NOTE
×

1 C. J. PINTO DE OLIVEIRA, Information et propagande. Responsabilités chrétiennes, Préfation de HUBERT BEUVE-MÉRY. Paris,:Éd. du Cerf, 1968, 16º, 415 (con amplissima bibliografia ragionata).

2 Particolarmente ampi e felici i commenti alla Vigilanti cura di Pio XI, ai due Discorsi sul film ideale ed alla Miranda prorsus di Pio XII, come pure sulla Lettera della Segreteria di Stato alla Settimana sociale di Nancy (1955). Meno felice, come si vedrà, il commento all’Inter mirifica del Vaticano II.

3 Vedi p. 13. – Sullo stesso argomento, qualche mese prima di questo saggio, è uscito l’eccellente El derecho e la verdad, di J. lRIBARREN (cfr Civ. Catt. 1969 I 198).

4 Per ricordarne alcune – a parte le solite libertà che i libri francesi si prendono con l’ortografia italiana – non si rileva l’appoggio prestato nei suoi Stati da Pio IX alla stampa cattolica (p. 82) col Giornale di Roma (1849), la Civiltà Cattolica (1850, che pur viene ricordata a p. 405) e l’Osservatore Romano (1861). È discutibile (p. 41) che nel 1524 il rapporto del nunzio pontificio a Venezia rappresenti «l’opinion moyenne de l’ecclésiastique italien de l’époque» Anche supposta fondata la tiratura di 44.000 copie, indicata da G. Weill (p. 56) per dieci giornali di Londra verso il 1712, sembra esagerato parlare di «feuilles tirées par dizaines de milliers d’exemplaires» per quell’epoca; è noto, infatti, che pochi decenni prima, una tiratura di 1.500 copie (il Frankfurter ]ournal, nel 1680) veniva considerata straordinaria, e che ancora nel 1804 la tiratura media dei giornali americani era di 3.600 copie, e che solo nel 1833 arrivò alle 30-40.000 copie. Ancora: forse troppo categoricamente (p. 97) si dice che Pio XII affermò la necessità dell’opinione pubblica nella Chiesa «sans préciser la portée et l’objet de celte opinion publique». A proposito della Legion of decency (p. 131) «non-croyants» va sostituito con «ebrei». La panoramica sul fascismo (p. 238 ss.) risulta troppo sommaria ed imprecisa; oltre tutto, la marcia su Roma avvenne il 28 (e non il 30) ottobre; è un anticipare i fatti affermare che «en 1922 déjà le portrait mythique du Duce est définitivement stéréotypé; «Piazza Venezia» non è lo stesso di «Venezia». A p. 295 è proprio grossa dare Benedetto Croce come condannato dalla S. Sede quale «penseur du fascisme». A p. 308 addolciremmo l’affermazione che «le Saint Siège sera inévitablement géné dans son activité magistérielle» dall’esistenza di uno Stato Città del Vaticano. Finalmente, a p. 339: a parte il fatto che di «lettere d’indulgenza» Gutenberg ne stampò più d’una, non è del tutto esatto affermare che egli l’abbia stampata «pour le pape Nicolas V».

5 Per esempio: non risponde alla verità che i 503 non placet della penultima votazione plenaria siano stati frutto «di una conoscenza più approfondita dello Schema» da parte dei Padri (p. 225): furono, piuttosto, il frutto della polemica suscitata da una minoranza infima, ma aggressiva, stimolata da tre elementi, per giunta estraconciliari. Così pure, non risponde a verità «l’accord unanime du Concile sur l’opportunité d’une déclaration solennelle de l’Eglise sur les techniques de communication sociale» (ivi), perché voci, anche di porporati, di rimandare tutto l’argomento al magistero ordinario della Chiesa ce ne furono sin dal 1960, né tacquero nei giorni immediatamente precedenti alla solenne approvazione del Decreto in Aula. Ancora: gli Atti del Concilio non offrono dati di sorta per affermare che i non placet venissero dal settore «più lucido del corpo episcopale», o che siano stati motivati soltanto dal desiderio di vedere meglio chiarita nello Schema «la dimension proprement sociale des techniques de diffusion et leur insertion dans les structures de la civilisation moderne» (pp. 227 e 234); consta, invece, che almeno un centinaio di Padri disse «no» per ragioni, se non proprio contrarie, del tutto diverse.

6 Per esempio: là dove (p. 229) del n. 5.5 si dà una versione chiaramente errata, e dove l’argomento «opinioni pubbliche» (n. 8) viene inserito nella serie delle «questioni morali oggi disputate» e non in quella dei «doveri», stemperandone così tutto il pregnante valore precettivo.

MENU

Articolo estratto dal volume I del 1969 pubblicato su Google Libri.

Il testo è stato corretto dai refusi di stampa e formattato in modo uniforme con gli altri documenti dell’archivio.

I riferimenti ai documenti del magistero pontificio sono stati resi interattivi e portano al sito del progetto “Chiesa e Comunicazione”, la biblioteca digitale online che prosegue l’attività iniziata da p. Baragli con le opere Cinema cattolico: documenti della Santa Sede sul cinema e Comunicazione Comunione e Chiesa.

ARTICOLO SU

C.J. Pinto de Oliveira è un domenicano, già noto in Brasile, sua patria, come «frai Carlos-Josaphat». Nel 1962, con un saggio su Vangelo e rivoluzione sociale, sosteneva l’urgenza di uno sviluppo sociale-civile dell’America latina. Per la stessa causa dava vita al giornale Brasil Urgente, soppresso nel 1964 per i noti eventi locali; che, tra l’altro, portarono il Pinto in Europa, ad addottorarsi in Francia con la tesi: Eglise, information et propagande. Pour une éthique humaine et chrétienne des techniques de diffusion, e poi ad insegnare teologia morale nell’università di Friburgo, in Svizzera.

Sotto un titolo meno preciso, questo volume1 riprende – rifondendola ed ampliandola – la parte storica di quella tesi, ed analizza le relazioni tra il magistero della Santa Sede (con qualche concessione al comportamento ecclesiastico in genere) e l’informazione-propaganda, o, meglio, gli strumenti – stampa, cinema e radio-televisione – che l’hanno resa tipico fenomeno moderno. Allo scopo, l’autore poteva seguire una linea sintetica, fattuale-dottrinale, trattando prima, nelle sue cause e sviluppi tecnico-storico-sociologici, dell’informazione-propaganda (con i connessi argomenti: pubbliche opinioni, libertà di opinione-espressione, censura, ecc.), e poi esponendo i relativi contenuti, dottrinali e disciplinari, del magistero. Invece, ha preferito seguire la linea storico-evolutiva, descrivendo in ordine cronologico l’apparire ed il progredire dei fatti tecnico-sociologici ed analizzando parallelamente gli interventi e le reazioni del magistero pontificio: linea che si rassegna agli inevitabili ritorni e ripetizioni, ma che almeno, escludendo schemi semplicistici ed artificiosi, rispetta la oggettiva complessità dei fatti e delle situazioni.

Così questo saggio inizia (cap. I) con l’invenzione e il primo sviluppo della stampa e con i primi interventi tutelativi-restrittivi della Chiesa: Imprimatur ed Indice, analoghi al regime di «privilegio » adottato dai «prìncipi». Seguono (cap. II) i tre secoli di passaggio della stampa, da editoria libraria a periodica e giornalistica, determinato soprattutto dal soffio libertario della rivoluzione francese e dalle rivoluzionarie innovazioni tecnologiche del secolo XIX: secoli nei quali continua l’azione prevalentemente denunciatoria-difensiva della Chiesa sintetizzata nel Sillabo di Pio IX. Si passa quindi all’esplosione tecnico-elettronica del secolo XX: stampa illustrata, cinema e radio-televisione: recepita e via via giudicata con «aperture» più moderne nei grandi documenti specifici di Pio XI, Pio XII, Giovanni XXIII e Paolo VI, nonché in quel punto di arrivo del magistero che è il decreto conciliare Inter mirifica. Si arriva così (cap. IV) a quella realtà tipica della storia contemporanea che è l’uso massiccio e sistematico di questi strumenti in funzione di propaganda, per lo più ideologica, fatto dal fascismo, nazismo, leninismo e maoismo, nonché dalle dittature, meno clamorose ma non meno spietate, imperanti nelle società capitalistiche; e ad una «nuova» presenza del magistero, che, svincolato da condizionamenti creati da situazioni storiche, grazie a Dio, definitivamente disciolte, risolve i problemi morali dell’informazione tutelando, sì, il deposito di cui è custode, ma in termini di maggior fiducia nella maturità e responsabilità dei fedeli e dell’umanità in genere, di maggior rispetto della dignità personale e dei diritti nativi di ogni uomo, tra i quali, fondamentale e sommo, quello della libertà; perciò anche in termini di maggiore armonia tra compiti dell’autorità-servizio e strutture democratiche: insomma, di vero dialogo.

In linea di massima non si può non convenire sostanzialmente col Pinto in questa sua analisi. Del resto, i fatti che ricorda sono notissimi a chi, pur poco, maneggi l’argomento, né avrebbero bisogno delle numerose referenze bibliografiche cui si appoggiano; e l’esegesi dei testi magisteriali risulta quasi sempre diligente e bene inquadrata nei relativi precedenti dottrinali-disciplinari, e nelle circostanze storico-ambientali2.

Oltre tutto, il Pinto dà un preclaro, oggi, esempio di sensus Ecclesiae. Se il rispetto alla verità lo porta spesso a rilevare spiacevoli ritardi e chiusure mentali, legati a limiti personali ed ambientali, oltre che alle situazioni storiche di cui sopra, mai che egli venga meno al fiducioso ossequio dovuto al Magistero romano ed agli uomini che concretamente lo hanno esercitato: pastori di una Chiesa insieme divina ed umana, immutabile nella sua essenza rivelata, per quanto mutabile nelle sue forme storiche. Inoltre, sul piano meramente socio-politico, nelle tensioni odierne tra libertà ed autorità, tra giustizia sostanziale ed ordine giuridico, tra esigenze di verità e dovere di carità, pur mostrando verso quali valori egli preferibilmente inclini, riesce ad osservare un lodevole equilibrio.

Abbiamo, dunque, un saggio d’ogni parte sodisfacente? Abbiamo finalmente quello studio definitivo sull’argomento che finora mancava3? Non diremmo. Bensì un approccio ad un ulteriore studio, più maturo – ci auguriamo: da parte dello stesso Pinto –, nel quale, rettificate alcune imprecisioni, colmata una lacuna e soprattutto messi più a fuoco alcuni concetti di fondo, il senso e il peso delle specifiche responsabilità cristiane nel settore dell’informazione (noi diremmo «della comunicazione») risaltino meglio rispetto al passato, e soprattutto rispetto al presente ed al prossimo avvenire. Sorvolando sulle imprecisioni, che non intaccano il valore sostanziale del saggio4, indugiamo un poco sul resto.

La lacuna riguarda il decreto Inter mirifica. Prescindendo da alcune illazioni circa le sue non sempre liete vicende conciliari, che l’autore, in buona fede, deriva da fonti male informate5, come pure prescindendo dalla sommarietà dell’esegesi del testo, non sempre fedele all’originale6, ci pare che sfuggano al Pinto due particolari della massima importanza rispetto alla sua tesi; vale a dire: la globalità dell’argomento trattato dal Decreto e la formalità propria sotto la quale viene trattato.

Infatti, salvo che nella Lettera alla Settimana sociale di Nancy (1955), documenti magisteriali antecedenti, compresa la Miranda prorsus, non trattavano della stampa insieme al cinema ed agli altri «mezzi». Il Decreto, invece, lo fa. In tal modo – ed in ciò è la prima e fondamentale novità – estende alla stampa, ed a tutti gli altri «mezzi», quella compiutezza dottrinale-pastorale che era andando formulando circa il cinema, ed, in parte, anche circa la radio-televisione. E lo fa comprendendo tutti questi specifici «mezzi tecnici» sotto la dizione di strumenti della comunicazione sociale. Forse siffatta terminologia innovatrice e programmatica sfugge al Pinto perché egli, in tutto il suo saggio, adopera correntemente un equivalente «mezzi d’informazione», quasi che il termine sia stato pacifico, nell’uso del Magistero, fin... dall’invenzione della stampa. Ma qui già passiamo a quell’imprecisione sui concetti (e la relativa terminologia) di fondo che, a nostro parere, segna i limiti più vistosi di tutto il lavoro. Vi manca, infatti, una delimitazione precisa tra «comunicazione», «informazione» e «propaganda»; come pure manca ogni precisazione tra «opinione» in accezione tradizionale generica, ed «opinione (pubblica)» in senso odierno specifico. Conseguentemente, i fenomeni relativi sociologici si sfocano, e con essi i problemi etici che li riguardano, nonché i significati propri di molti interventi magisteriali.

La verità è, infatti, che la stampa (“editoria libraria”) non fu intesa, né poteva esserlo, come veicolo d’informazione nel senso tecnico moderno (della stampa periodica, specialmente giornalistica); tanto meno lo fu il cinema (ed, in parte, la televisione), col suo prevalente aspetto di «spettacolo». Ora, le maggiori difficoltà psico-sociologiche del Magistero erano, non tanto nel distinguere tra libertà (bene dell’uomo) ed ordine costituito civile-religioso (bene comune), bensì piuttosto tra civiltà-cultura di convinzioni-magistero e civiltà-cultura di opinioni-dialogo, in una società che, specialmente in questo ultimo secolo, si è andata rapidamente differenziando dall’omogeneità; propria di quella al pluralismo proprio della seconda. Difficoltà che oggi più che mai si pone alla Gerarchia, come ieri non dotata del dono di prevedere il futuro e tuttavia chiamata ad esercitare una irrinunciabile funzione magisteriale in una società che, di fatto, anche per molti suoi fedeli, passa ed è largamente opinionale. Le vicende che hanno accompagnato l’Humanae vitae ne sono una prova.

Per finire: peccato che l’autore si sia fatta sfuggire l’occasione di rilevare un merito di quel Magistero, del quale si mostra tanto lealmente rispettoso. Ed è che, malgrado tutti i ritardi che si possono rimproverargli, con le sue dichiarazioni, disposizioni ed esortazioni, esso è stato spesso, come l’è tutt’oggi dopo l’Inter mirifica, molto più avanzato che non la prassi dei Pastori e dei fedeli, a servizio dei quali ha agito.

Servirà questo bel saggio a ridurre, in questo clima postconciliare, siffatta dannosa distanza? Lo speriamo. E sarebbe il suo migliore frutto. Ché, non tanto vale rivendicare dall’alto il diritto nativo degli uomini e dei fedeli alla libertà, quanto che essi stessi s’impegnino a fare tutto ciò che è in loro per assicurarsene e tutelarsene l’esercizio.

1 C. J. PINTO DE OLIVEIRA, Information et propagande. Responsabilités chrétiennes, Préfation de HUBERT BEUVE-MÉRY. Paris,:Éd. du Cerf, 1968, 16º, 415 (con amplissima bibliografia ragionata).

2 Particolarmente ampi e felici i commenti alla Vigilanti cura di Pio XI, ai due Discorsi sul film ideale ed alla Miranda prorsus di Pio XII, come pure sulla Lettera della Segreteria di Stato alla Settimana sociale di Nancy (1955). Meno felice, come si vedrà, il commento all’Inter mirifica del Vaticano II.

3 Vedi p. 13. – Sullo stesso argomento, qualche mese prima di questo saggio, è uscito l’eccellente El derecho e la verdad, di J. lRIBARREN (cfr Civ. Catt. 1969 I 198).

4 Per ricordarne alcune – a parte le solite libertà che i libri francesi si prendono con l’ortografia italiana – non si rileva l’appoggio prestato nei suoi Stati da Pio IX alla stampa cattolica (p. 82) col Giornale di Roma (1849), la Civiltà Cattolica (1850, che pur viene ricordata a p. 405) e l’Osservatore Romano (1861). È discutibile (p. 41) che nel 1524 il rapporto del nunzio pontificio a Venezia rappresenti «l’opinion moyenne de l’ecclésiastique italien de l’époque» Anche supposta fondata la tiratura di 44.000 copie, indicata da G. Weill (p. 56) per dieci giornali di Londra verso il 1712, sembra esagerato parlare di «feuilles tirées par dizaines de milliers d’exemplaires» per quell’epoca; è noto, infatti, che pochi decenni prima, una tiratura di 1.500 copie (il Frankfurter ]ournal, nel 1680) veniva considerata straordinaria, e che ancora nel 1804 la tiratura media dei giornali americani era di 3.600 copie, e che solo nel 1833 arrivò alle 30-40.000 copie. Ancora: forse troppo categoricamente (p. 97) si dice che Pio XII affermò la necessità dell’opinione pubblica nella Chiesa «sans préciser la portée et l’objet de celte opinion publique». A proposito della Legion of decency (p. 131) «non-croyants» va sostituito con «ebrei». La panoramica sul fascismo (p. 238 ss.) risulta troppo sommaria ed imprecisa; oltre tutto, la marcia su Roma avvenne il 28 (e non il 30) ottobre; è un anticipare i fatti affermare che «en 1922 déjà le portrait mythique du Duce est définitivement stéréotypé; «Piazza Venezia» non è lo stesso di «Venezia». A p. 295 è proprio grossa dare Benedetto Croce come condannato dalla S. Sede quale «penseur du fascisme». A p. 308 addolciremmo l’affermazione che «le Saint Siège sera inévitablement géné dans son activité magistérielle» dall’esistenza di uno Stato Città del Vaticano. Finalmente, a p. 339: a parte il fatto che di «lettere d’indulgenza» Gutenberg ne stampò più d’una, non è del tutto esatto affermare che egli l’abbia stampata «pour le pape Nicolas V».

5 Per esempio: non risponde alla verità che i 503 non placet della penultima votazione plenaria siano stati frutto «di una conoscenza più approfondita dello Schema» da parte dei Padri (p. 225): furono, piuttosto, il frutto della polemica suscitata da una minoranza infima, ma aggressiva, stimolata da tre elementi, per giunta estraconciliari. Così pure, non risponde a verità «l’accord unanime du Concile sur l’opportunité d’une déclaration solennelle de l’Eglise sur les techniques de communication sociale» (ivi), perché voci, anche di porporati, di rimandare tutto l’argomento al magistero ordinario della Chiesa ce ne furono sin dal 1960, né tacquero nei giorni immediatamente precedenti alla solenne approvazione del Decreto in Aula. Ancora: gli Atti del Concilio non offrono dati di sorta per affermare che i non placet venissero dal settore «più lucido del corpo episcopale», o che siano stati motivati soltanto dal desiderio di vedere meglio chiarita nello Schema «la dimension proprement sociale des techniques de diffusion et leur insertion dans les structures de la civilisation moderne» (pp. 227 e 234); consta, invece, che almeno un centinaio di Padri disse «no» per ragioni, se non proprio contrarie, del tutto diverse.

6 Per esempio: là dove (p. 229) del n. 5.5 si dà una versione chiaramente errata, e dove l’argomento «opinioni pubbliche» (n. 8) viene inserito nella serie delle «questioni morali oggi disputate» e non in quella dei «doveri», stemperandone così tutto il pregnante valore precettivo.

In argomento

Magistero

n. 3195-3196, vol. III (1983), pp. 209-222
n. 3188, vol. II (1983), pp. 154-161
n. 3141, vol. II (1981), pp. 222-237
n. 2990, vol. I (1975), pp. 144-157
n. 2983, vol. IV (1974), pp. 36-48
n. 2979-2980, vol. III (1974), pp. 242-247
n. 2950, vol. II (1973), pp. 347-358
n. 2951, vol. II (1973), pp. 425-438
n. 2952, vol. II (1973), pp. 547-559
n. 2911, vol. IV (1971), pp. 39-48
n. 2913, vol. IV (1971), pp. 235-253
n. 2882, vol. III (1970), pp. 154-160
n. 2859-2860, vol. III (1969), pp. 219-230
n. 2787-2788, vol. III (1966), pp. 314-315
n. 2702-2704, vol. I (1963), pp. 105-118, 313-325
n. 2636, vol. II (1960), pp. 124-39
n. 2612, vol. II (1959), pp. 113-124
n. 2605, vol. I (1959), pp. 66-69
n. 2555, vol. IV (1956), pp. 521-532
n. 2545, vol. III (1956), pp. 30-42
n. 2532, vol. IV (1955), pp. 601-609