NOTE
×

(*) Produzione: Italia-Francia, 1974. – Regista: Luchino Visconti. Soggetto di Enrico Medioli. Sceneggiatori: L. Visconti, E. Medioli. Suso Cecchi D’Amico. Personaggi e attori: Il professore (Burt Lancaster), sua madre (Dominique Sanda), sua moglie (Claudia Cardinale), la cameriera (EIvin Cortese). Gli intrusi: marchesa Bianca Brumonti (Silvana Mangano), Konrad Hlibel, suo amante (Helmut Berger), Lietta, figlia di Bianca (Claudia Manani), Stefano, suo fidanzato (Stefano Patrizi). Musiche (oltre due brani di Mozart) di Franco Mannino. TODD-AO/Technicolor. Durata: 2 ore. – Giudizio del C.C.C.: “Discutibile/Ambiguità”, ma segnalato “per la positività delle riflessioni cui induce” (Segn. Cin., vol. 78, 123).

1 A Konnd: “Il prezzo del progresso è la distruzione. La scienza moderna non può essere neutra: in realtà serve ai fini pratici. La potenza tecnologica, che doveva liberare, ha portato ad una specie di schiavitù”.

2 Al profeaore. declamando i versi del sinistro-rivoluzionarista americano Wystan Hugh Auden, appresi da Konrad: “Sì: un’attraente forma vedrai, dàlle la caccia ed abbracciala, se puoi, sia essa una ragazza o un ragazzo, senza vergogna ma con coraggio. La vita è breve. Cògli dunque ogni contatto la tua carne al momento muova. Non c’è vita sessuale nella tomba”.

3, Totalizzando diciotto Nell’ordine: Ossessione (1942), Giorni di gloria (in collaborazione con G. De Santis, M. Pagliero e M. Serandrei: 1945), La terra trema (1948), Bellissima (1951), Appunti su un fatto di cronaca (1951), Siamo donne (V episodio: 1953), Senso (1954), Le notti bianche (1957), Rocco e i suoi fratelli (1960), Il lavoro (episodio di Boccaccio ’70: 1962), Il Gattopardo (1963), Vaghe stelle dell’Orsa... (1965), La strega bruciata viva (episodio di Le streghe: 1967), Lo straniero (1967), La caduta degli dei (1969), Morte a Venezia (1971), Ludwig (1973), Gruppo di famiglia in un interno (1974).

4 Cfr U. FINETTI, Il tema della famiglia nell’opera di Visconti, in Cinema nuovo, 1969, n. 202, 434 ss.

5 Il Regista ha girato il film in stato di ridotta mobilità, a causa di una grande malattia che l’aveva colpito tre anni prima.

6 L’elettrocardiogramma che, in apertura, lentamente si svolge dietro i titoli di testa, anticipa quello che, alla fine del film, annuncerà il tracollo del Professore.

7 A Lietta, che gli si propone in moglie, risponde che, ormai, la sola storia di amore che resta ad un vecchio come lui è quella di Re Lear: amore di un padre per i suoi figli, e per giunta adulti.

8 A Konrad: “Non amo intervenire in cose che non mi riguardano”; a Lietta: ’“Le crisi isteriche di vostra madre non mi interessano”.

9 Da notare l’elegiaco motivo musicale che inizia quando egli apre agli inquilini l’appartamento del piano di sopra, e che si smorza quando egli lo richiude: motivo che puntualmente poi introdurrà gli altri momenti ricordo-nostalgia del film.

10 Significativo, a questo riguardo, il contrappunto tra la discreta melodia classica che accomgagna la romantica rievocazione della moglie da parte del professore, ed il motivo – “La mia solitudine sei tu, La mia rabbia vera sei sempre tu ...” – che dal piano di sopra, cantato a piena gola dalla Vanoni, viene a sovrapporsi; la cui falsa drammaticità passionale viene rilevata dalla tresca oscena che i tre giovani, al suo ritmo, stanno ballando.

11 Unica, forse, eccezione la sua replica indignata a Lietta: “L’incredibile è che vostra madre consideri Konrad una canaglia, un immorale e leggero, e tuttavia gli confidi sua figlia!”.

12 Commentando il racconto di Hawthome, di cui subito: “Tutto è stato molto peggio di quanto potessi immaginanni. Se sono esistiti inquilini impossibili, io credo che siano toccati a me. Ma poi mi sono trovato a pensare, come diceva Lietta, che avrebbe potuto essere la mia famiglia: riuscita o meno, diversa sino allo spasimo. E siccome amo questa sciagurata famiglia, vorrei fare qualcosa per lei, come lei, senza rendenene conto, ha fatto per me [...]. La vostra presenza qua sopra ha significato il contrario della morte per me. lo non credo di essere caduto in un inganno. ’Voi mi avete svegliato bruscamente da un sonno che era profondo insensibile e sordo come la morte”.

13 Per la verità, abbondano nel film situazioni e battute – e più queste che quelle – che suggeriscono, anzi che sembrano imporre, anche una tesi ed una morale ideologico-politica: (resistenziale) anticapitalista ed antifascista; ma persuadono poco o nulla. Ben altro era l’antinazismo, sentito ed essenziale, della Caduta degli dei! La crisi del Professore è quella di un intellettuale-esteta, non di un ideologo politico o di un sociologo; col suo isolarsi vuole difendersi da ogni problema, e non da “questi problemi, che sembrano introdotti da Visconti più che altro per mostrare quanto il suo protagonista, appunto, ne è fuori. A conferma, è da notare che Visconti, nei suoi film, la corrotta società capitalistica, ed il sociale in genere, l’ha visti sempre dal di fuori, come spettatore (decadentisticamente compiaciuto), non come impegnato. Il suo marxismo – del resto contraddetto, come in tanti marxisti nostrani, da tutto uno stile di vita, e non soltanto economico –, quando non risale all’antifascismo viscerale assimilato nelle sue giovanili esperienze parigine, sa molto di quel conformismo comune a tanta intellighenzia italiana, che per avere il benestare della critica deve pagare questo pedaggio. In particolare, l’antifascismo di questo film serve anche come autodifesa al Regista, accusato da certa stampa di essersi fatto finanziare un bel miliardo da un produttore “fascista” (Rusconi). Fa dire a Bianca: “E dove sono gli industriali di sinistra?”.

14 Anche lui era sulla settantina. Vale la pena di riportare per intero il sonetto nella bella parafrasi di Enzo N. Girarda: “Già il corso della mia vita, fragile barca in mare tempestoso, è giunto al porto comune, ove si passa a render conto e giustificazione d’ogni azione buona o trista. Ora conosco bene di quanto errore fosse piena l’appassionata fantasia per la quale io feci dell’arte il mio idolo e il mio tiranno; e conosco pure cosa valgano quei beni che l’uomo desidera a suo danno. I vani pensieri d’amore che un giorno m’allietarono, che diverranno ora, se mi avvicino a due morti? D’una [la morte del corpo] sono sicuro, dell’altra [la morte spirituale] avverto la minaccia. Né il dipingere o lo scolpire potranno più acquetare l’anima, ormai tutta rivolta a quell’amore divino, che aperse le braccia in croce per prenderci seco”.

MENU

Articolo estratto dal volume III del 1975 pubblicato su Google Libri.

Il testo è stato corretto dai refusi di stampa e formattato in modo uniforme con gli altri documenti dell’archivio.

I riferimenti ai documenti del magistero pontificio sono stati resi interattivi e portano al sito del progetto “Chiesa e Comunicazione”, la biblioteca digitale online che prosegue l’attività iniziata da p. Baragli con le opere Cinema cattolico: documenti della Santa Sede sul cinema e Comunicazione Comunione e Chiesa.

ARTICOLO SU

Le “dramatis personae”

Il protagonista non ha nome: è “il professore”. Dal poco che dice di sé veniamo a sapere che, americano, ma di madre romana, ha studiato ed ha viaggiato; si è sposato e gli è andata male. Che, già professore di scienze – quali non sappiamo –, le ha ripudiate “perché il progresso porta alla distruzione”1. Infine, che ha fatto la guerra e che, tornato a Roma al seguito della Quinta Armata, vi è rimasto. Prossimo ormai alla settantina, vive solitario nel settecentesco palazzo materno, leggendo autori, ascoltando musica classica e collezionando quadri, specialmente Gruppi di famiglia del Settecento inglese.

L’altro protagonista è il quartetto degli intrusi. La volgare isterica straricca quarantenne marchesa Bianca Brumonti, foraggiata dal marito, industriale “fascista”. Il suo amante Konrad Hubel: tedesco, ventotto anni, ex studente d’arte, ricercato dalla polizia dopo le barricate berlinesi del ’68. Deluso, pronto a tutto per avere danaro, s’è dato alla vita. Sfrutta la marcia società borghese giocando, trafficando droga e concedendo i suoi favori di efebo a uomini e a mature signore d’alto bordo. La figlia di Bianca, Lietta: minorenne, ma già molto avanzata nel programma erotico insegnatole da Konrad2, fa da mezzana nella tresca della madre, si concede, insieme, a Konrad ed al quarto della “famiglia”, il “fascista” Stefano, suo “fidanzato in prova”; e si offre anche al vecchio professore, stupefatto testimone delle sue disinibite effusioni erotiche.

Il soggetto

Nel suo studio, due mercanti d’arte offrono al professore l’acquisto di un altro Gruppo di famiglia: milioni. Egli ammira; ma pensando ai lavori in progetto per sistemare, nella prossima primavera, al piano di sopra la sua biblioteca, rifiuta e li congeda. Resta nello studio la marchesa Bianca, che durante il colloquio si è aggirata liberamente per l’appartamento. No: non era con i due mercanti; li aveva incontrati per le scale, ed era lì per chiedere al professore di affittarle, appunto, il piano di sopra. Al suo rifiuto, insiste che almeno glielo faccia vedere. Per non sembrare scortese, il professore acconsente. Alla visita, non annunciati ed invadenti, si accompagnano Lietta, Konrad e Stefano.

Il giorno dopo, il “Gruppo di famiglia” è di nuovo nello studio del professore. L’ha comprato Lietta. I milioni che costa – dice – valgano come anticipo dell’affitto – solo per un anno! – dell’appartamento, dove sua madre intende sistemare il suo Konrad e i due fidanzati “in prova”. Il professore si rassegna, e presto cominciano gli imprevisti. Gli intrusi abbattono tramezzi e muri: calcinacci ed acqua devastano l’appartamento di sotto. Konrad, dal professore sorpreso nel sonno, si giustifica: l’alloggio non era stato forse acquistato da Bianca a suo nome? Non era egli, dunque, padrone di farci quel che voleva? E per chiarire l’equivoco telefona a Parigi. La notte stessa Bianca si precipita in aereo a Roma, e tra le macerie dell’alloggio devastato, riconosce che, sì, il professore ha ragione; ma, ormai, per i danni, se la vedano gli avvocati, e l’alloggio i tre se lo riassestino pure a loro piacere.

Ora gli incontri, o meglio, le invadenze degli intrusi di sopra nel piano di sotto si fanno sempre più frequenti. Uno, drammatico, riesce almeno ad avviare una specie di dialogo tra i due uomini, insieme, più vicini e più contrari. Di notte alcuni ignoti – fascisti? giuoco? droga?: il ferito si oppone a che la polizia se ne interessi – sorprendono e randellano a sangue Konrad. Il professore corre in suo aiuto, lo trascina nel proprio appartamento, lo alloga nella stanza segreta già servita, durante la guerra, per nascondervi antifascisti ed ebrei e, ad insaputa di tutti, per più giorni lo cura e lo assiste.

Ma gli altri, più scontri che incontri, rivelano ed esasperano la frattura incolmabile tra proprietario ed inquilini. A notte alta, un disco della Vanoni a tutto volume copre la nostalgica serenata di Mozart che rievoca al professore il suo matrimonio fallito. Accorso per protestare, strabilia nel sorprendere la ragazza e i due uomini che, nudi, nella penombra, semidrogati ballano e flirtano. Le due scene-madri finali – l’alterco violento del quartetto nell’alloggio pacchianamente ammodernato, e la rissa furiosa tra Konrad e Stefano, che segue al “totale” della cena nel suo appartamento – finiscono con rivelare al professore l’abisso incolmabile che lo separa da quella assurda “famiglia”, dilaniata da dissidi infami, unita solo della dissolutezza più cinica.

Un’esplosione al piano di sopra segna l’epilogo. Tra il fumo e le fiamme, Konrad – suicida? assassinato dai “fascisti”? da Stefano? – giace ucciso. Il cuore del professore, come prova l’elettrocardiogramma, non regge. Bianca e Lietta si congedano da lui. Ripiombato nella solitudine, l’ammalato piange; ed ascolta, sempre più forti, dal piano di sopra, i passi della morte.

Teatro-testamento

Rispetto al Visconti migliore, il film piuttosto delude. Apparentemente realistico, di fatto tutto vi risulta costruito; a cominciare dalla tesi di avvio, analoga al Teorema di Pasolini: lo sconvolgimento che l’irrompere di un agente “diverso” provoca in uno stagnante ambiente “borghese”. La vicenda, non storia né cronaca, volge in allegoria: i personaggi, pochi ed emblematici, tagliati fuori da ogni realtà esterna alle quinte in cui il regista li chiude, più che viverla la rappresentano. Scarsi gli elementi espressivi più propriamente cinematografici: tre brevi flash back, scenografie ed illuminazioni a contrasto nei due interni, qualche contrappunto sonoro, qualche zoom e qualche lento movimento di macchina per guidare l’occhio dello spettatore... Per il resto: teatrali i dialoghi prolissi con cui i personaggi, non soltanto ci “dicono” – più che farci vedere – quanto di essi dobbiamo conoscere, ma ripetono – vedi la solitudine del Professore – quanto le immagini ci hanno già abbondantemente chiarito. Teatrali le loro entrate ed uscite di comodo, le due scene madri, le lettere che introducono ed annodano gli eventi, le due o tre inquadrature di esterni, rese come fondali senza prospettiva ...

Eppure il film emana un suo strano fascino. Si direbbe che Visconti, dopo più di trent’anni di cinema3, vi riprenda, quasi in un bilancio-testamento, immagini figure e motivi ricorrenti nella sua opera decadentemente splendida. Il Professore ricalca il Principe Salina del Gattopardo: pari ne è la superba interpretazione del Lancaster, pari il suo sconfortato tramonto: che prelude a quello, atroce, dell’Aschenbach in Morte a Venezia ed a quello, tragico, di Joakim nella Caduta degli dei. Nell’ariana ambigua bellezza di Konrad rivedi quella che lo stesso attore Berger prestava al Ludwig nel film omonimo, e al Martin della Caduta. Nella marchesa Bianca ritrovi la degenerazione morale di Sofia nello stessi film, di Livia in Senso e, involgarita, la bellezza superba dell’aristocratica polacca di Morte a Venezia. E ritrovi soprattutto il tema del disfacimento di una famiglia4, di preferenza dopo un suntuoso convito, che da Ossessione e La terra trema, con variazioni tragico-erotiche, si ripete in Senso, in Rocco, nel Lavoro, nel Gattopardo, in Vaghe stelle dell’Orsa. e, appunto, nella Caduta degli dei e in Ludwig.

Ma c’è una differenza. Negli altri film il Regista si teneva come distaccato dai suoi personaggi e dalle loro vicende. Certo, la visione che ne dava, da maestro qual è, era tutta sua; ma – se non, forse, un po’ nel Gattopardo – nulla t’induceva a cogliervi proiezioni o echi di situazioni sue personali. Ritrovavi in essi, sia pure ricreati in immagini compiaciutamente squisite, personaggi e vicende storicamente datati, oppure già modellati da altri: da Cain in Ossessione, da Verga in La terr trema, da Boito, Dostoevskij, Testori, Lampedusa, Camus e Mann nei film posteriori. In questo Gruppo, invece, sarà per quello che tu conosci dell’uomo Visconti5, ti viene fatto di ritrovarlo nel, non per nulla anonimo, suo Professore. Coincide l’età; concordano l’estrazione aristocratica e l’isolamento familiare, la cultura raffinata vòlta alla bellezza delle forme, il collezionismo e lo studio amoroso di oggetti artistici, la rinuncia delusa all’attivismo politico...

Non basta. Aprendo il film con un discreto flash back6, il Regista ti induce a seguirne la vicenda più come rivissuta dal protagonista che come suo racconto oggettivo. Reso così partecipe di essa, ne rilevi meno i simbolismi di un’allegoria; l’enfatizzazione romantica di ricordi remoti, la drammatizzazione e l’accumulo di eventi recenti, la schematizzazione e l’isolamento dei personaggi: li accetti come trasfigurazioni soggettive del dramma interiore vissuto dal Professore e, in esso, da Visconti; anzi – ed è qui il pregio migliore del film – il dramma oggi vissuto da tanti anziani intellettuali, sconcertati ed estraniati dal rivoluzionato mondo odierno.

Due mondi

Quello del Professore è il mondo, al tramonto, di una lunga solitudine affettiva. Caustico, lui che da venticinque anni vive solitario con una cuoca ed una domestica, dice (a Bianca) di suo nonno: “Egli era solo. Aveva una cuoca e una domestica; ed anche un gatto. Io il gatto non l’ho”. Del padre, nel suo passato non è rimasta traccia. La madre e la sposa sono solo due bellezze splendide e tristi, che la memoria rievoca tra veli romantici e fiabeschi luci rosacee. Non le gioie della paternità: le sole che ormai potrebbero confortare la sua vecchiaia7.

Ed è il mondo di un sopravvissuto. Deluso, come s’è detto, della scienza, “che non edifica, ma distrugge”; e deluso della politica, perché (dice a Stefano) gli intellettuali della sua generazione credevano possibile un equilibrio tra politica e morale, e hanno visto che è impossibile; si è trovato sconcertato soprattutto dopo la guerra, quando ha avvertito la discordanza abissale tra la sua generazione e i giovani. Confessa (a Lietta): “Quando ho avuto il tempo di guardarmi intorno mi sono trovato in mezzo a gente con la quale non avevo niente in comune... È chiaro che ho perso i contatti. È come se parlassimo due lingue diverse: non c’è più possibilità d’intenderci. È tragico!”.

Vinto e, come tanti altri personaggi dei film di Visconti, senza né la volontà né il desiderio di battersi, s’è rifiutato ad ogni dialogo e contatto umano, chiudendosi in una solitudine che l’ha quasi ridotto alla nevrosi. Confessa (a Lietta): “Sono un vecchio, un po’ isterico, che non ama i rumori”; (a Konrad): “Sono abituato a star solo. Sapere che c’è una persona estranea in casa mi disturba, e mi impedisce di lavorare”. Questa sua solitudine, a volte, l’impaurisce; ma la difende. Ammette (ancora a Lietta): “Le persone anziane diventano strani animali, scontrosi, intolleranti; a volte impauriti dalla solitudine che hanno voluto loro stessi, e che tornano a difendere quando è minacciata”.

Lavora dunque o, meglio, consuma un aristocratico otium nel suo appartamento-rifugio, a finestre sprangate, la porta serrata a tre chiavistelli. Nel suo studio-museo non c’è spazio e respiro. Lo ingombrano scaffali, scrivanie, tavolini, poltrone, vasi, statue, pile di libri, e soprattutto i suoi Gruppi di famiglia: oggetti raffinati ma morti, con i quali egli convive, si affeziona, litiga. C’è, certamente, in questo suo splendido isolarsi anche il distacco orgoglioso dell’intellettuale aristocratico dall’humanum vulgus: riecheggiando il vinto ma orgoglioso Principe Salina – “Noi fummo i gattopardi e i leoni, dopo di noi verranno i lupi e gli sciacalli” –, egli ricorda (a Bianca) che “I corvi vanno a schiere, l’aquila vola sola”; e c’è anche l’autosufficienza dell’esteta: “A me basta il ricordo del mare per occupare tutta la mia fantasia”. Ma c’è soprattutto l’egoismo borghese, che si rifiuta agli altri8 perché (a Bianca): “Vivendo tra gli uomini si è costretti a pensare ad essi invece che alle loro opere, a soffrire con loro, ad occuparsi di loro...”.

Tutt’altro è il mondo dei quattro intrusi che vengono a rompere la sua solitudine: se per le età il divario è di due generazioni – Bianca potrebbe essere sua figlia; i tre: suoi nipoti –, psicologicamente e civilmente la lontananza è di secoli. Infatti, fatta qualche eccezione per Konrad, in quanto a sensibilità cultura ed estetica siamo agli antipodi. I loro interessi, quando non sono quelli ignobili dell’erotismo, del danaro, della droga, del razzismo e della sopraffazione politica, non superano quelli di uno spocchioso consumismo. Le preoccupazioni di Bianca sono dove posteggiare le sue macchine, come trovare le cameriere. Si vanta che suo marito ha le camere tappezzate di libri “in scaffali di ciliegio”, ma che non ne ha mai letto uno. Propone al Professore di prestargli uno dei suoi Gruppi per appaiarlo, nella luce pacchiana del piano di sopra, ad uno sgorbio moderno: “artistico – dice Stefano – perché è costato una decina di milioni...”.

E pari alla rozzezza culturale è l’inciviltà del loro comportamento. Il Professore è rimasto fedele a quella urbanità di modi che distingueva – spesso magari mascherando la carenza di valori umani più autentici – la “gente per bene” e, diciamo pure, “i signori” di una volta. Egli non sbatte le porte, ha ancora il culto dell’ordine e della puntualità; abbassa il tono della musica se altri parlano al telefono, si scusa se è costretto a toccare un cibo con le mani, se gli capita di alzare la voce; non mente, neanche alla polizia; non si permette una parola men che castigata; si mostra tanto rispettoso dei sentimenti altrui quanto geloso di manifestare i suoi; continua a trattare con maniere squisite le due “signore”, anche quando gliene è più che chiara la inimmaginabile scostumatezza...

Dallo scontro al dialogo

Ridotti quasi soltanto a questi tutti i suoi valori umani, le sue reazioni infastidite sono più per la rozzezza incivile dei suoi inquilini che per la loro bassezza morale. Ribatte ad Erminia: “Non sono persone fini, come lei dice: sono vuoti, stupidi, inutili soprattutto”. Lo frastornano, più che altro, l’insolenza con cui essi violano la sua privacy9, il loro non stare ai patti e agli appuntamenti, i dischi che a tutto volume mettono anche di notte10, quel loro gridare insultarsi ed aggredirsi senza ritegno avanti ad estranei. Anche il loro sudicio vocabolario scatologico-sessuale, la dissolutezza che in essi va scoprendo, la ignominiosa promiscuità di cui viene ad essere testimone, la stessa turpe insinuazione di Bianca (che egli se la faccia con Konrad), ingenerano in lui più fastidio estetico, da beneducato, che sdegno propriamente morale11.

Ma questo suo perbenismo si rivela meno resistente di quanto sembri. La vitalità e la franchezza di quelle giovinezze scomplessate, ed anche la loro noncuranza dell’etichetta (vedi il frugale pasto nella cucina), cominciano ad esercitare su lui uno strano (ed ambiguo?) fascino. Quel loro profferirsi come sua famiglia, la mano che Lietta, con impertinente familiarità, gli mette sulla spalla, non gli spiacciono del tutto. Anche l’appartamento di sopra, da essi dilatato in un unico ambiente ed inondato di luce, lo offende meno. Fatto sta che dal contatto forzato con essi, egli passa al dialogo sopportato, ed infine – sia pure in uno di quei momenti in cui la solitudine l’impaurisce – al dialogo da lui favorito, invitandoli tutti, come unica famiglia, alla sua tavola.

Il cedimento glielo causa Konrad. Nei contatti che, per le vicende drammatiche di cui l’intruso è vittima, si fanno sempre più frequenti ed intimi, il Professore scopre via via le molte affinità che glielo rendono meno distante. Vede che, quando vuole, anche lui sa usare le buone maniere: chiedere permesso, ringraziare, conversare in termini civili; e che culturalmente non è uno sprovveduto. Poliglotta, non ha dimenticato quel che ha studiato di arte; parla con competenza di quadri e di autori, cita a proposito (con stupore di Bianca) la Bibbia; gusta la buona musica, il suo studio-museo non gli piace, ma lo affascina... E nota, il Professore, che anche Konrad è un deluso della vita: valido o meno, ha creduto in un ideale e, vinto, ci ha rinunciato; e che anche lui, nella rinuncia, anzi nell’abiezione in cui si ritrova, conserva un suo orgoglio: dice di non temere la morte, ma che gli brucia la vigliaccheria di chi lo ha assalito alle spalle...

Ormai per l’anziano Professore, Konrad non è più un intruso, ma qualcuno che egli potrebbe anche amare, sia pure “alla Re Lear”. Forse non giudica più tanto impertinente la proposta fattagli da Lietta, di adottarlo come suo figlio; in ogni modo, gli eventi lo portano ad attuarla con i fatti. Ferito, egli lo nasconde nel “suo” appartamento, lo cura e lo nutre con delicatezza, si direbbe, materna; per due giorni parla con lui, confidandogli il proprio passato: eventi, ideali, delusioni, rinunce. Anche Konrad si apre con lui, ed egli non si disinteressa più dei casi suoi. Quando poi, ucciso, se lo raccoglie sulle ginocchia, il suo cuore non regge. Solo orrore per il “fascista” Stefano, che egli intuisce esecutore dell’assassinio, o anche ambascia per la morte di uno che ormai faceva parte di un suo nuovo, vivo, Gruppod i famiglia? Una cosa è certa: la sua solitudine è finita. Ha visto che nell’odierno scontro di età mentalità ideologie e culture diverse, poco vale la denuncia, e nulla vale la fuga dai vivi, per rifugiarsi nelle opere dei morti. Troppo tardi ha capito che l’egoismo non paga: interessandosi agli altri ha sofferto, ma almeno ha vissuto12, ed ha trovato il sollievo negato ai vecchi misantropi. Glielo aveva ricordato “suo figlio”: “Guai a chi è solo, perché quando cade non avrà nessuno che lo sollevi”. E questa potrebbe essere la prima “Morale” di questa allegoria di Visconti13.

L’ “Inquilino” di Hawthorne

Ma non è tanto sicuro: perché quel poco che nelle ultime inquadrature il Regista ci mostra dello sconvolto animo del Professore ci resta piuttosto ambiguo.

Le due donne si accomiatano parlandogli di Konrad. Che cosa egli piange nel “figlio” perduto? Il gesto di un disperato – (Bianca, cinica: “Dimentichi quel suicida!”) –, oppure la vittima di una vendetta fascista – (Lietta, comprensiva: “No: continui a ricordarlo, adesso che l’hanno ucciso!”) – ? Perché trattiene a lungo le mani della madre, quasi non voglia essere abbandonato? Perché accetta il bacio della figlia, e lui le bacia la mano? Sono veramente, le due – per la prima volta! – biancovestite, “pulite”: oppure è lui a vederle così trasfigurate? Fanno finalmente parte del suo Gruppo di famiglia perché si sono sollevate, almeno un po’, verso di lui, l’aquila; oppure l’aquila non vola più solitaria perché s’è un po’ imbrancata con i corvi?

L’infermo non parla: solleva gli occhi e le mani in alto. Verso chi e che cosa? Rispondono i passi di un non nuovo inquilino del piano di sopra, che, sempre più forti, coprono il motivo funebre che già accompagnava i titoli di testa. È la morte: l’ha letto e riletto, nella sua lunga solitudine, forse nel libro che ora tiene nelle mani, e l’ha ricordato, un giorno, alla sua nuova famiglia:

“C’è uno scrittore – il romanziere solitario Nathaniel Hawthorne? – del quale tengo i libri in camera mia, e che spesso rileggo. Racconta di un inquilino che un giorno s’insedia in un appartamento sopra il suo. Lo scrittore lo sente muoversi, camminare, aggirarsi. Poi, tutt’un tratto, sparisce, e per lungo tempo c’è solo il silenzio. Ma all’improvviso ritorna. In seguito, le sue assenze si fanno più rare, e la sua presenza più costante. È la morte: la coscienza di essere giunto al termine della sua vita, che gli si è annunciata in uno dei suoi mutevoli quanto ingannevoli travestimenti”.

Requiem per una società che, col Professore, muore, o meditazione sulla caducità d’ogni vita e d’ogni cosa umana? – Visconti non lo dice. Ma che tristezza quando la morte è un salto nel buio che sigilla “l’infinita vanità del tutto”, e non è, come per chi vive nella fede e nella speranza, passaggio-liberazione! Ben altrimenti meditava e poetava l’uomo ed artista Michelangelo alle soglie dell’eternità: “Giunto è già ’l corso della vita mia,/con tempestoso mar, per fragil barca,/al comun porto, ov’a render si varca/conto e ragion d’ogni opra trista e pia. [...]. Né pinger né scolpir fie più che quieti/l’anima, volta a quell’amor divino/c’aperse, a prender noi, ’n croce le braccia”14.

(*) Produzione: Italia-Francia, 1974. – Regista: Luchino Visconti. Soggetto di Enrico Medioli. Sceneggiatori: L. Visconti, E. Medioli. Suso Cecchi D’Amico. Personaggi e attori: Il professore (Burt Lancaster), sua madre (Dominique Sanda), sua moglie (Claudia Cardinale), la cameriera (EIvin Cortese). Gli intrusi: marchesa Bianca Brumonti (Silvana Mangano), Konrad Hlibel, suo amante (Helmut Berger), Lietta, figlia di Bianca (Claudia Manani), Stefano, suo fidanzato (Stefano Patrizi). Musiche (oltre due brani di Mozart) di Franco Mannino. TODD-AO/Technicolor. Durata: 2 ore. – Giudizio del C.C.C.: “Discutibile/Ambiguità”, ma segnalato “per la positività delle riflessioni cui induce” (Segn. Cin., vol. 78, 123).

1 A Konnd: “Il prezzo del progresso è la distruzione. La scienza moderna non può essere neutra: in realtà serve ai fini pratici. La potenza tecnologica, che doveva liberare, ha portato ad una specie di schiavitù”.

2 Al profeaore. declamando i versi del sinistro-rivoluzionarista americano Wystan Hugh Auden, appresi da Konrad: “Sì: un’attraente forma vedrai, dàlle la caccia ed abbracciala, se puoi, sia essa una ragazza o un ragazzo, senza vergogna ma con coraggio. La vita è breve. Cògli dunque ogni contatto la tua carne al momento muova. Non c’è vita sessuale nella tomba”.

3, Totalizzando diciotto Nell’ordine: Ossessione (1942), Giorni di gloria (in collaborazione con G. De Santis, M. Pagliero e M. Serandrei: 1945), La terra trema (1948), Bellissima (1951), Appunti su un fatto di cronaca (1951), Siamo donne (V episodio: 1953), Senso (1954), Le notti bianche (1957), Rocco e i suoi fratelli (1960), Il lavoro (episodio di Boccaccio ’70: 1962), Il Gattopardo (1963), Vaghe stelle dell’Orsa... (1965), La strega bruciata viva (episodio di Le streghe: 1967), Lo straniero (1967), La caduta degli dei (1969), Morte a Venezia (1971), Ludwig (1973), Gruppo di famiglia in un interno (1974).

4 Cfr U. FINETTI, Il tema della famiglia nell’opera di Visconti, in Cinema nuovo, 1969, n. 202, 434 ss.

5 Il Regista ha girato il film in stato di ridotta mobilità, a causa di una grande malattia che l’aveva colpito tre anni prima.

6 L’elettrocardiogramma che, in apertura, lentamente si svolge dietro i titoli di testa, anticipa quello che, alla fine del film, annuncerà il tracollo del Professore.

7 A Lietta, che gli si propone in moglie, risponde che, ormai, la sola storia di amore che resta ad un vecchio come lui è quella di Re Lear: amore di un padre per i suoi figli, e per giunta adulti.

8 A Konrad: “Non amo intervenire in cose che non mi riguardano”; a Lietta: ’“Le crisi isteriche di vostra madre non mi interessano”.

9 Da notare l’elegiaco motivo musicale che inizia quando egli apre agli inquilini l’appartamento del piano di sopra, e che si smorza quando egli lo richiude: motivo che puntualmente poi introdurrà gli altri momenti ricordo-nostalgia del film.

10 Significativo, a questo riguardo, il contrappunto tra la discreta melodia classica che accomgagna la romantica rievocazione della moglie da parte del professore, ed il motivo – “La mia solitudine sei tu, La mia rabbia vera sei sempre tu ...” – che dal piano di sopra, cantato a piena gola dalla Vanoni, viene a sovrapporsi; la cui falsa drammaticità passionale viene rilevata dalla tresca oscena che i tre giovani, al suo ritmo, stanno ballando.

11 Unica, forse, eccezione la sua replica indignata a Lietta: “L’incredibile è che vostra madre consideri Konrad una canaglia, un immorale e leggero, e tuttavia gli confidi sua figlia!”.

12 Commentando il racconto di Hawthome, di cui subito: “Tutto è stato molto peggio di quanto potessi immaginanni. Se sono esistiti inquilini impossibili, io credo che siano toccati a me. Ma poi mi sono trovato a pensare, come diceva Lietta, che avrebbe potuto essere la mia famiglia: riuscita o meno, diversa sino allo spasimo. E siccome amo questa sciagurata famiglia, vorrei fare qualcosa per lei, come lei, senza rendenene conto, ha fatto per me [...]. La vostra presenza qua sopra ha significato il contrario della morte per me. lo non credo di essere caduto in un inganno. ’Voi mi avete svegliato bruscamente da un sonno che era profondo insensibile e sordo come la morte”.

13 Per la verità, abbondano nel film situazioni e battute – e più queste che quelle – che suggeriscono, anzi che sembrano imporre, anche una tesi ed una morale ideologico-politica: (resistenziale) anticapitalista ed antifascista; ma persuadono poco o nulla. Ben altro era l’antinazismo, sentito ed essenziale, della Caduta degli dei! La crisi del Professore è quella di un intellettuale-esteta, non di un ideologo politico o di un sociologo; col suo isolarsi vuole difendersi da ogni problema, e non da “questi problemi, che sembrano introdotti da Visconti più che altro per mostrare quanto il suo protagonista, appunto, ne è fuori. A conferma, è da notare che Visconti, nei suoi film, la corrotta società capitalistica, ed il sociale in genere, l’ha visti sempre dal di fuori, come spettatore (decadentisticamente compiaciuto), non come impegnato. Il suo marxismo – del resto contraddetto, come in tanti marxisti nostrani, da tutto uno stile di vita, e non soltanto economico –, quando non risale all’antifascismo viscerale assimilato nelle sue giovanili esperienze parigine, sa molto di quel conformismo comune a tanta intellighenzia italiana, che per avere il benestare della critica deve pagare questo pedaggio. In particolare, l’antifascismo di questo film serve anche come autodifesa al Regista, accusato da certa stampa di essersi fatto finanziare un bel miliardo da un produttore “fascista” (Rusconi). Fa dire a Bianca: “E dove sono gli industriali di sinistra?”.

14 Anche lui era sulla settantina. Vale la pena di riportare per intero il sonetto nella bella parafrasi di Enzo N. Girarda: “Già il corso della mia vita, fragile barca in mare tempestoso, è giunto al porto comune, ove si passa a render conto e giustificazione d’ogni azione buona o trista. Ora conosco bene di quanto errore fosse piena l’appassionata fantasia per la quale io feci dell’arte il mio idolo e il mio tiranno; e conosco pure cosa valgano quei beni che l’uomo desidera a suo danno. I vani pensieri d’amore che un giorno m’allietarono, che diverranno ora, se mi avvicino a due morti? D’una [la morte del corpo] sono sicuro, dell’altra [la morte spirituale] avverto la minaccia. Né il dipingere o lo scolpire potranno più acquetare l’anima, ormai tutta rivolta a quell’amore divino, che aperse le braccia in croce per prenderci seco”.

In argomento

Mostre

n. 2830, vol. II (1968), pp. 358-364
n. 2815, vol. IV (1967), pp. 55-58
n. 2793, vol. IV (1966), pp. 263-268
vol. IV (1964), pp. 213-226
vol. III (1964), pp. 551-562
n. 2721, vol. IV (1963), pp. 234-247
n. 2691, vol. III (1962), pp. 232-245
n. 2576, vol. IV (1957), pp. 152-166
n. 2570, vol. III (1957), pp. 166-180
n. 2551, vol. IV (1956), pp. 49-62
n. 2528, vol. IV (1955), pp. 148-162
n. 2432, vol. IV (1951), pp. 141-151