NOTE
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1 Abbiamo calcolato i lettori potenziali del libro in lingua inglese sui 200 milioni; di quelli in lingua francese in 100 milioni; di quelli in lingua italiana in 50 milioni. Per dati approssimativi di una quindicina di anni fa cfr Enciclopedia Italiana, voci Francia e Inghilterra: XV, 971 e XIX, 265.

2 In Italia, negli anni 1910, 1920 e 1930, gli sposi che non sottoscrissero l’atto di matrimonio perché analfabeti furono rispettivamente il 30,79%, il 18,19% e il 10%. Supponendo che l’età media degli sposi sia stata allora sui 22/25 anni, ne segue che la percentuale degli analfabeti tra gli italiani di età matura o sulla vecchiaia (45-65 anni), che nel censimento del novembre 1951 si aggiravano sui 12 milioni, in detto anno presumibilmente oltrepassava ancora il 16%. La percentuale di analfabeti tra i ventiquattrenni di oggi dovrebbe essere del 5,7%, segnata dai passati alla visita militare della classe 1930. (Cfr Annuario statistico italiano 1952, pp. 28 e 425; 1951, p. 137). A proposito di strati di popolazione intellettualmente depressi si pensi, per esempio, ai pastori dell’Abruzzo e della Sardegna, ai braccianti del Polesine e delle Puglie, e, in genere, alla più gran parte delle popolazioni rurali di alcune zone dell’Italia meridionale, nonché ad alcuni settori operai di tutta la penisola...

3 Cfr Annuario statistico, cit., tavv. 141, 145 e 405.

4 Un esempio chiarirà quanto incida questa percentuale sul prezzo al pubblico. Il costo di un libro, che senza spese di propaganda fosse di L. 800, con dette spese salirebbe a L. 1.000. Siccome il prezzo fatto al pubblico si aggira sul triplo del costo totale, detto volume verrebbe offerto al cliente al prezzo di L. 3.000. Orbene, su queste 3.000 lire, 600 sarebbero quelle che l’utente pagherebbe come spese di propaganda... Il lettore che trovasse troppo esosa la triplicazione dei costi praticata dall’editore, rifletta che questi di norma cede i suoi volumi ai grossisti e ai librai con sconti che variamo in media dal 35 al 40%, e che su d’un’aliquota spesso non indifferente della tiratura non può sperare introiti diretti, disperdendosi essa fuori commercio in copie d’obbligo, di omaggio o per recensione.

5 Per questa forma di propaganda ricordiamo le fiere che un secolo fa si tentarono in Italia a imitazione di quella di Lipsia; poi negli anni 1922, ’25, ’28 e ’31 le fiere del libro organizzate a Firenze dall’Istituito Italiano del libro, e quelle primaverili lanciate dalla Fiera Letteraria in varie città d’Italia dal 1927. Degno di menzione è infine il trust librario organizzato dall’A.L.I. per la diffusione del libro italiano nell’America del sud negli anni 1914-1926.

6 Gli dette, si può dire, l’ultima perfezione il governo fascista, quando, nel 1919, divise l’Associazione editoriale italiana, già fin dal 1869 unico organismo nella produzione del libro, in due federazioni distinte... e combattenti: la Federazione editori e la Federazione del commercio librario.

7 Per il formato siamo d’opinione che sarebbe da preferire uno di quelli internazionali, e precisamente il 7,5 x 12,5, il quale si raccomanda per la sua maneggevolezza e per il nessuno sciupio che richiede nel taglio del foglio normare tipografico 70 x 100; e soprattutto perché è quello raccomandato e prescelto dall’Istituto Nazionale di Bibliografia di Bruxelles, ormai scelto da moltissimi studiosi nei loro schedari privati, nonché dalla quasi totalità delle biblioteche di tutto il mondo, specialmente da quando, prima la Library of Congress e poi fa Vaticana, l’hanno adottato iniziando la distribuzione mondiale delle loro schede bibliografiche. Se le schede fomite dagli editori ita1iani adottassero questo formato non è chi non veda l’enorme vantaggio che deriverebbe al lavoro dei bibliotecari e degli studiosi, i quali le potrebbero inserire senz’altro nei loro schedari per autori e per soggetti dopo avervi apposta una semplice segnatura.

8 Nelle biblioteche romane, col tramonto dell’epoca repubblicana e imperiale, i volumina si dividevano semplicemente in opere latine e opere greche, e bastavano poche tabelle lignee o marmoree per mostrare gli autori posti in ordine alfabetico. Le biblioteche medievali dei cenobi ed episcopali non sentirono il bisogno di divisioni sistematiche tanto pochi erano i libri ch’esse ripararono come reliquie dal ciclone delle invasioni barbariche; si pensi che per il secolo IX i cataloghi dànno per Frisinga 19 titoli, Oviedo 42, Fulda 33, Bobbio 479, Reichenau 415, San Gallo 458, San Nazario di Lorsch 590 (cfr BECKER, Catalogi bibliothecarum antiqui, Bonn, 1885, passim); anche la celebre abbazia di Cluny nel 1158-1161 ne contava solo 570, e la stessa biblioteca apostolica di Roma, ancora nel 1295, non ne contava più di 500 volumi, come appare dall’inventario che ne fece fare il papa Bonifacio VIII. Alle soglie dell’evo moderno, quando si tentarono le prime divisioni per materia, ne bastarono sei o sette del tutto empiriche: Sacra Scrittura. Santi Padri, Canoni, Raccolta miscellanea, Vite e passioni di santi, Classici (cfr I. FRASCHETTI-SANTINELLI, Il catalogo alfabetico per soggetto, Milano 1941, p. 24); un’eccezione segna l’aura di moderno che circola nella classificazione adottata per la biblioteca capitolare di Bologna dal Parentuccelli, prima che col nome di Nicolò V si applicasse ad ampliare e ad ordinare quella vaticana. Essa comporta sette classi: 1) Libri di carattere generale e di consultazione, 2) Classici, 3) Astrologia, musica e scienze varie, 4) Medicina, 5) Filosofia, 6) Diritto, 7) Sacra Scrittura e teologia.

9 Idea bibliothecae publicae secundum classes scientiarum ordinandae, 1700, citata da G. SCHNEIDER, Handbuch der Bibliographie, Lipsia 1930. Ma le due teste erano state precedute da RAIMONDO LULLO, col suo Albero delle scienze, e dal nostrano BRUNETTO LATINI, col suo Tesoro e dallo SPENCER, col suo Classification of the Sciences. Per un’esposizione di tutti i sistemi filosofici tentati fino a tutto il secolo XIX cfr RICHARDSON, Classification theoretical and pratical, New York 1901.

10 BRUNET, Manual du libraire, Parigi, 5ª ed. definitiva, 1860-1865. Cfr Enc. It. s. v. VI, 936.

11 GIUSEPPE FUMAGALLI, Cataloghi di biblioteche, e indici bibliografici, Firenze 1687; GUIDO BIAGI, traduttore del Della compilazione dei cataloghi per biblioteche, di C.C. JEWETT, in collaborazione col precedente, del Manuale del bibliotecario, di J. PETZHOLDT; I. FRASCHETTI-SANTINELLI, Il catalogo alfabetico per soggetto, cit.

12 Eccone le venti classi maestre: A) Opere generali e poligrafia; B) Filosofia e religione; C) Discipline ausiliarie della storia; D) Storia e topografia (eccetto l’America); E-F) America; G) Geografia e antropologia; H) Scienze sociali ed economia; J) Scienze politiche; K) Politica; L) Istruzione ed educazione; M) Musica; N) Belle arti; P) Lingua e letteratura; Q) Scienze (esclusa medicina); R) Medicina; S) Agricoltura e industrie agricole; T) Tecnologia; U) Scienze militari; V) Scienze Navali; Z) Bibliografia e biblioteconomia. Fondamentale per il sistema è il LIBRARY OF CONGRESS, Classification, Washington 1904.

13 Ecco le dieci classi della classificazione C.D.U.: 0) Opere generali; 1) Filosofia; 2) Religione; 3) Sociologia; 4) Filologia; 5) Scienza pura; 6) Scienza applicata (arti utili); 7) Belle arti; 8) Letteratura; 9) Storia e geografia. Fondamentali sono i due volumi: MELVIN DEWEY, Decimai classification and relative index…, Ed. 13, Lake Placid Club, New York 1932; e Abridged decimal classification and relative index for libraries and personal use... 4ª ed., ivi 1929. Per una buona bibliografia specialmente italiana cfr W. VAN DER. BRUGGHEN, Un indice universale dello scibile, trad. da G1ANNETTO AVANZI, estratto da La ricerca scientifica, XXX, 1951. C’è chi contesta al Dewey la priorità dell’idea notando che LA CROIX DU MAINE, fin dal 1583, avrebbe proposto la sistemazione della biblioteca di Enrico III con un sistema analogo, e che l’americano avrebbe trovato il primo germe del suo sistema nell’opuscolo di NATALE BATTEZZATI, Nuovo sistema di catalogo bibliografico generale, Milano, 1871, oppure sul lavoro di I. B. HÉBERT, Essai sur la formation d’un catalogue général des livres et mns. existants en France à l’aide de l’immatriculation. (Cfr B. BALBIS, La documentazione, p. 263).

14 Giannetto Avanzi, uno dei più forti sostenitori del C.D.U., conclude la sua Premessa all’op. cit. dicendo: «Senza doverla erigere a feticcio da idolatrare, come spesso si è visto, e senza denigrarla per partito preso, come pure accade di frequente, resta saldamente, l’unica classificazione di portata internazionale». Tra i denigratori ci mettiamo la Fraschetti-Santinelli? Essa a pag. 45 dell’op. cit., dopo aver fatto la critica del sistema, conclude: «Dal canto mio io penso che, piuttosto che a un ideale di cooperazione mondiale, il catalogo Dewey ha servito, scientemente o no, a un’idea di dittatura anglosassone nel dominio del lavoro intellettuale». Però Nella Santovito Niecchi, direttrice della Nazionale di Roma, propone di usare le notazioni tanto del Congresso quanto della CD.U. nel progettato Catalogo unico per le biblioteche d’Italia (cfr Il libro e le biblioteche, Roma, II, 1950, pp. 1128). Per adattamenti alla religione cattolica, l’opuscolo della Vaticana: Sistemi di classificazione degli stampati, 2ª ed. Roma 1941, p. 19, rimanda a due opere in verità introvabili: P. PAUL-AINÉ MARTIN, Religion, théologie, droit canonique: (classe 2ª et division 348 de la C.D.U....), Montréal 1938; ]EANNETTE MURPHY LYNN, An alternative classification for catholic books: a scheme for Catholic theology, Canon law and Church history..., Milwaukee 1937.

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Articolo estratto dal volume I del 1954 pubblicato su Google Libri.

Il testo è stato corretto dai refusi di stampa e formattato in modo uniforme con gli altri documenti dell’archivio.

I riferimenti ai documenti del magistero pontificio sono stati resi interattivi e portano al sito del progetto “Chiesa e Comunicazione”, la biblioteca digitale online che prosegue l’attività iniziata da p. Baragli con le opere Cinema cattolico: documenti della Santa Sede sul cinema e Comunicazione Comunione e Chiesa.

ARTICOLO SU

L’ultima Settimana del libro, tenutasi in tutte le città capoluogo di provincia, e più solennemente che altrove in Roma, dal 29 novembre al 6 dicembre dello scorso anno 1953, ha riproposto al pubblico il problema del libro in Italia. Visitatori superficiali possono averne riportata un’impressione ottimistica, come se tutto nella produzione e nella vendita del libro da noi proceda a gonfie vele; e segno del buon vento che le gonfia possono essere sembrati alcuni dati comparativi presentati in suggestivi grafici e tabelle. Nella seconda metà del secolo XIX – dicevano quelle tabelle – furono pubblicate in Italia 200.000 opere, con la media di circa 4.000 l’anno; nella prima metà di questo secolo le opere pubblicate sono salite a 360.000 e la media annuale a 7.200; anzi – incalzavano le tabelle – nell’immediato anteguerra questa media è stata largamente superata, toccandosi le 9.736 opere nel 1938; e negli anni più recenti, dopo l’inflessione del triennio 1944-1947, anche l’ultima altissima media è stata raggiunta e superata, segnandosi rispettivamente 7.592, 10.054, 8.539 e 9.616 opere negli anni 1948, ’49, ’50 e ’51. E notate – concludevano sempre le tabelle – che quest’ultima somma dice molto di più sulla produzione libraria italiana se la considerate comparativamente a quelle di altre nazioni di alta civiltà, quali, per esempio, gli Stati Uniti, l’Inghilterra e la Francia; infatti, le prime due insieme nel 1951 hanno edito 29.321 opere, l’altra 11.850: il che significa che nei paesi anglosassoni è stato sfornato un libro nuovo per ogni 7.000 lettori potenziali; in quelli di lingua francese: uno su 9.000; in Italia: uno per ogni 5.5001. Ma anche senza ricorrere a tanti calcoli e proporzioni i visitatori si lasciavano convincere dalla valanga dei libri esposti, tanto travolgente per massa di espositori e opere che la visita, cominciata per tutti con diletto, per molti diventava fatica, terminava in meravigliato stupore e, all’uscirne senza esserne sommersi, con un sospiro di sodisfatta liberazione.

Sennonché la realtà è un’altra. Quanti vedono le cose dal di qua della facciata messa su per il gran pubblico: autori, editori e librai, sanno che il mercato del libro passa in Italia una grave crisi; i primi, specialmente se novelli, spesso non trovano la via per farsi conoscere se non sobbarcandosi essi stessi alle spese di stampa e di lancio; i librai spesso, per integrare gli scarsi proventi dei libri, si buttano a vendere il più redditizio sottobosco dell’editoria: album a fumetti, o addirittura quaderni, pennini e francobolli per i ragazzi delle elementari; gli editori, per non correre gli estremi rischi del macero o dei «pontremolesi», riducono le tirature delle novità mentre si dànno all’arrembaggio o di testi scolastici o di opere di certo successo non più protette da diritti d’autore. Lo stesso alto numero di titoli esposti scopre l’intento degli editori vòlti a stuzzicare con la varietà l’appetito del pubblico e ridotti all’angustioso lavoro dell’anfitrione che cerca di vincere col numero delle portate l’inappetenza o la sazietà dei convitati. Ma siccome neanche la varietà delle portate è sufficiente a vincere certe nausee, ecco gli editori, pur di attivare il mercato e scrollarsi di dosso l’incubo delle giacenze, tentare i sapori forti. Ce n’è di scarsa o nulla coscienza morale che si buttano ai contenuti cantaridati del pansessualismo; altri ai languori di un deteriore romanticismo; altri al pettegolezzo scandaloso; quasi tutti poi si trovano costretti a invogliare i pigri lettori alla compera dei loro prodotti rivestendoli di quelle coperte e sovraccoperte impressionanti, che fanno rassomigliare le mostre del libro e le vetrine dei librai a befanesche fiere di balocchi.

* * *

Se ci facciamo a indagare quali cause influiscano nella crisi, ne troveremo una prima nel livello medio d’istruzione dei lettori. Chi si meraviglierà infatti se il libro non venga richiesto, per esempio, là dove larghi strati di popolazione o non hanno potuto frequentare la scuola, o dalla frequenza, per mancanza di adatte condizioni sociali ed ambientali, abbiano riportato e conservato un’istruzione appena elementare? Ora la percentuale media degli analfabeti, particolarmente alta in alcune zone d’Italia e per alcuni strati della popolazione più anziana, e gli indici altissimi dei lavoratori o disoccupati, o occupati in lavori primitivi, saltuari o mal retribuiti, purtroppo segnano ancora numerose zone intellettualmente depresse, nelle quali i bisogni primordiali della vita riducono al minimo o del tutto annullano il bisogno, il gusto e la possibilità della lettura2.

Ma anche là dove la cultura media supera il livello elementare e dove il benessere materiale tocca limiti sodisfacenti, altre cause riducono le possibilità intellettive dei potenziali lettori, e perciò rendono meno richiesto, perché meno appetibile, il libro. Ad esse appartiene certo genere di stampa periodica, fatta quasi esclusivamente d’illustrazioni e di fumetti, la quale, col suo modo facilone di creare e appagare curiosità superficialissime mediante una pseudo cultura senza né nerbo né critica, riduce al minimo l’applicazione mentale del lettore e, a lungo andare, lo disabitua dalla fatica intellettuale necessaria per approfondire problemi e idee. Né il danno così prodotto al mondo della cultura viene compensato dal lancio che detta stampa qualche volta fa anche del libro, perché il più delle volte lo fa per opere non di cultura, alle pubblicità delle quali bene si addice la compagnia di quella di derrate e commestibili…

Pari effetto involutivo possono produrre, se esagerate, molte attività di divertimento che tendono a formare sempre più il connettivo della più frivola vita moderna. Esse vanno dagli sport ai campeggi estivi, dalla frenesia degli interminabili ed insostituibili balli allo snob della canasta e di molti fatui «giochi di società», ai pretensiosi perditempo costituiti dalle umilianti riviste enimmistiche, nonché, di qui a un po’ anche in Italia, a quel sapientissimo superperditempo che può diventare, se male allestita e male usata, la televisione: i quali tutti estroflettono, per turbinarlo in un vortice di perpetuo chiasso, quel poco che il progresso tecnico ha lasciato d’intatto nella vita interiore e familiare, assorbono ingentissima parte di tempo e di danaro, ipertrofizzano muscoli, fantasia, sentimentalismi ed entusiasmi fanciulleschi a scapito delle facoltà superiori della personalità matura. Né va taciuto il cinematografo, il quale da solo può assommare in sé gran parte dei nocivi influssi sopra deprecati, e per l’ingente massa di danaro che smunge, e per il tempo che occupa, e per l’abito quasi del tutto passivo che il suo linguaggio suggestivo ed emotivo impone al comune spettatore, smussandogli, se non sa difendersi, tutte le armi di difesa proprie dell’uomo ragionatore.

L’influsso di tali e di altre cause, esaltato dalla concezione materialistica della vita, che partiti politici atei, scuole filosofiche e naturale scadimento morale suadono e radicano sempre più in larghissimi strati del pubblico, accelera uno scadere sempre più rapido dei valori umanistici e spirituali, e un prevalere di quelli economici e materiali, determinando così un’involuzione di mentalità e di costume dall’homo sapiens che pensa e legge, al puer iocans che si dimena e si balocca.

Quali accoglienze attendano il libro di cultura in siffatto mondo «rimbambito» è facile intendere. Lo stesso italiano medio che in un anno si reca quindici volte al cinema, e forse si rammarica di non poterci andare di più, e che appena le tasche glielo permettono passa sane sane la domenica e le altre feste comandate, nonché le ferie estive e quelle natalizie, in gite e in diporti, trova che un minimo di una ventina di ore sono troppe per leggere un libro che si rispetti e, se si tratta di un romanzo, preferisce berselo tutto d’un fiato piacevolmente assiso per solo due ore in un cinema; sempre lo stesso italiano, che spende 950 lire l’anno in scommesse su competizioni sportive, cento lire la settimana in rotocalchi dalla vita effimera, 1.500 lire l’anno in spettacoli cinematografici, e versa alle casse dello Stato ben 5.000 lire l’anno di sola imposta sul consumo dei tabacchi3, guarda con diffidenza il libraio che per un volume gli chiede un paio di migliaia di lire, e appena appena può farne a meno, rinuncia all’acquisto senza eccessivi rimpianti...

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S’illuderebbe chi pensasse che siffatto stato di cose si possa mutare dall’oggi al domani, ma ciò non giustificherebbe l’inerzia da parte di quanti direttamente sono impegnati nel commercio del libro; infatti non è l’uomo per il libro ma il libro per l’uomo: il problema dunque non è tanto come preparare l’uomo perché il libro si smerci, ma come smerciare il libro perché l’uomo, così come oggi è, lo legga, e leggendolo si dirozzi. Perciò, in attesa che poteri pubblici ed iniziative private eliminino o riducano le forze che dissolvono i tesori di secoli e secoli di umanesimo eredidati dalla nostra gente, agli editori e ai librai la ricerca dei mezzi più idonei per attenuare la crisi lamentata.

Compete agli editori prima di tutto un’efficace opera di propaganda. Intuendo questo postulato fondamentale del commercio, lo stampatore-libraio delle origini si curò subito di essa; egli fu a curare la stampa dei cataloghi librari, prototipo dei quali è il Libri graeci impressi, stampato dall’Aldo Manuzio in Venezia nel 1498; ed egli fu a presentare il libro nelle fiere, sia nostrane sia internazionali di Francoforte, di Lipsia e di Lione, le tre città che successivamente polarizzarono nei secoli XV e XVI il mercato del libro in Europa; ubbidendo allo stesso postulato, più che mai valido in tempi di universale stamburamento, oggi gli editori impiegano somme ingenti per la propaganda, numerosi essendo quelli che vi spendono più del 20% del costo totale dei loro libri. È dunque difficile pretendere di più da essi, almeno come volume di spesa, anche per non incidere troppo sul prezzo di vendita al pubblico4, annullando cosi i vantaggi della propaganda; non è escluso però che gli editori possano selezionare le loro forme di propaganda, meglio sfruttando quelle che, a parità di costi, dessero migliore resa, per esempio col manifesto, con la stampa, con la radio, per cinema e per televisione, se potessero contare sul comprensivo concorso degli enti preposti ai rispettivi organismi, i quali offrano tariffe possibili alle attività editoriali, tenendo presente che esse, mentre concorrono a diffondere la cultura nella nazione, non possono facilmente rifarsi delle spese, come possono rifarsene i produttori di varie altre mercanzie, indispensabili alla vita civile o connesse con bisogni e convenienze più sentite, e che si smerciano in milioni di pezzi... Anche le mostre e le fiere del libro, specialmente se diligentemente preparate ed affiancate da manifestazioni che ne accentuino le note culturali e ne riducano quelle di mero mercato, non potranno non accelerare la diffusione del libro5, come pure le facilitazioni di pagamento rateale e l’opportuno dislocamento di agenti e di piazzisti, particolarmente conveniente quando si tratti di costosi volumi o di collane di alta cultura, già brillantemente attuato, tra le altre, in Italia dall’U.T.E.T. di Torino. Iniziative tutte che non dovrebbero trovare ostacoli nei librai, alcuni dei quali, da un certo tempo a questa parte, pretendono a un non si sa come fondato monopolio, e pare che facciano l’occhio dell’arme a qualunque iniziativa che metta in contatto diretto il pubblico coll’editore.

Ma questo punctum dolens delle relazioni tra librai e pubblico richiede qualche ulteriore considerazione.

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Al principio del commercio libraio tutta la buona sorte del libro era affidata allo stampatore, il quale lo seguiva si può dire dalle mani dell’autore a quelle del lettore, consigliando il primo, stampando e vendendo il libro stesso e guidando il secondo. Si ricordino i bei nomi del Plantin, degli Elzevir, di Aldo Manuzio... Ma con l’andar del tempo, passando la produzione libraria dalla fase artigiana alla grande impresa dei secoli XVIII e XIX e fino alla pletorica produzione odierna, le funzioni già conglobate in uno si divisero in quelle dello stampatore, limitata alla fase industriale tipografica della produzione, e del libraio, limitata a quella commerciale; e tra le due prese forma un nuovo agente, punto d’incontro e coordinatore delle due fasi estreme, e con funzione preminente: l’editore, l’uomo cioè che a proprie spese pubblica le opere altrui.

È indubbio che siffatta distinzione di compiti ha influito non sempre favorevolmente nella diffusione del libro, sia col ridurne il prestigio culturale assimilandolo in parte a prosaico prodotto d’industria e oggetto di commercio, sia tagliando per altra parte quasi del tutto i contatti culturali che una volta esistevano tra i produttori e i cultori del libro. Lo stampatore reputò esaurita la sua opera quando, consegnata la tiratura all’editore, ne ebbe saldate le fatture; l’editore vide farsi impersonali i suoi rari contatti col pubblico, troppo lontano e periferico; e il libraio, che per la sua condizione di vicinanza fisica avrebbe potuto assolvere quell’opera di contatto immediato, ahimè, il più delle volte se ne disinteressò. Sulla fine del secolo scorso, quando questo processo di tricotomia era ormai prossimo a dirsi compiuto6, in Italia si trovavano ancora circoli librari ove felicemente confluivano tendenze, richieste e interessi di autori e di lettori: basti tra tutti ricordare i due più famosi del Viesseux a Firenze e dello Zanichelli a Bologna; ma col sorgere del nuovo secolo quelle figure di librai si possono dire quasi del tutto scomparse. Se editori agnostici oggi gettano sul mercato merce e nient’altro che merce, indifferenti alle reazioni del pubblico che non incidano sugli incassi; molti librai, emulandoli nell’opera d’involuzione d’ogni valore umano e culturale, non sono più l’amico di esperienza e di cultura che segue la migliore produzione per mantenersi in grado di consigliare il cliente timoroso di spendere male il suo danaro. Il libraio tipo oggi si riduce spesso a vendere libri come il suo vicino di bottega vende chiodi od ombrelli; egli espone sui banchi di vendita, negli scaffali e nelle vetrine il marcio e il sano, il sacro e il blasfemo, il patriottico e il sovvertitore, l’eroico e l’invertito, lo specialista e il cretino; se richiesto di consiglio, si limita a fare l’imbonitore come il suo vicino fa per le scarpe o per le cravatte, sempre pronto a creare o ad assecondare qualunque gusto del cliente o dell’editore, qualunque moda e qualsiasi stramberia, purché in ogni modo venda per incassare il suo trenta per cento e, se possibile, la tredicesima. Non di rado poi i librai, abbiano o non abbiano avvertita la coscienza morale richiesta dalla loro professione, si disinteressano totalmente della costosissima opera di propaganda curata dagli editori; quanti sono infatti ancor quelli che stampano a proprie spese il catalogo delle novità e ne curino a proprie spese la spedizione come mezzo d’informazione e d’incremento della propria clientela? Anzi, non ne mancano di quelli che, pur poco o nulla adoprandosi per la diffusione del libro, accusano di leso interesse gli editori i quali vendano in proprio, o sistematicamente come editori-librai od occasionalmente nelle fiere librarie; e così coloro che, come ultimi capillari del sistema circolatorio del libro, dovrebbero con l’opera loro personale di coscienza e di sapere facilitare l’irroramento culturale periferico della nazione, agendo come se il libro fosse un puro oggetto di scambio contribuiscono ad accentuare quei processi di stenosi culturale che non possono non influire malamente su tutti i gangli dello stesso commercio libraio.

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A questo punto crediamo utile attirare l’attenzione del lettore su di una forma di propaganda già praticata da molti editori ed enti, e di ventilarne alcuni particolari che a nostro parere la renderebbero più efficace per l’auspicata ripresa della funzione di guida e di consiglio al pubblico da parte dei librai: ci riferiamo alla scheda bibliografica, al volantino cioè che presenta il libro con una formola intermedia tra il semplice annuncio, la recensione e l’articolo di studio. Per tacere di quanto si fa all’estero, in Italia l’usano, tra le altre, le editrici Morcelliana di Brescia, Sansoni e Vallecchi di Firenze, Vita e Pensiero, Garzanti, Longanesi e Comunità di Milano, Einaudi. di Torino; tra gli enti: La libreria di Roma (per libri, senza distinzione di materie o di editrice), il Consiglio Nazionale delle Ricerche (mediante la rivista Documenti, soltanto su argomenti di architettura e industria edilizia) e il Centro didattico nazionale (mediante il supplemento alla sua omonima rivista Il Centro, offrendo una bibliografia sistematica sulla letteratura per l’infanzia e la giovinezza, da inviare alle scuole, alle biblioteche scolastiche e ai centri di cultura).

Il numero degli utenti mostra che regna l’accordo sull’utilità del sistema; ma la diversità di criteri con cui le schede sono compilate e presentate dimostra che non tutti l’indirizzano allo stesso scopo. Infatti variano i formati: profilati e normali, orizzontali e verticali, sagomati o a spigoli acuti; variano le caratteristiche tecniche: monocolori o bicolori, su carta mezzo fine, patinata o cartonata; presentate già separate, ogni scheda per sé, o unite insieme; e queste ultime, preparate per il taglio o da una riga tipografica, o da una piega o da perforazione. E variano i criteri redazionali: non tutte portano i dati bibliografici essenziali; alcune si limitano a dare lo stretto contenuto del libro redatto con equilibrio scientifico; altre vi mettono, sole o con altri ingredienti, lodi, referenze ed estratti di recensioni; c’è chi le provvede di sommari, dati biografici e bibliografici degli autori, e infine chi vi aggiunge illustrazioni documentarie o prettamente ornamentali e altri accorgimenti della reclamistica. Infine, la più parte non distinguono le schede secondo le materie; e tra quelli che lo fanno c’è chi dà indicazioni non sistematiche, e uno solo, il Consiglio nazionale delle Ricerche, le dà con simboli numerici sistematici della C.D.U., di cui parleremo tra poco. Non è difficile scorgere l’elemento differenziatore di tutte siffatte diversità nel variare non tanto dei gusti quanto degli scopi intesi dagli editori; i quali vanno da un estremo della stretta documentazione scientifica (e perciò delle schede da conservare in schedari permanenti, come strumento di lavoro professionale), all’altro della semplice propaganda commerciale (e perciò della scheda con vita effimera, che si ritrova randagia entro un volume, e uno la guarda superficialmente e poi la butta via, come si fa coi volantini della propaganda aerea), passando per indefinite ibridazioni intermedie che denotano gradi di preferenza tra i vantaggi e gli svantaggi culturali ed economici delle due formole estreme. Ebbene, proprio su quest’eccessivo variare di forme e di criteri portiamo l’attenzione di quanti s’interessano alla cultura italiana in genere e alla diffusione del libro buono in specie, rilevando quanto sia conveniente un accordo tra gli editori su di un tipo di scheda bibliografica comune, tale che concili gli interessi economici e culturali sia dei produttori sia dei consumatori del libro: un tipo di scheda resistente, maneggevole e funzionalmente utile.

La resistenza dovrebbe essere assicurata non solo rispetto all’uso manuale (e perciò evitare la carta sottile o di non salda fibra), ma specialmente rispetto all’usura del tempo; questo avverrà se redazionalmente ed editorialmente la scheda verrà concepita più come documento che come réclame, abbia cioè le note di serietà proprie di uno strumento d’uso e non l’ostentato clamore della pubblicità commerciale. La maneggevolezza dovrebbe essere assicurata dal formato, comodo e unico, né troppo grande che si pieghi, né troppo piccolo che si perda; ma il formato prescelto, qualunque esso sia, dovrebbe essere comune a tutte le editrici che provvedono di scheda i loro libri, pena l’impossibilità di combinarle tutte in schedari per autori o per soggetto; se infatti dieci editrici continuassero a provvedere schede in dieci formati diversi, l’unico criterio di unirle per consultarle resterebbe quello per casa editrice, non utile per nessuno, neanche per i librai, e men che meno per gli studiosi e per le biblioteche, e perciò non redditizio per le stesse case editrici7. Finalmente l’utilità funzionale dovrebbe essere assicurata dalla corretta disposizione tipografica dei dati bibliografici secondo le norme sistematiche di schedatura insegnate dalla più sicura biblioteconomia, ma soprattutto della completezza degli stessi dati bibliografici forniti; inoltre il sommario del libro presentato dovrebbe essere oggettivo ed essenziale, vale a dire non passionale ed interessato, né mutilo o generico: anzi integrato, qualora il libro o l’argomento lo comportassero, dall’indice delle materie. Infine le schede dovrebbero portare ben chiare le indicazioni di una perspicua e fissa classificazione per materia, senza di che, sia il loro inserimento in uno schedario sia la loro ricerca non potrebbe farsi senza perdita di tempo, o solo da persona di non ordinaria cultura. E quest’ultimo presupposto ci sembra di tanta importanza che la sua soluzione dovrebbe necessariamente precedere e condizionare qualunque lancio definitivo di schedatura libraria, pena la quasi nulla utilità pratica dell’iniziativa.

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Purtroppo la sua soluzione non si presenta facile, perché praticamente si tratta di dividere sistematicamente tutto lo scibile umano, e tutta la produzione libraria che lo rappresenta, secondo un piano che per forza di cose dovrà essere un compromesso tra disparatissime esigenze o filosofiche, o storiche, o pratiche, o abitudinarie tra loro contrastanti. Infatti sono passati i tempi quando il materiale librario, esiguo e piuttosto omogeneo, e tutta la cultura, unitaria e armonica, si lasciava classificare senza pericolo di confusione, in meno di una decina di classi8; ormai da due secoli almeno, da quando cioè la produzione libraria accelerò il suo ritmo e la cultura generale spaziò liberamente per orizzonti non mai prima tentati, quella della divisione sistematica dello scibile è divenuta una scienza a sé, e i suoi cultori simpatizzarono per criteri diversi. I dotti, più familiarizzati coi concetti e più solleciti di una visione ordinata e logica della verità, continuarono il criterio sistematico, seguito si può dire fino al secolo XVI, spalleggiati nientedimeno che da due teste come Francesco Bacone (il quale nel suo De dignitate et augmentis scientiarum tentò una sistemazione filosofica di tutto il sapere), e il Leibniz, che fece altrettanto, e in più concepì un pratico catalogo tipo per una biblioteca pubblica, applicazione integrale di quella9. Molti bibliotecari invece, sollecitati da necessità pratiche, preferirono il susseguirsi di concetti più svariati posti in ordine alfabetico. E le due tendenze, appunto perché non prive ciascuna di vantaggi e di svantaggi, perdurano tuttavia e si dividono il campo della pacifica lotta nei due fronti del Realkatalog (sistematico) e dello Schlagwortkatalog (per soggetti), per parlare in termini anteguerra, quando in materia dettava verbo la Kultur tedesca. Al primo si riallacciano i due sistemi più lungamente seguiti in Francia e in Italia in questi ultimi decenni: quello del Brunet10, che divideva il sapere in cinque categorie: teologia, filosofia, giurisprudenza, scienze ed arti, lettere e storia; e quello del Crozet, che lo divideva in dieci: 1) opere generali, 2) religione, 3) filosofia, 4) scienze pure, 5) scienze applicate e tecnologia, 6) belle arti, 7) lingua e letteratura, 8) geografia, 9) storia, 10) scienze sociali. Preferirono il secondo alcuni tra i migliori bibliotecnici italiani, quali il Fumagalli, il Biagi e la Fraschetti-Santinelli11.

Le cose nel primo dopoguerra stavano a questo punto quando si produssero, o meglio paurosamente si accentuarono nel mondo libraio e della cultura, i due fenomeni della specializzazione e di un flusso preoccupante di carta stampata, non solo mai prima raggiunti ma neanche creduti possibili; ciò, oltre a portare le biblioteche ad estendere in misura chilometrica i loro depositi (la Nazionale di Firenze, per citare un solo esempio non tra i più grandi, conta ben cinquanta chilometri di palchetti!) e a far disporre i libri non per materia e per autore ma per formato, si da ridurre al minimo lo spazio inutilizzato tra i palchetti metallici mobili, orientò pure i bibliotecari verso sistemi di classificazione e di schedatura più rapidi e meccanici. Fu allora che i due campi furono messi a rumore da due innovazioni lanciate in America negli anni a cavallo del secolo, e approdate, onda di ritorno della sistematica dello scibile umano, ai lidi della vecchia Europa. Si trattava dei due sistemi di classificazione, denominati uno dall’inventore Melvin Dewey (comunemente si glato C.D.U. = Classificazione Decimale Universale), e l’altro denominato della Library of Congress dalla massima biblioteca americana di Washington che l’ha adottato e lanciato.

Comuni a essi sono due caratteristiche: la divisione dello scibile in classi empiriche, e la classifica annotata esclusivamente mediante lettere e cifre. La Library of Congress adotta venti classi, distinguendole con altrettante lettere (maiuscole) dell’alfabeto, notando poi con le stesse lettere e con cifre arabe le suddivisioni per classi e le notazioni per autore 12; la C.D.U. in omaggio alla legge fondamentale del sistema decimale, non ammette notazioni di lettere ma solo di cifre, e precisamente adopera solo le dieci cifre arabe, dividendo in dieci classi tutto lo scibile, in dieci divisioni ogni classe, in dieci sezioni ogni divisione, e così via, sicché le cifre, disposte ordinatamente come nei numeri ordinari, indichino la prima la classe, la seconda la divisione, la terza la sezione ecc. cui un volume appartiene13.

Hanno influito ad attirare simpatie ai due sistemi e a farli adottare da molte grandi biblioteche d’America, d’Europa e di tutto il mondo, sia l’adozione fattane nelle schede bibliografiche distribuite dalla stessa Library of Congress e dalla Vaticana, sia gli incontestabili vantaggi di praticità specialmente del secondo: si pensi al criterio soggettivo del bibliotecario quasi del tutto abolito per un criterio a lui estrinseco e perciò comune a tutti; al linguaggio delle lettere inequivocabile ed internazionale, e perciò aperto a tutti i lettori e applicabile a tutti i soggetti di qualunque lingua o scrittura o paese si tratti, e finalmente alla meccanicità dell’ordinamento delle schede, le quali possono venire ordinate anche da un profano purché conosca la successione ordinata delle cifre e delle lettere dell’alfabeto, in uno schedario che, mediante il sussidio di opportuni indici, potrà servire come catalogo sia sistematico sia per soggetto, rivelando a prima vista quanto ogni modesta raccolta di libri ha su d’un argomento.

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A questo punto il lettore si aspetterà forse da parte nostra l’augurio o il suggerimento che nel ristretto campo delle schede bibliografiche servite dagli editori italiani si adotti uno dei due sistemi, o, seguendo l’esempio autorevole della Vaticana, anche tutti e due insieme. Ma noi non lo faremo: prima di tutto perché crediamo che i due sistemi vengano incontro alle esigenze specialissime delle grandissime biblioteche e non a quelle del tutto diverse della più parte delle biblioteche private o personali di studiosi, e men che meno degli schedari dei librai e di quanti sono interessati alla vendita e alla compera del libro, che sono quelli appunto ad uso dei quali dovrebbe funzionare l’auspicato servizio; poi perché ambedue i sistemi ci sembrano inficiati di difetti di origine, che sarebbe necessario eliminare o ridurre prima di farli adottare come norma impegnativa. Tutti e due i sistemi infatti risentono del mondo americano che li ha dati alla luce; di qui un prevalere della tecnica sul pensiero, dell’America e dei paesi anglosassoni sui paesi del resto del globo, e finalmente un certo indifferentismo e confusionismo in fatto di religione e di cattolicismo, normale in paesi di mentalità protestante14. Conosciamo benissimo i tentativi fatti per migliorare la classificazione della religione nel C.D.U.; tali tentativi però sono poco conosciuti e poco seguiti, forse perché privi di carattere ufficiale e normativo nel sistema. In attesa pertanto che qualcuno nel campo della cultura cattolica prenda l’iniziativa per una classificazione più ortodossa e sodisfacente, o approvando e adottando quanto già è stato fatto o tentando qualche cosa ex novo, (magari giovandosi della settennale esperienza dei collaboratori dell’Enciclopedia Cattolica, che in questi giorni pubblica il suo ultimo volume, con un amplissimo indice sistematico delle scienze religiose e loro affini), è nostra opinione che per ora basterebbe nelle schede bibliografiche notare ben visibile la classe e una o due principali sezioni dello scibile cui il volume appartiene; ciò, mentre renderebbe un segnalato ed immediato servizio agli utenti: librai, bibliotecari e studiosi, non imporrebbe loro l’algebra, a prima vista complicata, di sistemi che ancora non sappiamo quanto e quando possano attecchire.

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Le considerazioni e le proposte da noi fatte ci sembrano che possano interessare soprattutto gli editori cattolici; sia perché per essi, prima di essere un commercio, l’attività editoriale è un apostolato e perciò qualunque iniziativa intesa ad incrementarla si risolve in attività per l’avvento del regno di Dio; sia perché il libro cattolico e buono non può contare sugli spregiudicati mezzi di presentazione e di contenuto sopra lamentati in editori la cui unica morale è l’incasso, e perciò deve contare su di un’azione di propaganda a un tempo poco dispendiosa ed efficace; infine perché la forma della scheda bibliografica ci sembra particolarmente indicata come quella che, mentre rende un reale servizio al pubblico, valorizza il libro, facendone trovare l’indicazione precisa nel momento giusto in cui intermediario e utente ne sentono il bisogno. Naturalmente, ai fini di un giudizio morale e scientifico delle opere, essa non basterà, né esimerà librai, bibliotecari, studiosi e curatori d’anime dal ricorrere ai normali sussidi informativi forniti da pubblicazioni competenti e coscienziose; noi crediamo tuttavia che l’editoria cattolica italiana avrà fatto un grande passo avanti il giorno in cui ogni libraio, ogni padre spirituale o sacerdote in cura d’anime, ogni direttore di istituto religioso, ogni dirigente di apostolato cattolico, ogni bibliotecario potrà avere sottomano uno schedario poco ingombrante, ordinato e completo di tutto ciò che l’editoria offre sul mercato di vivo e di serio; e che per avere un giudizio di contenuto e di opportunità, almeno nei casi ordinari, basterà loro la semplice scheda fornita dall’editore, redatta non coi commerciali sistemi della réclame trabocchetto, ma coi criteri insieme e dell’onestà morale e dell’oggettività scientifica.

1 Abbiamo calcolato i lettori potenziali del libro in lingua inglese sui 200 milioni; di quelli in lingua francese in 100 milioni; di quelli in lingua italiana in 50 milioni. Per dati approssimativi di una quindicina di anni fa cfr Enciclopedia Italiana, voci Francia e Inghilterra: XV, 971 e XIX, 265.

2 In Italia, negli anni 1910, 1920 e 1930, gli sposi che non sottoscrissero l’atto di matrimonio perché analfabeti furono rispettivamente il 30,79%, il 18,19% e il 10%. Supponendo che l’età media degli sposi sia stata allora sui 22/25 anni, ne segue che la percentuale degli analfabeti tra gli italiani di età matura o sulla vecchiaia (45-65 anni), che nel censimento del novembre 1951 si aggiravano sui 12 milioni, in detto anno presumibilmente oltrepassava ancora il 16%. La percentuale di analfabeti tra i ventiquattrenni di oggi dovrebbe essere del 5,7%, segnata dai passati alla visita militare della classe 1930. (Cfr Annuario statistico italiano 1952, pp. 28 e 425; 1951, p. 137). A proposito di strati di popolazione intellettualmente depressi si pensi, per esempio, ai pastori dell’Abruzzo e della Sardegna, ai braccianti del Polesine e delle Puglie, e, in genere, alla più gran parte delle popolazioni rurali di alcune zone dell’Italia meridionale, nonché ad alcuni settori operai di tutta la penisola...

3 Cfr Annuario statistico, cit., tavv. 141, 145 e 405.

4 Un esempio chiarirà quanto incida questa percentuale sul prezzo al pubblico. Il costo di un libro, che senza spese di propaganda fosse di L. 800, con dette spese salirebbe a L. 1.000. Siccome il prezzo fatto al pubblico si aggira sul triplo del costo totale, detto volume verrebbe offerto al cliente al prezzo di L. 3.000. Orbene, su queste 3.000 lire, 600 sarebbero quelle che l’utente pagherebbe come spese di propaganda... Il lettore che trovasse troppo esosa la triplicazione dei costi praticata dall’editore, rifletta che questi di norma cede i suoi volumi ai grossisti e ai librai con sconti che variamo in media dal 35 al 40%, e che su d’un’aliquota spesso non indifferente della tiratura non può sperare introiti diretti, disperdendosi essa fuori commercio in copie d’obbligo, di omaggio o per recensione.

5 Per questa forma di propaganda ricordiamo le fiere che un secolo fa si tentarono in Italia a imitazione di quella di Lipsia; poi negli anni 1922, ’25, ’28 e ’31 le fiere del libro organizzate a Firenze dall’Istituito Italiano del libro, e quelle primaverili lanciate dalla Fiera Letteraria in varie città d’Italia dal 1927. Degno di menzione è infine il trust librario organizzato dall’A.L.I. per la diffusione del libro italiano nell’America del sud negli anni 1914-1926.

6 Gli dette, si può dire, l’ultima perfezione il governo fascista, quando, nel 1919, divise l’Associazione editoriale italiana, già fin dal 1869 unico organismo nella produzione del libro, in due federazioni distinte... e combattenti: la Federazione editori e la Federazione del commercio librario.

7 Per il formato siamo d’opinione che sarebbe da preferire uno di quelli internazionali, e precisamente il 7,5 x 12,5, il quale si raccomanda per la sua maneggevolezza e per il nessuno sciupio che richiede nel taglio del foglio normare tipografico 70 x 100; e soprattutto perché è quello raccomandato e prescelto dall’Istituto Nazionale di Bibliografia di Bruxelles, ormai scelto da moltissimi studiosi nei loro schedari privati, nonché dalla quasi totalità delle biblioteche di tutto il mondo, specialmente da quando, prima la Library of Congress e poi fa Vaticana, l’hanno adottato iniziando la distribuzione mondiale delle loro schede bibliografiche. Se le schede fomite dagli editori ita1iani adottassero questo formato non è chi non veda l’enorme vantaggio che deriverebbe al lavoro dei bibliotecari e degli studiosi, i quali le potrebbero inserire senz’altro nei loro schedari per autori e per soggetti dopo avervi apposta una semplice segnatura.

8 Nelle biblioteche romane, col tramonto dell’epoca repubblicana e imperiale, i volumina si dividevano semplicemente in opere latine e opere greche, e bastavano poche tabelle lignee o marmoree per mostrare gli autori posti in ordine alfabetico. Le biblioteche medievali dei cenobi ed episcopali non sentirono il bisogno di divisioni sistematiche tanto pochi erano i libri ch’esse ripararono come reliquie dal ciclone delle invasioni barbariche; si pensi che per il secolo IX i cataloghi dànno per Frisinga 19 titoli, Oviedo 42, Fulda 33, Bobbio 479, Reichenau 415, San Gallo 458, San Nazario di Lorsch 590 (cfr BECKER, Catalogi bibliothecarum antiqui, Bonn, 1885, passim); anche la celebre abbazia di Cluny nel 1158-1161 ne contava solo 570, e la stessa biblioteca apostolica di Roma, ancora nel 1295, non ne contava più di 500 volumi, come appare dall’inventario che ne fece fare il papa Bonifacio VIII. Alle soglie dell’evo moderno, quando si tentarono le prime divisioni per materia, ne bastarono sei o sette del tutto empiriche: Sacra Scrittura. Santi Padri, Canoni, Raccolta miscellanea, Vite e passioni di santi, Classici (cfr I. FRASCHETTI-SANTINELLI, Il catalogo alfabetico per soggetto, Milano 1941, p. 24); un’eccezione segna l’aura di moderno che circola nella classificazione adottata per la biblioteca capitolare di Bologna dal Parentuccelli, prima che col nome di Nicolò V si applicasse ad ampliare e ad ordinare quella vaticana. Essa comporta sette classi: 1) Libri di carattere generale e di consultazione, 2) Classici, 3) Astrologia, musica e scienze varie, 4) Medicina, 5) Filosofia, 6) Diritto, 7) Sacra Scrittura e teologia.

9 Idea bibliothecae publicae secundum classes scientiarum ordinandae, 1700, citata da G. SCHNEIDER, Handbuch der Bibliographie, Lipsia 1930. Ma le due teste erano state precedute da RAIMONDO LULLO, col suo Albero delle scienze, e dal nostrano BRUNETTO LATINI, col suo Tesoro e dallo SPENCER, col suo Classification of the Sciences. Per un’esposizione di tutti i sistemi filosofici tentati fino a tutto il secolo XIX cfr RICHARDSON, Classification theoretical and pratical, New York 1901.

10 BRUNET, Manual du libraire, Parigi, 5ª ed. definitiva, 1860-1865. Cfr Enc. It. s. v. VI, 936.

11 GIUSEPPE FUMAGALLI, Cataloghi di biblioteche, e indici bibliografici, Firenze 1687; GUIDO BIAGI, traduttore del Della compilazione dei cataloghi per biblioteche, di C.C. JEWETT, in collaborazione col precedente, del Manuale del bibliotecario, di J. PETZHOLDT; I. FRASCHETTI-SANTINELLI, Il catalogo alfabetico per soggetto, cit.

12 Eccone le venti classi maestre: A) Opere generali e poligrafia; B) Filosofia e religione; C) Discipline ausiliarie della storia; D) Storia e topografia (eccetto l’America); E-F) America; G) Geografia e antropologia; H) Scienze sociali ed economia; J) Scienze politiche; K) Politica; L) Istruzione ed educazione; M) Musica; N) Belle arti; P) Lingua e letteratura; Q) Scienze (esclusa medicina); R) Medicina; S) Agricoltura e industrie agricole; T) Tecnologia; U) Scienze militari; V) Scienze Navali; Z) Bibliografia e biblioteconomia. Fondamentale per il sistema è il LIBRARY OF CONGRESS, Classification, Washington 1904.

13 Ecco le dieci classi della classificazione C.D.U.: 0) Opere generali; 1) Filosofia; 2) Religione; 3) Sociologia; 4) Filologia; 5) Scienza pura; 6) Scienza applicata (arti utili); 7) Belle arti; 8) Letteratura; 9) Storia e geografia. Fondamentali sono i due volumi: MELVIN DEWEY, Decimai classification and relative index…, Ed. 13, Lake Placid Club, New York 1932; e Abridged decimal classification and relative index for libraries and personal use... 4ª ed., ivi 1929. Per una buona bibliografia specialmente italiana cfr W. VAN DER. BRUGGHEN, Un indice universale dello scibile, trad. da G1ANNETTO AVANZI, estratto da La ricerca scientifica, XXX, 1951. C’è chi contesta al Dewey la priorità dell’idea notando che LA CROIX DU MAINE, fin dal 1583, avrebbe proposto la sistemazione della biblioteca di Enrico III con un sistema analogo, e che l’americano avrebbe trovato il primo germe del suo sistema nell’opuscolo di NATALE BATTEZZATI, Nuovo sistema di catalogo bibliografico generale, Milano, 1871, oppure sul lavoro di I. B. HÉBERT, Essai sur la formation d’un catalogue général des livres et mns. existants en France à l’aide de l’immatriculation. (Cfr B. BALBIS, La documentazione, p. 263).

14 Giannetto Avanzi, uno dei più forti sostenitori del C.D.U., conclude la sua Premessa all’op. cit. dicendo: «Senza doverla erigere a feticcio da idolatrare, come spesso si è visto, e senza denigrarla per partito preso, come pure accade di frequente, resta saldamente, l’unica classificazione di portata internazionale». Tra i denigratori ci mettiamo la Fraschetti-Santinelli? Essa a pag. 45 dell’op. cit., dopo aver fatto la critica del sistema, conclude: «Dal canto mio io penso che, piuttosto che a un ideale di cooperazione mondiale, il catalogo Dewey ha servito, scientemente o no, a un’idea di dittatura anglosassone nel dominio del lavoro intellettuale». Però Nella Santovito Niecchi, direttrice della Nazionale di Roma, propone di usare le notazioni tanto del Congresso quanto della CD.U. nel progettato Catalogo unico per le biblioteche d’Italia (cfr Il libro e le biblioteche, Roma, II, 1950, pp. 1128). Per adattamenti alla religione cattolica, l’opuscolo della Vaticana: Sistemi di classificazione degli stampati, 2ª ed. Roma 1941, p. 19, rimanda a due opere in verità introvabili: P. PAUL-AINÉ MARTIN, Religion, théologie, droit canonique: (classe 2ª et division 348 de la C.D.U....), Montréal 1938; ]EANNETTE MURPHY LYNN, An alternative classification for catholic books: a scheme for Catholic theology, Canon law and Church history..., Milwaukee 1937.

In argomento

Editoria

n. 3397, vol. I (1992), pp. 45-49
n. 3363-3364, vol. III (1990), pp. 258-263
n. 3327, vol. I (1989), pp. 259-265
n. 3093, vol. II (1979), pp. 257-268
n. 3062, vol. I (1978), pp. 151-159
n. 2995, vol. II (1975), pp. 95
n. 2882, vol. III (1970), pp. 154-160
n. 2809, vol. III (1967), pp. 60-62
n. 2807, vol. II (1967), pp. 484-485
n. 2766, vol. III (1965), pp. 552-557
n. 2695, vol. IV (1962), pp. 53-55
n. 2672, vol. IV (1961), pp. 165-169
n. 2667, vol. III (1961), pp. 306-311
n. 2644, vol. III (1960), pp. 384-392
n. 2645, vol. III (1960), pp. 504-512,
n. 2639, vol. II (1960), pp. 511-521
vol. II (1958), pp. 284-288
n. 2583, vol. I (1958), pp. 287-294
n. 2535, vol. I (1956), pp. 320-325
n. 2465, vol. I (1953), pp. 558-563
n. 2455, vol. IV (1952), pp. 57-60
n. 2436, vol. IV (1951)
n. 2197, vol. I (1942), pp. 68