NOTE
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1 Emanato il 29 agosto. Eccone, in sintesi, il testo: “Il Centro Cattolico Cinematografico [...] si vede costretto ad esprimere una ferma protesta per la presentazione del film I diavoli, di Ken Russell. Tale presentazione non trova nessuna giustificazione negli intenti culturali della Mostra. Il film, infatti, è una volgare mistificazione sul piano culturale, una distorsione faziosa sul piano ideologico e storico e un vero e proprio tradimento nei confronti del testo huxleyano al quale si ispira. Il delirio erotico-sessuale-sacrilego delle sue immagini supera ogni precedente nella storia del cinema ed è purtroppo aggravato dall’istrionico mestiere dell’autore. La protesta del Centro Cattolico Cinematografico è motivata [...] anche dal fatto, ancor più grave, che già nell’ambito della Mostra esso sia stato strumentalizzato a fini bassamente commerciali, mediante la doppia proiezione al Palazzo del cinema, con spettatori paganti. Il grave episodio potrebbe compromettere, già da questo momento, il giudizio generale della gestione della 32.ma Mostra.
“Non si capisce perché, infatti, nella già deprecabile alchimia politica per l’assegnazione dei posti nel cinema italiano, si debba attribuire ai cattolici la responsabilità di un posto occupato da chi, pur fregiandosi della etichetta di cristianesimo, dimostra nei fatti, proprio nell’esercizio di quella responsabilità che gli viene attribuita come cattolico, di non avere nessun codice di riferimento a quei valori che sostiene di rappresentare”.
“A suo tempo il Centro Cattolico Cinematografico esprimerà un giudizio globale e motivato anche sugli altri aspetti di questa Mostra [...]
– Questo giudizio globale è uscito, poi, sulla Rivista del cinematografo (1971), nn. 8-9, pp. 386 ss.: “rivista che, pur non essendo organo ufficiale del CCC, ne riflette senza dubbio lo spirito, ed è diretta e redatta da responsabili del CCC” (ivi).
Lo stesso CCC, assegnando al film la classifica morale “IV” (Segnalazioni Cinematografiche Quotidiane, n. 142, 16 sett. 1971), ne ha dato questo giudizio: “Il film, che si presenta come una ricostruzione pressoché fedele di fatti accertati, si ispira ad una fortemente romanzata fonte letteraria più che ad un lucido e freddo testo storico, e si sviluppa esclusivamente in funzione di superficiali elementi spettacolari, tentando di suggerire vaghe analogie e significati moderni. La positiva condanna del fanatismo, della superstizione e soprattutto dell’abuso della religione per scopi politici, viene quindi sommersa da scene di turgida sessualità e violenza, e da una particolare insistenza su nauseabondi elementi di orgiastico delirio, che la fantasia barocca dell’autore, la corposa prestazione degli interpreti e l’intonazione, a tratti grottesca, non tendono che ad aggravare. Incapace di un pacato giudizio sugli avvenimenti, il regista non è riuscito a sublimare la materia [...]. Purtroppo, invece, risaltano nella gratuita esteriorità del racconto: l’abbondanza delle sequenze morbose, violente e prive di alcun pudore; l’insistenza su particolari di gusto satanico e gravemente dissacratori; una presuntuosa e torbida rievocazione di problematiche religiose complesse e delicate; una confusa ed ingiusta tendenza a generalizzare colpe ed errori di personaggi ecclesiastici. Emergono, quindi, nel complesso un tono fazioso ed una ricerca scandalistica, che si risolvono in una sistematica denigrazione di valori religiosi, che rendono il lavoro del tutto inaccettabile”.

2 Indirizzata ai fedeli della Diocesi, porta data del 1º settembre. Eccone alcuni stralci: "...Succede che tra altri film moralmente criticabili della Mostra ce ne sia uno che si è spinto ad eccessi sinora mai visti. Lo affermano informatori pur benevoli verso l’attuale gestione della Mostra. Lo scrivono giornalisti di estrazione non cattolica, e per nulla puritani. ’È l’osceno – dicono –: ma in grado superlativo, ma unito all’orrore orripilante, e mescolato in misura incredibilmente sacrilega al sacro! ’[...]. La circostanza che lo scandalo parta da Venezia mi obbliga, mio malgrado, a deplorare questa inaspettata offesa alla moralità, alla religione, alla verità storica. Neanche a me piacciono le Cassandre, che vedono peccato dappertutto. Ma, mentre mezzo mondo trepida i bronzei cavalli di Venezia minacciati dall’aria inquinata, sarà proibito al Patriarca di dire il suo dolore per quest’altro inquinamento, che insidia le anime redente dal Signore? Non sono per le ’crociate’. Se però alla Mostra il peccato osa tanto e fa, lui, una ’crociata’ a rovescio, mi sia almeno consentito raccogliere la voce di moltissimi che, addolorati e sbigottiti, dicono: ’questa volta si è veramente andati troppo in là’” [...]. Uomini di Chiesa talora sbagliano: ammetterlo narrarlo e deplorarlo è lecito, in certi casi fin doveroso. Inventare però colpe non esistite di ecclesiastici e di monache, mescolarle a quelle esistite, condirle di pepe sadicamente erotico e di problematica oggi sentitissima ma del tutto estranea al contesto storico in cui i supposti fatti sarebbero accaduti, fare del tutto un’unica indiscriminata offa da gettare in pasto al pubblico, è mistificazione e cagliostrismo artistico, che può recare enorme danno alle anime...”.

3 Ecco quello del Comitato Italiano di Lavoro, che aveva selezionato i film presentati alla 32.ma Mostra, composto da A. Blasetti, T. Chiaretti, V. De Sica, F. Fellini, T. Guerrini, P. Valmarana, G. Vigorelli, L. Visconti, Fr. Zeffirelli, V. Zurlini: “La responsabilità che abbiamo assunto nell’accettare di lavorare accanto a G.L. Rondi [...] ci ha spinto finora a non partecipare alle polemiche [...], ed avremmo taciuto anche sull’attacco rivolto alla Mostra e a G.L. Rondi per quel che riguarda la scelta e la presentazione del film I diavoli, di Ken Russell, da parte del Centro Cattolico Cinematografico. Poiché tuttavia il giudizio su di un film si è allargato a giudizi sulla nomina del Vicecommissario della Mostra, e su presunti doveri che egli avrebbe, esercitando tale funzione, verso l’autorità ecclesiastica, sentiamo nostro dovere e diritto precisare quanto segue: La 32.ma Mostra di Venezia non può avere e non ha alcuna investitura, né ancor meno etichetta, di confessionalità. La Mostra di Venezia è una manifestazione culturale dello Stato italiano, e non a caso al Comitato che ha assistito Rondi nel suo lavoro appartengono persone di diverso orientamento ideologico e politico, che mai avrebbero accettato delle ipoteche di carattere confessionale”.
“Nel caso in questione riguardante I diavoli dobbiamo ribadire che il Comitato ribadì la sua scelta all’unanimità, e con senso di responsabilità. Rinnoviamo perciò la nostra fiducia nella linea culturale di questa 32.ma Mostra, soprattutto di fronte ad un attacco che, pur venendo da un’organizzazione cattolica che altre volte si è distinta per la sua contradditorietà, si colloca accanto ad altre manifestazioni polemiche di intolleranza, che sembrano prescindere da ogni valutazione culturale, per assecondare pretestuosi disegni politici”.
“Sentiamo anche il dovere di rivolgerci alle forze del cinema italiano per segnalare questo episodio di intolleranza e di arbitrario intervento censorio, che sembra superare di gran lunga analoghi episodi, che in altri anni – anche nella sede veneziana – suscitarono uno sdegno ed una solidarietà, che si vorrebbero vedere operanti anche in questo caso, che non è certo elemento marginale dell’azione degli autori in difesa della loro libertà”.
Da questo Comunicato desolidarizzava il critico cattolico Paolo Valmarana dichiarando: “Non ho sottoscritto la dichiarazione dei miei colleghi perché, in quanto cattolico, non posso certo respingere un documento dell’autorità ecclesiastica, in particolare per quanto riguarda il giudizio morale su di un film. Desidero però cogliere l’occasione per riaffermare la mia solidarietà con le scelte globali della 32.ma Mostra”.
A sua volta, il 2 settembre, il direttivo del Sindacato Nazionale Giornalisti cinematografici emetteva un comunicato per dichiarare “di essere totalmente solidale con i firmatari del Comitato di Lavoro [...], sottolineando che la Mostra d’arte cinematografica di Venezia è una manifestazione culturale esclusivamente dello Stato italiano e non soggetta a compromessi di sorta con autorità di altri Stati e con ecclesiastici che non esprimono che la loro personale opinione”.

4 Cfr Civ. Catt. 1960 III 602-627; IV 159-176.

5 Teniamo presenti, tra gli altri, gli scritti di Y. BABY (Le Monde, 31 ag.), P. BIANUCCI (ll nostro tempo, 26 sett.), G.B. CAVALLARO (La Rocca, 1º ott.) J. DE BARONCELLI (Le Monde, 28 ott.), M. DE CERTEAU (Le Monde, 28 ott.), G. D JANNI (Politica, 10 ott.), G. FERRIERI (L’Europeo, 21 ott.), R. FILIZZOLA (Il nostro tempo, 12 sett.), G. GIZZI (Il nostro tempo, 26 sett.), G. GRAZZINI (Corriere della sera, 28 ag.), T. GUERRINI (Umanità 3-4 sett.), E. MAGRÌ (intervista in L’Europeo, 21 ott.), Fr. MALLET-JORIS (Le Monde, 28 ott.), D. MECCOLI (Epoca, 12 sett.), A. NARDUCCI (L’Avvenire, 3 sett.), G. PACCHIANO (Settimana del clero, 31 ott.), L. PESTELLI (La Stampa, 26 ag.), A. PLEBE (La Fiera letteraria, 5 sett.), G. RABONI (L ’Avvenire, 29 ag. e 4 sett.), G.L. RONDI (intervista in Il nostro tempo, 12 sett.), K. RUSSELL (intervista in L’Europeo, 21 sett.), A. SANTINI (L’Europeo, 21 sett.), C. SORGI (intervista in L’Europeo, 21 sett.), U. SPIRITO (Il Tempo, I sett.), B. STEWART (The Month, ott.), L. TORNABUONI (La Stampa, 31 ag.), S. TRASATTI (L’Osservatore Romano, 31 ag.),C. TRABUCCO (ll nostro tempo, 1º nov.), V. VOLMANE (Journal de Genève, 18 sett.), S. ZAMBETTI (Cineforum, nn. 105-106, e Settegiorni, 12 e 26 sett.).

6 Ecco due significative reazioni “laiche”. V. VOLMANE: "Avec Ken Russel nous sommes en plein délire érotique, scatologique, orgiaque, pathologique pour tout dire [...]. Il est certain que le film connaîtra le succès qui s’attache toujours au scandole”. G. GRAZZINI: " ...un terribile impasto di sacrilegio e di oscenità, di orrori e di perfidie [...]. Mai il cinema aveva raggiunto [...] una tale violenza nell’ordine della polemica contro la Chiesa; mai le infamie della caccia alle streghe erano state rievocate con tanta voluttà di sadismo; mai la nostra civiltà permissiva aveva condotto in un film per le grandi platee una tale profanazione dei simboli sacri. Caso raro: perfino il cronista si troverebbe in imbarazzo se dovesse scendere in particolari, e diffondersi sul tipo di torture cui sono sottoposte [...] le orsoline [...] possedute dai preti per essersi spossessate dai demoni: il rinvio più pertinente sarebbe a certe riviste pornografiche che alimentano le più sconce fantasie mescolando il diavolo all’acqua santa [...]. Il film desta nel pubblico adulto e laico un disagio, che non proviene tanto dall’abiezione e dalla turpitudine, quanto dal vedere il ribrezzo oggetto di commercio”.

7 Cfr E. BARAGLI, Cinema cattolico, Roma 1965, nn. 316, 338, 356; Decr. Con. Inter mirifica, n. 21; lstruz. past. Communio et progressio, nn. 165 ss. – E non può dirsi lo stesso per l’OClC: istituzione che dipende, sì, dalla Santa Sede (Inter mirifica. n. 22; Communio et progressio, n. 179), ma non opera su “mandati” specifici della gerarchia.

8 Merita un monumento la Lettera aperta al Patriarca di Venezia di T. Guerrini, “nella veste di laico, ma al tempo stesso di credente” (non si sa in chi e in che cosa]: “contributo all’accezione e alla comprensione di un cristianesimo puro e libero da pregiudizi di ogni genere”. Nel chiuderla, un tanto cólto ed acuto A. “si rende conto di aver detto molto poco”, ma non di ignorare che le risposte a tutte le sue elementari obiezioni sono arcicontenute – e perciò, presumibilmente, arcinote al Presule – nei documenti del Magistero cattolico, di cui egli, ovviamente, da credente-laico qual è, ignora beatamente l’esistenza.

9 Ken Russell, nato nel 1928, già marinaio, ballerino, coreografo, fotografo per rotocalchi e cineamatore, da dieci anni direttore dei programmi, specialmente musicali, della BBC, è nel cinema dal 1963. Suoi sono Women in love (Donne in amore, del 1969), a tutt’oggi sequestrato in Italia (condannato in prima istanza, assolto in appello, attende in Cassazione); e The music lovers, del 1971, su Piotr Ciajkowski. In questi due film è stata rilevata, insieme appunto con la padronanza del mezzo cinematografico, la sua tendenza al barocco e all’iperbole stilistica, nonché alle orge e perversioni sessuali, esasperate in I diavoli.
Per A(rmando) P(lebe), invece, l’artisticità del film è fuori discussione, tanto da “superare assai spesso i precedenti di Buñuel e di [un certo, non meglio individuato] Aalroic”. Una certezza così apodittica lo porta a declamare questa stizzosa tirata politica: “La sinistra cattolica è oggi pronta ad ogni compromesso, ad ogni apertura, pur di procedere di corsa, dando la mano ai sindacalcomunisti verso gli equilibri e, soprattutto, gli squilibri più avanzati possibili. Al fine dell’intesa coi comunisti, con gli anarchici, coi contestatori, la sinistra cattolica è disposta a dissacrare la sua liturgia [?!], a rinunciare a principi morali e teologici che avevano duemila anni di vita [?!], a sfasciare la sua organizzazione. Lo vuole la politica! Ma non appena, invece, si tratti delle ragioni dell’arte, che non giovano né agli avanzati equilibri politici, né alle fanfare contestarie, eccoci ripiombare in un puritanesimo intransigente e giudiziario. Certo, se il regista Russell avesse avuto l’astuzia di far pronunciare a una delle sue suore un discorso sulla futura tolleranza ecumenica (sessuale e non sessuale) delle correnti progressiste della Chiesa 1970, il suo film avrebbe incontrato molta più indulgenza!”. – No comment!

10 Primo lo stesso attore OLIVER REED, che nel film ha interpretato la parte del disgraziato Grandier. In una conferenza stampa egli ha riconosciuto: “Il guaio è che Russell è un maiale. Se il film è duro, atroce. di cattivo gusto, dipende dal fatto che l’ha pensato lui. Però è un maiale di grande talento; un fanciullo arrogante e sicuramente maleducato, e bisogna lasciarlo fare”. Lo segue a ruota G. DI JANNI scrivendo: “Le sequenze relative a quest’orgia sfrenata [...] rappresentano un potente affresco tragico [...]. Che poi in queste figurazioni pittoriche, superbe ed inquietanti insieme, si evidenzi troppo spesso l’eccessivo gusto sadico e compiaciuto del regista, tutto questo rientra nella sua personalità. Che è da accettare o respingere in blocco”.
È bene sapere che, a quanto ha riferito la stampa, ci furono proteste dei sindacati perché la lavorazione del film degenerò in orgia, tanto che alcune attrici, che interpretavano la parte delle suore invasate o isteriche, furono assalite dalle comparse e violentate sul set.

11 È ciò che sembra ignorare D. MECCOLI scrivendo: “L’intervento del CCC ha tradito il sottofondo politico della questione, poiché conteneva [...] la trasparente affermazione del principio che, chi dirige la Mostra deve essere un uomo di parte: se è un cattolico, deve dirigerla da cattolico”. Opportunamente, invece, ribatteva L’Osservatore Romano: “La protesta per il film di Russell era da fare, qualunque fosse la direzione della Mostra e di qualunque ideologia e tendenza ne fossero i responsabili”.
In proposito, sempre sotto l’aspetto della confusione e degli equivoci, riferiamo quanto il Vicecommissario avrebbe dichiarato (Il nostro tempo, 12 sett.): “Come cattolico, e con me i cattolici che erano nella commissione, non potevo non deplorare questo film che, ovviamente, è contro i miei principi; ma, come commissione di selezione di una mostra che intendeva, anche al di fuori dei contenuti, proporre opere che potevano avere un interesse dal punto di vista estetico, noi non potevamo porre un veto, anche se ciò metteva in crisi le nostre coscienze [...]. L’ultima parola in campo cattolico sull’argomento comunque è stata autorevolissimamente detta dall’OCIC, a cui fa capo anche il CCC, che per primo ha cominciato la polemica. Tale organizzazione ha emesso un comunicato in cui [...] riconosce tutti i valori e tutti gli sforzi di questa rassegna [...] facendo così sentire che la Mostra non era mal giudicata, [...] e debbo dire che di questo comunicato, di così alta autorità cattolica, mi sento pago. La mia coscienza di cattolico era già tranquilla, ma questo comunicato, anche dal punto di vista pubblico, me la tranquillizza definitivamente”.
Al che qualcuno potrebbe ribattere: 1) che alle obiezioni di coscienza, altri, cattolici e non cattolici, rispondono diversamente; 2) che l’OCIC non è autorizzato ad emettere “ultime parole” in campo cattolico, dato che nel campo cattolico non è un’autorità, né alta né bassa; 3) che, in ogni caso, è inesatto che ad esso faccia capo il CCC; il quale, viceversa, fa capo all’episcopato italiano; 4) che l’OCIC non “riconosce i valori” della rassegna, ma si limita ad auspicare che essa “potrà avere nel futuro una risonanza degna della sua tradizione”; 5) e che, soprattutto a proposito de I diavoli, nota espressamente: “I film della selezione cercano talvolta la liberazione da tutti i tabù, secondo un fenomeno di livellamento di tutte le culture, con un semplicismo che sembra credere che l’uomo non sia vulnerabile allo choc provocato dall’immagine. Gli eccessi dell’erotismo non sono che un esempio di questo pericolo, che diviene ancora più grave quando si pone sul piano delle idee, delle istituzioni o dei valori permanenti, attraverso i quali, anche strumentalizzando la storia, si manca di rispetto alla persona umana e la si offende”.

12 Tra gli altri S. ZAMBETTI, che qualifica l’attuale Vicecommissario quale già “alfiere della linea che ora si ritorce contro di lui”; G. GRAZZINI, che partendo dalla “cattolicità” dello stesso, parla di “trasformismo ideologico e morale, che si inserisce perfettamente nella tradizione italiana”; e l’anonimo dell’Unità, che commenta: “In cinque anni, R. si è dunque convertito, da confidente e sostenitore, a nemico (per metà) e quasi vittima della censura? I giornali, nella loro maggioranza, pongono piuttosto l’accento sul disinvolto trasformismo del ’pupillo di Colombo e Matteotti’: ’L’uso de I diavoli e di altri film difficili – ha annotato Il giorno – non sembra tanto un sentito e sofferto omaggio alle necessità dell’arte da parte del Vicecommissario G.L.R., quanto un allegro atto di zuccheroso cinismo al servizio di ambizioni e carriere’”.

13 Scrivendo su L’Europeo, il Ferrieri dà altre prove di essere all’altezza culturale teologico-storica di tanto rotocalco. Sotto il perentorio titolo La verità storica, egli ci informa, per esempio, che il Grandier “venne arrestato sulla soglia della sua chiesa con i paramenti religiosi [?!]”; che la superiora suor Jeanne “raccolse in confessione dalle educande del convento troppi sospiri e sogni sensuali”; che Grandier “aveva peccato con le donne e tradito molta parte dei compiti a lui affidati dal Signore [?!], ma che non aveva mai tradito il Signore”; che “il padre Lattanzio cacciò tizzoni ardenti in bocca al Grandier”; che sono modernissime certe singolari analogie tra la vicenda di Loudun e casi come quelli di Oregina e dell’Isolotto [?!]’’; infine – e qui segnaliamo la cosa ai Ministeri della Difesa e di Grazia e Giustizia – che “nelle caserme e nelle carceri c’è grande disponibilità alle manifestazioni di fenomeni isterici [?!] imitativi e intesi come meccanismo deliberatamente antimorale”.
Ma ecco la prova maggiore della sua scienza storica. L’Huxley, in nota ad una delle prime pagine, dalla acritica e settaria History of sacerdotal celibacy di Henry C. Lea, riporta una peregrina informazione – che si riferisce, si noti, all’anno 1560 – circa il "cullagium”, ignorata, si può dire, dagli autori di storia ecclesiastica. Il Ferrieri la legge, e ipso facto e in grado di insegnare ex cathedra: “Erano appena finiti i tempi in cui ogni prelato [sic] aveva pubblicamente la sua amante, e ancora [resic!] gli alti ministri del culto raccoglievano da ciascuno dei propri preti il cullagium, cioè il prezzo per il diritto di mantenere un rapporto adultero, che andava pagato in ogni caso, anche da quei preti che non desideravano mantenere concubine”.

14 Al secolo: Jeanne de Belciel, figlia di Louis Belciel, barone di Coze. Nata nel 1602, era quasi nana e leggermente deforme, probabilmente a causa di una tubercolosi ossea. Anche perché isterica, non era davvero fatta per la vita religiosa; tanto meno per la carica di superiora.

15 Tra i principali titoli, ricordiamo prima di tutto quelli di autori che erano testimoni diretti dei fatti, o hanno trattato con essi (I titoli nati con asterisco risultano consultati dall’Huxley). – Interrogatoire du Maître Urbain Grandier, Paris 1634. – Factum pour Maître Urbain Grandier, Paris 1634. – Extrait du Régistre de la Commission ordonnée par le Roi, pour le Jugement du procès criminal à l’encontre de M. Urbain Grandier et ses complices, Poitiers 1634 (riportato in parte dal DE LA MENAR DAYE, pp. 320 ss.). – * Relation du père TRANQUILLE, 1634 (era uno degli esorcisti. Ripubblicata in Archives curieuses de l’histoire del France, vol. II, 1838). – * THOMAS KILLIGREW, Lettera (pubblicata in European Magazine, febb. 1803). – * NION The History of the devils oj Loudun, Poitiers 1634. – * PILLET DE LA MESNARDIERE (medico del Card. Richelieu), Démonomanie de Loudun, s.d. – * AUBIN, Histoire des diables de Loudun, Amsterdam 1693; Cruels effects de la vengeance du Card. Richelieu, Amsterdam 1716; Histoire d’Urbain Grandier, ivi 1735. – * J.-J. SURIN, Science expérimentale, Avignon 1828 (ma, forse, riportato manoscritto del DE LA MEN ARDAYE, pp. 341 ss.). L’A., esorcista a Loudun, durante e dopo il tempo del Grandier, vi riferisce le sue esperienze. – * Card. DE RICHELIEU, Mémoires, Paris 1823, t. VIII.
Seguono poi: * P. BAYLE, alla voce Grandier, nel Dictionnaire historique et critique, Rotterdam 1695-’97 (con ampie citazioni di autori precedenti). – * GAYOT DE PIVITAL, Causes célèbres et intéressantes..., vol. II, Paris 1738. – * M. DE LA MENARDAYE, Examen et discussion critique de l’histoire des diables de Loudun, Paris 1747. In dieci dialoghi (Entretiens) tra uno zio Filatele (=amante della verità) e un nepote Neocrito (=nuovo alla critica), l’A., convinto assertore della magia e delle ossessioni, cerca di demolire l’Histoire ... dell’AUBIN, ed anche la critica delle Causes célèbres... (pp. 354 ss.); infine dà una sua versione faziosa (Abrégé historique...) dei fatti. L’opera è ragguardevole per le notizie che offre circa i manoscritti e gli stampati consultati, sistematicamente distinti dall’A. in “cattolici” e “caIvinisti”. – * J. MICHELET, in La sorcière, Paris 1862. – BLANC, Précis d’histoire sur les possédées de Loudun, Poitiers 1877. – * G. LEGUE, Documents pour servir à l’histoire médicale des possédées de Loudun, Paris 1876; Urbain Grandier et les possédées de Loudun, Paris 1880. – * L. FIGUIER, Storia del meraviglioso, Genova 1882. – * SOEUR JEANNE DES ANGES, Autobiographied’une historique possédée (è del 1644, ma pubblicata a Parigi soltanto nel 1886). – J. IWASZKÈVICZ, Matka Joanna od Aniolov, 1943. Tradotto in francese nel 1949, venne lanciato dall’omonimo film di J. Kawalerovicz (cfr Civ. Catt. 1965 II 21-34). – * ALDOUS HUXLEY, The devils of Loudun, Londra I952. Noi qui ne seguiamo la traduzione francese: Les diables de Loudun, Paris 1953. – M. DE CERTEAU, La possession de Loudun, Paris 1970.

16 Si ricordi che l’Huxley, una decina di anni prima, aveva trattato lo stesso periodo storico in L’eminenza grigia (1941).

17 L’Huxley in ciò non era un pioniere. L’avevano preceduto, tra gli altri, S. TCHAKOTINE, con Le viol des foules par la propagande politique, Paris 1939; P. REIWALD, De l’esprit des masses, Neuchâtel 1949; A. CASTIGLIONI, Incantation et magie, Paris 1951.

18 Il DE CERTEAU, come s’è detto, è autore della raccolta di documenti La possession de Loudun (Paris, 1970), che, secondo Études (febbr. 1971, 306), rappresenterebbe l’ultima parola in argomento. Un giudizio meno entusiasta in J.R. ARMOGATHE, in Revue d’ascétique et de mystique, 1971/3, 357 ss.
Ma la critica giornalistica e rotocalchica non diffida. Per Y. BABY, il Grandier resta “un eroe politico, il difensore del popolo”; Per G.B. CAVALLARO, il martire “chiedeva una religione più vicina all’uomo [...] e soprattutto che la religione non facesse da strumento al potere”; per S. ZAMBETTI non si discute che “i vaneggiamenti erotici delle suore intorno alla figura di Grandier identificato con quella di Cristo” facciano parte della “vicenda storica, troppo nota ormai per richiedere più di un breve cenno” (vicenda, oltretutto, attuale, perché denuncia attuali repressioni ideologiche anche della Chiesa); per D. MECCOLI “Grandier era soprattutto uno strenuo assertore della tolleranza religiosa e delle libertà civili”; sommo tra tutti, U. SPIRITO, scrive: "È un film che porta per la prima volta alla coscienza delle masse gli abissi raggiunti dalla Chiesa cattolica e dal potere politico cattolico del secolo XVII. Era bene farlo o bisognava evitarlo? All’interrogativo non si può rispondere che con il consenso più esplicito. Il valore artistico è fuori discussione, perché potrebbe soltanto rafforzare il fine da conseguire. Ciò che importa è la capacità della Chiesa di confessare se stessa e la propria storia, sul filo di un’opera dovuta alla visione e alla sensibilità di Aldous Huxley”.

19 Cfr Una storia, una novella, un dramma e un film (Civ. Catt. 1961 IV 383 ss).

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Articolo estratto dal volume IV del 1971 pubblicato su Google Libri.

Il testo è stato corretto dai refusi di stampa e formattato in modo uniforme con gli altri documenti dell’archivio.

I riferimenti ai documenti del magistero pontificio sono stati resi interattivi e portano al sito del progetto “Chiesa e Comunicazione”, la biblioteca digitale online che prosegue l’attività iniziata da p. Baragli con le opere Cinema cattolico: documenti della Santa Sede sul cinema e Comunicazione Comunione e Chiesa.

ARTICOLO SU

Più che ai festival, poniamo, di Cannes o di Berlino, nella Mostra d’arte cinematografica di Venezia dovrebbe “far notizia” il film artistico. Ma pare che non siano di questo avviso molti dei giornalisti che vi accorrono; attenti, invece, allo “scandalo”, preferibilmente erotico. Eternarono, infatti, l’edizione del 1934, strombazzando sulla nudità della Kiessler in Extase, di G. Machaty; qualificarono quella del ’58, insistendo sulle evasioni erotiche di Les amants, di L. Malie; e celebrarono quella del ’66, postillando i giuochi scabrosi di Nattlek, della Zetterling.

Nell’edizione 1971 non sono stati da meno. Esaurite le beghe intorno alla nomina del Vice-commissario, il 28 agosto hanno dato fiato alle trombe con lo “scandalo” di The Devils (I diavoli), di Ken Russell, ed hanno rinforzato il concerto dopo la Denuncia dello stesso film da parte del Centro Cattolico Cinematografico1, dopo la successiva Lettera del Patriarca di Venezia2, e dopo lo strascico dei Comunicati, ufficiali o ufficiosi, di enti e personaggi più o meno illustri3.

In questa sede –, come già per lo “scandalo” del felliniano La dolce vita4, così per questa russelliana sagra degli orrori –, ci siamo di proposito astenuti dall’entrare in polemica, sì da non concorrere al suo gratuito battage pubblicitario, già troppo promosso, dopo il chiasso di Venezia, dai grotteschi sequestri e dissequestri di Verona, di Ancona e di Milano. Se adesso, poi, interveniamo, non è per discutere un film che – rozzo gridato e triviale qual è – non meritava né merita, su piano culturale ed estetico, che scarsissima attenzione; bensì per rilevare, dal molto che se n’è detto e scritto5, l’indigenza, le contraddizioni e le pastette di molta nostra cosiddetta cultura cinematografica. Di proposito perciò ci asteniamo dall’analizzarne i pregi tecnico-formali, sia rispetto agli altri film del Russell, sia nelle sue più o meno felici dipendenze da altri registi: unicamente attenti alla polemica che l’ha lanciato e l’ha seguito, non priva di utili indicazioni metodologiche.

La bella confusione

A prescindere, per il momento, dal valore oggettivo del film, già spiace la maniera in cui la polemica è cominciata e si è svolta.

Dato, intanto, che a denunciare tempestivamente l’insolenza triviale e dissacratoria de I diavoli furono critici ed organi laici e laicissimi6, c’era da attendersi che lo facessero anche critici ed organi cattolici, e magari ecclesiastici. Resta, tuttavia, discutibile l’opportunità della protesta stilata dal Centro Cattolico Cinematografico (CCC). Questo, infatti, se da una parte, non é un “ufficio del Vaticano”, bensì un ente culturale, operante nell’ambito delle leggi dello Stato italiano, ai cui membri perciò compete lo stesso diritto di opinione e di parola che agli altri personaggi ed enti del mondo cinematografico italiano; è anche vero che, quale “Ufficio nazionale”, oggetto di disposizioni della Santa Sede e conciliari, è pure una istituzione ecclesiastica, operante alle dipendenze della gerarchia, ed anzi, almeno per alcune funzioni – ad esempio: quella riguardante le qualifiche morali dei film –, è organo tecnico della stessa7. Perciò non è meraviglia se, mancando precisazioni in contrario, agli interventi del CCC venga attribuito un carattere almeno di ufficiosità, specialmente da parte di una stampa che, o per partito preso, o semplicemente per “far notizia”, già tende a coinvolgere “la Chiesa” in initiative e campi che “della Chiesa” non sono, e quindi a denunciare gli indebiti sconfinamenti della “gerarchia clericale”.

Puntualmente questo è avvenuto con la Denuncia veneziana del CCC. Non occorreva essere anticlericali per ipotizzare tempi e modi diversi di “non tacere”, quando “tacere di fronte a certi fatti sarebbe stato tatticismo, disdicevole alle finalità religiose e pastorali che competono al CCC”; ma anche per chiedersi se competesse proprio allo stesso CCC esprimere giudizi ufficiali o ufficiosi “sulla gestione commissariale della 32.ma Mostra”, e verificare “la coerenza nei fatti” nello stesso Commissario, partendo dalla “deprecabile alchimia politica”, secondo la quale gli sarebbe stata attribuita “la responsabilità di quel posto”, non si comprende bene se “perché cattolico” oppure perché “fregiatosi dalla etichetta [politica?] di cristianesimo”.

Partita male, la polemica è continuata nella confusione. Da parte di alcuni critici cattolici invano si sono attesi “giudizi nei quali – come auspica l’Inter mirifica (n. 15) – l’aspetto morale abbia il rilievo che ad esso conviene”. C’è stato, invece, chi ha colto l’occasione per portare avanti una sua diuturna personale battaglia contro il CCC e contro la preconciliare pressione censoria che esso eserciterebbe con le sue qualifiche morali; e chi ha affermato la propria “solidarietà con le scelte globali della 32.ma Mostra” ed, insieme. con i giudizi morali del CCC, quando questo, della stessa 32ma Mostra, dava il seguente giudizio globale:

“La Mostra ha raggiunto il suo più basso livello morale. Oltre[...] I diavoli, le punte massime si sono avute nei film Cara Irene, La fortuna e gli occhi degli uomini. Ma non sono da dimenticare altri ’gioielli’, in cui la rappresentazione del male non ha trovato giustificazioni in esigenze di funzionalità espressiva, ma è stata oggetto soltanto di ossessioni esibizionistiche del catalogo completo delle perversioni: dalla sodomia alla bestialità”.

Da parte laica, molta stampa, strafacendo sul buon giuoco offerto, ha parlato di “iniziativa vaticana”, di “bomba vaticana”, di intervento “col quale il Vaticano buttava a mare il Vicecommissario della Mostra”; quindi ha denunciato la pur misuratissima e pastorale Lettera del Patriarca8, definendola “una requisitoria e – a differenza di quella, che escludeva ogni “crociata” – chiamando alle armi i difensori della Cultura, messa in pericolo dall’intolleranza e dall’arbitrario intervento censorio” clericale.

C’è da domandarsi: è Cultura (con la maiuscola) il film di Russell? Ed era proprio degno, come tale, di figurare in una mostra d’arte cinematografica? Da difendersi, quindi, da eroici comitati di lavoro e sindacati di giornalisti? – E sia lecito dubitarne. Infatti, il suo valore storico, come subito vedremo, è quasi nullo, e, in fatto d’arte – come poi ha riconosciuto quasi tutta la critica – non va oltre il furbo mestiere di un ingegnaccio, almeno sinora, refrattario al senso di misura proprio dell’arte9. Resta, invece, inequivocabile, il grosso spettacolo, in cui il sadico e il triviale, l’orgiastico ed il sacrilego si rinforzano a vicenda.

Nella polemica c’è stato chi, proprio in quanto spettacolo siffatto, l’ha difeso in nome della libertà di maleducazione e di amoralità del regista10.

Era un ragionamento inaccettabile – prima ancora che su piano cattolico o (demo)cristiano – su quello di convivenza civile e di onestà naturale11; ma, almeno, aveva il pregio della chiarezza. Questo pregio, invece, non hanno avuto altri addetti ai lavori, i quali, mentre hanno riconosciuto ad un procuratore della Repubblica la competenza a sentenziare se un film sia o no opera d’arte, hanno poi negato ad un libero cittadino, soltanto perché “funzionario di banca”, il diritto di denunciare un film per oscenità e vilipendio alla religione; i quali, inoltre, hanno distinto i magistrati in due categorie: quella dei codardi e codini, che sequestrano un film “per sequenze estremamente oscene, anzi di pura pornografia, non giustificate né dallo scorrere del racconto, né dall’assunto ideologico; e per vilipendio alla religione”, e quella dei coraggiosi ed illuminati, che lo dissequestrano; i quali, infine, hanno fatto finta di credere che soltanto quale indiscussa opera d’arte il Ministero dello Spettacolo abbia approvato I diavoli con procedura d’urgenza, sì da farlo arrivare in tempo di record ai circuiti normali; e che soltanto un collettivo raptus estetico della “Venezia-bene” e profumatamente pagante abbia reso necessario replicare, alle una di notte, nel Palazzo del cinema al Lido, lo spettacolo: raptus estetico e spettacolo artistico negato, invece, ai “popolari” dell’Arena e ai proletari di Mestre...

La buona memoria dei critici non ha potuto non ricordare un precedente imbarazzante12. La mostra veneziana del ’66, come s’è detto, fu quella dei Giuochi di notte, di Mai Zetterling. Data la scabrosità del film, la prudente (?!) Direzione di allora ne riservò la visione ai circa trecento addetti ai lavori, escluso ogni pubblico “bene”; e l’allora inviato de Il tempo di Roma commentò:

“Uno scandalo, sì, ma prima ancora che per il film, per la procedura del tutto nuova nella storia del festival. Se il film è, infatti, pornografico e costituisce perciò uno spettacolo osceno, non bisognava assolutamente ammetterlo in concorso, né presentarlo alla stampa, perché i trecento inviati dei giornali italiani e stranieri presenti a Venezia non possono certo essere considerati degli spettatori di una visione “privata”. Se il film, invece, non è pornografico e non vi si possono ravvisare gli estremi di un reato, la non proiezione in pubblico e la distinzione tra spettatori incorrompibili e spettatori corrompibili è una cosa ridicola e in tutto e per tutto contraria allo spirito della manifestazione veneziana [...] La via di mezzo, insomma, in questo caso, non ha rappresentato affatto la virtù, ma l’errore, ed uno dei più gravi che si potessero commettere [...]”.

Film storico?

Oltre che come artistico, critica e magistratura hanno cercato di riscattare questo russelliano miscuglio di atrocità e di trivialità sacrileghe, asserendo che il film è “storico”. Ora, a parte le belle conseguenze che su piano censorio e penale si potrebbero tirare, una volta ammesso che sia da ritenersi lecita ogni rappresentazione – pure al cinema, ed a colori, magari con figure ingrandite al doppio, e col sonoro a pieno volume – di eventi, anche i più efferati e sconci, semplicemente perché così “sono accaduti”: l’asserita storicità dei fatti del film è tutt’altro che provata.

Intanto, perché, salva dimostrazione contraria, non è nelle competenze di un magistrato, quando storico non sia, il sentenziare circa un evento quale quello dei “diavoli di Loudun”, che nella storia corrente – diciamo: quella delle scuole – ha (se lo ha) rilievo scarsissimo e che da secoli, ed ancor oggi, tra gli stessi specialisti, è oggetto di dubbi ed argomento di discussioni. In quanto poi ai critici si sa come vanno le cose. Il loro rischioso mestiere li obbliga, purtroppo, a tutto fare, senza che, per esercitarlo, occorrano titoli specifici. A parte, infatti, i giudizi estetici, che devono saper dare in ogni caso, siccome i film, in un modo o in un altro, si riallacciano ai più disparati settori della cultura, essi devono discorrere di letteratura e di musica, di teatro e di arti figurative, di filosofia e di economia politica, e magari di psicanalisi, di teologia e di cibernetica. Abbondano, per giunta, i film più o meno storici: eccoli, allora, i critici, a discettare su i carbonari della Roma leonina e su i russi di Kutuzov, su i boeri di Cronje e sui mongoli di Genghiz Khan e, perché no? , su i diavoli di Loudun. Ma il tempo incalza, ché la maggior parte di essi scrive su settimanali e su quotidiani; e il critico tuttofare, che onniscente non è ma che tale ai suoi lettori deve sembrare, sunteggia da un’enciclopedia, estrae cultura dal materiale pubblicitario, nel migliore dei casi legge (in diagonale) il libro che occorre...: e butta giù il pezzo, simulando padronanza della materia con disinvolti “Come tutti sanno...”, "È noto che...”, “Tutti ricordiamo...: e simili. Il lettore, generalmente sprovveduto in questioni specialistiche ed anche più frettoloso del critico, messo in soggezione da tanta sicurezza, non fiata. Ma se, invece, disponendo di tempo e di mezzi, passa a vagliare quanto gli viene ammannito, spesso non stenta molto a rilevarvi cantonate che tradiscono l’imparaticcio.

Nel caso de I diavoli, per esempio, un critico, per giunta francese (Y. Baby), anticipa i fatti dal secolo XVII al XII. Un altro (G.8. Cavallaro) fa del prete secolare Urbain Grandier “un gesuita umanista”; un terzo (S. Zambetti) promuove lo stesso Grandier a “vescovo di Loudun”. Per una mezza dozzina di critici il cognome del barone De Laubardemont viene trascritto con grafie che rivelano scarsa familiarità col purtroppo famoso e famigerato strumento di Richelieu. Per G. Ferrieri, l’altrettanto famigerato esorcista “padre Lattanzio”, che era francescano "recolletto”, diventa cappuccino, ed il pastore calvinista Aubin, autore dell’Histoire des diables de Loudun – nato, si noti, a Loudun nel 1655, cioè una ventina d’anni dopo i fatti – s’identifica col Guillaume Aubin, che l’Huxley (p. 180) dà quale "Procureur et chef de la police” a Loudun durante il processo13...

Per giudicare, dunque, quanto di storico resta nell’orgia delirante di Russell non resta, al critico serio, che armarsi di molti libri e di molta pazienza e ripercorrere le vie per le quali la tragica vicenda di Grandier ci è stata trasmessa. Nell’essenziale, i fatti più o meno certi sono questi.

Nato nel 1590 ed ordinato sacerdote nel 1615, sulla trentina Urbain Grandier andava parroco nella chiesa di San Pietro a Loudun, cittadina a pochi chilometri da Richelieu: titolo ducale del futuro onnipotente cardinale e ministro di Luigi XIII. Quivi faceva subito parlare di sé per la sua prestanza fisica, la sua sfrenata e sacrilega lussuria, la sua oratoria reboante e lambiccata e, per giunta, la sua litigiosità, che presto lo rese assiduo cliente – accusato ed accusatore – dei tribunali civili e religiosi. Imprigionato e sospeso a divinis dal suo vescovo nel 1630, assolto l’anno seguente dall’arcivescovo di Bordeaux suo metropolita, e consigliato da lui di andarsene da Loudun dove ormai tutti gli erano nemici, non solo vi fece ritorno, ma da trionfatore: sventolando, alla faccia loro, un bel ramo di alloro.

La sua rovina partì dal convento che le suore orsoline vi avevano aperto da qualche anno (1626): convento dove gli exploits scandalosi del parroco – a quanto si diceva, sin anche nella chiesa e nel sacramento della confessione – dato il va e vieni dei parenti delle ragazze che vi venivano educate, dovevano suscitare una eco tra lo scandalo e l’eccitamento.

La tragedia per il Grandier cominciò con la morte del confessore delle suore, l’abbé Moussaut. Pare che la giovane superiora, suor Giovanna degli Angeli14, probabilmente mossa sin d’allora da motivi poco chiari, l’abbia invitato a succedergli, e che il Grandier abbia declinato l’invito; che invece venne accettato dall’abbé Mignon, il quale, almeno per una mezza dozzina di motivi, gli era avversario. Ora pare che il Mignon si sia prestato a volgere in danno del Grandier gli strani fatti – sogni, allucinazioni, apparizioni, possessioni... – che, prima forse per giuoco, quindi per isteria collettiva, cominciarono a verificarsi nella superiora, e poi in tutte le diciassette orsoline del convento. Cominciò allora la sacrilega tragicommedia degli esorcismi, nella quale esorcisti ed “indemoniate” si esibirono in inverecondi spettacoli pubblici, avanti a spettatori – gran signori e plebei – di mezza Francia.

Pare che l’11 ottobre 1632 Giovanna degli Angeli, forzata dagli esorcisti, abbia fatto per la prima volta il nome di Grandier quale autore delle “fatture” magiche che l’avevano data in balìa dei diavoli. Vani furono tutti i passi del parroco per discolparsi presso i tribunali civili ed ecclesiastici. Accusato anche di essere l’autore di un violento ed osceno libello contro il Richelieu, su ordine del Signor de Laubardemont, commissario del Cardinale e parente della superiora, il 7 dicembre 1632 veniva arrestato e carcerato.

Dopo la tragica burla di una istruttoria e di un processo – in cui il comportamento del Laubardemont e dei suoi tirapiedi, esorcisti compresi, pare che non sia stato meno ferocemente iniquo di quello dei “demòni”, ammessi quali testimoni a carico –, il 18 agosto 1634, oltre che di altri crimini, fu dichiarato convinto di magia demoniaca a danno delle orsoline, e condannato al rogo, lui e le sue “fatture” magiche, previa tortura (lo sciacciamento delle gambe) perché rivelasse i maghi suoi complici. Lo stesso giorno, il disgraziato subì, da forte, la tortura e il supplizio, sino all’ultimo dichiarandosi reo degli altri crimini, ma non della magia. Le sue ceneri vennero disperse al vento.

Entriamo in biblioteca

Su questi fatti, in quattro secoli, è stato scritto lo scrivibile, sia di passaggio, a proposito di personaggi eventi e problemi più o meno legati ad essi – quali il cardinal Richelieu, l’“eminenza grigia” Padre Giuseppe, il gesuita padre J.J. Surin; gli editti di Nantes e di Nîmes; la stregoneria, la demonologia, l’isterismo, la psicologia della folle...-; ed anche di proposito. Analizzando i pezzi principali della folta biblioteca15, si ricava che negli scritti contemporanei ai fatti – anni 1634 e seguenti – abbondano piuttosto i dettagli cronachistici locali, con riferimenti del tutto generici alla corte parigina, tutti attenti al meraviglioso, al magico, al demoniaco, su cui non si nutrono dubbi. Le cose cambiano con l’Aubin – anno 1693 e seguenti –. L’autore, calvinista, oriundo di Loudun e fuoruscito in Olanda, tende a ricordare interpretare e presentare tutto in chiave apologetica del Grandier quale vittima dei papisti, dei preti e delle loro assurde credenze, ivi compresi soprattutto il celibato dei preti (contro il quale il Grandier aveva lasciato un libello giustificativo delle sue “nozze”) ed i sacramenti. Non fu difficile al prete cattolico De la Menardaye (1747) rilevare assurdità faziosità e contraddizioni nelle Histoires del pastore calvinista. Purtroppo però lo fece con tanto balorda saccenteria e credulità, da portare piuttosto acqua al mulino dell’Aubin, sicché questi è restato la fonte indiscussa di quasi tutti gli autori seguenti.

Con Gayot de Pivital (1738) emerge un elemento nuovo. Cattolico e credulo, egli dà per pacifica la magia e per normali gli esorcismi; ma, avvocato, s’interessa al valore giuridico delle testimonianze dei diavoli e, soprattutto, ai deplorevoli fenomeni – oggi si direbbero di délires des foules – che caratterizzarono i fatti di Loudun. Invece le numerose pubblicazioni che uscirono sulla fine dell’800 – siamo agli anni di Charcot, Janet, Freud..., e ormai magia ed esorcismi sono relegati tra le superstizioni – studiano i fatti come casi di isterismo collettivo, poco o nulla curandosi di Luigi XIII e Richelieu, e delle beghe tra cattolici ed ugonotti.

Nel nostro secolo, dopo il romanzaccio ateo-marxista del polacco Iwaszkievicz (del 1943), spicca The devils of Loudun (1952), del poliedrico ed enciclopedico giornalista poeta e romanziere inglese-americano Aldous Huxley: non, propriamente, storia critica, bensì saggio scintillante, tra la meditazione sociofilosofica ed il romanzo storico. L’autore, infatti, un po’ come Scott e il nostro Manzoni, lavora di fantasia intorno ai pochi dati certi fornitigli dalle fonti sul caso Grandier, e li integra con particolari più o meno verosimili, derivati da altri eventi e personaggi dell’epoca16. Inoltre si dilunga in excursus ispirati a quella specie di religiosità gnostica che è la sua Perennial Philosophy (del 1946); e, in Appendice, denuncia i danni sociali causati dai “veleni di massa”. Il tema, come s’è visto, era già stato affrontato, a proposito di Loudun, da Gayot de Pivital (che l’A. stranamente non cita); ma l’Huxley lo estende agli odierni mass media, al condizionamento tecnologico e, soprattutto, ai tragici deliri ideologici scatenati dalla Russia comunista, dall’Italia fascista e dalla Germania nazista17.

Per finire, una decina di anni dopo, ispirandosi liberamente al saggio dell’Huxley, l’inglese John Whiting confezionava una sua commedia – salvo errori, trasmessa dalla BBC –, nella quale il Grandier diventava un moderno contestatore e vittima dell’intolleranza clericale e politico-fascista. All’uopo, il commediografo attribuiva al suo libello sul celibato un peso programmatico di libero amore che, in realtà, il Grandier non gli attribuì (e che, in ogni caso, in morte sconfessò), e caricava l’abbattimento delle mura di Loudun, ordinato da Richelieu, nonché la “resistenza” che il Grandier avrebbe capeggiato, di un significato ideologico-politico del tutto estraneo alla mentalità del tempo.

Russell assiste alla commedia e – a suo dire – lo affascinano due cose: “Il personaggio del prete coraggioso, antesignano della lotta contro il celibato dei sacerdoti, che si batte e muore per le sue idee, e la scoperta del primo processo politico di cui abbiamo prove irrefragabili”: di qui il film. Nel quale egli aggiunge di suo un’enfiatura scenografica, uno scatenamento di orrori e di trivialità, un linciaggio del sacro e del “clericale” che l’azione scenica, ovviamente, non potrebbe permettersi; per giunta: moltiplica ed ostenta particolari erotici scatologici e dissacratori, magari verosimili, che tutti, senza eccezione, i relatori dei fatti di Loudun, più civili e meno beceri, avevano sufficientemente fatto capire per cenni.

Per concludere

Con questi precedenti, sarebbe superfluo rilevare ne I Diavoli di Russell la falsità storica di particolari singoli, quali: una Loudun – allora poco più di un borgo – enfiata a metropoli babilonica; un Luigi XIII ed un Richelieu ridicolizzati in burattini sadici; l’abolizione di particolari “cattolici” ed “edificanti” sulla morte del Grandier, pur diffusamente riportati tanto dall’Aubin quanto dall’Huxley ... Con buona pace del magistrato-“storico” che lo ha dissequestrato, il film resta, in sostanza, una faziosa selezione, e manipolazione, e reinvenzione teatrale di fatti in parte storici, attinti a fonti per lo più letterarie ed acritiche, se non anche tendenziose. Uno specialista in materia – M. de Certeau – lo definisce: "Non une histoire, ou du moins une autre histoire que celle de l’historiographie18.

Oltre tutto, del ’600 religioso francese, il film generalizza figure-limite di sacerdoti scandalosi, di religiose isteriche e di laici voyeurs; quando quel secolo contò pure sacerdoti e religiosi santi e dotti, quali Francesco di Sales e Vincenzo de Paoli, Giovanni Eudes e Grignion de Monfort, Pietro Fourier e Claudio de la Colombière, Berulle Condren e Olier, Fénelon e Bossuet, Bourdaloue e Massillon ...; e contò suore eccezionali come la Chantal e la Marillac; e laici non ottusi, come Pascal, Corneille e Racine... E il film, nella storia dei rapporti tra potere politico e Chiesa francese riesuma, generalizzandola, una delle pagine più opache, dimenticando che a quella seguirono, in tempi remoti e più storicamente accertabili, ben altre pagine. Per esempio quella del 1794, quando altre sedici religiose, questa volte non orsoline di Loudun ma carmelitane di Compiègne, cantando e non contorcendosi, manu militari vennero condotte alla ghigliottina con altri ottanta “resistenti”, ree soltanto di voler restare fedeli ai loro voti religiosi, contro le imposizioni ideologiche di quel délire des foules che nella Rivoluzione francese fu al Regno del Terrore19.

1 Emanato il 29 agosto. Eccone, in sintesi, il testo: “Il Centro Cattolico Cinematografico [...] si vede costretto ad esprimere una ferma protesta per la presentazione del film I diavoli, di Ken Russell. Tale presentazione non trova nessuna giustificazione negli intenti culturali della Mostra. Il film, infatti, è una volgare mistificazione sul piano culturale, una distorsione faziosa sul piano ideologico e storico e un vero e proprio tradimento nei confronti del testo huxleyano al quale si ispira. Il delirio erotico-sessuale-sacrilego delle sue immagini supera ogni precedente nella storia del cinema ed è purtroppo aggravato dall’istrionico mestiere dell’autore. La protesta del Centro Cattolico Cinematografico è motivata [...] anche dal fatto, ancor più grave, che già nell’ambito della Mostra esso sia stato strumentalizzato a fini bassamente commerciali, mediante la doppia proiezione al Palazzo del cinema, con spettatori paganti. Il grave episodio potrebbe compromettere, già da questo momento, il giudizio generale della gestione della 32.ma Mostra.
“Non si capisce perché, infatti, nella già deprecabile alchimia politica per l’assegnazione dei posti nel cinema italiano, si debba attribuire ai cattolici la responsabilità di un posto occupato da chi, pur fregiandosi della etichetta di cristianesimo, dimostra nei fatti, proprio nell’esercizio di quella responsabilità che gli viene attribuita come cattolico, di non avere nessun codice di riferimento a quei valori che sostiene di rappresentare”.
“A suo tempo il Centro Cattolico Cinematografico esprimerà un giudizio globale e motivato anche sugli altri aspetti di questa Mostra [...]
– Questo giudizio globale è uscito, poi, sulla Rivista del cinematografo (1971), nn. 8-9, pp. 386 ss.: “rivista che, pur non essendo organo ufficiale del CCC, ne riflette senza dubbio lo spirito, ed è diretta e redatta da responsabili del CCC” (ivi).
Lo stesso CCC, assegnando al film la classifica morale “IV” (Segnalazioni Cinematografiche Quotidiane, n. 142, 16 sett. 1971), ne ha dato questo giudizio: “Il film, che si presenta come una ricostruzione pressoché fedele di fatti accertati, si ispira ad una fortemente romanzata fonte letteraria più che ad un lucido e freddo testo storico, e si sviluppa esclusivamente in funzione di superficiali elementi spettacolari, tentando di suggerire vaghe analogie e significati moderni. La positiva condanna del fanatismo, della superstizione e soprattutto dell’abuso della religione per scopi politici, viene quindi sommersa da scene di turgida sessualità e violenza, e da una particolare insistenza su nauseabondi elementi di orgiastico delirio, che la fantasia barocca dell’autore, la corposa prestazione degli interpreti e l’intonazione, a tratti grottesca, non tendono che ad aggravare. Incapace di un pacato giudizio sugli avvenimenti, il regista non è riuscito a sublimare la materia [...]. Purtroppo, invece, risaltano nella gratuita esteriorità del racconto: l’abbondanza delle sequenze morbose, violente e prive di alcun pudore; l’insistenza su particolari di gusto satanico e gravemente dissacratori; una presuntuosa e torbida rievocazione di problematiche religiose complesse e delicate; una confusa ed ingiusta tendenza a generalizzare colpe ed errori di personaggi ecclesiastici. Emergono, quindi, nel complesso un tono fazioso ed una ricerca scandalistica, che si risolvono in una sistematica denigrazione di valori religiosi, che rendono il lavoro del tutto inaccettabile”.

2 Indirizzata ai fedeli della Diocesi, porta data del 1º settembre. Eccone alcuni stralci: "...Succede che tra altri film moralmente criticabili della Mostra ce ne sia uno che si è spinto ad eccessi sinora mai visti. Lo affermano informatori pur benevoli verso l’attuale gestione della Mostra. Lo scrivono giornalisti di estrazione non cattolica, e per nulla puritani. ’È l’osceno – dicono –: ma in grado superlativo, ma unito all’orrore orripilante, e mescolato in misura incredibilmente sacrilega al sacro! ’[...]. La circostanza che lo scandalo parta da Venezia mi obbliga, mio malgrado, a deplorare questa inaspettata offesa alla moralità, alla religione, alla verità storica. Neanche a me piacciono le Cassandre, che vedono peccato dappertutto. Ma, mentre mezzo mondo trepida i bronzei cavalli di Venezia minacciati dall’aria inquinata, sarà proibito al Patriarca di dire il suo dolore per quest’altro inquinamento, che insidia le anime redente dal Signore? Non sono per le ’crociate’. Se però alla Mostra il peccato osa tanto e fa, lui, una ’crociata’ a rovescio, mi sia almeno consentito raccogliere la voce di moltissimi che, addolorati e sbigottiti, dicono: ’questa volta si è veramente andati troppo in là’” [...]. Uomini di Chiesa talora sbagliano: ammetterlo narrarlo e deplorarlo è lecito, in certi casi fin doveroso. Inventare però colpe non esistite di ecclesiastici e di monache, mescolarle a quelle esistite, condirle di pepe sadicamente erotico e di problematica oggi sentitissima ma del tutto estranea al contesto storico in cui i supposti fatti sarebbero accaduti, fare del tutto un’unica indiscriminata offa da gettare in pasto al pubblico, è mistificazione e cagliostrismo artistico, che può recare enorme danno alle anime...”.

3 Ecco quello del Comitato Italiano di Lavoro, che aveva selezionato i film presentati alla 32.ma Mostra, composto da A. Blasetti, T. Chiaretti, V. De Sica, F. Fellini, T. Guerrini, P. Valmarana, G. Vigorelli, L. Visconti, Fr. Zeffirelli, V. Zurlini: “La responsabilità che abbiamo assunto nell’accettare di lavorare accanto a G.L. Rondi [...] ci ha spinto finora a non partecipare alle polemiche [...], ed avremmo taciuto anche sull’attacco rivolto alla Mostra e a G.L. Rondi per quel che riguarda la scelta e la presentazione del film I diavoli, di Ken Russell, da parte del Centro Cattolico Cinematografico. Poiché tuttavia il giudizio su di un film si è allargato a giudizi sulla nomina del Vicecommissario della Mostra, e su presunti doveri che egli avrebbe, esercitando tale funzione, verso l’autorità ecclesiastica, sentiamo nostro dovere e diritto precisare quanto segue: La 32.ma Mostra di Venezia non può avere e non ha alcuna investitura, né ancor meno etichetta, di confessionalità. La Mostra di Venezia è una manifestazione culturale dello Stato italiano, e non a caso al Comitato che ha assistito Rondi nel suo lavoro appartengono persone di diverso orientamento ideologico e politico, che mai avrebbero accettato delle ipoteche di carattere confessionale”.
“Nel caso in questione riguardante I diavoli dobbiamo ribadire che il Comitato ribadì la sua scelta all’unanimità, e con senso di responsabilità. Rinnoviamo perciò la nostra fiducia nella linea culturale di questa 32.ma Mostra, soprattutto di fronte ad un attacco che, pur venendo da un’organizzazione cattolica che altre volte si è distinta per la sua contradditorietà, si colloca accanto ad altre manifestazioni polemiche di intolleranza, che sembrano prescindere da ogni valutazione culturale, per assecondare pretestuosi disegni politici”.
“Sentiamo anche il dovere di rivolgerci alle forze del cinema italiano per segnalare questo episodio di intolleranza e di arbitrario intervento censorio, che sembra superare di gran lunga analoghi episodi, che in altri anni – anche nella sede veneziana – suscitarono uno sdegno ed una solidarietà, che si vorrebbero vedere operanti anche in questo caso, che non è certo elemento marginale dell’azione degli autori in difesa della loro libertà”.
Da questo Comunicato desolidarizzava il critico cattolico Paolo Valmarana dichiarando: “Non ho sottoscritto la dichiarazione dei miei colleghi perché, in quanto cattolico, non posso certo respingere un documento dell’autorità ecclesiastica, in particolare per quanto riguarda il giudizio morale su di un film. Desidero però cogliere l’occasione per riaffermare la mia solidarietà con le scelte globali della 32.ma Mostra”.
A sua volta, il 2 settembre, il direttivo del Sindacato Nazionale Giornalisti cinematografici emetteva un comunicato per dichiarare “di essere totalmente solidale con i firmatari del Comitato di Lavoro [...], sottolineando che la Mostra d’arte cinematografica di Venezia è una manifestazione culturale esclusivamente dello Stato italiano e non soggetta a compromessi di sorta con autorità di altri Stati e con ecclesiastici che non esprimono che la loro personale opinione”.

4 Cfr Civ. Catt. 1960 III 602-627; IV 159-176.

5 Teniamo presenti, tra gli altri, gli scritti di Y. BABY (Le Monde, 31 ag.), P. BIANUCCI (ll nostro tempo, 26 sett.), G.B. CAVALLARO (La Rocca, 1º ott.) J. DE BARONCELLI (Le Monde, 28 ott.), M. DE CERTEAU (Le Monde, 28 ott.), G. D JANNI (Politica, 10 ott.), G. FERRIERI (L’Europeo, 21 ott.), R. FILIZZOLA (Il nostro tempo, 12 sett.), G. GIZZI (Il nostro tempo, 26 sett.), G. GRAZZINI (Corriere della sera, 28 ag.), T. GUERRINI (Umanità 3-4 sett.), E. MAGRÌ (intervista in L’Europeo, 21 ott.), Fr. MALLET-JORIS (Le Monde, 28 ott.), D. MECCOLI (Epoca, 12 sett.), A. NARDUCCI (L’Avvenire, 3 sett.), G. PACCHIANO (Settimana del clero, 31 ott.), L. PESTELLI (La Stampa, 26 ag.), A. PLEBE (La Fiera letteraria, 5 sett.), G. RABONI (L ’Avvenire, 29 ag. e 4 sett.), G.L. RONDI (intervista in Il nostro tempo, 12 sett.), K. RUSSELL (intervista in L’Europeo, 21 sett.), A. SANTINI (L’Europeo, 21 sett.), C. SORGI (intervista in L’Europeo, 21 sett.), U. SPIRITO (Il Tempo, I sett.), B. STEWART (The Month, ott.), L. TORNABUONI (La Stampa, 31 ag.), S. TRASATTI (L’Osservatore Romano, 31 ag.),C. TRABUCCO (ll nostro tempo, 1º nov.), V. VOLMANE (Journal de Genève, 18 sett.), S. ZAMBETTI (Cineforum, nn. 105-106, e Settegiorni, 12 e 26 sett.).

6 Ecco due significative reazioni “laiche”. V. VOLMANE: "Avec Ken Russel nous sommes en plein délire érotique, scatologique, orgiaque, pathologique pour tout dire [...]. Il est certain que le film connaîtra le succès qui s’attache toujours au scandole”. G. GRAZZINI: " ...un terribile impasto di sacrilegio e di oscenità, di orrori e di perfidie [...]. Mai il cinema aveva raggiunto [...] una tale violenza nell’ordine della polemica contro la Chiesa; mai le infamie della caccia alle streghe erano state rievocate con tanta voluttà di sadismo; mai la nostra civiltà permissiva aveva condotto in un film per le grandi platee una tale profanazione dei simboli sacri. Caso raro: perfino il cronista si troverebbe in imbarazzo se dovesse scendere in particolari, e diffondersi sul tipo di torture cui sono sottoposte [...] le orsoline [...] possedute dai preti per essersi spossessate dai demoni: il rinvio più pertinente sarebbe a certe riviste pornografiche che alimentano le più sconce fantasie mescolando il diavolo all’acqua santa [...]. Il film desta nel pubblico adulto e laico un disagio, che non proviene tanto dall’abiezione e dalla turpitudine, quanto dal vedere il ribrezzo oggetto di commercio”.

7 Cfr E. BARAGLI, Cinema cattolico, Roma 1965, nn. 316, 338, 356; Decr. Con. Inter mirifica, n. 21; lstruz. past. Communio et progressio, nn. 165 ss. – E non può dirsi lo stesso per l’OClC: istituzione che dipende, sì, dalla Santa Sede (Inter mirifica. n. 22; Communio et progressio, n. 179), ma non opera su “mandati” specifici della gerarchia.

8 Merita un monumento la Lettera aperta al Patriarca di Venezia di T. Guerrini, “nella veste di laico, ma al tempo stesso di credente” (non si sa in chi e in che cosa]: “contributo all’accezione e alla comprensione di un cristianesimo puro e libero da pregiudizi di ogni genere”. Nel chiuderla, un tanto cólto ed acuto A. “si rende conto di aver detto molto poco”, ma non di ignorare che le risposte a tutte le sue elementari obiezioni sono arcicontenute – e perciò, presumibilmente, arcinote al Presule – nei documenti del Magistero cattolico, di cui egli, ovviamente, da credente-laico qual è, ignora beatamente l’esistenza.

9 Ken Russell, nato nel 1928, già marinaio, ballerino, coreografo, fotografo per rotocalchi e cineamatore, da dieci anni direttore dei programmi, specialmente musicali, della BBC, è nel cinema dal 1963. Suoi sono Women in love (Donne in amore, del 1969), a tutt’oggi sequestrato in Italia (condannato in prima istanza, assolto in appello, attende in Cassazione); e The music lovers, del 1971, su Piotr Ciajkowski. In questi due film è stata rilevata, insieme appunto con la padronanza del mezzo cinematografico, la sua tendenza al barocco e all’iperbole stilistica, nonché alle orge e perversioni sessuali, esasperate in I diavoli.
Per A(rmando) P(lebe), invece, l’artisticità del film è fuori discussione, tanto da “superare assai spesso i precedenti di Buñuel e di [un certo, non meglio individuato] Aalroic”. Una certezza così apodittica lo porta a declamare questa stizzosa tirata politica: “La sinistra cattolica è oggi pronta ad ogni compromesso, ad ogni apertura, pur di procedere di corsa, dando la mano ai sindacalcomunisti verso gli equilibri e, soprattutto, gli squilibri più avanzati possibili. Al fine dell’intesa coi comunisti, con gli anarchici, coi contestatori, la sinistra cattolica è disposta a dissacrare la sua liturgia [?!], a rinunciare a principi morali e teologici che avevano duemila anni di vita [?!], a sfasciare la sua organizzazione. Lo vuole la politica! Ma non appena, invece, si tratti delle ragioni dell’arte, che non giovano né agli avanzati equilibri politici, né alle fanfare contestarie, eccoci ripiombare in un puritanesimo intransigente e giudiziario. Certo, se il regista Russell avesse avuto l’astuzia di far pronunciare a una delle sue suore un discorso sulla futura tolleranza ecumenica (sessuale e non sessuale) delle correnti progressiste della Chiesa 1970, il suo film avrebbe incontrato molta più indulgenza!”. – No comment!

10 Primo lo stesso attore OLIVER REED, che nel film ha interpretato la parte del disgraziato Grandier. In una conferenza stampa egli ha riconosciuto: “Il guaio è che Russell è un maiale. Se il film è duro, atroce. di cattivo gusto, dipende dal fatto che l’ha pensato lui. Però è un maiale di grande talento; un fanciullo arrogante e sicuramente maleducato, e bisogna lasciarlo fare”. Lo segue a ruota G. DI JANNI scrivendo: “Le sequenze relative a quest’orgia sfrenata [...] rappresentano un potente affresco tragico [...]. Che poi in queste figurazioni pittoriche, superbe ed inquietanti insieme, si evidenzi troppo spesso l’eccessivo gusto sadico e compiaciuto del regista, tutto questo rientra nella sua personalità. Che è da accettare o respingere in blocco”.
È bene sapere che, a quanto ha riferito la stampa, ci furono proteste dei sindacati perché la lavorazione del film degenerò in orgia, tanto che alcune attrici, che interpretavano la parte delle suore invasate o isteriche, furono assalite dalle comparse e violentate sul set.

11 È ciò che sembra ignorare D. MECCOLI scrivendo: “L’intervento del CCC ha tradito il sottofondo politico della questione, poiché conteneva [...] la trasparente affermazione del principio che, chi dirige la Mostra deve essere un uomo di parte: se è un cattolico, deve dirigerla da cattolico”. Opportunamente, invece, ribatteva L’Osservatore Romano: “La protesta per il film di Russell era da fare, qualunque fosse la direzione della Mostra e di qualunque ideologia e tendenza ne fossero i responsabili”.
In proposito, sempre sotto l’aspetto della confusione e degli equivoci, riferiamo quanto il Vicecommissario avrebbe dichiarato (Il nostro tempo, 12 sett.): “Come cattolico, e con me i cattolici che erano nella commissione, non potevo non deplorare questo film che, ovviamente, è contro i miei principi; ma, come commissione di selezione di una mostra che intendeva, anche al di fuori dei contenuti, proporre opere che potevano avere un interesse dal punto di vista estetico, noi non potevamo porre un veto, anche se ciò metteva in crisi le nostre coscienze [...]. L’ultima parola in campo cattolico sull’argomento comunque è stata autorevolissimamente detta dall’OCIC, a cui fa capo anche il CCC, che per primo ha cominciato la polemica. Tale organizzazione ha emesso un comunicato in cui [...] riconosce tutti i valori e tutti gli sforzi di questa rassegna [...] facendo così sentire che la Mostra non era mal giudicata, [...] e debbo dire che di questo comunicato, di così alta autorità cattolica, mi sento pago. La mia coscienza di cattolico era già tranquilla, ma questo comunicato, anche dal punto di vista pubblico, me la tranquillizza definitivamente”.
Al che qualcuno potrebbe ribattere: 1) che alle obiezioni di coscienza, altri, cattolici e non cattolici, rispondono diversamente; 2) che l’OCIC non è autorizzato ad emettere “ultime parole” in campo cattolico, dato che nel campo cattolico non è un’autorità, né alta né bassa; 3) che, in ogni caso, è inesatto che ad esso faccia capo il CCC; il quale, viceversa, fa capo all’episcopato italiano; 4) che l’OCIC non “riconosce i valori” della rassegna, ma si limita ad auspicare che essa “potrà avere nel futuro una risonanza degna della sua tradizione”; 5) e che, soprattutto a proposito de I diavoli, nota espressamente: “I film della selezione cercano talvolta la liberazione da tutti i tabù, secondo un fenomeno di livellamento di tutte le culture, con un semplicismo che sembra credere che l’uomo non sia vulnerabile allo choc provocato dall’immagine. Gli eccessi dell’erotismo non sono che un esempio di questo pericolo, che diviene ancora più grave quando si pone sul piano delle idee, delle istituzioni o dei valori permanenti, attraverso i quali, anche strumentalizzando la storia, si manca di rispetto alla persona umana e la si offende”.

12 Tra gli altri S. ZAMBETTI, che qualifica l’attuale Vicecommissario quale già “alfiere della linea che ora si ritorce contro di lui”; G. GRAZZINI, che partendo dalla “cattolicità” dello stesso, parla di “trasformismo ideologico e morale, che si inserisce perfettamente nella tradizione italiana”; e l’anonimo dell’Unità, che commenta: “In cinque anni, R. si è dunque convertito, da confidente e sostenitore, a nemico (per metà) e quasi vittima della censura? I giornali, nella loro maggioranza, pongono piuttosto l’accento sul disinvolto trasformismo del ’pupillo di Colombo e Matteotti’: ’L’uso de I diavoli e di altri film difficili – ha annotato Il giorno – non sembra tanto un sentito e sofferto omaggio alle necessità dell’arte da parte del Vicecommissario G.L.R., quanto un allegro atto di zuccheroso cinismo al servizio di ambizioni e carriere’”.

13 Scrivendo su L’Europeo, il Ferrieri dà altre prove di essere all’altezza culturale teologico-storica di tanto rotocalco. Sotto il perentorio titolo La verità storica, egli ci informa, per esempio, che il Grandier “venne arrestato sulla soglia della sua chiesa con i paramenti religiosi [?!]”; che la superiora suor Jeanne “raccolse in confessione dalle educande del convento troppi sospiri e sogni sensuali”; che Grandier “aveva peccato con le donne e tradito molta parte dei compiti a lui affidati dal Signore [?!], ma che non aveva mai tradito il Signore”; che “il padre Lattanzio cacciò tizzoni ardenti in bocca al Grandier”; che sono modernissime certe singolari analogie tra la vicenda di Loudun e casi come quelli di Oregina e dell’Isolotto [?!]’’; infine – e qui segnaliamo la cosa ai Ministeri della Difesa e di Grazia e Giustizia – che “nelle caserme e nelle carceri c’è grande disponibilità alle manifestazioni di fenomeni isterici [?!] imitativi e intesi come meccanismo deliberatamente antimorale”.
Ma ecco la prova maggiore della sua scienza storica. L’Huxley, in nota ad una delle prime pagine, dalla acritica e settaria History of sacerdotal celibacy di Henry C. Lea, riporta una peregrina informazione – che si riferisce, si noti, all’anno 1560 – circa il "cullagium”, ignorata, si può dire, dagli autori di storia ecclesiastica. Il Ferrieri la legge, e ipso facto e in grado di insegnare ex cathedra: “Erano appena finiti i tempi in cui ogni prelato [sic] aveva pubblicamente la sua amante, e ancora [resic!] gli alti ministri del culto raccoglievano da ciascuno dei propri preti il cullagium, cioè il prezzo per il diritto di mantenere un rapporto adultero, che andava pagato in ogni caso, anche da quei preti che non desideravano mantenere concubine”.

14 Al secolo: Jeanne de Belciel, figlia di Louis Belciel, barone di Coze. Nata nel 1602, era quasi nana e leggermente deforme, probabilmente a causa di una tubercolosi ossea. Anche perché isterica, non era davvero fatta per la vita religiosa; tanto meno per la carica di superiora.

15 Tra i principali titoli, ricordiamo prima di tutto quelli di autori che erano testimoni diretti dei fatti, o hanno trattato con essi (I titoli nati con asterisco risultano consultati dall’Huxley). – Interrogatoire du Maître Urbain Grandier, Paris 1634. – Factum pour Maître Urbain Grandier, Paris 1634. – Extrait du Régistre de la Commission ordonnée par le Roi, pour le Jugement du procès criminal à l’encontre de M. Urbain Grandier et ses complices, Poitiers 1634 (riportato in parte dal DE LA MENAR DAYE, pp. 320 ss.). – * Relation du père TRANQUILLE, 1634 (era uno degli esorcisti. Ripubblicata in Archives curieuses de l’histoire del France, vol. II, 1838). – * THOMAS KILLIGREW, Lettera (pubblicata in European Magazine, febb. 1803). – * NION The History of the devils oj Loudun, Poitiers 1634. – * PILLET DE LA MESNARDIERE (medico del Card. Richelieu), Démonomanie de Loudun, s.d. – * AUBIN, Histoire des diables de Loudun, Amsterdam 1693; Cruels effects de la vengeance du Card. Richelieu, Amsterdam 1716; Histoire d’Urbain Grandier, ivi 1735. – * J.-J. SURIN, Science expérimentale, Avignon 1828 (ma, forse, riportato manoscritto del DE LA MEN ARDAYE, pp. 341 ss.). L’A., esorcista a Loudun, durante e dopo il tempo del Grandier, vi riferisce le sue esperienze. – * Card. DE RICHELIEU, Mémoires, Paris 1823, t. VIII.
Seguono poi: * P. BAYLE, alla voce Grandier, nel Dictionnaire historique et critique, Rotterdam 1695-’97 (con ampie citazioni di autori precedenti). – * GAYOT DE PIVITAL, Causes célèbres et intéressantes..., vol. II, Paris 1738. – * M. DE LA MENARDAYE, Examen et discussion critique de l’histoire des diables de Loudun, Paris 1747. In dieci dialoghi (Entretiens) tra uno zio Filatele (=amante della verità) e un nepote Neocrito (=nuovo alla critica), l’A., convinto assertore della magia e delle ossessioni, cerca di demolire l’Histoire ... dell’AUBIN, ed anche la critica delle Causes célèbres... (pp. 354 ss.); infine dà una sua versione faziosa (Abrégé historique...) dei fatti. L’opera è ragguardevole per le notizie che offre circa i manoscritti e gli stampati consultati, sistematicamente distinti dall’A. in “cattolici” e “caIvinisti”. – * J. MICHELET, in La sorcière, Paris 1862. – BLANC, Précis d’histoire sur les possédées de Loudun, Poitiers 1877. – * G. LEGUE, Documents pour servir à l’histoire médicale des possédées de Loudun, Paris 1876; Urbain Grandier et les possédées de Loudun, Paris 1880. – * L. FIGUIER, Storia del meraviglioso, Genova 1882. – * SOEUR JEANNE DES ANGES, Autobiographied’une historique possédée (è del 1644, ma pubblicata a Parigi soltanto nel 1886). – J. IWASZKÈVICZ, Matka Joanna od Aniolov, 1943. Tradotto in francese nel 1949, venne lanciato dall’omonimo film di J. Kawalerovicz (cfr Civ. Catt. 1965 II 21-34). – * ALDOUS HUXLEY, The devils of Loudun, Londra I952. Noi qui ne seguiamo la traduzione francese: Les diables de Loudun, Paris 1953. – M. DE CERTEAU, La possession de Loudun, Paris 1970.

16 Si ricordi che l’Huxley, una decina di anni prima, aveva trattato lo stesso periodo storico in L’eminenza grigia (1941).

17 L’Huxley in ciò non era un pioniere. L’avevano preceduto, tra gli altri, S. TCHAKOTINE, con Le viol des foules par la propagande politique, Paris 1939; P. REIWALD, De l’esprit des masses, Neuchâtel 1949; A. CASTIGLIONI, Incantation et magie, Paris 1951.

18 Il DE CERTEAU, come s’è detto, è autore della raccolta di documenti La possession de Loudun (Paris, 1970), che, secondo Études (febbr. 1971, 306), rappresenterebbe l’ultima parola in argomento. Un giudizio meno entusiasta in J.R. ARMOGATHE, in Revue d’ascétique et de mystique, 1971/3, 357 ss.
Ma la critica giornalistica e rotocalchica non diffida. Per Y. BABY, il Grandier resta “un eroe politico, il difensore del popolo”; Per G.B. CAVALLARO, il martire “chiedeva una religione più vicina all’uomo [...] e soprattutto che la religione non facesse da strumento al potere”; per S. ZAMBETTI non si discute che “i vaneggiamenti erotici delle suore intorno alla figura di Grandier identificato con quella di Cristo” facciano parte della “vicenda storica, troppo nota ormai per richiedere più di un breve cenno” (vicenda, oltretutto, attuale, perché denuncia attuali repressioni ideologiche anche della Chiesa); per D. MECCOLI “Grandier era soprattutto uno strenuo assertore della tolleranza religiosa e delle libertà civili”; sommo tra tutti, U. SPIRITO, scrive: "È un film che porta per la prima volta alla coscienza delle masse gli abissi raggiunti dalla Chiesa cattolica e dal potere politico cattolico del secolo XVII. Era bene farlo o bisognava evitarlo? All’interrogativo non si può rispondere che con il consenso più esplicito. Il valore artistico è fuori discussione, perché potrebbe soltanto rafforzare il fine da conseguire. Ciò che importa è la capacità della Chiesa di confessare se stessa e la propria storia, sul filo di un’opera dovuta alla visione e alla sensibilità di Aldous Huxley”.

19 Cfr Una storia, una novella, un dramma e un film (Civ. Catt. 1961 IV 383 ss).

In argomento

Mostre

n. 2830, vol. II (1968), pp. 358-364
n. 2815, vol. IV (1967), pp. 55-58
n. 2793, vol. IV (1966), pp. 263-268
vol. IV (1964), pp. 213-226
vol. III (1964), pp. 551-562
n. 2721, vol. IV (1963), pp. 234-247
n. 2691, vol. III (1962), pp. 232-245
n. 2576, vol. IV (1957), pp. 152-166
n. 2570, vol. III (1957), pp. 166-180
n. 2551, vol. IV (1956), pp. 49-62
n. 2528, vol. IV (1955), pp. 148-162
n. 2432, vol. IV (1951), pp. 141-151