NOTE
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1 Rivista del Cinematografo, 1932, n. 10, p. 247. La stessa rivista riporta il caso di una pubblicazione settimanale, cattolicissima e rispettabilissima, dalla cui redazione vennero respinti alcuni numeri con la seguente testuale motivazione: Perché si occupa di cinema (1937, n. 1, p. 27), nonché un «Abbasso il cinema in casa nostra» inalberato da G. M. in Controcorrente (ivi, n. 6, p. 125).

2 Nell’articolo comprendiamo sotto questa denominazione tutte le sale dipendenti dall’autorità ecclesiastica, per la più parte nelle parrocchie, ma anche in oratori, istituti di educazione, A.C.I., A.C.L.I., ed altre organizzazioni religiose.

3 Dati desunti dalla Rilevazione dei teatri e dei cinematografi esistenti in Italia al 30 gennaio 1953, Roma, S.I.A.E., s. a. (cfr Civ. Catt. 1956, II, 196).

4 I numeri in parentesi rimandano alle pagine del volume Le cinéma dans l’enseignement de l’Eglise, Città del Vaticano 1955, da noi recensito in Civ. Catt. 1956, I 329.

5 Cfr PADRE LOMBARDI, Pio XII per un mondo migliore, Roma 1954, n. 206.

6 Cfr Rivista del Cinematografo, 1951, 1, pp. 5-6.

7 Così, per esempio, inizia quello dell’11 febbraio 1956: «Premesso che le sale cinematografiche parrocchiali hanno finalità esclusivamente educative e morali, secondo quanto riconosciuto dalla Circolare della Presidenza del Consiglio dei ministri n. 9419-AG, del 23 maggio 1950, si conviene... Inoltre le sale devono recare nella denominazione la indicazione del carattere religioso educativo delle sale stesse (S.R.C.)...».

8 «Specie nel caso dell’affitto il locale è rimesso completamente nelle mani di speculatori che non badano troppo per il sottile, anche se, da un punto di vista formale, possono essere legati da qualche clausola contrattuale che li inviti al rispetto delle Segnalazioni del C.C.C. Normalmente, in questi casi, la sala cattolica perde le sue peculiari caratteristiche e diviene oggetto di malevoli critiche da parte degli stessi fedeli» (Notiziario A.C.E.C., Rivista del Cinematografo. 1953. n. 4. p. 29).
Diciamo imponeva e hanno ceduto perché gli accordi sopra ricordati tra l’A.N.E.C. e l’A.C.E.C., e le disposizioni dell’autorità ecclesiastica hanno, si può dire, quasi eliminato questi inconvenienti (cfr nota 10).

9 Cfr Rivista del Cinematografo, 1951, n. 1, pp. 3-6; 1950, n. 1, p. 3; n. 7, p. 3. Anche la Sacra Congregazione dei Religiosi ha rilevato: «Però non mancano inconvenienti, provenienti specialmente dalle grandi difficoltà che incontrano i loro gestori per la rarità dei film moralmente sani... Difficoltà che evidentemente non possono mai giustificare la proiezione di film che non fossero di una moralità assoluta» (96-97).

10 «5) Le sale cinematografiche parrocchiali possono programmare esclusivamente i film ammessi dalla organizzazione a ciò preposta dalle competenti autorità ecclesiastiche. Pertanto i film dichiarati esclusi, sconsigliabili, o per adulti con riserva, dalla Commissione nazionale per la classificazione dei film presso il C.C.C. non potranno in nessun modo essere proiettati nelle sale parrocchiali, mentre le pellicole giudicate per adulti potranno essere proiettate soltanto se approvate dalla commissione suddetta, in quelle sale che ne otterranno l’esplicito consenso dalle competenti autorità ecclesiastiche».

11 Per esempio: il Lussemburgo (legge del 1920: sotto i 18 anni), Svizzera (1912), Norvegia (1913: 16 anni), Grecia (1926: 10 anni). Bulgaria (1930: 18 anni), Lituania (17 anni), Lettonia (16 anni), Estonia (16 anni), Equador (1927: 14 anni), Nicaragua (1927: 13 anni), Perù (1925: 16 anni), Australia (16 anni). cfr Inchiesta sulla cinematografia per ragazzi, Roma 1952, pp. 11 ss.

12 Grazie a Dio, in molte parrocchie questi desiderata sono fatti compiuti; specialmente nell’alta Italia un gran numero di cinema ecclesiastici, la maggioranza forse, nulla ha da invidiare alle normali sale pubbliche.

13 Cfr Il contemporaneo, 1955, n. 31, p. 12; Candido, 1955.

14 Sui criteri seguiti dalle presentazioni cfr G. COLONNA, Personaggi e interpreti, Roma 1955, pp. 64 ss.

15 Rivista del Cinematografo, 1937, pp. 125-127.

16 «Bisogna aggiungere positivamente la nostra opera per far sì che il film da noi proiettato riesca, come auspicava Pio XI, “morale, moralizzatore, educatore” ... L’amore per Dio e per il prossimo farà sì che il nostro cinema sia coerente con il nostro carattere e con la nostra missione. Soprattutto preti: preti all’altare, preti in confessionale, preti in società, preti con i giovani, preti con tutti... Preti anche davanti allo schermo...»: così il sacerdote Secondo MANIONE, in Cinema educativo (Torino, Centro salesiano educativo, vol. III, 1955, p. 4).

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Articolo estratto dal volume III del 1956 pubblicato su Google Libri.

Il testo è stato corretto dai refusi di stampa e formattato in modo uniforme con gli altri documenti dell’archivio.

I riferimenti ai documenti del magistero pontificio sono stati resi interattivi e portano al sito del progetto “Chiesa e Comunicazione”, la biblioteca digitale online che prosegue l’attività iniziata da p. Baragli con le opere Cinema cattolico: documenti della Santa Sede sul cinema e Comunicazione Comunione e Chiesa.

ARTICOLO SU

«Da un po’ di tempo veggo che i cattolici italiani si occupano di cinematografo: e non senza meraviglia ho visto che se n’è occupato anche l’Osservatore Romano... Eccole il mio pensiero: Il cinematografo è una vera scuola di corruzione... È l’assalto più perfido ad ogni sentimento di onestà... Come possono i cattolici, ed i preti specialmente, occuparsi di questo fango?... Dove andiamo di questo passo?... Via il membro piagato, prima che la cancrena faccia morire anche la parte sana! Via il cinematografo!»1.

Per quanto il buon uomo che le scriveva premettesse candidamente: «Io sono vecchio, d’un tempo che fu: non posso avere la mentalità moderna perché educato con altri sistemi, quindi posso essere in errore», queste parole, scritte nel 1932, documentano una mentalità già piuttosto diffusa in Italia tra i “ben pensanti”, specialmente più anziani, e che a tutt’oggi conta ancora qualche isolato resistente contro la tattica adottata dalla Chiesa.

Alcune cifre

I primi interessamenti al cinema da parte del clero rimontano agli anni 1904-1909, quando il canonico Musso a Torino, i monsignori Pantalini e Merisi e don Aurenti a Milano, i monsignori Vigna, Pavanelli a Brescia e Cerotti a Venezia iniziarono la pubblicazione dei giudizi morali sui film, mentre già si tentava una rudimentale organizzazione delle sale di spettacolo cattoliche. Nel 1926 monsignor Barbavara e don Canziani davano vita al C.U.C.E. (Consorzio utenti cinematografi educativi) e, due anni dopo, alla Rivista del Cinematografo, suo organo ufficiale, oggi la più antica rivista italiana di cinema. Nel 1932 le sale ecclesiastiche2 in Italia erano circa un migliaio e chissà quale sviluppo avrebbero poi preso, specialmente dopo la Vigilanti Cura, magna carta pontificia del cinema, del 29 giugno 1936, e l’istituzione del Segretariato centrale per il cinematografo presso la direzione centrale dell’A.C.I. (l’attuale Centro Cattolico Cinematografico), se il fascismo, per mezzo del solito zelante Minculpop, non avesse pensato ad adottare la draconiana proposta del nostro vecchio buon uomo, naturalmente consigliato da motivi del tutto opposti.

Alla fine della guerra i cinema parrocchiali non superavano i 450; ma la ripresa fu rapidissima. Nel 1948 toccavano già i 2.500; nel 1953, anno della prima rilevazione sistematica in materia per l’Italia, superavano i 5.000, con più di 1.100.000 posti, su un totale di 14.880 locali e 5.628.606 posti per tutta l’Italia3.

Queste cifre, anche se vanno opportunamente interpretate rispetto a quelle che si riferiscono ai cinema industriali, stante la ridotta efficienza di alcuni nostri locali, o privi di proiettore, o non attrezzati a formato standard, in ogni caso limitati per legge nei giorni di programmazione, rappresentano senza dubbio una forza considerevole e un palmare argomento dell’interesse tutt’altro che intollerante della Chiesa al cinema, tanto da dare ansa alle critiche dei marxisti e di certi liberali, i quali vi hanno visto un suo adattarsi ai compromessi del progresso tecnico, suggerito, secondo loro, prevalentemente dal desiderio di lucro. Ma, al solito, le cose non stanno precisamente così.

Gli scopi intesi dalle autorità ecclesiastiche, prima nell’approvare quelle di altri, poi nel prendere le proprie iniziative, sono di carattere eminentemente spirituale. Essi si possono ridurre a due: 1) fare del cinema un mezzo di elevazione morale dei fedeli, o almeno renderlo innocuo; 2) influire nella produzione. I documenti ecclesiastici non lasciano su ciò il minimo dubbio.

Pio XI, nell’enciclica Vigilanti Cura, parlando dell’Ufficio nazionale cui viene commessa l’organizzazione delle sale cinematografiche esistenti presso le parrocchie e le associazioni cattoliche, osserva: «Mediante l’organizzazione di tali sale... si può rivendicare un nuovo diritto: quello cioè che la stessa industria produca film corrispondenti pienamente ai nostri principi, i quali saranno più facilmente proiettati non soltanto nelle sale cattolic</ahe ma anche nelle altre» (480)4, e Pio XII, delineando la fisonomia della parrocchia ideale (Discorso «Benché la sollecitudine» 11 gennaio 1953), precisa: «Che Gesù sia conosciuto, amato e servito da tutti. Non dimenticate che questo è il fine di tutta la vita parrocchiale. Il resto va stimato in quanto e per quanto giova al conseguimento dello scopo che la Chiesa vuole ottenere. Il campo sportivo, il teatro, il cinema parrocchiale... tutte utilissime e spesso necessarie istituzioni... Lodevole lo sport... necessario anche il divertimento onesto. Ma tutto deve essere sospinto, per così dire, da una forza centrifuga e rinviato da una forza centripeta: e il centro si chiama vita delle anime, si chiama Gesù»5.

Un’istruzione della Sacra Congregazione dei Religiosi (Istruzione sull’apostolato del cinema 11 maggio 1953, n. 3) approva «i cinematografi, spesso aperti con gravi sacrifici dei sacerdoti e dei religiosi in cura d’anime, o consacrati a questo particolare apostolato educativo e sociale, che assicurano al popolo, e specialmente alla gioventù, un divertimento sano, e si manifestano spesso efficace strumento di formazione e di elevazione umana e religiosa» (96-97). Gli stessi concetti esprime la lettera inviata dalla Pontificia Commissione per il Cinematografo a tutti gli ordinari d’Italia (Lettera all’Episcopato Italiano 1º giugno 1953, n. 4); rilevato il basso livello morale di film della produzione corrente, soggiunge: «Al fine di arginare tanto male, molti sacerdoti in cura d’anime... convinti di dover opporre al cinema immorale spettacoli sani ed educativi, si sono assoggettati a gravi sacrifici per aprire in parrocchia o in oratorio una sala cinematografica, a cui il popolo, e soprattutto la gioventù, possano accedere senza pericoli... Devono dette sale diventare una scuola sussidiaria alla predicazione pastorale e trasformarsi in prezioso strumento di edificazione e di elevazione... Non rientra nelle finalità della Chiesa gestire sale cinematografiche a scopo di lucro» (101-102). «Le sale cattoliche debbono avere uno scopo educativo e non di lucro» ribatte monsignor Albino Galletto, consulente ecclesiastico dell’Ente dello Spettacolo e dell’A.C.E.C.6.

Per le disposizioni dei vescovi nelle singole diocesi valga per tutte l’apodittica consegna dell’arcivescovo di Genova, S. Em. il cardinal Giuseppe Siri (16 novembre 1950):

Qualsiasi iniziativa, promossa direttamente o indirettamente dal clero, è giustificata esclusivamente come mezzo ordinato all’unico scopo della salvezza delle anime... Il frutto pastorale del cinema può essere ottenuto positivamente o negativamente. Positivamente: o attraverso la proiezione di film di elevato contenuto umano e cristiano, o attraverso l’avvicinamento di cui la sala di spettacolo offre l’occasione, essendo infatti indubbio che il cinema parrocchiale, come in generale il divertimento, è oggi un mezzo efficace per polarizzare un po’ dell’attenzione dei piccoli e dei grandi sull’esistenza e la vitalità della parrocchia. Negativamente: col preservare i fedeli dall’immoralità degli spettacoli e spesso anche degli spettacoli di non poche sale cinematografiche ed altri luoghi di divertimento (392-393).

Del resto, proprio questa finalità religioso educativa delle sale ecclesiastiche è il presupposto fondamentale dei provvedimenti governativi che ne regolano l’attività in Italia, differenziandole nettamente dai cinema industriali ed assicurando ad esse una larga diffusione, nonché degli accordi ratificati tra l’A.N.E.C. (Associazione Nazionale Esercenti Cinema) e l’A.C.E.C.7 (Associazione Cattolica Esercenti Cinema).

Difficoltà, inconvenienti e ripari

La maggiore difficoltà da superare nell’attuazione degli alti scopi intesi dalla Chiesa è nello scarso numero di film moralmente sani offerti dal mercato, particolarmente avvertita da quei gestori che, per l’attrezzatura e l’ubicazione delle loro sale, potrebbero vantaggiosamente programmare non uno, ma fino a quattro e cinque film la settimana, cioè il massimo concesso dagli accordi sopra menzionati. Forte, allora, per essi potrebbe essere la tentazione di «eludere le norme morali per poter avere una più vasta programmazione e film che allettano il pubblico, con grave danno delle anime»; di qui alcuni inconvenienti, verificatisi qua e là in passato ed ora, per fortuna, del tutto eliminati, tra i quali programmazione di film «adulti con riserva», «sconsigliabili» e finanche «esclusi», qualche volta imputabili all’inesperienza dei gestori, altre volte alle vessatorie condizioni fatte dal noleggio, che imponeva film di scarto in blocco con richiesti «capogruppi» di valore, altre volte finalmente a desiderio di lucro, o almeno, al timore di non rientrare nelle spese, cui soggiacciono gestori laici, ai quali i sacerdoti incautamente, in passato, hanno ceduto in appalto la sala8.

Le autorità ecclesiastiche sono esplicite tanto nel denunciare l’involuzione che minaccia un’iniziativa di puro apostolato quanto nell’indicare i rimedi, quando occorresse, più radicali. Già nel 1950 il card. Siri, «in seguito a segnalazioni frequenti e motivate circa la scarsa sensibilità morale nella programmazione in sale cinematografiche parrocchiali, e comunque dipendenti dall’autorità ecclesiastica, riteneva suo grave ed urgente dovere richiamare l’attenzione» su alcuni principi basilari di pastorale, concludendo che «qualora il cinema, per qualunque ragione, non raggiunga lo scopo della salvezza delle anime, va senz’altro eliminato, come inconciliabile col carattere del ministero sacerdotale» (392). Non meno esplicito era nel 1953 il Presidente della Pontificia Commissione per il Cinematografo:

«Risulta, in base a precisa documentazione, che talora dai gestori di dette sale non si osserva un sano criterio religioso morale circa la scelta dei film che vengono in esse proiettati. Tale grave inconveniente, che è sovente determinato da reali difficoltà cui vanno incontro i gestori delle sale cattoliche, sia per la scarsità dei film moralmente sani, sia per motivi d’indole economica, non può essere in alcun modo tollerato» (102).

Ancora più minuto nel rilevare gli inconvenienti e nell’esigerne la cessazione è monsignor Galletto:

Una mentalità laicista, in questo campo, va diffondendosi ... in qualche caso tra gli stessi gestori di sale cattoliche. Le scuse e le attenuanti ci sono, ma il fatto rimane nella sua gravità. Per fare il pareggio, e talora per lucro, si cerca di far concorrenza alla sala industriale del posto, prenotando film di cassetta senza curarsi troppo del giudizio morale... Tale condotta è inaccettabile. Meglio chiudere le sale che trasformarle da ambiente educativo e sanamente ricreativo, in un locale di speculazione... So che se potesse prendere la parola un gestore di sala cinematografica mi sentirei obiettare: Chi applica tutte queste norme non riesce a fare il pareggio. All’obiettante dovrei rispondere che in realtà la gestione onesta di una sala cattolica è un’impresa sempre ardua, e talora insostenibile; in ogni modo «occorre aver il coraggio di prendere posizione: il cinema, divertendo, deve essere un complemento del magistero della Chiesa. Al di fuori di questa concezione, si chiuda piuttosto la sala»9.

Se, come cercheremo di dimostrare tra poco, i cinema ecclesiastici, convenientemente usati, possono supplire e, in alcune occasioni, vincere in efficacia apostolica i pulpiti delle chiese, si comprende come l’ipotesi di chiuderli sia un’extrema ratio tutt’altro che augurabile. L’autorità ecclesiastica preferisce tentare altre vie, prima tra tutte quella promossa dal Centro Cattolico Cinematografico, l’organizzazione cioè delle sale mediante la foro adesione all’A.C.E.C., organo sindacale che rappresenta democraticamente i gestori ecclesiastici, sia presso il governo, sia presso il noleggio, sia nei rapporti con l’esercizio industriale, con maggiori possibilità di ottenere, mediante la forza di migliaia di sale associate, quello che sarebbe del tutto irraggiungibile alle singole (per non parlare delle condizioni vantaggiose che un’organizzazione cattolica efficiente potrebbe offrire alla produzione!). Basti, tra i vantaggi assicurati da essa, ricordare il recente accordo con l’A.N.E.C., mediante il quale la disposizione dell’autorità ecclesiastica, che vieta alle nostre sale la programmazione di film «esclusi», «sconsigliabili» e «adulti con riserva», diventa operante rispetto al noleggio, il quale perciò non può imporli ad esse come alle sale commerciali10.

Ma è evidente che l’esclusione dei film chiaramente immorali o pericolosi non basta per salvare il carattere positivamente formativo delle sale ecclesiastiche; esse dovrebbero sodisfare ad altre condizioni, delle quali alcune sono a tutela dei valori umani e spirituali dell’infanzia, altre per la formazione spirituale specialmente degli adulti.

A tutela dell’infanzia

In molte nazioni d’Europa e fuori, già da decenni i bambini vengono esclusi dai locali di spettacolo pubblici, ed ammessi solo a quelli dove si danno film appropriati alla loro età11; in Italia, purtroppo, accompagnati o meno, i ragazzi hanno ingresso libero, salvo (quando il divieto viene fatto osservare) ai film espressamente vietati ai minori dei sedici anni. Ora non c’è adulto iniziato ai primi elementi della psicologia dell’età evolutiva, che non sappia come ampiamente dimostrato che qualunque spettacolo cinematografico è sconsigliabile a bambini sotto i tre anni, e che la più parte dei normali spettacoli per i grandi sono sconsigliabili per bambini dai cinque ai dodici anni circa, e che queste controindicazioni non si fondano tanto sul contenuto dei film quanto sul procedimento filmico in se stesso e sulle circostanze ambientali che lo accompagnano, igienicamente nocive, impressionanti e psichicamente affaticanti per i più piccoli.

Sono, queste, nozioni elementari che fa meraviglia come non abbiano ancora mosso le autorità governative italiane ai provvedimenti del caso, e purtroppo del tutto ignorate proprio da quelli che più dovrebbero conoscerle: i genitori. Quante volte non li abbiamo visti mettere “al sicuro” i loro ragazzetti al cinema parrocchiale e andarsene tranquilli per i fatti loro per tornare a riprenderli non prima di due o tre e passa ore di spettacolo! O peggio portare con sé al collo i loro figliuoli poppanti! Più tardi, forse, stupiranno nel sorprenderli impressionabili e nervosi, e forse addirittura psichicamente scossi, ma non immagineranno d’averne procurata essi la causa e che, più che spendere in medici e in tardivi rimedi, e magari ricorrere a dubbie analisi psicanalitiche, meglio sarebbe valso non creare complessi in loro sottoponendone l’acuta sensibilità a urti e a logorii precoci.

Il guaio è che anche i sacerdoti, senza addarsene, potrebbero diventare collaboratori in siffatta rovina, candidamente supponendo nel cinema un divertimento del tutto innocuo, ed offrendolo ai bambini né più né meno che se si trattasse dell’altalena o del passo volante; anzi, mentre nell’attrezzarsi in siffatti giuochi, vagamente si tengono presenti alcune condizioni di sicurezza fisica, l’inosservanza delle quali esporrebbe, oltre che a colpa morale, a sanzioni penali, nell’offrire il cinema neanche il più lontano sospetto di pericolosità e di responsabilità li potrebbe rattenere: situazione paradossale, che muterebbe quello che, in buona fede e con sacrificio, essi danno come un beneficio fisico e religioso, in un reale e grave danno psichico e morale.

Queste considerazioni, ormai scientificamente inoppugnabili, dovrebbero convincerci, checché si continui a praticare nei cinema industriali, per dovere di carità e di giustizia, ad escludere, o almeno ad apertamente e ripetutamente ed efficacemente sconsigliare la presenza di bambini nelle nostre sale, e a non permettere quella di ragazzi se non quando si proiettano film fatti esclusivamente per loro. Sappiamo che di tali film non ce n’è a sufficienza per molti spettacoli, e che le varie iniziative prese in merito in Italia finora hanno prodotto più speranze che frutti, ma riteniamo che non c’è scusa valida per causare un danno certo e irreparabile a tenere vite umane, tanto meno quando incoscientemente, come giornalmente avviene, si fanno assistere ragazzi ed adolescenti a film «per adulti», innocui e forse consigliabili a questi, ma moralmente dannosi a chi, per immaturità di giudizio e per infiammabilità d’immaginazione, nella loro trama o nei loro particolari è portato a supporre quel che non c’è o a non vedervi quel che c’è.

Se a siffatti inconvenienti si aggiungono quelli della scorretta condotta di alcuni pubblici, dalla quale, ahimè, potrebbero non andare del tutto esenti anche i nostri locali, tanto che in più di una città i gestori delle sale si sono visti costretti a difendere la virtù dei ragazzi non accompagnati dai genitori riservando loro un settore distinto dal resto del pubblico, appare manifesto quante precauzioni occorrano perché il cinema parrocchiale non scada da ausilio a danno dell’infanzia.

Cattedra e pulpito

Di tutt’altro genere sono le soluzioni dei problemi posti dai cinema ecclesiastici circa gli adulti. Essi, a nostro giudizio, si assommano nell’uso cosciente e palese del film come mezzo di cultura e di religione.

È chiaro che anche il nostro pubblico viene al cinema, tranne eccezioni rarissime, per divertirsi e non per imparare, ed è anche pacifico che non c’è nulla di riprovevole nel cercare e nell’offrire un onesto divertimento, anche nell’ambito delle attività della Chiesa. Ma il cinema, torniamo a ripetere, non è un divertimento qualsiasi; esso per sua natura è pericoloso psichicamente e culturalmente, specialmente se preso ed offerto senza i necessari temperamenti. Ora, se in alcune circostanze, in buona morale, può essere lecito permettere un male minore per evitarne uno maggiore, certo non è tra i compiti della Chiesa organizzare divertimenti che sistematicamente diminuiscano i valori umani dei suoi fedeli. Di qui il dovere dei gestori di eliminare i pericoli eliminabili e di neutralizzare quanto più è possibile gli altri.

Intanto, assecondando quanto l’autorità ecclesiastica da tempo viene inculcando, occorre fare il possibile per elevare il tono culturale e civile dei nostri cinema, che la scarsezza dei mezzi tende ad abbassare. Già la più parte di essi dal noleggio sono equiparati ai locali industriali di terza e quarta visione, perciò i film vi arrivano vecchi di cinque, dieci, quindici e passa anni, spesso ridotti in condizioni pietose per l’usura e i tagli subiti, tanto che a mala pena qualche volta i salti del montaggio e gli spezzoni del parlato riescono a far capire il nesso logico del loro racconto originario; se a ciò si aggiunge l’apparecchiatura di fortuna di molte cabine di proiezione e di molti schermi, l’approssimativa preparazione del personale tecnico e le condizioni precarie delle poltrone e dell’addobbo delle sale, non è da meravigliarsi che, mentre lo spettacolo, tecnicamente scadente, diseduca il pubblico, con un circolo vizioso, il genere di pubblico, per condotta civile e per esigenze culturali, tenda a far avvilire ulteriormente la fisonomia delle sale, con disdoro delle istituzioni ecclesiastiche e grave limitazione della loro opera educativa. È perciò indubbio che i sacrifici incontrati per ridurre il divario tra molte di esse e il livello medio delle sale industriali si risolveranno in meritevole apostolato12.

Ma se sarà giocoforza pazientare per gli inevitabili indugi che la scarsità delle nostre risorse imporrà al miglioramento tecnico delle nostre sale, crediamo che converrebbe insistere perché, secondo le direttive delle autorità ecclesiastiche, siano evitati gli inconvenienti di ordine morale cui un’attività non bene diretta potrebbe dar luogo, a cominciare, per esempio, dai manifesti dei film. Diffidiamo delle critiche sistematiche di nemici e di non benevoli a noi; ma, pur ignorando da quale animo siano state dettate, non possiamo non condividerne alcune mosse recentemente contro quanto, per il cinema, si osserva vicino alle porte delle nostre chiese o in locali ad esse attinenti13: sono titoli, e scritte, e nudità, e atteggiamenti le mille miglia lontani dai nostri principi e che di natura loro gridano collusione non tanto tra sacro e profano quanto tra sacro e immorale. Di peggio capita vedere sullo schermo nelle presentazioni degli imminenti programmi. Si sa con quali criteri i noleggiatori le preparano, non solo puntando sul paradossale più grossolano, ma, appena appena ne hanno gli elementi, contando sulla più volgare eccitabilità del pubblico, facendo largo uso di nudità, di situazioni moralmente dubbie, di situazioni piccanti e di vicende equivoche, tutt’altro che moralmente formativa per essi14.

Qualche volta anche i documentari hanno le loro sorprese, ed anche i film in programma, se la revisione ne è stata affidata a non competenti o a frettolosi. A questi ed altri inconvenienti un efficace rimedio potrebbero portarlo le commissioni diocesane di revisione e di distribuzione tanto dei film quanto del materiale pubblicitario, come l’esperienza ha provato nelle diocesi dove già esse funzionano con criteri di alta sensibilità culturale e morale (102-103). Ma accorgimenti e revisioni non possono ovviare a quello ben più grave dell’atmosfera areligiosa, amorale e pagana che, senza avvertirlo, nel cinema respirano anche i nostri clienti. Sì: la revisione ecclesiastica esclude i film fondamentalmente cattivi o pericolosi, ma il grosso che passa tra i film «per tutti» e «per adulti» ancora non è fondamentalmente né religioso né morale. Perdura a tutt’oggi la situazione denunciata nel 1937 dagli Atti salesiani: «Al momento attuale è difficilissimo combinare un trattenimento cinematografico che corrisponda interamente ai nostri principi»15.

«Molti film – conferma il Presidente della Pontificia Commissione per il Cinematografo – che vengono offerti al pubblico sono purtroppo moralmente negativi, nella migliore delle ipotesi presentano la vita in forma edonistica, trascurando i valori morali e religiosi» (102). «La propaganda per una vita terrestre senza Dio – precisa autoritativamente Pio XII – è aperta, seduttrice, continua. Con ragione si è osservato che generalmente, anche nei film indicati come moralmente irreprensibili, gli uomini vivono e muoiono come se non vi fosse né Dio, né redenzione, né Chiesa... Le conseguenze di queste rappresentazioni cinematografiche sono già estese e profonde»75.

In queste condizioni, un’ininterrotta offerta di spettacoli nelle nostre sale dati senza correttivi, come si potrebbe dire «strumento di edificazione e di elevazione»? Come ignorare il contrasto che spesso si crea tra quanto si predica sopra, dal pulpito, e quanto s’insegna, accanto, dallo schermo, o sotto, là dove il cinema si alloga nel sottochiesa? Sopra, Dio e l’anima sono dati per valori assoluti: sotto, sono del tutto ignorati; sopra, la preghiera è detta necessaria: sotto, caro e grazia se qualche volta è rappresentata come romantica coloritura; sopra, il peccato è condannato: sotto, è ignorato; sopra, l’amore è sublimato in un sacramento: sotto, è dissacrato; sopra, Gesù persuade: «Beati quelli che soffrono»: sotto, il cinema suade: «Evitate con qualunque mezzo il dolore, godete la vita!» e fa di tutto coi suoi happy ends regolamentari, perché gli uomini si sentano defraudati nel loro diritto e perseguitati dalla sfortuna alla prima sventura, o semplicemente se la loro vita trascorre monotona, senza le straordinarie avventure che variano l’esistenza dei divi sullo schermo...: con questa differenza, che quanto si dice sopra, sia perché contrasta la sua natura, sia perché punta più sulla persuasione interiore che sulla suggestionabilità del pubblico, stenta ad essere accettato, mentre quanto si grida sotto, assecondando la natura umana nel senso della minore resistenza, e contrabbandando l’insegnamento mediante il più emotivo e suggestivo dei linguaggi, trova il pubblico più ricettivo, fa presa immediata su di lui creandogli non tanto idee astratte, ma norme di vita, tanto più rapidamente e profondamente quanto maggiori sono l’omogeneità e la costanza dell’insegnamento impartito.

Né vale, a diminuire la portata di siffatta dissacrazione dei fedeli, osservare che gli stessi spettacoli li vedrebbero nei cinema industriali, perché proprio la circostanza che essi li vedono in quelli ecclesiastici fa sì che gli stessi diventino, se dati senza le dovute cautele, insegnamento moralmente e religiosamente controproducente. Infatti, lo spettatore non si attende dalle sale industriali lezioni di dottrina e di morale cristiana, sapendo benissimo che l’unico loro scopo è il lucro; ma dalle sale nostre egli è in dovere e in diritto di esigerle, e se non gli consta chiaramente il contrario, ha tutti i motivi per supporre che di fatto gli vengono impartite. Col fatto stesso che noi, senza nulla opporre e correggere, lo introduciamo e lo abituiamo in un certo mondo morale e religioso, noi lo autorizziamo a credere che quello è anche il nostro mondo, o che, almeno, non contrasta molto con gli ideali della nostra predicazione.

E allora, come inculcato dalle autorità ecclesiastiche, proprio ad interrompere l’omogeneità di quell’insegnamento amorale e areligioso, occorre che, nel cinema stesso, s’inserisca la voce del sacerdote a correggere storture, a mettere a punto problemi troppo semplificati e perciò falsati, ad accendere un anelito di vita interiore dove il godimento materiale ha il sopravvento indiscusso, a far notare l’arbitraria costruzione di una vita fittizia cui non corrisponde affatto quella reale, o almeno almeno, ed anche questo già sarebbe un apostolato, ad abituare il pubblico a vedere ed apprezzare, oltre alle crudezze della vicenda rappresentata, i valori estetici che ne purifichino la visione interiore; e non è escluso che in presenza di alcuni pubblici più preparati si possa arrivare addirittura a veri dibattiti cinematografici secondo i metodi dei cineforum, filmforum ecc., introducendo il film con notizie sulle sue caratteristiche tecniche, stilistiche e tematiche, e poi, a proiezione avvenuta; discutendone i pregi estetici e ideologici e precisando i punti di dottrina che il suo contenuto o il suo tema facesse affiorare16.

* * *

Omogeneità di pubblico, organizzazione degli spettacoli a orario fisso, preparazione tecnica, estetica e dialettica dei sacerdoti, prestazioni straordinarie da aggiungersi a quelle che già gravano sulla loro giornata apostolica... non ci sfuggono le difficoltà che tutto ciò comporta. Ma, a parte la certezza che molte di esse sono superabili, esperienze tentate brillantemente in Italia e fuori ci persuadono che questa presenza attiva del sacerdote è l’unica via, per ora, di rendere i cinema parrocchiali «scuola sussidiaria di predicazione pastorale». Anzi osiamo opinare che la sua efficacia potrà qualche volta superare quella di alcune forme tradizionali di predicazione e di catechesi, non foss’altro perché, mentre quelle, spesse volte, oggi possono radunare sì e no poche decine di ascoltatori, i cinema parrocchiali radunano masse, e mentre quelle spesso rispondono a problemi non sentiti da pubblici di scarsa fede, i cinema parrocchiali così “pastoralizzati” imposteranno i problemi e ne accenderanno nei fedeli il desiderio della soluzione, avviando inoltre il dialogo tra essi e il sacerdote, la mancanza del quale rende inefficiente tanto nostro monologare.

I marxisti, opponendo schermo a pulpito, nei paesi dove imperano hanno trasformato migliaia di chiese in cinema: a noi il dovere di difendere le nostre chiese, ed inoltre l’ambizione di mutare anche gli schermi in pulpiti, rendendo così i nostri cinema succursali delle nostre chiese.

1 Rivista del Cinematografo, 1932, n. 10, p. 247. La stessa rivista riporta il caso di una pubblicazione settimanale, cattolicissima e rispettabilissima, dalla cui redazione vennero respinti alcuni numeri con la seguente testuale motivazione: Perché si occupa di cinema (1937, n. 1, p. 27), nonché un «Abbasso il cinema in casa nostra» inalberato da G. M. in Controcorrente (ivi, n. 6, p. 125).

2 Nell’articolo comprendiamo sotto questa denominazione tutte le sale dipendenti dall’autorità ecclesiastica, per la più parte nelle parrocchie, ma anche in oratori, istituti di educazione, A.C.I., A.C.L.I., ed altre organizzazioni religiose.

3 Dati desunti dalla Rilevazione dei teatri e dei cinematografi esistenti in Italia al 30 gennaio 1953, Roma, S.I.A.E., s. a. (cfr Civ. Catt. 1956, II, 196).

4 I numeri in parentesi rimandano alle pagine del volume Le cinéma dans l’enseignement de l’Eglise, Città del Vaticano 1955, da noi recensito in Civ. Catt. 1956, I 329.

5 Cfr PADRE LOMBARDI, Pio XII per un mondo migliore, Roma 1954, n. 206.

6 Cfr Rivista del Cinematografo, 1951, 1, pp. 5-6.

7 Così, per esempio, inizia quello dell’11 febbraio 1956: «Premesso che le sale cinematografiche parrocchiali hanno finalità esclusivamente educative e morali, secondo quanto riconosciuto dalla Circolare della Presidenza del Consiglio dei ministri n. 9419-AG, del 23 maggio 1950, si conviene... Inoltre le sale devono recare nella denominazione la indicazione del carattere religioso educativo delle sale stesse (S.R.C.)...».

8 «Specie nel caso dell’affitto il locale è rimesso completamente nelle mani di speculatori che non badano troppo per il sottile, anche se, da un punto di vista formale, possono essere legati da qualche clausola contrattuale che li inviti al rispetto delle Segnalazioni del C.C.C. Normalmente, in questi casi, la sala cattolica perde le sue peculiari caratteristiche e diviene oggetto di malevoli critiche da parte degli stessi fedeli» (Notiziario A.C.E.C., Rivista del Cinematografo. 1953. n. 4. p. 29).
Diciamo imponeva e hanno ceduto perché gli accordi sopra ricordati tra l’A.N.E.C. e l’A.C.E.C., e le disposizioni dell’autorità ecclesiastica hanno, si può dire, quasi eliminato questi inconvenienti (cfr nota 10).

9 Cfr Rivista del Cinematografo, 1951, n. 1, pp. 3-6; 1950, n. 1, p. 3; n. 7, p. 3. Anche la Sacra Congregazione dei Religiosi ha rilevato: «Però non mancano inconvenienti, provenienti specialmente dalle grandi difficoltà che incontrano i loro gestori per la rarità dei film moralmente sani... Difficoltà che evidentemente non possono mai giustificare la proiezione di film che non fossero di una moralità assoluta» (96-97).

10 «5) Le sale cinematografiche parrocchiali possono programmare esclusivamente i film ammessi dalla organizzazione a ciò preposta dalle competenti autorità ecclesiastiche. Pertanto i film dichiarati esclusi, sconsigliabili, o per adulti con riserva, dalla Commissione nazionale per la classificazione dei film presso il C.C.C. non potranno in nessun modo essere proiettati nelle sale parrocchiali, mentre le pellicole giudicate per adulti potranno essere proiettate soltanto se approvate dalla commissione suddetta, in quelle sale che ne otterranno l’esplicito consenso dalle competenti autorità ecclesiastiche».

11 Per esempio: il Lussemburgo (legge del 1920: sotto i 18 anni), Svizzera (1912), Norvegia (1913: 16 anni), Grecia (1926: 10 anni). Bulgaria (1930: 18 anni), Lituania (17 anni), Lettonia (16 anni), Estonia (16 anni), Equador (1927: 14 anni), Nicaragua (1927: 13 anni), Perù (1925: 16 anni), Australia (16 anni). cfr Inchiesta sulla cinematografia per ragazzi, Roma 1952, pp. 11 ss.

12 Grazie a Dio, in molte parrocchie questi desiderata sono fatti compiuti; specialmente nell’alta Italia un gran numero di cinema ecclesiastici, la maggioranza forse, nulla ha da invidiare alle normali sale pubbliche.

13 Cfr Il contemporaneo, 1955, n. 31, p. 12; Candido, 1955.

14 Sui criteri seguiti dalle presentazioni cfr G. COLONNA, Personaggi e interpreti, Roma 1955, pp. 64 ss.

15 Rivista del Cinematografo, 1937, pp. 125-127.

16 «Bisogna aggiungere positivamente la nostra opera per far sì che il film da noi proiettato riesca, come auspicava Pio XI, “morale, moralizzatore, educatore” ... L’amore per Dio e per il prossimo farà sì che il nostro cinema sia coerente con il nostro carattere e con la nostra missione. Soprattutto preti: preti all’altare, preti in confessionale, preti in società, preti con i giovani, preti con tutti... Preti anche davanti allo schermo...»: così il sacerdote Secondo MANIONE, in Cinema educativo (Torino, Centro salesiano educativo, vol. III, 1955, p. 4).

In argomento

Magistero

n. 3195-3196, vol. III (1983), pp. 209-222
n. 3188, vol. II (1983), pp. 154-161
n. 3141, vol. II (1981), pp. 222-237
n. 2990, vol. I (1975), pp. 144-157
n. 2983, vol. IV (1974), pp. 36-48
n. 2979-2980, vol. III (1974), pp. 242-247
n. 2950, vol. II (1973), pp. 347-358
n. 2951, vol. II (1973), pp. 425-438
n. 2952, vol. II (1973), pp. 547-559
n. 2911, vol. IV (1971), pp. 39-48
n. 2913, vol. IV (1971), pp. 235-253
n. 2882, vol. III (1970), pp. 154-160
n. 2859-2860, vol. III (1969), pp. 219-230
n. 2847, vol. I (1969), pp. 250-253
n. 2787-2788, vol. III (1966), pp. 314-315
n. 2702-2704, vol. I (1963), pp. 105-118, 313-325
n. 2636, vol. II (1960), pp. 124-39
n. 2612, vol. II (1959), pp. 113-124
n. 2605, vol. I (1959), pp. 66-69
n. 2555, vol. IV (1956), pp. 521-532
n. 2532, vol. IV (1955), pp. 601-609