra, perché un sacerdote o un religioso, al quale l’autorità ecclesiastica, ancor prima di quella civile, ha concesso di aprire una sala cinematografica, ha il dovere di non venir meno ai presupposti su cui si fonda tale concessione. Non basta esser tranquilli che i film proiettati siano quelli ammessi: vi un è modo di conduzione della sala che deve essere coerente con i principi che ispirano l’attività dell’esercizio cattolico: ci sono superiori considerazioni delle finalità dell’Associazione nel complesso... che non possono essere ignorate. Un laico può essere indifferente a tutto ciò; il sacerdote no» (Lo stesso, in Atti-ACEC, cit., pp. 40-41). - «Ecco perché non è possibile affidare la sala parrocchiale a un laico, nemmeno col semplice incarico di programmazione. La responsabilità di una sala parrocchiale una responsabilità che si assolve con una presenza effettiva, e non con una presenza delegata» (Fr. CERIOTTI, ivi, p. 56).

29 «Lo stile della sala parrocchiale deve essere improntato anche a rispetto per il cinema. Il modo con cui avvengono certe proiezioni sono una profanazione del cinema. Come pure profanazione sono certi prodotti che fanno dubitare della completezza umana di produttori e registi, o suppongono privi di capacità di intendere e di volere gli spettatori. Nell’uno e nell’altro caso, comunque, offensivi. Purtroppo tale prodotto ha larga ospitalità nelle nostre sale, favorito dal fatto che apparentemente si mantiene su un piano moralmente innocuo, ma solo apparentemente. Deve sfatarsi la diceria che alle sale parrocchiali si possono dare le cose più sceme che la cinematografia produce, avallando in certo modo tale indirizzo di produzione. Abbiamo finalità altissime da perseguire, che nessuno ha» (ivi, p. 56).

30 «Nell’ambito della qualificazione del nostro esercizio, dovremo poi riservare particolari cure alla diffusione degli spettacoli per ragazzi, così vivamente raccomandata anche nell’enciclica Miranda prorsus (cfr n. 92). Dico subito che non possiamo accettare una tesi non disinteressata, secondo la quale le sale parrocchiali dovrebbero limitarsi ad effettuare soltanto spettacoli per ragazzi. Quando parliamo delle nostre finalità morali ed educative, entriamo in un campo che ovviamente non può e non deve riguardare solo i ragazzi. Studieremo ogni possibile attuazione perché essi trovino nelle nostre sale uno spettacolo confacente alla loro età e alla loro mentalità; ma abbiamo dei doveri anche verso il pubblico degli adulti, ai quali intendiamo offrire attraverso il cinema, mediante dibattiti e altre forme che sono allo studio, una possibilità di approfondimento dei temi, di chiarificazione e di scambio di idee» (mons. DALLA ZUANNA, ivi, p. 38).

31 Cfr card. G. SIRI, Il sacerdote militante nel settore del cinema, in Rivista del Cinematografo, cit., 1959, p. 13 ss.; Significato di un decennio e di una presenza, in Atti-ACEC, cit., p. 27 ss.; Fr. CERIOTTI, Qualificazione della sala cattolica, ivi, 49 ss.; ed anche il nostro: Impegno di qualificazione, in Rivista del Cinematografo, cit., 1959, pp. 26-38, dove ci siamo ingegnati di chiarire il pensiero e le direttive della gerarchia, collazionandone i numerosi documenti dottrinali e disciplinari. – A ribadire ulteriormente il carattere inconfondibilmente ecclesiastico di tali sale sono venute le Norme amministrative per le sale cinematografiche dipendenti dall’autorità ecclesiastica, comunicate dalla S. Congregazione del Concilio, il 17 febbraio 1960, a S.E. il card. G. Siri, quale presidente della Commissione Episcopale Italiana:

  1. Le sale cinematografiche aperte al pubblico, dipendenti dall’autorità ecclesiastica, hanno come precipuo scopo di contribuire all’educazione dei fedeli.
  2. Gli eventuali proventi delle sale cinematografiche sono destinati esclusivamente a sostenere opere di ministero pastorale.
  3. La persona responsabile della sala presenta ogni anno, all’Ordinario del luogo, una relazione scritta sulle attività svolte nella sala stessa.
  4. Il rendiconto, che a norma del can. 1525 viene presentato ogni anno all’Ordinario del luogo sulla amministrazione dei beni ecclesiastici, deve comprendere, con particolare voce, il bilancio delle entrate e delle uscite della sala cinematografica.

32 Cfr Per una iniziazione cinematografica del pubblico, Civ. Catt. 1959, III, 17 ss.

In argomento

Magistero

n. 3195-3196, vol. III (1983), pp. 209-222
n. 3188, vol. II (1983), pp. 154-161
n. 3141, vol. II (1981), pp. 222-237
n. 2990, vol. I (1975), pp. 144-157
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